Valutazione









Per valutare esplicitamente qualcosa, il valutatore adotta delle griglie di analisi ricche di concetti astratti come quelli di numero, valore, base, criteri, standards, obiettivi, bisogni, norme, validità, correlazione, oggettività, falsificazione, processo, prodotto, formativo, sommativo, e via di seguito. Non é qui però il problema. Esso emerge allorché il valutatore deve comunicare con i colleghi e i committenti , dal momento che egli deve loro spiegare che cosa intende allorché usa alcuni termini per sottolineare i concetti centrali del suo lavoro. Ma soprattutto, nel comunicarli, il valutatore si rende conto di dover sempre più integrare questi concetti e i relativi significati in uno schema esplicativo coerente che assista e guidi alla comprensione di tutti gli aspetti significativi del suo lavoro. Se la valutazione è chiamata ad indossare il mantello della professione allora la concettualizzazione delle operazioni di valutazione deve assicurare una valutazione difendibile.
In materia di educazione, il problema tecnico della valutazione (ovvero la possibilità di rendere valutabili tanto i processi quanto i prodotti educativi) è ancora vincolato, nel nostro Paese, alla convinzione che l'unico modo serio per descrivere e interpretare i fenomeni educativi consista nell'adottare tecniche e metodi di ricerca che permettano di ridurre la realtà studiata a serie di dati osservabili e verificabili. Sfortunatamente tale assunto, di per sé accettabile per le garanzie che intende assicurare a monte alle procedure di ricerca, presenta numerosi limiti. A livello epistemologico l'assunto suddetto ha finito per impigrire i valutatori nella convinzione che l'unico modo rigoroso per ottenere dati significativi di un fenomeno educativo consistesse nel "ridurre" la realtà indagata entro i limiti concettuali di analisi consentiti dagli strumenti e, conseguentemente, dalla estensione delle ipotesi di indagine utilizzati. Nella pratica quotidiana dominante della ricerca valutativa, nonostante i "ma ", i "se " e i ripetuti "distinguo", si continua ad applicare il primo teorema di Heinz von Foerster che suona cosi':" Se un sistema è troppo complesso per poter essere compreso, lo si scompone in pezzi più piccoli e cosi' via finché questi pezzi sono talmente piccoli che diviene possibile comprenderne almeno uno." L'aspetto più simpatico di questo metodo del riduzionismo é che esso assicura sempre un successo al ricercatore che lo adotta. Ne consegue che un giudizio valutativo va sempre debitamente scomposto nelle sue componenti (fattori), per la convenzione presuntiva che i fattori ipotetici estrapolati si comportino nella realtà nel modo con cui l'ipotesi afferma che "dovrebbe comportarsi" la realtà' indagata. Purtroppo accade invece che tale convenzione tenda ad essere troppo spesso dimenticata dal ricercatore nel corso della sua indagine; sicché le informazioni prodotte da una ricerca valutativa che poggi sugli assunti precedenti finisce per interrogarsi poco sulla propria significatività, e questo di solito significa semplicemente che l'indagine in parola non mirava a produrre informazioni significative, ma solo informazioni. Inoltre va ricordato che al momento in cui il giudizio valutativo viene formulato, la realtà in riferimento risulta essersi di fatto già modificata rispetto all'ipotesi su cui poggiava e si legittimava lo specifico giudizio valutativo. Insomma il metodo di indagine privilegiato fin qui nella valutazione non ha consentito alla teoria che lo governa di aggiornarsi appunto sul problema della significatività dei giudizi valutativi per l'educazione. Una teoria del significato è del tutto assente dalle preoccupazioni dei valutatori di casa nostra. D'altra parte l'unica via adottata per assicurare "significatività'" alle valutazioni esperite è stato quello di preoccuparsi di rendere comparabili i dati prodotti o esaminati. Applicando tale criterio alle valutazioni di progetti e di azioni sociali, non solo educative, ci si è prima resi conto che è difficile garantire l'osservanza di tale criterio; e poi che la comparabilità stessa tra dati valutativi e contesti di indagine è un criterio che presume di poter fare a meno della variabile tempo nelle indagini valutative. Il mito inseguito dai teorici della valutazione "riduzionista" e' stato, pertanto, quello della diagnosi, nella convinzione che la diagnosi rappresenti la fase preliminare e indispensabile per poter formulare qualsiasi prognosi. Non ci si è resi conto che una qualsiasi diagnosi si fonda su una teoria, anzi esplicita le teorie soggiacenti che l'hanno resa possibile; e che, nel caso specifico delle scienze dell'azione, una diagnosi è, proprio perché' espressione di una teoria, anche una prognosi anticipata; né anzi può esimersi dal configurarsi come tale.
Ci si è tuttavia accorti che non si può escludere a priori dal campo dell'indagine valutativa tutto ciò che produce comunque informazioni significative, anche se tali informazioni risultano ottenute con metodi non sperimentali ma "quasi sperimentali". Ci si è inoltre accorti che sul piano tecnico( oltre che su quello concettuale e sociale) le operazioni di valutazione non possono essere ridotte a quelle del controllo o della verifica; appartenendo ciascuna di queste a generi diversi e dunque a livelli di concettualizzazione e di strumentazione differenti. E si prende sempre più' amara consapevolezza del fatto che lo sperimentalismo ad oltranza in educazione ( e non solo in essa) conduce ad una totale svalutazione del "fatto " scientifico. A forza di procedere ad esperimenti debolmente motivati la ricerca educativa perde di intensione, acquista forse in estensione, ma sicuramente si depotenzia sempre più' l'interesse ad investire in educazione da parte della comunità' umana della conoscenza e della comunicazione.
Gli assunti in positivo conseguenti a tale ricognizione dei limiti di una "valutazione accademica" debbono fare i conti con un riesame della pratica della modellizzazione scientifica per un verso e con l'evoluzione del concetto di analogia e con il suo uso nella conoscenza contemporanea per l'altro [U.M.].
Valutazione di sistema
La dizione si aggancia agli studi di Qualitative Research and Evaluation, sviluppatasi soprattutto negli USA a partire dagli anni '70. In Italia rappresenta un indirizzo di studi alternativo alla prospettiva classica delle teorie dell'apprendimento su basi positivistiche (la cosiddetta valutazione oggettiva. La valutazione di sistema infatti intende sviluppare negli operatori scolastici e nei formatori un approccio relazionale che consenta loro diagnosi e prognosi significative dello sviluppo degli apprendimenti. A tale scopo chiede che il controllo del profitto (Assessment) fornisca meri dati di stato degli apprendimenti ad una successiva o contestuale operazione di verifica (Evaluation), centrata sulle tendenze e sulle dinamiche relazionali che caratterizzano la motivazione ad apprendere dei soggetti osservati. L'insieme delle informazioni raccolte viene quindi elaborato all'interno di un quadro di sintesi che si confronta direttamente con le ipotesi-guida da cui si fa o si è fatta dipendere l'intera progettazione didattica (Meta-Evaluation). Questo modello consente anche di verificare se i vari apprendimenti settoriali, promossi negli allievi da singole discipline o da ancor più circoscritte attività di insegnamento, fanno sistema tra loro; e dunque fornisce un quadro di indicatori o di standard qualitativi per orientare retroattivamente intorno alle questioni dell'efficacia e dell'efficienza dell'azione formativa globale (Margiotta, 1993) [U.M.].

Definizione 2
Qualunque metodologia che stima l'efficacia e l'impatto di un processo di
apprendimento. I risultati delle stime possono essere usati per migliorare
l'offerta di learning, e determinare se gli obiettivi di apprendimento
sono stati raggiunti.








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