Persona

 

  Come spiega lo stesso S. Tommaso il termine proviene da personare, che significa "far ri­sonare", "proclamare ad alta voce": "Sump­tum est nomen personae a personando eo quod in tragoediis et comediis recitatores sibi ponebant quandam larvam ad repraesentan­dum illum, cuius gesta narrabant decantando (il nome persona è stato tratto da personare perché nelle tragedie e nelle commedie gli attori si mettevano una maschera per rap­presentare colui del quale, cantando, narra­vano le gesta) (I Sent., d. 23, q. 1, a. 1).

 

                 Secondo l’uso corrente "persona" desi­gna la realtà umana, il singolo individuo, nella sua interezza e concretezza: è tutto l’essere dell’uomo nella sua individualità che si vuol esprimere con questo nome.

 

  Storicamente la parola persona segna la linea di demarcazione tra la cultura pagana e la cultura cristiana. Fino all’avvento del cristia­nesimo non esisteva né in greco né in latino una parola per esprimere il concetto di persona, perché nella cultura classica tale concetto non esisteva: essa non riconosceva valore as­soluto all’individuo in quanto tale, e faceva dipendere il suo valore essenzialmente dal ceto, dal censo, dalla razza. "Il cristianesimo ha creato una nuova dimensione dell’uomo: quella di persona Tale nozione era così estranea al razionalismo classico che i padri greci non erano capaci di trovare nella filosofia greca le categorie e le parole per esprimere questa nuova realtà" (R. Garaudy). La singolarità della persona, unica e irripetibile e, di conseguen­za, la sostanziale eguaglianza in dignità e no­biltà di ogni esponente della specie umana, il suo valore assoluto, è una verità portata, affermata e diffusa dal cristianesimo, e fu una verità carica di un "potere sovversivo" come poche altre nella storia: man mano che essa riuscì a farsi strada e a penetrare nella cultura pagana, la trasformò profondamen­te, sostanzialmente, dando origine a una nuova cultura e a una nuova società: la cul­tura e la società che prenderanno forma nel­la respublica christiana del medioevo.

 

  Come s’è detto, il concetto di persona, in quanto pone l’accento sul singolo, sull’indi­viduo, sul concreto, è estraneo a! pensiero greco, il quale annette importanza e ricono­sce valore soltanto all’universale, all’ideale, all’astratto e considera l’individuo solo come momentanea fenomenizzazione della spe­cie, dell’universale, oppure un attimo transi­torio del grande ciclo onnicomprensivo della storia. Il concetto di persona ê una conquista del pensiero cristiano, il quale vi è giunto con la meditazione e la riflessione sulla storia della salvezza. Questa non è la storia della specie umana, del collettivo, dell’universale, ma è una storia di persona singole, concrete, particola­ri, la storia dei vari Abramo, Isacco, Gia­cobbe, Davide, Isaia ecc. E una storia che esalta l’infinito valore di ogni singolo rap­presentante del genere umano, in quanto ogni uomo viene insignito del titolo di Figlio di Dio e di fratello di Gesù Cristo.

 

  Nel cristianesimo il concetto di persona non è stato tramandato come un semplice dato di fede, ma è diventato argomento di profonda meditazione filosofica e teologica. Nella pa­tristica e nella scolastica è stato sottoposto a un’attenta e rigorosa analisi razionale che gli ha consentito di acquisire un solido spessore filosofico. L’occasione di tale approfondi­mento la fornirono le dispute teologiche in­torno ai grandi misteri della Trinità e della Incarnazione, alla cui soluzione contribuì in maniera decisiva la formulazione precisa del concetto di persona. Il primo esame approfondito di tale concetto fu compiuto da Agostino nel De Trinitate. L’obiettivo che egli perse­gue in quell’opera teologica incomparabile è quello di reperire un termine che si possa applicare distintamente al Padre, al Figlio e allo Spirito, senza incorrere da una parte net pericolo di far di loro tre divinità e, dall’al­tra, net pericolo di dissolvere la loro indivi­dualità. Agostino fa vedere che i termini "essenza e "sostanza" non possiedono  que­sta duplice virtù, in quanto si riferiscono ad aspetti comuni a tutt’e tre I membri della Trinità. Essa compete invece al termine greco “hypostasis” e al suo equivalente latino "persona", il quale non significa una spe­cie, ma qualcosa di singolare e di individua­le (De Trinitate VII, q. 6, a. 11). Analogi­camente, oltre che a Dio, questo termine si applica anche all’uomo: "Singulus quisque homo.. una persona est" (ibid. XV, q. 7, a. 11). Pertanto, per Agostino persona significa il singolo, l’individuo. Ciò attesta che nel se­colo IV d. C. la parola persona aveva già acquisito un significato profondamente diverso da quello che aveva avuto nella latinità classica: non designa più una maschera ma un uomo, un individuo della specie umana.

 

  Il merito di avere elaborato una defini­zione adeguata del concetto di persona spetta a Severino Boezio (v. Boezio). In uno dei suoi opuscoli teologici egli scrive: “La perso­na è una sostanza individuale di natura ra­gionevole” (persona est rationalis naturae in­dividua substantia) (Contra Eutichen et Ne­storium, c. 4). Dalla definizione boeziana ri­sulta che persona non dice semplicemente indivi­dualità singola, né semplicemente natura, né semplicemente sostanza. L’individualità singola infatti può appartenere anche all’ac­cidente (tutti gli accidenti concreti sono indi­viduali); per dar luogo alla persona non bastano né la natura né la sostanza, che possono an­che essere elementi generici. Ma neppure l’unione di individualità, natura e sostanza fa ancora la persona; questi elementi appar­tengono anche a un sasso o a un gatto, che non sono persone. Sono ancora elementi che rientrano nel genere prossimo. Per definire adeguatamente la persona occorre aggiungere ai tre elementi precedenti la differenza spe­cifica che distingue gli uomini dagli animali, la quale consiste nella razionalità. Così si ot­tiene esattamente quanto ha scritto Boezio: rationalis naturae individua substantia.

 

  "Questa celebre definizione fu vivace­mente discussa nei secoli XII e XIII. Riccar­do di S. Vittore ne propose un’altra che non riuscì a soppiantarla. S. Tommaso ne cita talora una terza (cfr. I, q. 29, a. 3, ad 2), detta defini­zione dei maestri, molto in voga dopo Alano di Lilla (t 1202). Egli però sin dagli inizi del suo insegnamento, si decise a tenere quella di Boezio, perfezionandola con qualche im­portante precisazione” (H. F. Dondaine).

 

  S. Tommaso ha un concetto altissimo della persona. Questa a suo giudizio è quanto di più perfet­to esiste nell’universo: "Persona significat id quod est perfectissimum in tota natura, scili­cet substantia in natura rationalis" (I, q. 28, a. 3). Egli guarda alla persona dal punto di vista on­tologico e la considera quindi come una mo­dalità dell’essere, ossia di quella perfezione che nella sua filosofia è la perfectio omnium perfectionum e l’actualitas omnium actuum, ed è proprio rispetto a questa perfezione che la persona occupa il gradino più alto: l’essere nella persona trova la sua attuazione più piena, più ec­cellente, più completa. Per questo motivo tutti gli enti che si fregiano del titolo di persona, sono enti che godono di una dignità infinita, di un valore assoluto: sia che si tratti di Dio, degli angeli o dell’uomo. Il concetto di persona è un concetto analogico: non si predica allo stesso modo, ossia univocamente, di Dio, degli angeli e dell’uomo, ma secondo un ordine di priorità e posteriorità (secundum prius et posterius); tuttavia, esso designa sempre la stessa perfezione fondamentale: il sussistere individuale nell’ordine dello spirito. Come dice S. Tommaso col suo linguaggio so­brio e preciso: "Omnne subsistens in natura rationali vel intellectuali est persona" (C. G., IV, c. 35).

 

  Convinto della bontà della definizione boeziana della persona egli la difende dalle obie­zioni di chi la contestava chiarendo il senso dei quattro termini che la compongono: ra­tionalis, natura, individua, substantia, e fa­cendo vedere che se questi termini sono in­tesi nel senso giusto sono tutti indispensabili per avere un concetto adeguato di persona.

 

  A proposito del termine substantia S. Tommaso ricorda che esso può significare sia la sostan­za seconda (l’essenza universale) sia la sostanza prima (il soggetto singolo). Ora, nella definizione di persona il termine sostanza è usato nel senso di sostanza prima, perché la persona è sempre un sussistente singolare, e non nel senso di sostanza seconda. “Il termine sostanza si può prendere in due sensi. Primo, si dice sostanza la quiddità di una cosa espressa dalla definizione; difatti diciamo che la definizione esprime la sostanza della cosa: e questa sostanza che i greci chiamano ousia noi possiamo chiamarla essenza. Se­condo, si dice sostanza il soggetto o supposi­to che sussiste nel genere della sostanza”. (I, q. 29, a. 2). Ora, è nel senso di sostanza pri­ma o supposito che va preso il termine sostanza nella definizione di persona e non semplice­mente nel senso di essenza universale.

 

  Riguardo al termine individuo l’Angelico riconosce che si può predicare sia della sostanza come degli accidenti, però osserva, con Aristotele, che primariamente e pro­priamente si dice della sostanza. “L’indivi­duo si ha specialmente nel predicamento della sostanza. Infatti la sostanza si indivi­dua per se stessa, mentre l’accidente è individuato dal suo soggetto che è la sostanza: la bianchezza infatti è questa qui (e non altra) perché è in questo soggetto. Quindi gli indi­vidui sostanziali, a preferenza degli altri, hanno un nome proprio e si dicono ipostasi o sostanze prime. L’individuo particolare poi si trova in un modo ancora più perfetto nelle sostanze ragionevoli che hanno il dominio del propri atti, che si muovono da se stesse e non già spinte dall’esterno come gli altri es­seri: e le azioni si verificano proprio nella realtà particolare. Perciò, tra tutte le altre sostanze, gli individui di natura ragionevole hanno un nome speciale. E questo nome è persona. Nella suddetta definizione dunque ci si mette sostanza individua, per significare il singolare nel genere di sostanza: e vi si ag­giunge di natura razionale precisamente per indicare il singolare di sostanza ragionevole” (I, q. 29, a. 1). Più avanti S. Tommaso esprime lo stesso concetto nel modo seguente: “La per­sona, in generale, come si è detto, significa una sostanza individua di natura ragionevo­le. L’individuo poi è ciò che è indistinto in se stesso e distinto dagli altri. Perciò la perso­na, in qualsiasi natura, significa ciò che è di­stinto in quella natura, cosi nella natura umana significa questa carne, queste ossa, quest’anima, che sono principio di indivi­duazione per l’uomo; le quali cose pur non facendo parte del significato di persona, tut­tavia fanno parte di quello di persona umana "(quae quidem licet non sint de significatione personae, sunt tamen de significatione perso­nae umanae)" (I, q. 29, a. 4). Così col termi­ne individuo si indica la realtà personale in tutta la sua concretezza, non ciò che appar­tiene all’umanità in modo generico oppure a un angelo in modo specifico; ma ciò che è proprio di Pietro, di Socrate, di Davide, o dell’angelo Gabriele.

 

  A chi pensa che sarebbe stato meglio porre il termine essenza anziché natura, S. Tommaso replica che Boezio ha fatto bene a dare la preferenza a natura, perché “essenza è de­sunto dall’essere, che è qualche cosa di estremamente comune (est communissi­mum)”; mentre il termine natura, come lo intende Boezio, “designa la differenza speci­fica costitutiva di ciascuna cosa; infatti la differenza specifica è quella che completa la definizione e si desume dalla forma propria della cosa. perciò era più conveniente che nella definizione di persona, la quale è un singolare di genere determinato, si usasse il nome di natura anziché quello di essenza" (I, q. 29, a. 1).

 

  Quanto al termine rationalis, infine, S. Tommaso dice che va perfettamente bene se la defi­nizione di persona riguarda l’uomo, perché è pro­prio grazie alla razionalità che l’uomo entra nell’ordine dello spirito, che è l’ordine a cui appartengono le persone; però se si vuole una de­finizione di persona maggiormente comprensiva che si addica anche a tutti gli altri esseri spi­rituali (Dio e gli angeli) allora occorre ag­giungere a rationalis il nome intellectualis. Per questo motivo S. Tommaso ritocca la definizio­ne boeziana come segue: "Omne subsistens in natura rationali vel intellectuali est perso­na” (C. G., IV, c. 35). Ponendo nella defini­zione di persona i nomi rationalis oppure intel­lectualis, S. Tommaso assegna implicitamente alla persona tutte quelle proprietà su cui insisteranno i filosofi moderni e contemporanei quando parlano della persona: l’autocoscienza, la libertà, la comunicazione, la coesistenza, la vocazio­ne ecc., perché tutte queste qualità trovano la loro radice profonda nella ragione oppure nella intelligenza: è la ragione (l’intelligen­za) che possiede l’autocoscienza, la libertà, la comunicazione, la coesistenza, la vocazio­ne, la partecipazione, la solidarietà ecc.

 

Tommaso definendo sinteticamente la persona co­me subsistens in natura rationali vel intellec­tuali indica tutt’e due gli aspetti essenziali e indispensabili per avere la persona: l’aspetto onto­logico (col subsistens) e l’aspetto psicologico (col rationalis o intellectualis). Una raziona­lità o un’intelligenza, per quanto perfetta, senza la sussistenza non fa ancora persona; tant’è vero che la natura umana di Cristo, non es­sendo sussistente, non fa persona. Né occorre che la razionalità o l’intelligenza siano presenti come operazioni in atto, ma è sufficiente che siano presenti come facoltà: così è persona anche chi dorme, anche chi è in stato comatoso ed è persona anche il feto. Qualsiasi essere ragione­vole o intelligente dotato di un proprio actus essendi è persona Questi due aspetti della persona, sussistenza e natura spirituale, sono stretta­mente legati tra loro. Infatti, proprio perché la forma sostanziale dell’uomo (l’anima) ha l’essere per sé e non per la sua unione con la materia, questa forma è spirituale; e proprio perché l’anima umana ha per sé (anche se non a se) l’atto di essere, può operare per se, giacche l’operare segue l’essere e il modo di operare il modo d’essere: operare per se è avere il dominio sulle proprie azioni, vale a dire, avere la libertà. Ed è proprio in questo modo di agire che si manifesta ciò che è maggiormente caratteristico della persona. Infatti la sussistenza, nota essenziale della persona, ci si trova nella sua forma particolare e indivi­duale in modo più speciale e perfetto nelle sostanze razionali, che possiedono il domi­nio del loro agire e non sono solo oggetti passivi, come le altre sostanze, ma agiscono per sé medesime: perché solo gli esseri sin­golari possono agire, e tra tutte le altre so­stanze certi individui hanno un nome specia­le: questo nome è persona perché sono di natura ragionevole” (I, q. 29, a. 1).

 

  Nell’uomo, come totalità dell’essere sin­golo, la persona abbraccia: la materia, la forma sostanziale (l’anima), le forme accidentali e l’atto d’essere (actus essendi). Il costitutivo formale della persona è dato da quest’ultimo ele­mento, perché l’atto dell’essere è la perfe­zione massima ed è ciò che conferisce attua­lità alla sostanza e a tutte le sue determina­zioni. Perciò "la personalità appartiene ne­cessariamente alla dignità e alla perfezione di una realtà, in quanto questa esiste per sé il che è inteso nel nome di persona”(III, q. 2, a. 2, ad 2).

 

  L’actus essendi conferisce alla persona la pro­prietà della incomunicabilità: “De ratione personae est quod sit incommunicabilis(I. q. 30, a. 4, ob. 2). Grazie all’atto d’essere la persona diviene completa in se stessa, ontologica­mente chiusa. La persona, precisa San Tommaso, gode di triplice incomunicabilità: "Anzitutto l’indivi­duo che è persona non può comunicare con le altre cose come parte, essendo un tutto completo; poi non può comunicare come l’universale comunica con i singoli, in quan­to la persona è qualcosa di sussistente; infine non può comunicare come qualche cosa di assumibile, perché ciò che è assumibile pas­sa nella personalità dell’assumente, e non ha più una personalità sua propria. Non va in­vece contro il concetto di persona la capacità di assumere” (III Sent., d. 5, q. 2, a. 1, ad 2). A motivo della incomunicabilità la persona si distingue nettamente sia dall’essenza sia dal­la natura . Infatti, “il concetto di persona comporta che si tratti di qualcosa di distinto, sussistente e comprendente tutto ciò che c’è nella cosa; invece il concetto di natura ab­braccia solo gli elementi essenziali” (III Sent., d. 5, q. 1, a. 3).

 

  Perciò non l’astratta ragione o la natura umana in generale, ma la ragione e la natura possedute da un essere in concreto sussisten­te per un actus essendi fa la dignità irriduci­bile delta persona umana, che possiede has car­nes et haec ossa et hanc animam, quae sunt principia individuantia hominem" (I, q. 29, a. 4). Così S. Tommaso può legittimamente conclu­dere affermando che “il modo di esistere che comporta la persona è il più degno di tutti, essendo ciò che esiste per sé (modus existen­di quem importat persona est dignissimus, ut scilicet aliquid per se existens)” (De Pot., q. 9, a. 4).

 

  L’uomo singolo come "individuo." sta ri­spetto alla totalità dell’universo e dell’uma­nità "sicut pars ad totum" (cfr. 11-11, q. 64, a. 2). Nel cosmo l’individuo è un piccolo mo­scerino apparentemente insignificante che può esser spazzato via in qualsiasi istante. Invece come persona gode di una indipen­denza dominatrice. L’uomo come individuo è soggetto agli astri, ma come persona può dominarli. Analogamente, come individuo l’uomo singolo è membro dell’umanità alla quale è finalizzato, ma in quanto persona non è subordinato alla comunità politica, la quale trova invece nella persona la ragione ultima del suo essere: la società si costituisce infatti af­finché l’uomo cresca nella libertà e realizzi pienamente se stesso (cfr. I-II, q. 21, a. 4, ad 3).

 

  E perché sussiste in quanto persona che l’uomo può dispiegare la sua peculiare razionalità fatta di intelletto e volontà. L’autocoscienza e l’autodeterminazione, supremi titoli di grandezza nell’uomo, si radicano e si eserci­tano su questo fondamento: che la persona alla quale appartengono come privilegio incom­parabile, sussiste, esiste cioè in sé e per sé. Ma questa sussistenza e chiusura ontologica non isola la persona e non la blocca in se stessa. Grazie alla razionalità essa dispone di una grandissima apertura, che spazia verso l’infi­nito e gode di un’enorme capacità di comu­nicazione con gli altri. Così proprio l’inalie­nabilità del "sussistere" consente all’uomo in quanto persona di realizzarsi nell’intersoggetti­vita e nell’intercomunione.

 

  Come s’è già osservato in precedenza, per S. Tommaso, persona è un concetto analogico: "non univoce nec aequivoce sed secundum analo­giam" (I Sent., d. 25, q. 1, a. 2, sol.; cfr. I, q. 29, a. 4. ad 4). Esso si applica a Dio e alle creature secondo un senso che non è né per­fettamente identico né totalmente diverso, ma in parte eguale e in parte differente.

 

  Ma in questo caso la non perfetta identi­tà del concetto non è dovuta, come negli al­tri concetti analoghi, semplicemente al fatto che persona si dice anzitutto (pienamente e per­fettamente) di Dio e poi (parzialmente e im­perfettamente) delle creature, perché men­tre Dio è il suo actus essendi e ha quindi una sussistenza assoluta, invece le creature intel­ligenti hanno l’actus essendi e posseggono solo una sussistenza relativa; ma anche per un’altra ragione importante: il modo diverso di conseguire l’individuazione in Dio e nelle creature. Nelle creature l’individuazione ri­guarda la sostanza e quindi la persona si realizza nell’esse ad se; invece nelle persone divine l’individuazione riguarda le relazioni esclusive (della paternità, della filiazione e della spirazione passiva) e quindi si realizza nel­l’esse ad aliud (ossia nella relazione). Tutta­via, come nota S. Tommaso, il modo diverso di con­seguire l’individuazione non distrugge l’uni­tà del concetto di persona e non lo rende equivo­co: esso è ancora usato "ex significatione sua", perché sebbene in origine fosse usato soltanto per gli assoluti (l‘esse ad se), più tardi, “per l’adattabilità del suo significato, il termine persona fu portato a fungere da re­lativo (esse ad)" (I, q. 29, a. 4). Ed è precisa­mente come sussistenti relativi che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo si dicono persone. Infatti "la distinzione in Dio non avvicne se non per le relazioni di origine (distinctio au­tem in divinis non fit nisi per relationes origi­nis). E tali relazioni in Dio non sono come accidenti inerenti al soggetto, ma sono la stessa essenza divina: perciò esse sono sussi­stenti come sussiste l"essenza divina. A quel modo dunque che la deità è Dio, così la pa­ternità divina è Dio Padre, il quale è perso­na divina. Perciò la persona divina significa una relazione come sussistente (persona igitur divina significat relationem at subsisten­tem). E questo equivale a significare la rela­zione come sostanza, vale a dire un’ipostasi sussistente nella natura divina; benché ciò che sussiste nella natura divina non sia altro che la stessa natura divina" (I. q. 29. a. 4).

 

  La definizione di persona in chiave ontologica. così come venne elaborata da Boezio e poi ulteriormente perfezionata da S. Tommaso con la sua dottrina dell’actus essendi, fu una con­quista definitiva, ed è un punto di riferimen­to sicuro per tutti coloro che cercano di com­prendere perché sia giusto affermare che l’essere umano è persona sin dal momento del concepimento. e che quindi la dignità della persona non dipende da qualche convenzione so­ciale o da qualche codice di diritto, ma è una qualità originaria, intangibile e perenne. Chi è persona è persona da sempre e per sempre: perché questo fa parte della sua stessa costituzione ontologica.

 

(Vedi: SOSTANZA, RELAZIONE, INDIVIDUO, UOMO, ANIMA, ANTROPOLOGIA)


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