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Omaggio a Petroselli

 

sapere e ricordare la propria storia è la forza di ogni persona e di ogni popolo. è certezza del proprio futuro. avere nella mente e nel cuore gli uomini migliori non solo è doveroso verso chi ha contribuito a costruire il nostro presente, ma è testimonianza certa della nostra volontà di aspirare sempre al meglio. EC
 
Luigi Petroselli

di Angela Giovagnoli

Appunti per una biografia

 

 

Luigi Petroselli nasce a Viterbo, in via della Quiete, il I marzo 1932  da Giulio ed Eufemia Fratini. Qualche tempo dopo la famiglia si trasferisce nel popolare quartiere medievale di Piano Scarano, in via della Fontana, al n.43. Luigi è il primo di quattro figli ; lo seguiranno  tre sorelle : Velia, Adina e Rita.

Giulio Petroselli, Giulietto per amici e compagni, era un operaio tipografo, proto, iscritto al Partito comunista nel 1926 e poi dal 1944 ; un lavoratore molto scrupoloso tanto che i clienti della tipografia erano soliti chiedere se le loro bozze le avesse controllate Giulio, nel qual caso si sentivano tranquilli. Noto per il suo antifascismo, oltre a subire numerose perquisizioni domiciliari, ogni qualvolta giungeva a Viterbo il duce o qualche alto gerarca, il “pericoloso” Giulio Petroselli veniva prelevato e condotto al carcere di Sallupara. Fu sempre per tutta la vita un attivista del Partito comunista italiano e un instancabile diffusore de l’Unità. A lungo fu responsabile dell’Amministrazione della sua Sezione (sapeva a memoria quanti bollini avesse attaccati alla tessera ognuno dei circa 130 iscritti) e fu più volte componente della Commissione federale di controllo. Evidentemente è Giulio che trasmette al figlio la passione per la politica e gli ideali del socialismo.

 A due anni Luigi recita la sua prima poesia di Natale davanti al grande presepe che ogni anno suo padre allestisce. Inizia la scuola a cinque anni ; frequenta la prima Elementare presso le suore poi le altre classi  nelle scuole Elementari statali. Trascorre il suo tempo libero giocando nei pressi della piazza di Sant’Andrea, accanto alla Chiesa nella quale riveste la funzione di chierichetto. Con la frequentazione della Chiesa e del bravo parroco don Pietro Schiena nasce in Luigi il desiderio di andare in Seminario ; durante la frequenza della V Elementare rivela questa sua aspirazione e,  addirittura, la pone come condizione per sostenere l’esame di stato di ammissione alla I Media. I genitori tentano inutilmente di dissuaderlo poi si piegano alla sua volontà. Non fu perciò, come qualche volta è stato riportato, che andò in Seminario perché gli scarsi mezzi economici della famiglia non gli avrebbero consentito di compiere gli studi superiori. Al contrario, come ricordano la madre e le sorelle, la scelta del Seminario era più onerosa di quella della scuola pubblica, dal momento che occorreva il corredo e il pagamento di una retta mensile. Tanto è vero che ai genitori che raccontavano al parroco della richiesta di Luigi e dei problemi che poneva, pare che don Pietro abbia risposto :”Accontentatelo. Vuol dire che la prima rata della retta la pagherò io”. 

Luigino, come lo chiamavano i più intimi, uscito dalla Scuola Elementare con la media del dieci,  rimane in Seminario fino al compimento del V Ginnasio. Nel luglio del ’44 dopo il bombardamento della città che distrusse la chiesa di Sant’Andrea e numerose case vicine alla sua, la sua famiglia fu sfollata per un po’ di tempo :  la madre andò a prendere Luigino al seminario, in piazza del Duomo, e a piedi andarono a Vitorchiano, a casa della zia Palmira, sorella di Giulio.

Luigi frequenta dapprima il seminario diocesano di piazza del Duomo poi quello della Madonna della Quercia.   Durante i periodi di rientro a casa, per le vacanze, spesso invita la sorella Adina a radunare le amiche e racconta loro  storie avvincenti e paurose, frutto della sua fantasia. Verso la fine del V Ginnasio, prima dell’estate, parla alla madre della sua crisi vocazionale e dell’intenzione di lasciare il Seminario. In una di quelle domeniche di visita dei genitori al seminario, la madre constatando che l’abito di Luigino era tutto rovinato disse che bisognava acquistarne uno nuovo, e Luigino pronto intervenne :”No,no. Questo è l’ultimo. Tanto in seminario non ci torno più”. I suoi professori tentano inutilmente di convincerlo a restare e così pure i genitori che oramai si sono abituati all’idea del figlio sacerdote. Ma anche questa volta Luigino è irremovibile.

E’ negli anni della prima adolescenza, nel periodo seminariale, che inizia a manifestarsi il suo interesse per la politica ; durante le vacanze che trascorre a casa, soprattutto d’estate, si immerge nella lettura de l’Unità e di Rinascita che suo padre conserva ordinatamente - “Gliela facevo trovare sul comodino”, raccontava Giulietto ai compagni - . Alcuni compagni lo ricordano vestito da seminarista che leggeva Rinascita seduto sui gradini di una casa.

Lasciato il Seminario frequenta il Liceo Classico statale e s’iscrive poi alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso l’Università di Roma. Rimarrà sempre rispettoso nei confronti della Chiesa e delle gerarchie ecclesiastiche.

Gli anni del Liceo sono gli anni della maturazione della scelta e dell’impegno politico come parte rilevante della sua vita. Inizia a diffondere l’Unità, si iscrive alla Federazione Giovanile Comunista Italiana, è protagonista tra i compagni di scuola di animati dibattiti politici, soprattutto nel periodo dell’aspro confronto per le elezioni politiche del 18 aprile 1948.

Nel 1950, a diciotto anni, si iscrive al PCI, inizia a lavorare in Federazione e dopo appena un anno lo troviamo attivista provinciale del partito, alla testa delle lotte contadine per l’assegnazione delle terre incolte e mal coltivate. E’ nel corso di una di queste lotte, l’occupazione della tenuta “Colonna” di Bomarzo, svoltasi dal 30 settembre al 2 ottobre 1951, che “l’agitatore Petroselli Luigi, esponente del Comitato provinciale della Terra di Viterbo”(1) viene arrestato, il 30 settembre, e trattenuto in prigione per quaranta giorni. Sarà condannato a 10 mesi di prigione e £ 10.000 di multa “per avere pubblicamente, cioè in una numerosa riunione di persone tenuta nella sede unica del P.C.I. e P.S.I., di cui non solo le finestre ma anche la porta esterna erano state lasciate aperte, istigato i cittadini di Bomarzo nelle ore serali del 29 settembre 1951, a compiere il delitto di invasione di terre poste nell’agro del comune di Bomarzo”.(2)  Molto probabilmente quella lotta e  l’esperienza del carcere  contribuiscono alla maturazione  della scelta di Luigi di divenire “rivoluzionario di professione”, di dedicare la sua vita al servizio dell’affermazione della dignità e dei diritti dei lavoratori e dei più poveri. Le lotte per migliorare le condizioni di vita dei braccianti, dei coloni e dei mezzadri costituiranno sempre un impegno molto sentito e partecipato dell’attività politica di Luigi.

Studente e funzionario del partito dal 1951 (3), nel 1952 entra nel Comitato Federale. 

All’inizio degli anni ’50, insieme alle specifiche responsabilità di direzione politica, inizia  la sua attività di corrispondente de l’Unità.

Tra il luglio del 1953 e il gennaio del 1954 partecipa ad un corso di studi presso la scuola centrale del PCI “Anselmo Marabini” di Bologna distinguendosi con due lavori : un ottimo saggio su “Stato e rivoluzione” di Lenin, uno dei migliori del corso, che sarà elogiato e citato da Mario Spinella sul n. 4 di Rinascita del 1954, e la tesi su “il Partito come moderno principe in Gramsci - spunti e considerazioni”. Colpisce in questi scritti la padronanza della materia, l’agilità della speculazione teorica e la maturità politica. Scrive, tra l’altro : “ ...il dirigente comunista non si forma la sua personalità politica  una volta per sempre, ma arricchendola ogni giorno di nuove esperienze, di nuovi contenuti. Quel che importa è che non rimanga schiavo della “pratica” o prigioniero degli schemi”. 

In una lettera del Gennaio 1954, indirizzata all’amico e compagno Angelo La Bella, definisce il 1953 un anno “ricco” : “E’ l’anno del 7 Giugno [elezioni politiche in cui non scattò la “legge truffa”], è l’anno della Scuola, è l’anno del mio “volo della morte” [alludendo ad un grave incidente occorsogli con la motocicletta]....”.

All’inizio del 1954 lo troviamo nella Segreteria della Federazione e responsabile della Stampa e propaganda. Dopo il Congresso provinciale del 24-25/4/1954 assume la responsabilità dell’Organizzazione  che manterrà fino alla partenza per il servizio militare. Quando non è impegnato in riunioni trascorre intere serate a discutere sotto casa con i suoi più cari amici e compagni, Romano Scriboni ed Ennio Canettieri. E’ un giovane timido ma molto determinato e fermo nella difesa delle sue posizioni e nelle decisioni.

In una nota del 1° settembre 1955 alla Segreteria nazionale(4), redatta nel corso di una delle numerose ispezioni condotte da inviati della Direzione, si legge : “....per il tesseramento e per il reclutamento Petroselli ha fatto un buon lavoro a Tarquinia”.

Fra il 25 novembre 1955 e il 2 aprile 1957 compie il servizio militare (prima in Sardegna poi a Civitavecchia). Per il fatto di essere un dirigente comunista subirà non poche angherie e soprusi, come essere obbligato a scavare buche e poi ricoprirle. “...servizio militare, periodo durante il quale del resto la mia “condizione” di dirigente comunista mi venne continuamente ricordata dalle affettuose “attenzioni” di cui fui sempre oggetto da parte delle Autorità militari”(5), scriverà poi. Un suo carissimo amico, tuttavia, afferma che alla fine si conquistò stima e rispetto.

Arriviamo così all’anno 1956 e ai “fatti d’Ungheria” : la repressione armata da parte dell’esercito sovietico dei movimenti degli operai e dei lavoratori ungheresi e la posizione del PCI che approva l’operato dell’ Urss. Luigi non è d’accordo, scrive addirittura una lettera di dimissioni dal partito e chiede al padre di portarla in Federazione, ma il padre non lo farà. E’ un momento di crisi profonda, di sofferenza per Luigi, ed anche per suo padre che non lo capisce ed è convinto della giustezza dell’operato dell’URSS. La notizia di questa sua crisi politica, forse sussurrata nel partito, è vivamente ricordata dai familiari, dagli allora dirigenti della Federazione del PCI e dagli amici. Cesare Fredduzzi (allora componente della segreteria della Federazione, inviato da Roma) affermerà in seguito: “Dopo essersi dichiarato d’accordo con le decisioni del XX Congresso [del PCUS] entrò in crisi nell’ottobre del ’56 coi fatti d’Ungheria ma non abbandonò mai il partito” (6). Assuero Ginebri (anch’egli della segreteria) ricorda che quell’anno rinnovò la tessera in ritardo (anziché a novembre la prese a gennaio). Il suo dissenso, anche se non pubblicizzato, gli peserà a lungo nel lavoro politico. Non è riproposto nel Comitato Federale eletto al congresso provinciale il 2/12/1956. Luigi avverte che il clima nei suoi confronti è mutato e il 20 gennaio 1957 invia una lettera al Comitato Direttivo della Federazione che rimarrà senza risposta. Nel febbraio ha un colloquio con Fredduzzi e Ginebri che sembra rasserenarlo. Scrive infatti in alcuni appunti : “Ritrovo in me stesso evocata quella ”febbre” che sempre mi ha dato la lotta politica nelle file del Partito. Ne sono commosso......”. (7). Evidentemente la sua divergenza sui fatti di Ungheria era stata per lui un episodio che, per quanto doloroso, non aveva intaccato le ragioni fondamentali della sua scelta di vita e l’appartenenza al PCI.

 Quando, in seguito, nella primavera del 1957, terminato il servizio militare, si presenta in Federazione per riprendere il suo lavoro, i dirigenti frappongono dilazioni e scuse varie alla sua ripresa dell’attività e gli sottopongono proposte non coerenti con le precedenti responsabilità dirigenziali. Trascorso un po’ di tempo Luigi invia una lunghissima lettera agli organismi dirigenti e di controllo di Viterbo e alla Segreteria nazionale  del PCI, datata 22 agosto 1957, nella quale con modestia e, insieme, con piena consapevolezza della funzione dirigente esercitata,  con estrema sincerità e con una argomentazione stringente chiede che il partito di Viterbo sia messo al corrente della sua vicenda e chiede di sapere per  quali motivi è stato estromesso da tutti gli organismi dirigenti (8). Nessun riferimento, se non un accenno ad “una differente valutazione politica”, in merito al suo dissenso.(9)  Lo stato d’animo di Luigi si coglie perfettamente nella poesia “Autunno”, scritta in quei giorni, datata 1°/9/1957, dedicata al suo amico Ennio, che inizia : “Mai un autunno come questo amaro  /   già conoscemmo  /   di sparse foglie  /  che il vento raduna e trascolora ...” (10).

  In quel periodo  Segretario della Federazione è Enrico Minio. I dirigenti della Federazione dal canto loro non vogliono perdere un “quadro” come Luigi. Così a Luigi, dopo una prima ipotesi di andare a dirigere la Federbraccianti, che lasciò cadere - per il modo in cui era stata proposta e per la debolezza delle motivazioni politiche - (11)fu proposto di andare a lavorare alla organizzazione degli artigiani, che si stava costituendo ; un incarico diverso da quello, a lui più congeniale, di dirigente politico del partito, ma in quel periodo lo scambio di quadri tra partito e organizzazioni sindacali era frequente. Luigi accetta e vi lavora per alcuni anni contribuendo così alla costruzione dell’Unione provinciale degli artigiani di Viterbo, aderente alla Confederazione nazionale dell’artigianato.

Nello stesso tempo, dal 1957, svolge il compito di corrispondente da Viterbo de “Il Paese”

E’ del marzo 1959 una nota alla Segreteria nazionale del PCI con la quale si comunica che a Luigi Petroselli è stato affidato il compito di costruttore della zona della Maremma, incarico che segna il suo ritorno al lavoro politico in Federazione(12). Riprende l’impegno di corrispondente de l’Unità per incarico della quale svolge dei servizi giornalisti nel Lazio.

Per la sua attività giornalistica subirà due processi (13).

Al VII Congresso provinciale del PCI svoltosi nei giorni 19 e 20 dicembre 1959, Petroselli svolge un intervento sulla possibilità di un’azione in direzione dei cattolici – viste anche le contraddizioni della maggioranza andreottiana e la crisi del blocco agrario – per la conquista dell’Ente Regione. E’ quindi eletto nel Comitato Federale e rientrerà poi in Segreteria.

Con nota del marzo 1961, (14) sempre da parte della Federazione, si comunica che Petroselli, membro della Segreteria e responsabile della Commissione Agraria e della Commissione Culturale, è stato eletto nel Comitato direttivo della Federazione.

Nello stesso periodo entra a far parte del Comitato Regionale del PCI.

In poco tempo Luigi riconquista e rafforza il suo ruolo di dirigente comunista  provinciale. L’esperienza nell’associazionismo, il buon lavoro svolto in Maremma, l’attività culturale, l’elezione al Consiglio comunale di Viterbo ne fanno, non ancora trentenne, un prestigioso esponente del PCI viterbese. Con lui, finalmente, si determinano le condizioni per una guida viterbese della Federazione.

All’inizio del 1962 viene proposto ed eletto Segretario della Federazione comunista viterbese. “E’ un compagno che ha ottime qualità politiche e di organizzazione, è preparato e intelligente. E’ molto stimato negli ambienti intellettuali del viterbese” (15). 

Il 17 novembre del 1962 svolge la sua relazione  all’VIII congresso della Federazione  e l’inviato della Direzione nazionale nelle sue note riferirà che :” L’assemblea congressuale ha sottolineato più volte l’apprezzamento e l’unità intorno all’attuale gruppo dirigente e verso il compagno Petroselli in particolare” (16). Si raccolgono i frutti dell’ottimo lavoro svolto da Cesare Fredduzzi che ha consentito lo sviluppo e l’affermazione di un nuovo gruppo dirigente..

Con Petroselli alla guida della Federazione termina la fase dei segretari inviati dalla Direzione nazionale (ben quattro segretari, tre dei quali non viterbesi, si avvicendarono dal ’54 al ’58), si stabilizza e si rafforza il gruppo dirigente provinciale. Da segretario si troverà ad affrontare i problemi acuti e le contraddizioni di un territorio, dove ancora è prevalente il settore agricolo, che riceve tutti i contraccolpi negativi del “miracolo economico”, come illustra nitidamente nella sua relazione al Congresso sopra citato.

Nel partito dovrà vedersela anche con i famosi “ducati” di Acquapendente, Tuscania e Civita Castellana denunciati da Adamo Zanelli, vecchio partigiano di Forlì, inviato a Viterbo come reggente della Federazione nel ’55.(17)

Ai suoi molteplici impegni di direzione politica si affianca anche l’esperienza pubblica, istituzionale, con l’elezione a consigliere comunale nella città di Viterbo, dal 1960 al 1979, e al Consiglio provinciale dal 1965 al 1970.

Memorabile la lunga battaglia politica intorno al Piano regolatore generale di Viterbo che ebbe una forte eco nella città e sulla stampa - si arrivò ad una sfida tra l’Unità e Il Messaggero -  quando per la prima volta si cominciò a discutere intorno a nuovi concetti di sviluppo urbanistico e di salvaguardia del patrimonio storico e  naturale. Indimenticabile anche il suo intervento sulla gestione del servizio idrico della città (che lasciava molto a desiderare) per la padronanza della materia e l’appassionata difesa dei diritti dei cittadini più deboli. Della sua attività di consigliere provinciale si ricordano la lucidità , la determinazione e la lungimiranza delle sue battaglie per le autonomie locali, per la creazione della Regione, per la programmazione dello sviluppo economico del territorio provinciale.

Luigi non trascorre tutto il tempo chiuso nel suo ufficio della Federazione ; gli piace girare per la città, vedere, ascoltare, capire i problemi. Va ad incontrare i lavoratori, magari nelle osterie, ma passa spesso anche per il Corso e prende un caffè nell’antico Caffè Schenardi (una volta salotto della città ed ora fast-food), e parla con tutti, amici ed avversari.

Durante la sua direzione della Federazione si affermano nuovi quadri politici e si realizza un rinnovamento degli organismi dirigenti e delle rappresentanze istituzionali che danno più slancio all’iniziativa e alla presenza del PCI nella provincia. Segue da vicino le attività delle Sezioni e delle Amministrazioni locali. Coloro che lo hanno visto all’opera come dirigente e segretario della Federazione ne ricordano l’intelligenza non comune, il rigore morale, l’onestà intellettuale, la capacità di ascolto, la sua avversione nei confronti del settarismo e la sua affascinante oratoria. Il suo agire politico si muove nel solco del “partito nuovo” di Togliatti, della “via italiana al socialismo” e di quella linea di costruzione delle alleanze sociali e politiche definite  nelle tesi programmatiche dell’VIII Congresso del Pci. Nelle tornate elettorali lavora per la formazione di liste unitarie di sinistra, aperte alle forze democratiche indipendenti.

Intanto vi sono novità anche nella sua vita privata, sempre protetta dalla sua estrema riservatezza e dal suo pudore.

Nel 1963 conosce Aurelia Sergi, siciliana, insegnante di matematica e scienze, che conquisterà anche grazie ai bellissimi versi che le dedica, rivelando un animo romantico e una acuta sensibilità. Si sposeranno in Campidoglio il 5 febbraio 1966 e celebrerà le nozze Enzo Modica. Fresche, delicate, tenerissime sono le lettere che scrive ad Aurelia. In una di queste, dell’11 luglio 1965, scrive : “Aurelia amore, sono ancora prigioniero della emozione profonda che mi ha procurato la tua lettera che ho ricevuto ieri. Una emozione forte, credimi, da stimolare lacrime di gioia perché non era una “lettera” ma un’ondata di tenerezza che tu hai riversato su quei fogli e che mi ha investito in piena ! ...

Il “comunista autentico e tenace” dalla “personalità “grintosa”, come quella di certi personaggi interpretati da Marlon Brando e, tuttavia, di una sensibilità squisita, complicata e introversa”, “dal carattere forte e talvolta duro”, dalle ”invidiabili qualità unite alla lealtà, alla correttezza, alla profondità del rapporto umano”(18), nella vita privata è un uomo affettuosissimo con i familiari, anche se di poche parole - ”con un abbraccio ci dicevamo tutto”, ricorda la sorella Velia - pieno di attenzioni e gesti affettuosi verso i nipoti per i quali scrive poesie e filastrocche. Scrive versi molto belli, soprattutto negli anni dell’adolescenza e della gioventù, e continuerà a scriverne ogni tanto su qualsiasi pezzo di carta gli capiti. Ama la poesia - tra i suoi poeti preferiti è Alfonso Gatto -, la letteratura ma anche la musica, in particolare quella francese, il cinema e il teatro.  E’ curioso di tutto, legge anche di sport e scherza spesso con suo padre “laziale”.

Luigi non è mai stato un “provinciale” ; la sua era una politica radicata nella realtà ma di ampio respiro culturale e ideale ; allungava le sue dense giornate, magari con troppe sigarette e troppi caffè, per leggere, studiare, aggiornarsi su tutti gli aspetti della vita.

Mentre è segretario della Federazione è già “utilizzato” dal partito per iniziative in altre regioni. In una lettera alla fidanzata Aurelia, datata 18 luglio 1965, la informa che forse andrà a Brindisi “a presiedere un corso di due giorni sui problemi dell’unità del movimento operaio e socialista e a tenere una conferenza sulle origini del marxismo”.

Nel 1966, allo XI Congresso nazionale, è eletto nel Comitato centrale del PCI.

Per le elezioni politiche del 1968, in un Comitato federale svoltosi con la presenza di Enrico Berlinguer e di Alessandro Natta, riesce a gestire un delicatissimo passaggio  nella rappresentanza istituzionale che riguarda il cambiamento di funzioni di prestigiosi dirigenti comunisti  e   la presentazione di un candidato “indipendente di sinistra”.

Nell’agosto ’68, non appena diffusa la notizia dell’ingresso dei carri armati del patto di Varsavia a Praga, non aspetta un attimo, convoca subito gli organismi dirigenti per esprimere una ferma condanna, prima della presa di posizione ufficiale del Pci. E sarà anche, purtroppo,  un’altra occasione di scontro politico con il padre.

Rimane Segretario della Federazione fino al febbraio del 1969 quando sarà chiamato a Roma a dirigere il Comitato regionale del Lazio al posto di Enrico Berlinguer, eletto vice - Segretario al XII Congresso. Molto probabilmente la proposta di chiamarlo a Roma è dello stesso Enrico Berlinguer che scriverà dopo la morte di Petroselli :” Mi colpì profondamente fin da quando lo vidi al lavoro come dirigente della Federazione comunista viterbese".

Nel 1972, al XIII Congresso del PCI è riconfermato nel Comitato Centrale ed eletto nella Direzione nazionale alla quale partecipa con assiduità ed alla quale non manca quasi mai di apportare il suo contributo. Nei successivi Congressi nazionali sarà riconfermato nel Comitato centrale e rieletto nella Direzione.

In anni precedenti era stato chiamato a lavorare come giornalista a l’Unità ma il partito di Viterbo non lo aveva lasciato andare.

A Roma,  dopo un anno circa di direzione del Comitato regionale, il 13 gennaio 1970 è eletto Segretario della Federazione comunista romana. E nel 1971 è eletto al Consiglio Comunale di Roma. Tornerà a dirigere il Comitato Regionale tra il 1976 e il 1979.

Ha inizio la stagione in cui Petroselli svolgerà pienamente una funzione di dirigente politico nazionale.

Guida il partito di Roma, innovando profondamente nei metodi di direzione, negli anni della politica di grande respiro democratico e unitario di Berlinguer, costruendo un progetto  per il governo democratico della metropoli, coinvolgendo i lavoratori, i ceti medi, gli intellettuali per un profondo cambiamento nella organizzazione sociale e civile  della città.

Dopo la splendida vittoria di civiltà nel referendum sul divorzio, ci sarà la forte avanzata nelle elezioni regionali del 1975 e l’anno dopo l’eccezionale risultato delle elezioni politiche con il PCI al 34,6% dei voti e la conquista alle sinistre di Roma, della Capitale d’Italia.

Nel 1976 Petroselli è capolista per il PCI al Comune di Roma e supera in preferenze l’on. Andreotti. Si costituisce la Giunta di sinistra con alla guida Giulio Carlo Argan .

Dopo le dimissioni di Argan, il 27 settembre 1979 Petroselli è eletto Sindaco di Roma. Dopo le elezioni del 1981, nelle quali raccoglie 130.000 voti di preferenza, è rieletto Sindaco il 17 settembre. E’ un altro suo piccolo grande capolavoro politico, frutto dell’infaticabile opera di tessitura delle alleanze che lo aveva sempre contraddistinto, quello di aver ricostituito una maggioranza di sinistra nella Capitale, nonostante la rottura della “solidarietà nazionale” e il cambio di maggioranza alla Regione Lazio operato dai socialisti.

La sua salute non è buona ; nel ’72 era stato colpito da una trombosi che lo aveva lasciato leggermente claudicante ; soffre di disturbi cardiaci ma la cura di sé è l’ultimo dei suoi pensieri.

Sono anni di intenso lavoro politico nei quali Petroselli, “Giggi”e “Giggetto”,  per i compagni più intimi, si conquista la stima e la simpatia dei comunisti e del popolo romano, per le sue doti politiche ed umane  che lo porteranno a divenire una delle personalità pubbliche  più amate e rimpiante : il Sindaco di Roma. Forse in questa sua veste politica e istituzionale, che gli ha dato il maggiore prestigio e una grande visibilità, Luigi Petroselli è riuscito, mettendoci tutte le sue forze, il cuore e la mente, a dare il meglio di sé, mettendo a frutto tutta la sua lunga vicenda politica fatta di studio, di fatica, di tante privazioni, a contatto sempre con i lavoratori, braccianti e mezzadri, operai e piccoli artigiani e commercianti, sempre con la stessa passione e determinazione, la stessa febbre politica che lo spinse adolescente a scegliere una vita di lotta nel PCI. Non si risparmia.  

La sua breve e intensa esistenza si spezzerà all’improvviso al termine di un appassionato e lucido intervento al Comitato Centrale del PCI, il 7 ottobre 1981.

La costernazione, il dolore per l’improvvisa, crudele morte, il rimpianto per la perdita di un uomo eccezionale, varcano i confini nazionali. La partecipazione straordinaria di popolo alle esequie viene paragonata a quella dei funerali di Togliatti.

Il nome di Luigi Petroselli è indissolubilmente legato ad una irripetibile, intensa e feconda stagione della storia politica e amministrativa della Capitale d’Italia. Dal risanamento delle borgate ai parchi archeologici, dalla metropolitana ai servizi sociali per gli anziani,  per i bambini, per i disabili - la Giunta Petroselli fu una delle prime a realizzare corsi di ippoterapia-.

Al sincero dolore del popolo di Roma, che non l’ha mai dimenticato, si unì l’altrettanto sincero cordoglio degli avversari, anche di quelli che all’inizio lo definirono un ”burocrate” ma ben presto si resero conto del suo valore, di quel profondo cambiamento che aveva impresso alla città e che permise di conseguire risultati straordinari in soli due anni..

 Luigi Petroselli morì sul lavoro e di lavoro. Come scrisse subito dopo la sua morte Gian Carlo Pajetta (19) :”E’ morto come Togliatti a Yalta, come Di Vittorio a Lecco, è morto sul lavoro, come si dice di un edile o di un minatore. Come altri compagni di prima o di dopo, che non hanno risparmiato nulla di sé, proprio perché in questo partito, in mezzo alla gente, inseguendo quasi l’ossessione di poter fare ancora qualche cosa è sembrato loro di poter essere pienamente se stessi”.


 NOTE

1)Archivio di Stato di Viterbo (d’ora in poi ASV),Relazioni mensili della Prefettura al Ministero dell’Interno 1951-genn.1956

2)ASV, dalla sentenza del Tribunale di Viterbo n. 299 del 2/12/1952

3)1951 o 1952. Le note e i prospetti sugli organismi dirigenti e sull’apparato, conservati nell’Archivio del                     Partito Comunista Italiano, non sono concordi

4)Fondazione Istituto Gramsci ,Archivi, Archivio del Partito Comunista Italiano (d’ora in poi APC) MF 0430 pag. 1258

5)APC , MF 0450 pag. 2136

6) In “Alcune note biografiche e considerazioni sul compagno Luigi Petroselli della Federazione di Viterbo” redatte da Fredduzzi e datate 27/12/1961, inviate al Comitato regionale e alla Segreteria nazionale, insieme alla proposta di eleggere Petroselli Segretario della Federazione. APC, MF026 pag. 627.

7)APC, MF 0450 pp 2134 -2144

8)Ibidem

9)Non è possibile, sulla base della documentazione disponibile, stabilire se è questa la lettera inviata al “centro

   del Partito” di cui riferiscono alcuni amici.

10) Cfr. Appendice.

11)Nella lettera già citata.

12)APC,  MF 0482 pag. 2605

13)APC, MF026 pag. 630.

14)APC, MF 0463 pag. 0370, nota di Cesare Fredduzzi

15)APC, MF 026 pag. 627.

16)APC, MF 0500 pag. 1589, nota di Mario Berti

17)APC, MF 0446 pag. 1031 - Adamo Zanelli scrive : “........Anche oggi, pure nel campo specifico del Partito, nella provincia vi sono i “ducati”, esempio : vi è quello di Civita Castellana con a capo il comp. Sen. Enrico Minio, quello di Tuscania con il comp. Avvocato Salvatori Nicola, quello di Acquapendente con il comp. Vitali. Ognuno di questi opera per conto proprio e lavora per realizzare il “socialismo” nel proprio ambiente, senza vedere e senza interessarsi a quello che avviene nei paesi vicini, in Italia e nel mondo”. 

18) Definizioni, in ordine, di : Teodoro Cutolo, Gamaliele Bonavia, Santo Di Gregorio, Ugo Lentini, in “Quaderni Viterbesi”, anno II – n. 29, 24 ottobre 1981.

19)“l’Unità”, 8 ottobre 1981