Luigi Petroselli nasce
a Viterbo, in via della Quiete, il I marzo 1932 da
Giulio ed Eufemia Fratini. Qualche tempo dopo la
famiglia si trasferisce nel popolare quartiere
medievale di Piano Scarano, in via della Fontana, al n.43.
Luigi è il primo di quattro figli ; lo seguiranno tre
sorelle : Velia, Adina e Rita.
Giulio
Petroselli, Giulietto per amici e compagni, era un
operaio tipografo, proto, iscritto al Partito
comunista nel 1926 e poi dal 1944 ; un lavoratore
molto scrupoloso tanto che i clienti della tipografia
erano soliti chiedere se le loro bozze le avesse
controllate Giulio, nel qual
caso si sentivano tranquilli. Noto per il suo
antifascismo, oltre a subire numerose perquisizioni
domiciliari, ogni qualvolta giungeva a Viterbo il duce
o qualche alto gerarca, il “pericoloso” Giulio
Petroselli veniva prelevato e condotto al carcere di
Sallupara. Fu sempre per tutta
la vita un attivista del Partito comunista italiano e
un instancabile diffusore de l’Unità. A lungo fu
responsabile dell’Amministrazione della sua Sezione
(sapeva a memoria quanti bollini avesse attaccati alla
tessera ognuno dei circa 130 iscritti) e fu più volte
componente della Commissione federale di controllo.
Evidentemente è Giulio che trasmette al figlio la
passione per la politica e gli ideali del socialismo.
A due anni Luigi
recita la sua prima poesia di Natale davanti al grande
presepe che ogni anno suo padre allestisce. Inizia la
scuola a cinque anni ; frequenta la prima Elementare
presso le suore poi le altre classi nelle scuole
Elementari statali. Trascorre il suo tempo libero
giocando nei pressi della piazza di Sant’Andrea,
accanto alla Chiesa nella quale riveste la funzione di
chierichetto. Con la frequentazione della Chiesa e del
bravo parroco don Pietro Schiena nasce in Luigi il
desiderio di andare in Seminario ; durante la
frequenza della V Elementare rivela questa sua
aspirazione e, addirittura, la pone come condizione
per sostenere l’esame di stato di ammissione alla I
Media. I genitori tentano inutilmente di dissuaderlo
poi si piegano alla sua volontà. Non fu perciò, come
qualche volta è stato riportato, che andò in Seminario
perché gli scarsi mezzi economici della famiglia non
gli avrebbero consentito di compiere gli studi
superiori. Al contrario, come ricordano la madre e le
sorelle, la scelta del Seminario era più onerosa di
quella della scuola pubblica, dal momento che
occorreva il corredo e il pagamento di una retta
mensile. Tanto è vero che ai genitori che raccontavano
al parroco della richiesta di Luigi e dei problemi che
poneva, pare che don Pietro abbia
risposto :”Accontentatelo. Vuol dire che la prima rata
della retta la pagherò io”.
Luigino, come lo
chiamavano i più intimi, uscito dalla Scuola
Elementare con la media del dieci, rimane in
Seminario fino al compimento del V Ginnasio. Nel
luglio del ’44 dopo il bombardamento della città che
distrusse la chiesa di Sant’Andrea e numerose case
vicine alla sua, la sua famiglia fu sfollata per un
po’ di tempo : la madre andò a prendere Luigino al
seminario, in piazza del Duomo, e a piedi andarono a
Vitorchiano, a casa della zia Palmira, sorella di
Giulio.
Luigi frequenta
dapprima il seminario diocesano di piazza del Duomo
poi quello della Madonna della Quercia. Durante i
periodi di rientro a casa, per le vacanze, spesso
invita la sorella Adina a radunare le amiche e
racconta loro storie avvincenti e paurose, frutto
della sua fantasia. Verso la fine del V Ginnasio,
prima dell’estate, parla alla madre della sua crisi
vocazionale e dell’intenzione di lasciare il
Seminario. In una di quelle domeniche di visita dei
genitori al seminario, la madre constatando che
l’abito di Luigino era tutto rovinato disse che
bisognava acquistarne uno nuovo, e Luigino pronto
intervenne :”No,no. Questo è l’ultimo. Tanto in
seminario non ci torno più”. I suoi professori tentano
inutilmente di convincerlo a restare e così pure i
genitori che oramai si sono abituati all’idea del
figlio sacerdote. Ma anche questa volta Luigino è
irremovibile.
E’ negli anni della
prima adolescenza, nel periodo seminariale, che inizia
a manifestarsi il suo interesse per la politica ;
durante le vacanze che trascorre a casa, soprattutto
d’estate, si immerge nella lettura de l’Unità e
di Rinascita che suo padre conserva
ordinatamente - “Gliela facevo trovare sul comodino”,
raccontava Giulietto ai compagni - . Alcuni compagni
lo ricordano vestito da seminarista che leggeva
Rinascita seduto sui gradini di una casa.
Lasciato il Seminario
frequenta il Liceo Classico statale e s’iscrive poi
alla Facoltà di Lettere e Filosofia presso
l’Università di Roma. Rimarrà sempre rispettoso nei
confronti della Chiesa e delle gerarchie
ecclesiastiche.
Gli anni del Liceo
sono gli anni della maturazione della scelta e
dell’impegno politico come parte rilevante della sua
vita. Inizia a diffondere l’Unità, si iscrive
alla Federazione Giovanile Comunista Italiana, è
protagonista tra i compagni di scuola di animati
dibattiti politici, soprattutto nel periodo dell’aspro
confronto per le elezioni politiche del 18 aprile
1948.
Nel 1950, a diciotto
anni, si iscrive al PCI, inizia a lavorare in
Federazione e dopo appena un anno lo troviamo
attivista provinciale del partito, alla testa delle
lotte contadine per l’assegnazione delle terre incolte
e mal coltivate. E’ nel corso di una di queste lotte,
l’occupazione della tenuta “Colonna” di Bomarzo,
svoltasi dal 30 settembre al 2 ottobre 1951, che
“l’agitatore Petroselli Luigi, esponente del Comitato
provinciale della Terra di Viterbo”(1) viene
arrestato, il 30 settembre, e trattenuto in prigione
per quaranta giorni. Sarà condannato a 10 mesi di
prigione e £ 10.000 di multa “per avere pubblicamente,
cioè in una numerosa riunione di persone tenuta nella
sede unica del P.C.I. e P.S.I., di cui non solo le
finestre ma anche la porta esterna erano state
lasciate aperte, istigato i cittadini di Bomarzo nelle
ore serali del 29 settembre 1951, a compiere il
delitto di invasione di terre poste nell’agro del
comune di Bomarzo”.(2) Molto probabilmente quella
lotta e l’esperienza del carcere contribuiscono alla
maturazione della scelta di Luigi di divenire
“rivoluzionario di professione”, di dedicare la sua
vita al servizio dell’affermazione della dignità e dei
diritti dei lavoratori e dei più poveri. Le lotte per
migliorare le condizioni di vita dei braccianti, dei
coloni e dei mezzadri costituiranno sempre un impegno
molto sentito e partecipato dell’attività politica di
Luigi.
Studente e funzionario
del partito dal 1951 (3), nel 1952 entra nel Comitato
Federale.
All’inizio degli anni
’50, insieme alle specifiche responsabilità di
direzione politica, inizia la sua attività di
corrispondente de l’Unità.
Tra il luglio del 1953
e il gennaio del 1954 partecipa ad un corso di studi
presso la scuola centrale del PCI “Anselmo Marabini”
di Bologna distinguendosi con due lavori : un ottimo
saggio su “Stato e rivoluzione” di Lenin, uno dei
migliori del corso, che sarà elogiato e citato da
Mario Spinella sul n. 4 di Rinascita del 1954,
e la tesi su “il Partito come moderno principe in
Gramsci - spunti e considerazioni”. Colpisce in questi
scritti la padronanza della materia, l’agilità della
speculazione teorica e la maturità politica. Scrive,
tra l’altro : “ ...il dirigente comunista non si forma
la sua personalità politica una volta per sempre, ma
arricchendola ogni giorno di nuove esperienze, di
nuovi contenuti. Quel che importa è che non rimanga
schiavo della “pratica” o prigioniero degli schemi”.
In una lettera del
Gennaio 1954, indirizzata all’amico e compagno Angelo
La Bella, definisce il 1953 un anno “ricco” : “E’
l’anno del 7 Giugno [elezioni politiche in cui non
scattò la “legge truffa”], è l’anno della Scuola, è
l’anno del mio “volo della morte” [alludendo ad un
grave incidente occorsogli con la motocicletta]....”.
All’inizio del 1954 lo
troviamo nella Segreteria della Federazione e
responsabile della Stampa e propaganda. Dopo il
Congresso provinciale del 24-25/4/1954 assume la
responsabilità dell’Organizzazione che manterrà fino
alla partenza per il servizio militare. Quando non è
impegnato in riunioni trascorre intere serate a
discutere sotto casa con i suoi più cari amici e
compagni, Romano Scriboni ed Ennio Canettieri. E’ un
giovane timido ma molto determinato e fermo nella
difesa delle sue posizioni e nelle decisioni.
In una nota del 1°
settembre 1955 alla Segreteria nazionale(4), redatta
nel corso di una delle numerose ispezioni condotte da
inviati della Direzione, si legge : “....per il
tesseramento e per il reclutamento Petroselli ha fatto
un buon lavoro a Tarquinia”.
Fra il 25 novembre
1955 e il 2 aprile 1957 compie il servizio militare
(prima in Sardegna poi a Civitavecchia). Per il fatto
di essere un dirigente comunista subirà non poche
angherie e soprusi, come essere obbligato a scavare
buche e poi ricoprirle. “...servizio militare, periodo
durante il quale del resto la mia “condizione” di
dirigente comunista mi venne continuamente
ricordata dalle affettuose “attenzioni” di cui fui
sempre oggetto da parte delle Autorità militari”(5),
scriverà poi. Un suo carissimo amico, tuttavia,
afferma che alla fine si conquistò stima e rispetto.
Arriviamo così
all’anno 1956 e ai “fatti d’Ungheria” : la repressione
armata da parte dell’esercito sovietico dei movimenti
degli operai e dei lavoratori ungheresi e la posizione
del PCI che approva l’operato dell’ Urss. Luigi non è
d’accordo, scrive addirittura una lettera di
dimissioni dal partito e chiede al padre di portarla
in Federazione, ma il padre non lo farà. E’ un momento
di crisi profonda, di sofferenza per Luigi, ed anche
per suo padre che non lo capisce ed è convinto della
giustezza dell’operato dell’URSS. La notizia di questa
sua crisi politica, forse sussurrata nel partito, è
vivamente ricordata dai familiari, dagli allora
dirigenti della Federazione del PCI e dagli amici.
Cesare Fredduzzi (allora componente della segreteria
della Federazione, inviato da Roma) affermerà in
seguito: “Dopo essersi dichiarato d’accordo con le
decisioni del XX Congresso [del PCUS] entrò in crisi
nell’ottobre del ’56 coi fatti d’Ungheria ma non
abbandonò mai il partito” (6). Assuero Ginebri
(anch’egli della segreteria) ricorda che quell’anno
rinnovò la tessera in ritardo (anziché a novembre la
prese a gennaio). Il suo dissenso, anche se non
pubblicizzato, gli peserà a lungo nel lavoro politico.
Non è riproposto nel Comitato Federale eletto al
congresso provinciale il 2/12/1956. Luigi avverte che
il clima nei suoi confronti è mutato e il 20 gennaio
1957 invia una lettera al Comitato Direttivo della
Federazione che rimarrà senza risposta. Nel febbraio
ha un colloquio con Fredduzzi e Ginebri che sembra
rasserenarlo. Scrive infatti in alcuni appunti :
“Ritrovo in me stesso evocata quella ”febbre” che
sempre mi ha dato la lotta politica nelle file del
Partito. Ne sono commosso......”. (7). Evidentemente
la sua divergenza sui fatti di Ungheria era stata per
lui un episodio che, per quanto doloroso, non aveva
intaccato le ragioni fondamentali della sua scelta di
vita e l’appartenenza al PCI.
Quando, in seguito,
nella primavera del 1957, terminato il servizio
militare, si presenta in Federazione per riprendere il
suo lavoro, i dirigenti frappongono dilazioni e scuse
varie alla sua ripresa dell’attività e gli
sottopongono proposte non coerenti con le precedenti
responsabilità dirigenziali. Trascorso un po’ di tempo
Luigi invia una lunghissima lettera agli organismi
dirigenti e di controllo di Viterbo e alla Segreteria
nazionale del PCI, datata 22 agosto 1957, nella quale
con modestia e, insieme, con piena consapevolezza
della funzione dirigente esercitata, con estrema
sincerità e con una argomentazione stringente chiede
che il partito di Viterbo sia messo al corrente della
sua vicenda e chiede di sapere per quali motivi è
stato estromesso da tutti gli organismi dirigenti (8).
Nessun riferimento, se non un accenno ad “una
differente valutazione politica”, in merito al suo
dissenso.(9) Lo stato d’animo di Luigi si coglie
perfettamente nella poesia “Autunno”, scritta in quei
giorni, datata 1°/9/1957, dedicata al suo amico Ennio,
che inizia : “Mai un autunno come questo amaro /
già conoscemmo / di sparse foglie / che il vento
raduna e trascolora ...” (10).
In quel periodo
Segretario della Federazione è Enrico Minio. I
dirigenti della Federazione dal canto loro non
vogliono perdere un “quadro” come Luigi. Così a Luigi,
dopo una prima ipotesi di andare a dirigere la
Federbraccianti, che lasciò cadere - per il modo in
cui era stata proposta e per la debolezza delle
motivazioni politiche - (11)fu proposto di andare a
lavorare alla organizzazione degli artigiani, che si
stava costituendo ; un incarico diverso da quello, a
lui più congeniale, di dirigente politico del partito,
ma in quel periodo lo scambio di quadri tra partito e
organizzazioni sindacali era frequente. Luigi accetta
e vi lavora per alcuni anni contribuendo così alla
costruzione dell’Unione provinciale degli artigiani di
Viterbo, aderente alla Confederazione nazionale
dell’artigianato.
Nello stesso tempo,
dal 1957, svolge il compito di corrispondente da
Viterbo de “Il Paese”.
E’ del marzo 1959 una
nota alla Segreteria nazionale del PCI con la quale si
comunica che a Luigi Petroselli è stato affidato il
compito di costruttore della zona della Maremma,
incarico che segna il suo ritorno al lavoro politico
in Federazione(12). Riprende l’impegno di
corrispondente de l’Unità per incarico della
quale svolge dei servizi giornalisti nel Lazio.
Per la sua attività
giornalistica subirà due processi (13).
Al VII Congresso
provinciale del PCI svoltosi nei giorni 19 e 20
dicembre 1959, Petroselli svolge un intervento sulla
possibilità di un’azione in direzione dei cattolici –
viste anche le contraddizioni della maggioranza
andreottiana e la crisi del blocco agrario – per la
conquista dell’Ente Regione. E’ quindi eletto nel
Comitato Federale e rientrerà poi in Segreteria.
Con nota del marzo
1961, (14) sempre da parte della Federazione, si
comunica che Petroselli, membro della Segreteria e
responsabile della Commissione Agraria e della
Commissione Culturale, è stato eletto nel Comitato
direttivo della Federazione.
Nello stesso periodo
entra a far parte del Comitato Regionale del PCI.
In poco tempo Luigi
riconquista e rafforza il suo ruolo di dirigente
comunista provinciale. L’esperienza
nell’associazionismo, il buon lavoro svolto in
Maremma, l’attività culturale, l’elezione al Consiglio
comunale di Viterbo ne fanno, non ancora trentenne, un
prestigioso esponente del PCI viterbese. Con lui,
finalmente, si determinano le condizioni per una guida
viterbese della Federazione.
All’inizio del 1962
viene proposto ed eletto Segretario della Federazione
comunista viterbese. “E’ un compagno che ha ottime
qualità politiche e di organizzazione, è preparato e
intelligente. E’ molto stimato negli ambienti
intellettuali del viterbese” (15).
Il 17 novembre del
1962 svolge la sua relazione all’VIII congresso della
Federazione e l’inviato della Direzione nazionale
nelle sue note riferirà che :” L’assemblea
congressuale ha sottolineato più volte l’apprezzamento
e l’unità intorno all’attuale gruppo dirigente e verso
il compagno Petroselli in particolare” (16). Si
raccolgono i frutti dell’ottimo lavoro svolto da
Cesare Fredduzzi che ha consentito lo sviluppo e
l’affermazione di un nuovo gruppo dirigente..
Con Petroselli alla
guida della Federazione termina la fase dei segretari
inviati dalla Direzione nazionale (ben quattro
segretari, tre dei quali non viterbesi, si
avvicendarono dal ’54 al ’58), si stabilizza e si
rafforza il gruppo dirigente provinciale. Da
segretario si troverà ad affrontare i problemi acuti e
le contraddizioni di un territorio, dove ancora è
prevalente il settore agricolo, che riceve tutti i
contraccolpi negativi del “miracolo economico”, come
illustra nitidamente nella sua relazione al Congresso
sopra citato.
Nel partito dovrà
vedersela anche con i famosi “ducati” di Acquapendente,
Tuscania e Civita Castellana denunciati da Adamo
Zanelli, vecchio partigiano di Forlì, inviato a
Viterbo come reggente della Federazione nel ’55.(17)
Ai suoi molteplici
impegni di direzione politica si affianca anche
l’esperienza pubblica, istituzionale, con l’elezione a
consigliere comunale nella città di Viterbo, dal 1960
al 1979, e al Consiglio provinciale dal 1965 al 1970.
Memorabile la lunga
battaglia politica intorno al Piano regolatore
generale di Viterbo che ebbe una forte eco nella città
e sulla stampa - si arrivò ad una sfida tra l’Unità
e Il Messaggero - quando per la prima
volta si cominciò a discutere intorno a nuovi concetti
di sviluppo urbanistico e di salvaguardia del
patrimonio storico e naturale. Indimenticabile anche
il suo intervento sulla gestione del servizio idrico
della città (che lasciava molto a desiderare) per la
padronanza della materia e l’appassionata difesa dei
diritti dei cittadini più deboli. Della sua attività
di consigliere provinciale si ricordano la lucidità ,
la determinazione e la lungimiranza delle sue
battaglie per le autonomie locali, per la creazione
della Regione, per la programmazione dello sviluppo
economico del territorio provinciale.
Luigi non trascorre
tutto il tempo chiuso nel suo ufficio della
Federazione ; gli piace girare per la città, vedere,
ascoltare, capire i problemi. Va ad incontrare i
lavoratori, magari nelle osterie, ma passa spesso
anche per il Corso e prende un caffè nell’antico Caffè
Schenardi (una volta salotto della città ed ora
fast-food), e parla con tutti, amici ed avversari.
Durante la sua
direzione della Federazione si affermano nuovi quadri
politici e si realizza un rinnovamento degli organismi
dirigenti e delle rappresentanze istituzionali che
danno più slancio all’iniziativa e alla presenza del
PCI nella provincia. Segue da vicino le attività delle
Sezioni e delle Amministrazioni locali. Coloro che lo
hanno visto all’opera come dirigente e segretario
della Federazione ne ricordano l’intelligenza non
comune, il rigore morale, l’onestà intellettuale, la
capacità di ascolto, la sua avversione nei confronti
del settarismo e la sua affascinante oratoria. Il suo
agire politico si muove nel solco del “partito nuovo”
di Togliatti, della “via italiana al socialismo” e di
quella linea di costruzione delle alleanze sociali e
politiche definite nelle tesi programmatiche dell’VIII
Congresso del Pci. Nelle tornate elettorali lavora per
la formazione di liste unitarie di sinistra, aperte
alle forze democratiche indipendenti.
Intanto vi sono novità
anche nella sua vita privata, sempre protetta dalla
sua estrema riservatezza e dal suo pudore.
Nel 1963 conosce
Aurelia Sergi, siciliana, insegnante di matematica e
scienze, che conquisterà anche grazie ai bellissimi
versi che le dedica, rivelando un animo romantico e
una acuta sensibilità. Si sposeranno in Campidoglio il
5 febbraio 1966 e celebrerà le nozze Enzo Modica.
Fresche, delicate, tenerissime sono le lettere che
scrive ad Aurelia. In una di queste, dell’11 luglio
1965, scrive : “Aurelia amore, sono ancora prigioniero
della emozione profonda che mi ha procurato la tua
lettera che ho ricevuto ieri. Una emozione forte,
credimi, da stimolare lacrime di gioia perché non era
una “lettera” ma un’ondata di tenerezza che tu hai
riversato su quei fogli e che mi ha investito in
piena ! ...
Il “comunista
autentico e tenace” dalla “personalità “grintosa”,
come quella di certi personaggi interpretati da Marlon
Brando e, tuttavia, di una sensibilità squisita,
complicata e introversa”, “dal carattere forte e
talvolta duro”, dalle ”invidiabili qualità unite alla
lealtà, alla correttezza, alla profondità del rapporto
umano”(18), nella vita privata è un uomo
affettuosissimo con i familiari, anche se di poche
parole - ”con un abbraccio ci dicevamo tutto”, ricorda
la sorella Velia - pieno di attenzioni e gesti
affettuosi verso i nipoti per i quali scrive poesie e
filastrocche. Scrive versi molto belli, soprattutto
negli anni dell’adolescenza e della gioventù, e
continuerà a scriverne ogni tanto su qualsiasi pezzo
di carta gli capiti. Ama la poesia - tra i suoi poeti
preferiti è Alfonso Gatto -, la letteratura ma anche
la musica, in particolare quella francese, il cinema e
il teatro. E’ curioso di tutto, legge anche di sport
e scherza spesso con suo padre “laziale”.
Luigi non è mai stato
un “provinciale” ; la sua era una politica radicata
nella realtà ma di ampio respiro culturale e ideale ;
allungava le sue dense giornate, magari con troppe
sigarette e troppi caffè, per leggere, studiare,
aggiornarsi su tutti gli aspetti della vita.
Mentre è segretario
della Federazione è già “utilizzato” dal partito per
iniziative in altre regioni. In una lettera alla
fidanzata Aurelia, datata 18 luglio 1965, la informa
che forse andrà a Brindisi “a presiedere un corso di
due giorni sui problemi dell’unità del movimento
operaio e socialista e a tenere una conferenza sulle
origini del marxismo”.
Nel 1966, allo XI
Congresso nazionale, è eletto nel Comitato centrale
del PCI.
Per le elezioni
politiche del 1968, in un Comitato federale svoltosi
con la presenza di Enrico Berlinguer e di Alessandro
Natta, riesce a gestire un delicatissimo passaggio
nella rappresentanza istituzionale che riguarda il
cambiamento di funzioni di prestigiosi dirigenti
comunisti e la presentazione di un candidato
“indipendente di sinistra”.
Nell’agosto ’68, non
appena diffusa la notizia dell’ingresso dei carri
armati del patto di Varsavia a Praga, non aspetta un
attimo, convoca subito gli organismi dirigenti per
esprimere una ferma condanna, prima della presa di
posizione ufficiale del Pci. E sarà anche, purtroppo,
un’altra occasione di scontro politico con il padre.
Rimane Segretario
della Federazione fino al febbraio del 1969 quando
sarà chiamato a Roma a dirigere il Comitato regionale
del Lazio al posto di Enrico Berlinguer, eletto vice -
Segretario al XII Congresso. Molto probabilmente la
proposta di chiamarlo a Roma è dello stesso Enrico
Berlinguer che scriverà dopo la morte di Petroselli :”
Mi colpì profondamente fin da quando lo vidi al lavoro
come dirigente della Federazione comunista viterbese".
Nel 1972, al XIII
Congresso del PCI è riconfermato nel Comitato Centrale
ed eletto nella Direzione nazionale alla quale
partecipa con assiduità ed alla quale non manca quasi
mai di apportare il suo contributo. Nei successivi
Congressi nazionali sarà riconfermato nel Comitato
centrale e rieletto nella Direzione.
In anni precedenti era
stato chiamato a lavorare come giornalista a
l’Unità ma il partito di Viterbo non lo aveva
lasciato andare.
A Roma, dopo un anno
circa di direzione del Comitato regionale, il 13
gennaio 1970 è eletto Segretario della Federazione
comunista romana. E nel 1971 è eletto al Consiglio
Comunale di Roma. Tornerà a dirigere il Comitato
Regionale tra il 1976 e il 1979.
Ha inizio la stagione
in cui Petroselli svolgerà pienamente una funzione di
dirigente politico nazionale.
Guida il partito di
Roma, innovando profondamente nei metodi di direzione,
negli anni della politica di grande respiro
democratico e unitario di Berlinguer, costruendo un
progetto per il governo democratico della metropoli,
coinvolgendo i lavoratori, i ceti medi, gli
intellettuali per un profondo cambiamento nella
organizzazione sociale e civile della città.
Dopo la splendida
vittoria di civiltà nel referendum sul divorzio, ci
sarà la forte avanzata nelle elezioni regionali del
1975 e l’anno dopo l’eccezionale risultato delle
elezioni politiche con il PCI al 34,6% dei voti e la
conquista alle sinistre di Roma, della Capitale
d’Italia.
Nel 1976 Petroselli è
capolista per il PCI al Comune di Roma e supera in
preferenze l’on. Andreotti. Si costituisce la Giunta
di sinistra con alla guida Giulio Carlo Argan .
Dopo le dimissioni di
Argan, il 27 settembre 1979 Petroselli è eletto
Sindaco di Roma. Dopo le elezioni del 1981, nelle
quali raccoglie 130.000 voti di preferenza, è rieletto
Sindaco il 17 settembre. E’ un altro suo piccolo
grande capolavoro politico, frutto dell’infaticabile
opera di tessitura delle alleanze che lo aveva sempre
contraddistinto, quello di aver ricostituito una
maggioranza di sinistra nella Capitale, nonostante la
rottura della “solidarietà nazionale” e il cambio di
maggioranza alla Regione Lazio operato dai socialisti.
La sua salute non è
buona ; nel ’72 era stato colpito da una trombosi che
lo aveva lasciato leggermente claudicante ; soffre di
disturbi cardiaci ma la cura di sé è l’ultimo dei suoi
pensieri.
Sono anni di intenso
lavoro politico nei quali Petroselli, “Giggi”e “Giggetto”,
per i compagni più intimi, si conquista la stima e la
simpatia dei comunisti e del popolo romano, per le sue
doti politiche ed umane che lo porteranno a divenire
una delle personalità pubbliche più amate e
rimpiante : il Sindaco di Roma. Forse in questa sua
veste politica e istituzionale, che gli ha dato il
maggiore prestigio e una grande visibilità, Luigi
Petroselli è riuscito, mettendoci tutte le sue forze,
il cuore e la mente, a dare il meglio di sé, mettendo
a frutto tutta la sua lunga vicenda politica fatta di
studio, di fatica, di tante privazioni, a contatto
sempre con i lavoratori, braccianti e mezzadri, operai
e piccoli artigiani e commercianti, sempre con la
stessa passione e determinazione, la stessa febbre
politica che lo spinse adolescente a scegliere una
vita di lotta nel PCI. Non si risparmia.
La sua breve e intensa
esistenza si spezzerà all’improvviso al termine di un
appassionato e lucido intervento al Comitato Centrale
del PCI, il 7 ottobre 1981.
La costernazione, il
dolore per l’improvvisa, crudele morte, il rimpianto
per la perdita di un uomo eccezionale, varcano i
confini nazionali. La partecipazione straordinaria di
popolo alle esequie viene paragonata a quella dei
funerali di Togliatti.
Il nome di Luigi
Petroselli è indissolubilmente legato ad una
irripetibile, intensa e feconda stagione della storia
politica e amministrativa della Capitale d’Italia. Dal
risanamento delle borgate ai parchi archeologici,
dalla metropolitana ai servizi sociali per gli
anziani, per i bambini, per i disabili - la Giunta
Petroselli fu una delle prime a realizzare corsi di
ippoterapia-.
Al sincero dolore del
popolo di Roma, che non l’ha mai dimenticato, si unì
l’altrettanto sincero cordoglio degli avversari, anche
di quelli che all’inizio lo definirono un ”burocrate”
ma ben presto si resero conto del suo valore, di quel
profondo cambiamento che aveva impresso alla città e
che permise di conseguire risultati straordinari in
soli due anni..
Luigi Petroselli morì
sul lavoro e di lavoro. Come scrisse subito dopo la
sua morte Gian Carlo Pajetta (19) :”E’ morto come
Togliatti a Yalta, come Di Vittorio a Lecco, è morto
sul lavoro, come si dice di un edile o di un minatore.
Come altri compagni di prima o di dopo, che non hanno
risparmiato nulla di sé, proprio perché
in questo partito, in mezzo alla gente, inseguendo
quasi l’ossessione di poter fare ancora qualche cosa è
sembrato loro di poter essere pienamente se stessi”.
NOTE
1)Archivio di Stato di
Viterbo (d’ora in poi ASV),Relazioni mensili della
Prefettura al Ministero dell’Interno 1951-genn.1956
2)ASV, dalla
sentenza del Tribunale di Viterbo n. 299 del 2/12/1952
3)1951 o 1952. Le note
e i prospetti sugli organismi dirigenti e
sull’apparato, conservati nell’Archivio
del Partito Comunista Italiano,
non sono concordi
4)Fondazione Istituto
Gramsci ,Archivi, Archivio del Partito Comunista
Italiano (d’ora in poi APC) MF 0430 pag. 1258
5)APC , MF 0450
pag. 2136
6) In “Alcune note
biografiche e considerazioni sul compagno Luigi
Petroselli della Federazione di Viterbo” redatte da
Fredduzzi e datate 27/12/1961, inviate al Comitato
regionale e alla Segreteria nazionale, insieme alla
proposta di eleggere Petroselli Segretario della
Federazione. APC, MF026 pag. 627.
7)APC, MF 0450
pp 2134 -2144
8)Ibidem
9)Non è possibile,
sulla base della documentazione disponibile, stabilire
se è questa la lettera inviata al “centro
del Partito” di cui
riferiscono alcuni amici.
10) Cfr. Appendice.
11)Nella lettera già
citata.
12)APC, MF 0482 pag.
2605
13)APC, MF026 pag.
630.
14)APC, MF 0463 pag.
0370, nota di Cesare Fredduzzi
15)APC, MF 026 pag.
627.
16)APC, MF 0500 pag.
1589, nota di Mario Berti
17)APC, MF 0446
pag. 1031 - Adamo Zanelli scrive : “........Anche
oggi, pure nel campo specifico del Partito, nella
provincia vi sono i “ducati”, esempio : vi è quello di
Civita Castellana con a capo il comp. Sen. Enrico
Minio, quello di Tuscania con il comp. Avvocato
Salvatori Nicola, quello di Acquapendente con il comp.
Vitali. Ognuno di questi opera per conto proprio e
lavora per realizzare il “socialismo” nel proprio
ambiente, senza vedere e senza interessarsi a quello
che avviene nei paesi vicini, in Italia e nel mondo”.
18) Definizioni, in
ordine, di : Teodoro Cutolo, Gamaliele Bonavia, Santo
Di Gregorio, Ugo Lentini, in “Quaderni Viterbesi”,
anno II – n. 29, 24 ottobre 1981.
19)“l’Unità”, 8
ottobre 1981 |