FALCO NERO

Capo Sauk (1767-3 ottobre 1838) nato nel villaggio Sauk posto alla foce del Rock River, nell'Illinois, il suo nome indiano fu Ma'katai'meshe'kia'kiak. Poco meno che ventenne, guidò il suo popolo nella più grande vittoria contro gli Osage. In seguito sconfisse duramente i Cherokee e ancora una volta gli Osage. Nella guerra del 1812 si alleò agli Inglesi e condusse alcune spedizioni contro i confini delle colonie americane. La guerra a fianco della Gran Bretagna divise il popolo Sauk. Il capo Keokuk, suo rivale, parteggiò con gli americani e dopo la fine delle ostilità accolse addirittura con favore il trasferimento della sua gente nei territori dell' Iowa. Falco Nero invece non accettò le condizioni dei vincitori e cercò alleanze con le tribù dei Winnebago, dei Potawatomi e dei Kickapoo. Fino al 1831, gli scontri con i coloni americani si fecero sempre più numerosi e quell'anno la milizia statale americana bruciò il suo villaggio. Conscio dell'impotenza della sua gente, firmò il trattato del 30 giugno 1831 con il governatore John Reynolds e il generale Edmund Gaines, accettando di trasferirsi al di là del fiume Mississippi, cosa che fece alcune settimane dopo. Con l'inverno, però, impossibilitati a vivere in un ambiente così diverso riportò 2000 persone, delle quali 500 guerrieri, a est del fiume, installandosi nei suoi vecchi territori del fiume Rock e aspettando l'arrivo dei Potawatomi e dei Winnebago che avevano promesso di aiutarlo in questa sfida agli americani. Ma giunsero solamente alcune piccole bande e il 14 maggio del 1832 ebbe inizio quella che fu chiamata la guerra di Falco Nero. Fu una guerra breve ma disastrosa per i Sauk, che furono duramente sconfitti e il loro capo fu catturato dai Winnebago che lo consegnarono agli americani. Lo imprigionarono per un mese a Fort Monroe, in Virginia e in seguito lo inviarono negli Stati dell'Est Con l'nyento di mostrargli di che potenza fossero gli americani. Nel 1837 accompagnò Keokuk in un secondo viaggio, dopo il quale gli fu concesso di risiedere a Iowaville, sul fiume Des Moines, dove morì. Il suo corpo fu sepolto assieme ai doni che aveva avuto dagli agenti del governo e dopo qualche tempo disseppellito. Le sue ossa finirono all'istituto di geologia di Burlington dove andarono perdute con l'incendio del 1855.

Di Falco Nero rimane una magnifica autobiografia dove descrive, nel dettaglio, le sofferenze della sua vita e del suo sfortunato popolo e dal quale si riporta qui di seguito uno stralcio famossimo relativo al momento in cui fu consegnato prigioniero. Oltre ad un atto di accusa, esso aiuta a capire come il popolo dei Nativi faticasse a comprendere il comportamento e gli usi occidentali:

"Mi avete preso prigioniero con tutti i miei Guerrieri. Sono molto addolorato perché speravo, se non fossi riuscito a sconfiggervi, di resistere molto più a lungo e farvi molti più danni prima di arrendermi. I vostri fucili erano ben mirati. Le pallottole volavano come uccelli nell'aria fischiando alle mie orecchie come il vento in mezzo agli alberi in inverno. I miei guerrieri cadevano attorno a me e tutto stava andando al peggio. Il sole si alzava fioco su di noi al mattino ed a sera affondava in una nuvola scura che sembrava una palla di fuoco. Era l'ultimo sole che brillava su Falco Nero. Il suo cuore è morto e non batte più veloce nel suo petto. Ora è un prigioniero dell'uomo bianco che può farne ciò che vuole. Ma egli resiste alla tortura e non teme la morte. Non è un vigliacco. Falco Nero è un indiano. Un indiano così cattivo che non lascerebbe vivere nessun bianco nella nostra nazione, ma lo ammazzerebbe e lo lascerebbe divorare dai lupi. Gli uomini bianchi sono cattivi maestri; hanno facce false e fanno cattive azioni; sorridono al povero indiano per ingannarlo; gli stringono la mano per avere la sua fiducia, per farlo ubriacare, imbrogliarlo e rovinargli la moglie. Abbiamo detto loro di lasciarci in pace restando lontani da noi, ma essi hanno continuato a intralciare i nostri sentieri ed a strisciare in mezzo a noi, come i serpenti. Il loro contatto ci ha avvelenato. Non siamo più sicuri e viviamo nel pericolo. Stiamo diventando come loro, ipocriti e mentitori, adulteri, pigri, fannulloni, dediti a parlare più che a lavorare. Ci siamo rivolti al Grande Spirito. Siamo andati dal nostro Grande Padre. Siamo stati incoraggiati; abbiamo avuto belle parole e grandi promesse, ma non abbiamo avuto soddisfazione. Le cose sono andate ancora peggio. Abbiamo convocato un grande consiglio e acceso un grande fuoco. Gli spiriti dei nostri padri si sono risvegliati, dicendoci di vendicare i torti ricevuti o morire. Abbiamo parlato tutti davanti al fuoco del consiglio che ci riscaldava. Abbiamo lanciato il grido di guerra e dissotterrato il tomahawk; i nostri coltelli erano pronti e il cuore di Falco Nero saliva in alto nel suo petto mentre guidava i suoi guerrieri in battaglia. Ora egli è soddisfatto e andrà nel mondo degli spiriti felice perché ha fatto il suo dovere. Là, suo padre lo incontrerà e lo loderà. Falco Nero è un vero indiano e non piange come una donna. Egli teme per sua moglie, i suoi bambini e i suoi amici, ma non teme per se stesso. Egli pensa al suo popolo e agli indiani che soffriranno. Egli piange il loro destino. Gli uomini bianchi non scotennano le teste, ma fanno peggio, avvelenano i cuori, che non possono restare puri con loro. I suoi compatrioti non saranno scotennati, ma diventeranno in pochi anni come gli uomini bianchi e non si potrà più avere fiducia in loro. Addio, popolo mio! Non posso fare di più. Sono prossimo alla fine. Il mio sole sta tramontando e non sorgerà mai più. Addio Falco Nero!".