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11 Settembre: una data che
segna l'inizio di un nuovo capitolo della
Storia
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contemporanea
mondiale |
di Giuseppe Di
Principe |
11
settembre 2001. Certe date non si dimenticano. Il fiume
della storia abbandona il suo letto naturale,
d'improvviso, ingrossato da uno di quei fortunali che solo
d'estate accendono il cielo. Un colpo basso, ha commentato
unanime la stampa internazionale. La fiera della peggiore
violenza: terribile perché inutile, inevitabile perché
inaspettata. La solenne disgrazia accaduta alla giovane
democrazia americana, colpita nel suo bene più prezioso e
custodito, l'immagine, quella di una forza maestosa e
serena. Quest'immagine, nello spazio intenso di pochi
minuti, si è dissolta. Lasciando cadere l'ultimo mito,
quello dell'invulnerabilità assoluta, che a questo mondo
non c'è né ci può essere.
Almeno due generazioni, a dispetto
dei tempi della storia, sono cresciute ed hanno prosperato
confidando che mai nessuno avrebbe potuto interrompere
quel circuito virtuoso di pace e di benessere che si è
attivato in occidente dal '45 in poi. Certo, c'è stata la
Corea, c'è stato il Vietnam, ci sono stati molti altri
conflitti d'indole regionale, ma mai l'idea che lo scontro
potesse trascendere questi ambiti, per farsi mondiale,
spietato, assoluto. Neppure la guerra fredda, giocata
sopra equilibri sottilissimi, vacillanti addirittura, ha
vulnerato la certezza che di guerre come quelle mondiali
si sarebbe seguitato a parlare coniugando i tempi del
passato. Ora, questa è purtroppo l'impressione, le cose
stanno diversamente. Gli equilibri sono saltati. Sopra una
stagione fortunata della nostra storia recente è calato,
d'un colpo, il sipario. La guerra, scriveva von Clausevitz
nel secolo diciottesimo, non è altro che la continuazione
della politica con altri mezzi. A secondare questo
conosciuto sillogismo, l'attentato alle Torri Gemelle ed
al Pentagono, definito come un atto di guerra, è anche un
atto politico. Atto politico che, più o meno
direttamente, racconta della profonda avversione di larga
parte del mondo per l'Occidente, la sua cultura, la sua
economia, i suoi centri di potere. E non si tratta di
avversione di maniera, di fastidio di circostanza, ma di
una sfida universale, di un sentimento di opposizione che
non di rado stinge nelle tinte fosche dell'odio. E l'odio,
pasciuto nei campi sospetti del fondamentalismo religioso,
è il nemico più difficile da contrastare. Non sono
consentite mezze misure. Se dev'essere guerra, che sia.
Delle volte, è doloroso ammetterlo,
non si ha scelta. |
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