Comunicati novembre 2000
Comunicato #10
Gerusalemme occupata 1/11/2000
Con la triste media giornaliera di cinque
morti, anche la giornata di oggi è passata. E anche oggi nuovi giovani
palestinesi hanno perso la vita, due a Gaza subito questa mattina, poi nel
pomeriggio altri tre. L’attacco più duro e crudele da parte israeliana è
partito verso le 14.00, quando, in risposta a supposti colpi di arma da fuoco da
Beit Jalla all’indirizzo dell’insediamento del Gilo, sono iniziati i
bombardamenti; sono seguiti gli scontri e le pietre ai posti di blocco, poi
colpi di arma da fuoco e altri bombardamenti. Particolarmente duro è stato
l’attacco su al-Khader, villaggio palestinese all’estremità di Betlemme. L i militari dell’esercito israeliano hanno bombardato
dal cielo con gli elicotteri e da terra con più di tre carri armati, ferendo
numerosi civili e uccidendo un poliziotto palestinese.
A quell’ora mi trovavo a Betlemme con i
miei genitori, che sono casualmente e sfortunatamente in visita qui in Palestina.
Siamo rientrati di fretta a Gerusalemme da dove abbiamo continuato a sentire i
colpi dei carri armati fin verso le 18.00. Alle 19.00 alcuni elicotteri da
guerra hanno sorvolato El Lazharia, dove si trova casa nostra. La radio
palestinese Voice of Palestine, ha riportato di attacchi anche contro
Gerico.
Purtroppo anche oggi le vittime sono
giovani, soprattutto i due ragazzi di Gaza. E sull’età e le cause di morte
dei palestinesi coinvolti negli scontri con l’esercito israeliano è arrivato
ieri un rapporto del Medical Relief, Ong palestinese che si occupa di sanità.
Questi alcuni dati:
I palestinesi uccisi fino ad oggi, per fascia di età,
stando al Mr sono:
13,8% al di sotto dei 15 anni
20,3% tra i 16 e i 18 anni;
50% tra i 19 e i 29 anni;
8,7% tra i 30 e i 39 anni;
3,6% tra i 40 e i 49 anni;
3,6% tra i 50 e i 59 anni.
La maggior parte dei bambini uccisi non
erano direttamente coinvolti in situazioni di conflitto o in scontri,
sostanzialmente non stavano nemmeno lanciando sassi. Ad esempio Muayyad Usma
Jawarish è stato freddato a Betlemme da un cecchino israeliano mentre faceva
ritorno a casa da scuola, in un’area dove non c’erano scontri. Sara Abdul
Azeem, di soli 18 mesi, mentre stava ritornando a casa col padre in un’area
dove non c’erano scontri è stata colpita alla testa da una pallottola sparata
da un colono israeliano.
In generale le principali cause di morte
dei palestinesi sono così ripartite:
92% dei casi a causa di un proiettile;
1,4% a causa di gas lacrimogeni;
1,4% a causa di torture.
Sempre stando al rapporto del Medical
Relief le ferite sono distribuite nelle parti del corpo secondo le seguenti
percentuali:
26% alla testa o al collo;
70% nella parte superiore del corpo (torace);
58% nella parte superiore del corpo, anche escludendo
la zona dei polmoni.
Fino ad oggi nel 98% degli scontri tra
palestinesi e israeliani, i palestinesi hanno usato solo pietre.
Non riporto le conclusioni del rapporto,
perché mi pare che i dati si spieghino abbastanza bene da soli: esiste una
chiara intenzione di uccidere da parte dell’esercito israeliano; non c’è
alcuna giustificazione di autodifesa da parte dell’esercito israeliano che
potrebbe spiegare dati simili.
Dci-ps ha ottenuto, forse anche grazie alle
lettere pervenute al Jerusalem Post (magari anche da parte di qualcuno di
voi) il diritto di replica rispetto alla campagna diffamatoria intentata ai
danni dei genitori palestinesi e dello loro stessa Ong. Il 31 ottobre 2000 a pag.
7 dell’edizione cartacea del Jerusalem Post è uscito un
articolo-intervista a George, il direttore di Dci-ps. George ribadisce che la
campagna diffamatoria contro i genitori palestinesi è un tentativo di
distogliere l’attenzione dal vero problema portato nuovamente all’attenzione
dalla Intifada dell’al-Aqsa (come ormai viene chiamata la protesta palestinese):
33 anni di occupazione militare israeliana. I palestinesi vengono accusati di
mandare a morire i propri figli e questo rientra, secondo George, nella facile
strategia dell’accusare la vittima. Per le donne violentate si trova la causa
della violenza subita nella loro minigonna, per le donne picchiate nella
pazienza logorata del marito e così via.
Una simile strategia è razzista, afferma Dci-ps, perché implica che i genitori
palestinesi non si curino dei propri figli, mentre altri genitori lo fanno.
L’attenzione, continua George, viene spostata dallo sproporzionato uso di armi
da parte israeliana all’incosciente comportamento dei genitori
palestinesi. E nulla viene detto della chiara violazione dei diritti dei bambini
da parte israeliana. Ad oggi sono state chiuse 30 scuole, fino a ieri tre sono
state trasformate in basi militari (questa mattina la radio palestinese Voice
of Palestine, riportava di altre due scuole convertite in basi militari da
parte dell’esercito israeliano); 13.000 studenti e 500 insegnanti non sono in
grado di raggiungere le scuole a causa della chiusura dei Territori palestinesi
imposta dall’esercito israeliano (sempre Voice of Palestine, ha
raccontato ieri di casi in cui l’esercito israeliano è addirittura
intervenuto per impedire fisicamente l’accesso alle scuole, finendo per
scontrarsi con gli studenti e gli insegnanti). E Israele, come fa notare ancora
Dci-ps, non solo nei Territori occupati è responsabile di gravi violazioni
della Convenzione dei diritti del bambino (Crc) che ha firmato nel 1989, ma non
ha nemmeno mai presentato alle Nazioni Unite il dovuto rapporto sullo stato di
attuazione della Convenzione stessa1.
Un altro dato allarmante di questi giorni
sono gli episodi di rapimento da parte dei coloni israeliani e di arresto da
parte dell’esercito israeliano. Di queste persone che vengono “prelevate”
nessuno riesce ad avere alcuna informazione. Dei veri e propri desaparecidos.
Ci sono alcune eccezioni, si è saputo ad esempio della sorte di due degli otto
palestinesi sospettati di aver partecipato al linciaggio di Ramallah: sono stati
assassinati (linciati!) a loro volta dai poliziotti israeliani, a furia di botte.
Tra i casi di rapimento da parte dei coloni israeliani, sono stati riportati due
casi di ragazzi di Betlemme.
Un po’ ovunque continuano le minacce da
parte dei coloni israeliani contro i contadini palestinesi impegnati nella
raccolta delle olive. Al ministero dell’Agricoltura palestinese è stato
stabilito un piano per impiegare nei lavori agricoli le persone che sono rimaste
senza lavoro a causa della chiusura dei Territori palestinesi. La città vecchia
di Hebron è sotto coprifuoco per il trentatreesimo giorno consecutivo. Ad ora
queste sono le informazioni. Da domani dovròò assentarmi dalla Palestina qualche giorno. Saròò di ritorno nella sera di lunedì 6 novembre. Riprenderòò a scrivere da quel momento.
A presto.
Comunicato n. 11
Gerusalemme occupata 8/11/2000
Dopo qualche giorno di assenza, vi mando
solo qualche breve notizia, tanto per non far dimenticare che oltre al nuovo
presidente americano oggi ci sono sette nuovi morti nei Territori occupati
palestinesi: cinque civili palestinesi uccisi a Gaza e due in Cisgiordania.
La situazione non migliora, anche se è
vero che alcuni cambiamenti ci sono stati. Su alcune strade ora è più facile
circolare, almeno di giorno. I blocchi di cemento posti all’entrata di Haloul
sono rimasti, ma è stato aperto un varco e non ci sono più i soldati
israeliani a fermare le macchine. Lo stesso accade all’entrata a sud di
Betlemme, quella -per intenderci- che porta a Deisha Camp.
Forse una relativa calma? Ma lo stato di
assedio rimane. Ieri notte i bombardamenti su Beit Jalla si sono susseguiti per
tre ore. Dall’Inad Theatre, Marina Barham, la responsabile del teatro, ci ha
scritto un e-mail alle tre di notte. Era disperata. Lei, la sua famiglia, gli
amici, i parenti non sanno più dove rifugiarsi. Beit Jalla non è come uno dei
tanti insediamenti israeliani dotati di rifugi e misure di sicurezza per i
civili. Beit Jalla è un paese esposto agli indiscriminati attacchi da terra e
dal cielo di un esercito che mira alle case dei civili. Le case di alcuni amici,
attori dell’Inad, hanno subito seri danni.
Questa sera verso le 19:00 il Jerusalem
Post riportava di un nuovo attacco da parte di carri armati israeliani ai
danni del villaggio di Beit Sahour.
Quindi, in definitiva, a che pro dire che
è tornata una relativa calma? Quando le persone si sentono minacciate di morte
in ogni momento, non credo che si possa parlare di tranquillità, calma,
sicurezza e pace. Se anche si tornasse alla situazione del 27 settembre scorso (cioè
al giorno prima dello scoppio della nuova Intifada), la condizione del popolo
palestinese sarebbe pur sempre quella di un popolo assediato. Ad esempio in
questi giorni gli israeliani, nel pieno diritto conferitogli dagli accordi di
Oslo hanno chiuso l’aeroporto di Gaza per la terza o quarta volta. E meno male
che proprio quell’aeroporto doveva essere uno dei segni più lampanti dei
risultati ottenuti durante il processo di pace interrottosi in questi giorni.2
Purtroppo,
da quando sono tornato, non sono ancora riuscito ad andare ad al-Fawwar, anche
se ho sentito Tariq e gli altri per telefono. Al campo la situazione è di nuovo
molto tesa. Mi hanno raccontato che praticamente da una settimana ogni
pomeriggio ci sono scontri violenti; ma bisogna ricordarsi che questo significa
che i palestinesi lanciano sassi e gli israeliani sparano. Due giorni fa un
ragazzo di al-Fawwar è stato colpito allo stomaco da un proiettile israeliano.
Ora si trova in condizioni stabili, ma critiche, presso l’ospedale di Hebron,
in attesa di essere trasferito o in Germania o in Arabia Saudita (il governo
tedesco in questi giorni ha deciso di trasferire nei propri ospedali 35 feriti
palestinesi da Gaza e 15 dalla West Bank). L’entrata del campo è sempre
chiusa dai blocchi di cemento presidiati dall’esercito israeliano. Talora - mi
hanno detto- si riesce a passare per il vicino campo di zucche.
Alla situazione drammatica di questi giorni
si è aggiunto un incidente molto grave: l’acqua del campo pare sia inquinata,
con il risultato che nell’ultima settimana almeno 500 persone si sono ammalate.
Non è possibile acquistare acqua da Hebron: con la chiusura pressoché totale,
le autocisterne non possono entrare nel campo. Il ministero della Sanità
palestinese ha già fatto cinque ispezioni per controllare la fonte principale,
che tuttavia non risulta direttamente inquinata. Probabilmente si tratta delle
condutture che, trovandosi per alcuni tratti a cielo aperto, si sono mischiate
con le acque reflue o di scarico, determinando la presente grave situazione
sanitaria.
Hebron rimane una città divisa e per metà
sotto un coprifuoco che dura ormai da quasi 40 giorni e che costringe nelle loro
case i suoi quasi 30.000 abitanti palestinesi. Ovviamente i coloni israeliani
sono liberi di muoversi nell’area sotto coprifuoco.
Oggi sono andato in visita da Haroun (il
direttore della Palestinian Red Crescent Society di Hebron) con il quale ho
discusso della situazione sanitaria di al-Fawwar; sono riuscito ad incontrare
anche Maesa, la mia ex collaboratrice. Il coprifuoco era stato sospeso per
quattro ore e mi ha raggiunto nella parte più "tranquilla" della città.
L’ho trovata molto provata dall’esperienza della reclusione collettiva, come
lei ha chiamato il coprifuoco imposto sulla città.
Al momento queste sono le notizie, a
presto.
Comunicato n. 12
Gerusalemme occupata 11/11/2000
Come non detto. Oggi, giornata della
manifestazione nazionale italiana, i carri armati, i posti di blocco, i soldati
che impediscono la mobilità dei palestinesi sono tornati a fare la loro parte
in Cisgiordania e Gaza. Nel precedente messaggio vi dicevo che forse si
intravedeva una relativa calma, pur con le dovute precisazioni del caso.
Ebbene così non è
stato oggi, come non è stato ieri, né tantomeno il 9 novembre. Ormai tutti
sanno quel che ha fatto Israele: un elicottero dell’esercito israeliano ha
bombardato in pieno giorno e nel pieno centro cittadino di Beith Sahour l’auto
sulla quale transitava Hussein Abayat, leader del partito politico di Arafat,
al-Fatah. Hussein è rimasto ucciso e con lui due donne che passavano nelle
vicinanze, un secondo passeggero dell’auto è rimasto ferito; in quella zona
in quel momento non c’erano né manifestazioni né scontri. L’accaduto ha
suscitato una serie di proteste e quindi scontri nella giornata di ieri, che
hanno aggiunto altri cinque morti alla lunga lista dei caduti palestinesi e un
morto a quella dei soldati israeliani.
Ieri sono tornato insieme a Carlotta a Beit
Jalla per far visita ancora una volta ai nostri amici dell’Inad Theatre. Ci
hanno mostrato i danni del bombardamento della notte prima, un bombardamento che
hanno definito il peggiore da quando sono cominciati gli scontri. Abbiamo visto
i fori delle pallottole da 500 mm e quelli più grandi. Alcuni proiettili hanno
raggiunto anche l’interno del teatro che fortunatamente non ha riportato danni
seri, oltre allo sforacchiamento delle porte principali. Le due entrate sono
state completamente crivellate, così come l’insegna del teatro.
Mentre parlavamo con Marina sono arrivate
due o tre bambine con le scarpe da mezza punta in mano per la lezione di danza
classica. Poco dopo è arrivata la loro insegnante ed è iniziata la lezione.
Dei bambini del teatro, che fino a qualche settimana fa erano ancora numerosi,
Marina ha detto esserne rimasti davvero pochi. I genitori hanno timore a
mandarli nella zona dove si trova il teatro. E’ un’area troppo esposta,
proprio in faccia all’insediamento del Gilo. Purtroppo l’ultimo
bombardamento ha danneggiato l’impianto elettrico del teatro, per cui i loro
computer e fax non funzionano più. Se vorrete potròò farmi
da tramite per mandare eventuali messaggi di solidarietà o per rispondere
all’appello che Marina ci ha mandato. Ve lo trascrivo in calce nella
traduzione italiana, così che
possiate farlo circolare in Italia soprattutto nel circuito artistico-teatrale.
Dopo la visita all’Inad abbiamo visitato
le case palestinesi distrutte nei bombardamenti della notte prima. Due di queste
sono state completamente devastate. Le famiglie colpite hanno organizzato un
campo di tende, più simbolico che reale, proprio nelle vicinanze delle loro
abitazioni distrutte. Non risulta che nessuno sulla stampa ne abbia parlato.
Anche oggi gli scontri sono continuati e
ancor più forti di ieri; pare che ci siano più di cinque morti palestinesi e
un soldato israeliano. E come vi dicevo sopra, gli israeliani hanno re-imposto
le misure restrittive della mobilità dei palestinesi. Andando ad al-Fawwar, ho
visto ancora una volta i posti di blocco che la settimana scorsa erano stati
lasciati temporaneamente sguarniti. L’entrata a nord di Betlemme era
completamente bloccata, quella a sud, venendo da Hebron, chiusa da due pattuglie
di soldati israeliani. L’entrata di Haloul bloccata (senza blocchi di cemento,
ma da una camionetta dell’esercito israeliano). Tutte le entrate ad Hebron (la
cui parte H2 rimane sotto coprifuoco per il quarantacinquesimo giorno
consecutivo) sono completamente bloccate, come sono sempre state, da blocchi di
cemento, materiali di recupero e militari. Sulle alture della città, a dieci
metri dalla strada che percorrevo, ho visto tre carri armati che una decina di
giorni fa non c’erano.
Ad al-Fawwar l’entrata è tuttora chiusa,
anche se oggi si riusciva ad entrare dal solito campo di zucche. Quel che invece
è nuovo è il posizionamento, oltre alle solite due camionette dell’esercito,
di un mezzo militare che sul tetto ha una mitragliatrice pesante. Nel campo
stanno tutti bene, anche se questo aumentare della tensione sta provando tutti.
Il Centro comunitario polivalente in queste ultime due settimane, ha assunto una
funzione comunitaria sempre più forte. Hasan e Tariq mi hanno detto che quasi
giornalmente si tengono riunioni di comitati della comunità per far fronte
all’emergenza in corso. Pare che il problema dell’acqua si sia
momentaneamente risolto: per il momento non ci sono nuovi casi di infezione
intestinale. Si è costituito un Comitato per i lavoratori (circa 250 i membri),
che grazie al supporto dell’United Nation Development Program (Undp) potranno
avere un minimo salariale garantito in cambio di lavori “socialmente utili”
all’interno del campo. Ripuliranno le strade, pittureranno l’asilo del
Centro della riabilitazione insieme ad altri lavori che solitamente vengono
trascurati. Purtroppo in queste ultime due settimane le attività per i bambini
sono diminuite. I genitori, mi è stato riferito, hanno timore a lasciar uscire
i bambini di pomeriggio, soprattutto ora che le giornate si fanno più corte (alle
16:30 qui in Palestina è quasi buio). E in effetti per le strade di al-Fawwar
di bambini in giro ne ho visti molti meno del solito. Abbiamo comunque stabilito
che Tariq e Hasan cercheranno di tenere il Centro aperto almeno due o tre volte
alla settimana per attività rivolte a loro; peraltro il Popular Art Center di
Ramallah si è offerto di venire a realizzare qualche giornata di animazione nel
campo, sempre che sia possibile raggiungerlo. Sembra strano, ma i 50 chilometri,
o poco più, che separano Ramallah da al-Fawwar in questi giorni sembrano una
distanza enorme.
Andando via da al-Fawwar ho accompagnato a
casa Abu Hiad, il responsabile Unrwa. Mi ha raccontato, con una voce
particolarmente triste, che tutti i bambini stanno patendo la situazione di
violenza che si protrae da più di sei settimane (ma che in realtà i giovani
stanno vivendo ormai dal 1987). “I miei figli – mi ha detto – anche i più
grandi (che hanno fino a 14 anni) non vogliono più dormire in camera da soli,
ma vengono a dormire in camera mia, nel letto dove dormo con mia moglie”. Pare
che sia un fenomeno comune nel campo.
All’uscita del campo ho deciso di fare
alcune foto al mezzo militare con la mitragliatrice sul tetto. I soldati stavano
puntando i ragazzi che dalla parte opposta della strada tiravano dei sassi. Non
appena ho scattato le foto i militari mi hanno raggiunto per chiedermi i
rullini. Dopo aver discusso a lungo mi hanno fatto parlare con un loro superiore
che parlava italiano. Lui mi ha lasciato i rullini, ma aveva voglia di parlare e
così ha
cominciato a farmi delle domande sul mio lavoro. Mi è venuto spontaneo
fargliene sul suo. Siamo stati l per
circa una mezz’ora. Mi ha pure detto il suo nome: Ilan. Devo dire che
discutere con questo militare israeliano sulla storia di Israele o sulle ragioni
dell’olocausto, mentre i suoi soldati sparavano ai ragazzi di al-Fawwar mi ha
fatto sentire un po’ strano. Da una parte non avrei mai voluto parlare con uno
dei soldati che qualche giorno fa hanno ucciso Shadi, il ragazzo di al-Fawwar
colpevole solo di telefonare sul tetto di casa sua. Dall’altra mi è parsa
un’occasione unica per capire che cosa frulla per la testa di queste persone
che vedo sempre e soltanto dietro a blocchi di cemento o mezzi militari
corazzati. Comunque a ogni domanda “politica” lui mi ha risposto: sono un
militare, non posso rispondere.
Ad un tratto la nostra discussione è stata
interrotta da spari provenienti dalla cima della collina di fronte. Ilan ha
chiesto chi fosse a sparare e un altro soldato con il binocolo ha individuato un
altro gruppo di soldati israeliani che cercavano di accerchiare i ragazzi di
al-Fawwar da lassù. I soldati sulla strada non sapevano nemmeno che altri
loro commilitoni stavano facendo un’azione sulla collina!
Immediatamente
Ilan ha dato l’ordine ad una camionetta di raggiungere la base della collina
dove si trovavano i ragazzi di al-Fawwar. L giunta
è stata colpita da una molotov. Ilan si è rivolto a me e mi ha detto: hai
visto cosa ci fanno? E con questo si è conclusa la mia discussione con il
soldato israeliano.
Sono tornato a Gerusalemme. Per il momento
questo è tutto.
La notte del 7 novembre, l’Inad Theatre,
l’unico teatro per i bambini nel sud della Cisgiordania, e il quartiere nel
quale si trova sono stati bombardati dall’insediamento di coloni israeliani
del Gilo, per la seconda volta in due settimane. Quando il teatro era stato
bombardato per la prima volta il 21 ottobre, erano stati prodotti danni
principalmente al secondo e al terzo piano del palazzo. Questa volta è andata
peggio e sono state danneggiate le tre entrate principali. Due missili hanno
colpito una delle porte creando un grosso buco, ma non sono riusciti a penetrare
il muro insonorizzato. Tutte le entrate e l’insegna del teatro sono state
crivellate di colpi. I pavimenti e i soffitti dei piani superiori sono stati
ulteriormente danneggiati. Fortunatamente non si è sviluppato alcun incendio ma
molte pallottole e schegge di missili sono state trovate sul palcoscenico e sul
pavimento del teatro.
Più di un centinaio di case, nel quartiere
in cui si trova il teatro, sono state danneggiate in un modo o nell’altro.
Cisterne dell’acqua, muri, finestre e automobili sono state raggiunte da
pallottole e da schegge di missili. Il bombardamento è durato per più di tre
ore sulla nostra cittadina (Beit Jalla, ndt) e sul campo profughi
di Aida. La famiglia Nazzal, (che vive accanto al teatro, ndt), la cui
casa era stata già bombardata è fuggita dalla propria abitazione. I vicini che
cercavano di aiutare la famiglia sono stati colpiti dalle schegge dei missili.
Secondo testimoni oculari almeno otto
palestinesi sono stati feriti nel corso dell’attacco, fra di loro una bambina
che vive accanto al teatro. Diverse case hanno preso fuoco e hanno subito gravi
danni. Casa Kasieyyeh, già bombardata la settimana scorsa, questa volta è
stata quasi distrutta insieme all’abitazione vicina. I residenti di Beit Jalla
provano rabbia, paura, frustrazione e disperazione essendosi trovati sotto i
bombardamenti per la nona volta nel corso delle ultime settimane. Vedere la
propria casa distrutta, dopo tutta la fatica e il denaro che ci sono voluti per
costruirla, è devastante. E’ più di quanto una persona dovrebbe sopportare.
I bambini hanno paura di tornare al teatro,
soprattutto dopo essere stati sorpresi dal bombardamento di mercoledì 1
novembre 2000. I genitori non hanno più intenzione di farli tornare. Hanno
paura per la loro vita. Anche noi non siamo sicuri che sia ancora prudente
svolgere attività con i bambini all’interno del teatro.
Noi dell’Inad Theatre condanniamo
fermamente i raids israeliani sulle aree residenziali di Beit Jalla.
Facciamo appello ai nostri amici, ai
sostenitori e agli artisti nel mondo perché si uniscano a coloro che stanno
cercando la pace e chiedono che questi attacchi brutali e inumani sui civili e
sulle aree abitate abbiano fine.
Nicola, Khaled, Manal, Abeer, Sami, Raeda,
Hazem, Rami e Marina (membri dell’ Inad Theatre)
Comunicato n. 13
Gerusalemme occupata 12/11/2000
Questa mattina un gruppo di espatriati
provenienti da tutte le parti del mondo e residenti nei territori palestinesi,
ha manifestato nella zona dei consolati di Gerusalemme est, Sheik Jarrah.
Ho partecipato anch’io alla
manifestazione che aveva lo scopo di mostrare solidarietà con la popolazione
civile palestinese, richiedere il rispetto delle risoluzioni Onu e il ritiro
delle truppe israeliane dai territori palestinesi.
Giunti al Teatro nazionale palestinese di
Gerusalemme si è sparsa la voce che poco lontano, presso la sede dell’Undp,
si trovava Mary Robinson, la presidente dell’Alta commissione per i diritti
umani delle Nazioni Unite, a colloquio con le autorità religiose di
Gerusalemme. Spontaneamente è stata presa la decisione di andare fin sotto il
quartier generale dell’Undp per richiederle un incontro. L giunti
abbiamo discusso con il personale dello staff della Robinson. E’ stato
concordato un incontro di una decina di minuti per una delegazione di sette
persone. Gli italiani presenti alla manifestazione mi hanno chiesto di
rappresentarli in questa delegazione. Di comune accordo con tutti i manifestanti
si è deciso, nell’attesa dell’incontro, di stilare una lista di dieci punti
da utilizzare come traccia per il colloquio con la Robinson. Sostanzialmente
questi i punti principali:
– abbiamo espresso preoccupazione per l’attuale situazione di aperta
violazione dei diritti umani da parte di Israele ai danni della popolazione
palestinese;
– si è fatto
appello affinché le risoluzioni Onu vengano fatte rispettare ad Israele;
– si è
ricordata la politica di indiscriminata espansione coloniale israeliana;
– abbiamo
denunciato l’utilizzo sproporzionato di violenza da parte israeliana e
l’utilizzo sperimentale di armi letali da parte dell’Idf;
– si è chiesta
una forza di interposizione e protezione per i civili palestinesi, sottolineando
al contempo che ad oggi non è stata condotta ancora alcuna inchiesta completa e
seria sui fatti.
L’incontro
con la Robinson è stato abbastanza breve, e, come suggerito dal personale del
suo staff, invece che ricordare i fatti di violenza di questi giorni (che ha
avuto modo di constatare di persona nel suo giro per la Cisgiordania e Gaza,
dove l’esercito israeliano le ha impedito di circolare liberamente), le
abbiamo posto alcune domande. Le abbiamo chiesto che cosa stiano facendo le
Nazioni Unite per far rispettare le risoluzioni dell’Onu. La Robinson ci ha
risposto di avere un mandato molto limitato rispetto a questo compito. Il suo
ruolo si limita al monitoraggio della situazione. Ha peraltro ricordato la
complessità del contesto politico in cui stanno avvenendo i fatti, pur
riconoscendo che l’atteggiamento di Israele finora è stato negativo.
La mia sensazione personale è stata che
non stesse rispondendo. Del resto suona abbastanza strano che ci siano paesi
dove le Nazioni Unite devono chiedere il permesso per agire (Israele) e altri
dove addirittura si arriva a condurre una guerra a “difesa” dei diritti
umani, senza chiedere il permesso, non solo ai paesi interessati, ma nemmeno
alle Nazioni Unite stesse (ex Jugoslavia).
Abbiamo chiesto che cosa puòò fare la società civile davanti alla violazione israeliana di tutte le
convenzioni sui diritti umani sottoscritte, in particolar modo della Convenzione
sui diritti del bambino (Crc). La Robinson ha detto che la società civile deve
fare pressioni continue, soprattutto in un momento come questo in cui ad esempio
Israele dovrebbe presentare il suo rapporto sullo stato di attuazione della Crc.
Ha aggiunto di aver riscontrato in questo senso un buon impegno anche da parte
della società civile israeliana. Saròò forse un po’ troppo polemico, ma anche in questo caso la risposta della
Robinson mi è parsa un po’ troppo “diplomatica”.. Stando qui non si
avverte per nulla l’impegno pacifista della società civile israeliana. Le
organizzazioni pacifiste di maggior spicco riescono a fare qualche
micro-dimostrazione, dove le parole d’ordine sono sempre molto caute! Troppo
caute per rappresentare una vera sfida al governo laburista israeliano che non
sembra essere su posizioni molto differenti da quelle del governo di estrema
destra di Netanyahu, che avevo visto “in azione” nei primi mesi della mia
permanenza qui in Palestina.
Uno di noi ha concluso osservando che a suo
avviso l’attuale situazione di conflitto si è venuta a determinare non tanto
per la visita di Sharon o per una premeditazione palestinese, quanto per l’uso
eccessivo di forza e per i mezzi antidemocratici con cui Israele, che si
definisce l’unica democrazia della regione, ha voluto “sedare” la protesta
palestinese. La Robinson ha detto che durante la sua visita di questi giorni,
pur avendo riscontrato un certo impegno da parte di Israele per risolvere i
problemi di democrazia interna (conflitto israeliani-ebrei e arabi-israeliani)
ha fatto ancora troppo poco per mantenere un atteggiamento democratico nei
confronti della popolazione palestinese. Che sbilanciamento!!
Ironia a parte, questo pomeriggio, mentre
il convoglio della Robinson transitava per Hebron, una delle auto è stata presa
di mira da colpi di arma da fuoco: pare siano stati i coloni israeliani.
A Hebron ci sono stati forti scontri tutto
il pomeriggio. Vige ancora il coprifuoco sulla città vecchia. Fin dalla mattina
gli scontri hanno avuto un’intensità che non riscontravamo da un po’ di
tempo, soprattutto nell’area di Betlemme e a Gaza. La strada che porta da
Gerusalemme a Hebron è stata chiusa. Gli israeliani hanno dichiarato di aver
risposto dall’insediamento del Gilo con missili anti-carro contro Beit Jalla,
da dove dicono aver ricevuto colpi di arma da fuoco. Il risultato comunque è
stato che più di otto palestinesi sono stati feriti, tra cui un bambino di 12
anni. Quando gli israeliani hanno colpito Beit Jalla era l’ora di uscita dalla
messa (Beit Jalla è a maggioranza cristiana).
Per oggi non ho altre notizie. A presto.
Comunicato n. 14
Gerusalemme occupata 13/11/2000
Oggi è stato ancora un giorno nefasto;
l’esercito israeliano ha ucciso due ragazzini di 14 e 16 anni, la cui unica
colpa era quella di stare fuori casa. Non c’erano scontri a Gaza, ma
l’esercito israeliano ha deciso di sparare lo stesso.
Nella strada tra Nablus e Ramallah tre
coloni israeliani sono stati uccisi e un convoglio di soldati dell’Idf è
stato attaccato. Otto soldati sono rimasti feriti.
Nel pomeriggio sono tornato ad al-Fawwar e
la situazione è sempre uguale: i militari fuori dal campo, i ragazzi che tirano
sassi; sembra quasi un appuntamento fisso. Io di solito arrivo verso le 13:00 e
tutto è calmo; verso le 16:00, quando me ne vado, volano pietre, spari, bombe
lacrimogene. La strada è sempre più deserta e la cosa mi fa un po’ paura.
Sopra ad Hebron stazionano sempre i tre
carri armati e Haroun questa mattina mi ha detto essercene altri in altri punti.
Ieri notte proprio uno di questi ha sparato un colpo che è caduto a poche
decine di metri dalla sede della Prcs, sulla profumeria dove avevamo acquistato
i materiali per il laboratorio di parrucchiera del Centro donne di al-Fawwar.
Oggi è il quarantacinquesimo giorno esatto
di coprifuoco imposto sulla parte vecchia della città di Hebron. A quanto
sembra i bombardamenti violenti da parte israeliana non si limitano più solo
alla notte. Come vi ho già detto nel mio ultimo messaggio, ieri mattina Beit
Jalla è stata presa di mira dai colpi dei carri armati israeliani proprio non
appena erano finite le funzioni religiose della messa mattutina. Marina Barham
era presente e oggi ci ha mandato un resoconto dettagliato di quanto è
accaduto. Non sembra credibile che possano accadere cose simili, eppure
accadono!
Qui la notizia della manifestazione
italiana è arrivata solo per televisione (quindi si puòò immaginare come). Mi farebbe piacere sapere qualcosa di più, qualche
impressione, magari anche qualche valutazione a caldo. Potrebbe essere un buon
aiuto per comunicare agli amici palestinesi la solidarietà italiana. Anzi,
faccio la proposta a tutti quelli che leggono questi comunicati e che hanno
partecipato alla manifestazione, di mandare un messaggio e-mail qui in Palestina
entro lunedì prossimo.
Possono bastare anche solo due righe, possibilmente in inglese, per dire
qualcosa alle persone in solidarietà delle quali si è manifestato. Scrivete in
calce al messaggio il vostro nome, la vostra età e la città da cui venite. Io
metteròò insieme tutti gli e-mail e farò circolare questo messaggio di solidarietà tra gli amici, le associazioni e
le organizzazioni palestinesi.
In conclusione vi propongo di firmare la
petizione elettronica, rivolta a Mary Robinson; potete accedervi visitando il
seguente sito web: http://www.petitiononline.com/palpet/petition.html
è
molto semplice e veloce. Questa mattina quando io l’ho firmata ero
all’incirca il 400°, questa sera ho visto che c’erano già più di 1100
firme.
Per ora questo è tutto.
Comunicato n. 16
Gerusalemme occupata 16/11/2000
Ieri
otto palestinesi sono stati ammazzati dall’esercito Israeliano. Non so più se
e come commentare queste notizie. Forse puòò
aiutare di più consultare la ricerca sull’Intifada e il processo di pace
condotta dalla Birzeit University in questi giorni. Nella sua forma completa
potete consultarla presso il sito web: http://www.birzeit.edu/disp/
La ricerca, dal titolo “The Palestinian
Intifada and the Peace Process”, è stata condotta da 55 ricercatori tra il 6
e l’8 Novembre in 75 località della Cisgiordania e Gaza, su un campione di
popolazione di 1234 unità. La percentuale di errore calcolata dal Development
Studies Programme, è del 3%.
Traduco
i punti principali che sono stati estrapolati dai ricercatori stessi
dall’analisi dei dati:
– Il 74% degli
intervistati sono contrari al coinvolgimento dei bambini negli scontri.
– La maggioranza dei palestinesi (57,8%) è favorevole alla
continuazione del processo di pace sulla base della legalità internazionale e
delle risoluzioni dell’Onu.
– La percentuale
di coloro che sono favorevoli ad attacchi militari contro obiettivi israeliani
è aumentata fino all’80% (nel marzo 1995 la percentuale dei favorevoli era
del 33% e nei primi di agosto del 1998 era del 44%).
– Di coloro che
sono in favore di attacchi militari, il 41% è favorevole ad attacchi contro
qualsiasi obiettivo israeliano, mentre il 38% è favorevole ad attacchi contro
coloni e obiettivi militari.
– Coloro che
sono sfavorevoli ad attacchi militari contro i civili israeliani che vivono in
Israele sono il 60%, mentre sono il 45% a Gaza.
– Solo il 4% ha
valutato positivamente il risultato del summit arabo del Cairo, mentre il 67,5%
ne ha un’opinione negativa, il 23% è neutrale.
– Il 75% degli
intervistati è favorevole alla continuazione della presente Intifada, e il 68%
pensa che l’obiettivo principale sia la liberazione e la costituzione di uno
Stato indipendente palestinese.
– Il 45,8%
valuta positivamente quello che sta facendo il presidente Arafat, mentre il
17.8% lo valuta negativamente, il 33% ne dà una valutazione media.
– Il 73% è
favorevole ad operazioni militari contro obiettivi americani nella regione.
– Il 78% dei
palestinesi credono che prima o poi sarà costituito uno Stato indipendente.
– Il 57% dà una
valutazione positiva delle posizioni prese dalla popolazione degli altri Stati
arabi, mentre il 18% le valuta negativamente, il 23% ne dà una valutazione
media.
Riporto per intero le tabelle riassuntive
delle risposte date ad alcune domande che riguardano la condizione infantile e
la questione dei rifugiati (i numeri corrispondono alle percentuali sul
campione).
Pensate
che la violenza israeliana abbia avuto un impatto negativo dal punto di vista
psicologico sui bambini della vostra famiglia?
Gaza
Cisgiordania Totale
SI’
91.1 81.3
84.9
No
5.8 10.4
8.7
Insicuri
0.5 0.4
0.4
Non
risponde 2.7 8.0
6.0
Pensate che sia possibile una pace tra palestinesi ed
israeliani senza che Israele riconosca il diritto al ritorno dei profughi
palestinesi?
Gaza
Cisgiordania Totale
SI’
5.8 4.5
4.9
No
92.9 90.7
91.5
Insicuri
1.4 4.8
3.5
Pensate
che ci sia davvero una possibilità che tutti i profughi rientrino
dall’estero?
Gaza
Cisgiordania Totale
SI’
44.6 44.2
44.4
No
49.0 41.8
44.5
Insicuri
6.4 14.0
11.2
Siete
favorevoli o siete contrari alla partecipazione dei bambini (sotto i 18 anni)
negli scontri?
Gaza
Cisgiordania Totale
Favorevoli
28.1 20.8
23.5
Contrari
70.7 76.2
74.1
Insicuri
1.2 3.0
2.3
Vi sentite sicuri rispetto al futuro delle nuove
generazioni?
Gaza
Cisgiordania Totale
Certamente
si’ 8.2 5.3
6.4
SI’
18.1 14.5
15.8
Mediamente
14.9 16.4
15.8
No
34.0 41.4
38.7
Decisamente
no 21.1 17.9
19.1
Non
hanno opinione 3.8 4.4 4.2
I risultati della ricerca sono stati
riportati, parzialmente, anche dal New York Times, quotidiano
notoriamente sionista.
Questa mattina ho ricevuto un appello del
Medical Relief. Riguarda le scuole bombardate a Tulkarem, dove i carri armati
non si sono fermati nemmeno davanti agli edifici scolastici.
Questa notte l’esercito israeliano ha
bombardato per otto ore (!) la cittadina di Beit Jalla. Un medico
tedesco che viveva l ,
è stato colpito da un missile mentre cercava di soccorrere i suoi vicini.
Portato in ospedale si è tentato di salvarlo, amputandogli gli arti inferiori.
E’ morto comunque.
Ancora una volta Marina, che abita a Beit
Jalla e dirige l’Inad Theatre colpito più volte in questi giorni, ci ha
mandato un appello per denunciare il bombardamento israeliano, che pare non
abbia risparmiato nemmeno le ambulanze e il personale paramedico giunti in
soccorso di Harry Fischer, il medico tedesco colpito da un missile. Il
bombardamento è continuato per ore, dice Marina, con carri armati ed elicotteri
che sparavano missili: la cosa più spaventosa. Marina non sapeva ancora quante
persone fossero state ferite o quante case siano state distrutte. Sicuramente
l’orrore per cui sono passati gli abitanti di Beit Jalla è maggiore di
qualsiasi descrizione se ne possa dare.
Comunicato n. 17
Gerusalemme occupata 16/11/2000
Oggi pomeriggio, nel campo di al-Fawwar è
stato ucciso un ragazzo di 20 anni, Sameer Mohammed al-Khdore, e altri tre sono
stati feriti in maniera grave. L’esercito israeliano ha impedito alle
ambulanze giunte in soccorso di entrare nel campo e ne ha sgonfiato le ruote per
impedire che si potessero muovere.
Voglio
tradurre lE-mail che Tariq mi ha inviato per informarmi dell’accaduto: “La
situazione a al-Fawwar ha cominciato a peggiorare dopo le dieci di questa
mattina, 16 novembre. Due ore dopo l’inizio degli scontri, un ragazzo di 20
anni, Sameer Mohammed al-Khdore, è stato ucciso e altri tre ragazzi sono stati
feriti. La gente del campo, dopo aver sentito la notizia, ha cercato di
raggiungere la casa del martire. L’esercito israeliano ha imposto una chiusura
del campo ancor più rigida, oltre ad impedire all’ambulanza che portava il
corpo di Sameer Mohammed al-Khdore di lasciare il campo. L’ambulanza infine si
è diretta verso Hebron per una strada che prende più di un’ora, per quanto
la città di Hebron disti da al-Fawwar solo 8 chilometri. Tutte le strade di
accesso al campo sono state chiuse dall’esercito israeliano. All’incrocio
che porta dentro al campo l’esercito israeliano ha sgonfiato le gomme di tre
ambulanze della Red Crescent Society, per impedire di raggiungere al-Fawwar.”
La
notizia è stata riportata anche dall’Agenzia di stampa internazionale
Reuters.
Oggi pomeriggio ho partecipato al funerale
di Harry Fischer, il medico tedesco di 68 anni che è stato ucciso a Beit Jalla
da un missile israeliano, mentre prestava soccorso ai suoi vicini. La folla di
persone accorse ha sfilato silenziosamente fino alla “Chiesa di Gerusalemme”
di Beit Jalla, dove si è tenuta la cerimonia funebre. Bandiere palestinesi,
tedesche, di al-Fatah, di Hamas e di altre formazioni politiche (Fronte
popolare). Nella processione dalla chiesa al cimitero sono stati scanditi slogan
che inneggiavano all’unità della nazione cristiana e musulmana. La bara,
preceduta da una camionetta dell’esercito palestinese carica di fotografi, è
stata portata alla maniera araba, ossia scoperchiata. Dopo il funerale - insieme
a Carlotta e ad altri italiani - abbiamo visitato le case che sono state colpite
dai bombardamenti di questa notte e abbiamo parlato con la gente. Molti di loro
non hanno un posto dove andare per la notte e quindi rimarranno nelle loro case,
molte delle quali sono senza acqua: le cisterne poste sui tetti sono state
colpite dalle mitragliatrici israeliane.
Al ritorno a Gerusalemme ho saputo che
proprio a cento metri dal mio ufficio, nei pressi del ministero di Giustizia
israeliano, c’è stata una sparatoria. La zona è circondata dai posti di
blocco dei militari israeliani.
Per ora queste sono le notizie.
Comunicato n. 20
Gerusalemme occupata 19/11/2000
Oggi
ancora una volta non sono riuscito ad andare ad al-Fawwar come programmato.
L’esercito israeliano mantiene sigillato il campo, impedendo alle persone di
entrare o uscire, anche a piedi. Tariq, uno dei community activator del Centro
comunitario polivalente di al-Fawwar, ha dovuto trascorrere la scorsa notte da
amici nel campo profughi di Arroub, perché impossibilitato a rientrare a casa.
Solo verso la sera è riuscito a raggiungere a al-Fawwar.
Tutto
questo nonostante quella che mi viene i brividi a chiamare “relativa calma”.
Maesa, la mia ex-collaboratrice che vive nella parte di Hebron sotto coprifuoco
per il cinquantatreesimo giorno consecutivo, dice essere stata la prima notte di
relativa tranquillità. Gli alti ufficiali dell’esercito israeliano (Mofaz in
particolare) hanno dichiarato oggi che percepiscono i segni di un calare della
tensione e dell’incidenza degli scontri. Ma dicono non essere ancora
abbastanza! Non basta nemmeno che Arafat abbia ordinato di non sparare dalle
aree sotto completo controllo palestinese. Cosa si aspettano gli israeliani? Che
la polizia palestinese li difenda dai sassi e arresti i ragazzi che scendono in
strada?
Che Barak scopra le sue carte!
Sarebbe necessario chiederglielo, così
come suggerisce Uzi Benziman, in un articolo apparso
oggi sullEdizione inglese dell’Haaretz, reperibile sul sito internet (www.haaretzdaily.com/htmls/1_1.asp).
Benziman chiede a Barak di dichiarare pubblicamente quali sarebbero state le sue
“concessioni” a Camp David, ad esempio: che percentuale di profughi
palestinesi Israele è pronta a riassorbire, che modifiche ai confini del 1967 i
palestinesi dovrebbero essere pronti ad accettare e così via. Benziman conclude il suo articolo dicendo che solo
un’aperta dichiarazione di quanto è stato proposto da Barak ad Arafat puòò far comprendere se questa sia una guerra “necessaria”.
Per quanto sia impossibile concordare con
questa definizione proposta da Benziman è pur tuttavia vero che ad oggi nessuno
sa che cosa gli israeliani abbiano proposto a Camp David, mentre tutti sanno di
preciso che cosa hanno chiesto e chiedono i palestinesi.
Rimangono alcuni fatti.
Rimane il fatto che anche oggi l’esercito
israeliano ha ucciso due ragazzi a Gaza, uno minorenne e uno di poco più di
vent’anni.
Rimane il fatto che i movimenti in
Cisgiordania e a Gaza sono pressoché impossibili.
Rimane il fatto che anche gli aiuti
umanitari non hanno il permesso di arrivare a destinazione. Questa mattina i
camion di una Ong italiana che ha un progetto di distribuzione alimentare per le
comunità beduine dell’area di Betlemme ed Hebron, sono stati fermati
dall’esercito israeliano. I soldati hanno impedito che i camion raggiungessero
le tribù beneficiarie del loro intervento.
E rimangono ancora tutti i fatti dei giorni
scorsi che nell’avvicendarsi delle notizie non sono stato in grado di
raccontarvi. Ad esempio che qualche giorno fa l’esercito israeliano ha fermato
un palestinese a Beit Ummar, gli ha intimato di scendere dall’auto e
proseguire a piedi; quando questi ha protestato, essendo l’auto in affitto, i
soldati gli hanno sparato alla testa a distanza ravvicinata (fonte: televisione
palestinese).
Rimane il fatto che i soldati israeliani
tre giorni fa, nei pressi di Hebron hanno fermato quattro palestinesi in attesa
di un taxi, li hanno arrestati e poi, a seguito delle loro proteste, gli hanno
sparato uccidendone due e ferendo gli altri due.
Rimane
il fatto che i soldati israeliani hanno adottato come procedura di routine di
sparare alle ruote delle auto palestinesi per impedirne i movimenti.
Rimane il fatto che lo sradicamento degli
olivi, la confisca delle terre e la devastazione dei campi coltivati palestinesi
continua giorno dopo giorno sia per mano dell’esercito israeliano sia per mano
dei coloni israeliani.
Rimane
il fatto che le richieste di un intervento deciso da parte delle Nazioni Unite
ad oggi hanno suscitato in Kofi Annan solo l’idea di creare una commissione di
osservatori, sul tipo della Tiph di Hebron. E solo a parlare dieci minuti con
chiunque abbia vissuto questi ultimi anni a Hebron ci si rende conto di quanto
inefficace e inutile sia stata la presenza di questi osservatori internazionali
(carabinieri italiani inclusi) che non fanno altro che prendere appunti,
scattare fotografie o girare filmati, sempre a distanza di sicurezza dalle
situazioni di conflitto.
Il dottor Robert Kirschner, membro
dell’organizzazione americana Physicians for Human Rights in the United
States, a seguito di una sua visita in Cisgiordania e Gaza ha negato che
l’esercito israeliano stia usando pallottole dum dum. Il suo report è
intitolato “Evaluation of the Use of Force in Israel, Gaza and the West Bank -
A Medical and Forensic Examination.”. Kirschner dice che gli israeliani usano
“solo” pallottole ad alta velocità (pallottole da 7.62 mm. E 5.56 mm.,
usate, a detta degli ufficiali dell’Idf, da “numerose organizzazioni ed
eserciti nel mondo”). Sfortunatamente per i palestinesi, questo tipo di
pallottole hanno più o meno gli stessi effetti devastanti sul corpo umano: una
volta perforati i tessuti umani cambiano direzione all’interno del corpo,
disintegrandosi in esso e producendo schegge e polveri letali.
Sta di fatto che, come dice Moustafa
Barghouti - responsabile per conto della Palestinian Authority del monitoraggio
medico degli incidenti di questi giorni: “In realtà non importa se loro (gli
israeliani, ndt) stiano usando o meno pallottole dum dum. Ora
siamo coscienti dei danni causati dalle pallottole ad alta velocità, che si
comportano come le pallottole dum dum, anche se non si possono definire
tali. Abbiamo a che fare con armi che sono pensate per la guerra e non per
essere utilizzate sui civili”.
Per ora queste sono le notizie.
Gerusalemme occupata 20/11/2000
Questa mattina a Gaza un pullman di coloni
israeliani è stato colpito da una bomba. A bordo del pullman, corazzato e
scortato da camionette militari, viaggiava un gruppo di bambini israeliani e
alcuni adulti. Le notizie dei giornali israeliani e delle principali agenzie di
stampa parlano di 2 morti (adulti) e quasi 10 feriti (tra i quali alcuni
bambini) Rispetto all’accaduto vorrei fare alcune considerazioni. Ma ancor
prima delle considerazioni una premessa: qualsiasi bambino muoia in questo
conflitto, palestinese o israeliano che sia, è una vittima la cui morte è
ingiusta e immorale. Ogni attacco, azione militare, azione dimostrativa che
abbia tra le sue vittime dei bambini è deprecabile e va condannata con forza,
da qualsiasi parte provenga. Ma vengo alle considerazioni. In questi ultimi
giorni, nonostante i bambini palestinesi continuassero ad essere ammazzati
dall’esercito israeliano, nonostante i bombardamenti si susseguissero, con il
loro tragico bilancio non solo di morti, ma anche di feriti e case distrutte
solo dalla parte palestinese, i media italiani, così come parte di quelli stranieri hanno diminuito il
“gettito” informativo. Forse ci si abitua troppo velocemente alla morte,
soprattutto se i numeri si aggiungono da una sola parte al mucchio, e così non si presta nemmeno tanta attenzione se tra questi
numeri ci sono bambini. Sono rimaste invece le polemiche, o per lo meno il loro
strascico, con le quali si è voluto accusare il mondo adulto palestinese per
l’utilizzo strumentale della morte dei loro figli. Oggi invece tutti i media
parlano, a buon diritto, dell’orribile accaduto di Gaza che ha come vittime i
bambini israeliani. Credo che pero’ ci sia una differenza sostanziale nelle
responsabilità che vanno attribuite per la morte dei bambini palestinesi e per
il tentativo di uccidere i bambini israeliani. Innanzitutto le responsabilità
dirette. Un esercito armato e organizzato ha la responsabilità diretta della
morte dei bambini palestinesi. Gruppi non direttamente ricollegabili ad un
esercito vero e proprio sono responsabili per le ferite dei bambini israeliani.
Da queste responsabilità dirette è evidente che mentre uno Stato, Israele, puòò essere ritenuto responsabile per quanto il suo esercito fa, una società
intera, quella palestinese, non puòò essere
accusata di quanto soffrono i bambini israeliani. Veniamo alle responsabilità
indirette. Ai genitori palestinesi in questi giorni si rinfaccia di essere gli
“indiretti” responsabili della morte dei loro figli. Questo senza che
nessuno abbia mai provato che ci siano genitori o gruppi che incitano alla
violenza i bambini o i ragazzini (non ci troviamo infatti nella situazione della
Sierra Leone dove i bambini vengono rapiti, drogati e arruolati; qui i bambini,
se partecipano agli scontri, vi partecipano nonostante gli sforzi che il mondo
adulto palestinese fa per impedirglielo) E per i bambini israeliani? La
responsabilità indiretta è sicuramente dei loro genitori, i coloni, che
coscientemente hanno deciso di vivere su terra rubata e internazionalmente
riconosciuta come spettante al popolo palestinese. Che dire quindi della loro
responsabilità? Perché nessuno accusa i coloni israeliani che costringono i
propri figli a vivere in quegli insediamenti che hanno più l’aspetto di
fortificazioni militari invece che di normali comunità? I genitori israeliani
delle colonie sanno che vivono in un contesto pericoloso, per loro e per i loro
bambini, altrimenti perché manderebbero a scuola i loro figli in autobus
corazzati e scortati dall’esercito? La loro è una scelta precisa, che
certamente non toglie alcuna responsabilità diretta a chi compie attacchi o
operazioni militari contro i loro figli, ma che sicuramente li carica della
responsabilità indiretta che questa stessa scelta implica. I coloni scelgono
coscientemente di vivere in una terra che non è la loro, per quanto affermino
il contrario, e chi è consapevole che il diritto internazionale vale più delle
promesse che Dio ha fatto al popolo ebraico più di 3.000 anni fa deve agire per
attribuire le responsabilità dirette e indirette a chi spettano. Tutti si
devono rammaricare e sentire profondamente offesi per la morte o il ferimento di
bambini in questo conflitto, ma è necessario smettere di accusare i genitori
palestinesi per la responsabilità indiretta che hanno nella morte dei loro
figli e cominciare ad accusare i genitori coloni israeliani che costringono i
loro figli a vivere in una situazione di illegalità che mette la loro vita a
rischio.
Così
come credo sia necessario cominciare a chiamare anche i bombardamenti
israeliani su Gaza terrorismo! Sono state uccise due persone e più di
150 sono rimaste ferite, senza contare i danni alle strutture: come si potrebbe
chiamare altrimenti un’operazione militare che ha avuto per obiettivo la
popolazione civile? e’
necessario chiedere ai nostri media di raccontare la verità con le definizioni
giuste! Scriviamo lettere, fax e mail a coloro che continuano a distorcere la
verità, anche quando la verità è chiara di per sé: gli israeliani stanno
massacrando i palestinesi perché lo Stato di Israele non è pronto per la pace.
Ieri era l’undicesimo anniversario della Convenzione dei diritti del bambino.
A questo proposito Dci-ps ha fatto circolare un appello che si puòò trovare sul loro sito (www.dci-pal.org).
Continuano gli attacchi dei coloni
israeliani contro i palestinesi, l’Alternative Information Center ha diramato
un altro rapporto. Rispetto alla questione dei coloni vorrei ricordare un
particolare che viene ribadito troppo poco: i coloni israeliani, che sono
civili, hanno il diritto di girare armati ovunque, senza alcun controllo da
parte dell’esercito israeliano!
Oggi
è martedì , circa una settimana fa avevo chiesto a tutti
coloro che leggono quanto viene inviato da qui e hanno partecipato alla
manifestazione di Roma, di far sentire ai nostri amici palestinesi la propria
voce di solidarietà, scrivendo due righe, qualche parola (possibilmente in
inglese) che io poi potessi copiare su un volantino o un comunicato da far
circolare tra le persone e le associazioni che conosco. Mi rammarico e mi
vergogno a dirlo, ma ho ricevuto solo tre messaggi. Solo tre persone, che
rappresentano ciascuna delle realtà associative più o meno grandi, hanno
risposto a questo appello. Ovviamente mi scuso con loro, ma non farò circolare un messaggio di solidarietà firmato
da tre sole persone, come se questi rappresentassero i manifestanti di Roma. Mi
impegneròò
di sicuro a recapitare i loro messaggi, ma sicuramente non potròò dire ai palestinesi che questi rappresentano la voce
di coloro che hanno manifestato a Roma. Coloro che hanno manifestato a Roma sono
rimasti zitti. Non so e non capisco perché. Forse ho utilizzato un sistema
sbagliato per chiedere alle persone di esprimere la propria solidarietà? Ci
sono certamente modi più efficaci per far sentire la solidarietà, questo è
sicuro, ma non credo che l’uno impedisca l’altro. Due o tre minuti da
spendersi al computer, anche per scrivere due righe in italiano, non credo siano
mancate a nessuno. Ma tra le centinaia di destinatari di questi comunicati, solo
tre hanno deciso di farlo. Mi chiedo perché e soprattutto mi chiedo che cosa
stia significando per chi legge questi comunicati ciò che scrivo.
Con rammarico.
Comunicato n. 22
Gerusalemme occupata 23/11/2000
Ieri l’attentato al bus di Khadera, in
territorio israeliano, ha fatto dimenticare quanto è accaduto la mattina stessa
a Gaza, nei pressi di Rafah. Due automezzi privati palestinesi, che transitavano
nelle vicinanze dell’insediamento israeliano di Morag sono stati colpiti dal
fuoco di un carro armato dell’esercito israeliano. I due automezzi, dai quali non
è stato sparato alcun colpo di arma da fuoco, sono stati presi di mira
senza alcun motivo dai soldati israeliani. Quattro palestinesi sono morti e otto
sono rimasti feriti. Le ambulanze intervenute non hanno avuto il permesso di
soccorrere i feriti e recuperare i corpi delle persone uccise. I soldati
israeliani hanno tenuto i corpi dei palestinesi uccisi e i feriti all’interno
dell’insediamento di Morag per più di un’ora e mezza. Uno dei feriti è
stato arrestato. Alla stampa non è stato permesso di fotografare. Questi
avvenimenti stanno aumentando il clima di terrore che Israele intende imporre
come soluzione dell’attuale crisi.
Oggi su Nablus un aereo da guerra ha
lanciato una bomba da addestramento sulla città, “per errore” hanno
dichiarato le autorità militari israeliane. Le vittime palestinesi degli
scontri si contano un po’ ovunque. Non so dirvi esattamente quante persone
oggi abbiano perso la vita o siano rimaste ferite.
Ieri, a Teqoa, un villaggio a pochi
chilometri da Betlemme, un colono è arrivato in paese con un fuoristrada e si
è fermato davanti ad una pasticceria dove si trovavano alcuni ragazzi
palestinesi. Fra di loro c’era un ragazzo che alcuni giorni prima era già
stato minacciato. Il colono, dopo essere sceso dall’auto, ha sparato sul
gruppo di ragazzi con una mitraglietta Uzi. In tutto ci sono stati quattro
feriti gravi. Avvenimenti come questo capitano ogni giorno in molti dei villaggi
palestinesi che si trovano vicino agli insediamenti. Nella maggior parte dei
casi i testimoni riportano di avere visto i soldati agire insieme ai coloni sia
in atti di vandalismo contro i beni (terre, coltivazioni, abitazioni ecc.) sia
in atti di terrore nei confronti della popolazione civile palestinese (spari
contro le auto, spari contro le abitazioni e gli abitanti ecc.).
Ieri mattina nel centro storico di Hebron,
che vi ricordo essere sotto coprifuoco da 55 giorni consecutivi, i soldati e i
coloni israeliani dell’insediamento che si trova in mezzo alla città hanno
distrutto tutte le bancarelle del mercato palestinese della frutta e della
verdura. Le scuole, che già vi ho scritto essere state occupate dall’esercito
israeliano, continuano ancora ad essere usate come basi militari. Migliaia di
bambini e ragazzi sono ancora obbligati a stare chiusi in casa insieme ai loro
genitori, giorno e notte, tranne quando i militari, con i megafoni, annunciano
la sospensione del coprifuoco per qualche ora.
e’ di oggi la notizia che tutti gli uffici di
contatto tra forze di sicurezza palestinesi e israeliane sono stati chiusi per
decisione unilaterale di Israele. Israele in sostanza sta diffondendo un clima
di vero terrore tra la popolazione civile palestinese. Amira Hass, giornalista
dell’Haaretz, ha definito l’attuale situazione una
“libanizzazione” del conflitto3.
Qualche
giorno fa ho scritto ancora una volta delle accuse ai genitori palestinesi.
Ieri, sull’edizione internet del Jerusalem Post, è uscito l’ennesimo
articolo sulla questione. Veniva riportata anche la ricerca delle Birzeit
University, dalla quale nei giorni scorsi ho estrapolato dei passi e
sintetizzato i punti principali. Ebbene l’articolista afferma che, benché il
70% o più degli intervistati consideri negativamente il coinvolgimento dei
bambini negli scontri, il fatto stesso che la domanda sia stata posta significa
che il problema esiste…
Per capire meglio che cosa intendono per bambini
in Israele potete leggere l’intervista che Amira Hass ha fatto ad un tiratore
scelto israeliano. E’ stata tradotta in italiano da Carlotta ed è stata
pubblicata su il manifesto del 22/11/2000. In sintesi sembra che i
soldati israeliani possano sparare a tutti coloro che hanno più di 12 anni
perché questa è lEtà per i bambini ebrei del Bar Mitzva, ossia il rito
religioso con il quale entrano nella comunità degli adulti. Non sembra dunque
un caso che Israele, come ha ricordato Dci, non abbia ancora presentato il suo
rapporto alla commissione delle Nazioni Unite per i diritti dei bambini.
La strada per andare ad al-Fawwar, è
sempre più desolata. Dopo Betlemme non transitano quasi più auto, ma solo
mezzi militari, soprattutto se si prende la by-pass road, ossia la strada
che gira intorno alle città palestinesi e tocca solo gli insediamenti
israeliani. A passare per i villaggi e le città palestinesi si impiegherebbero
ore. Ogni strada è chiusa con blocchi di cemento e materiali di recupero posti
dai soldati israeliani per impedire la mobilità dei palestinesi. Le persone
arrivano fino ai blocchi con i taxi, scendono, scavalcano le barriere a piedi e
quindi proseguono con altri taxi che li aspettano dall’altra parte. Quando va
bene…: molte volte i soldati bloccano i taxi e fanno attendere i passeggeri
ore interminabili. A volte decidono pure di sgonfiare o tagliare le gomme.
Ma ritorniamo ad al-Fawwar. L’entrata del
campo è sempre chiusa. Ora non si puòò
nemmeno passare per la strada parallela del campo di zucche. Se ne è creata
un’altra, che fa un giro molto più largo. Di l i
soldati lasciano passare qualche auto. Ma il loro nuovo sistema per impedire ai
palestinesi di muoversi consiste proprio in questo: lasciano passare le auto, ma
ad un certo punto le seguono con le loro camionette e le bloccano in mezzo alla
strada del campo. L sequestrano
le chiavi al conducente per ridargliele ore dopo o non riconsegnarle affatto e
quindi di l non
riescono a passare altre auto. Uscendo da al-Fawwar anche io sono stato seguito
da una camionetta di militari. Mi sono fermato e ho tirato fuori le mani dal
finestrino mentre i soldati uscivano dal loro mezzo militare puntando i fucili.
Mi hanno lasciato andare dopo aver visto il mio passaporto, ma se fossi stato un
palestinese non so se sarebbe andata alla stessa maniera. E devo dire che dopo
aver sentito quanto era accaduto ieri mattina a Gaza, mi sono davvero impaurito.
Una volta uscito da al-Fawwar sono stato
fermato un’altra volta a Beit Haggai, l’insediamento vicino al campo, da
dove ieri i coloni hanno sparato sulla strada contro le auto in transito. L "solo" un controllo di routine per me, mentre
i taxi palestinesi venivano rimandati indietro verso non so dove, visto che
tutte le strade che portano a villaggi e città palestinesi nelle vicinanze sono
chiuse. Qualche chilometro più avanti, in corrispondenza dell’entrata a sud
di Hebron ho incontrato una ventina di auto della polizia e una ventina di jeep
dell’esercito. In mezzo alla strada stava un gruppo di coloni israeliani. Un
militare mi ha fermato spiegandomi che quelli (i coloni) stavano ‘solo’
pregando. In mezzo alla strada? Armati? Fortunatamente non è accaduto nulla.
Ma non solo, pare che l’Idf stia usando
anche mine antiuomo Sembra che l’esercito israeliano non si accontenti di
incutere terrore con atti come quello di ieri mattina a Gaza. Dci-ps ha diffuso
un comunicato in cui i soldati israeliani vengono accusati di piazzare mine
antiuomo in corrispondenza dei punti di chiusura dei territori.
Alcune delle persone che leggono questi
messaggi hanno cominciato a mandare delle informazioni circa articoli di
giornale o servizi televisivi che riportano le notizie sull’attuale conflitto
in maniera distorta. Invito tutti a continuare in quest’opera di monitoraggio.
Se si riuscissero a coordinare anche azioni di protesta come quella che abbiamo
proposto qualche giorno fa per criticare i servizi della Rai, ancora meglio. Per
ora queste sono le notizie.
Comunicato n. 24
Gerusalemme occupata 27/11/2000
Oggi inizia il Ramadan e gli israeliani,
proprio questa mattina verso le quattro hanno già ammazzato cinque palestinesi
nei pressi di Qalkilia. Ieri è stata la giornata della manifestazione degli
“internazionali” a Ramallah per mostrare solidarietà ai palestinesi e far
vedere loro che non tutti i non-palestinesi hanno deciso di andare via (come
invece hanno fatto molti rappresentanti delle Nazioni Unite).
Carlotta ha partecipato insieme ad altri
italiani. Circa 130 persone erano presenti; molti i giornalisti sia locali che
internazionali. La manifestazione è partita da Manara Square per concludersi
proprio sotto l’insediamento di Psagot da dove ogni notte i coloni e i soldati
israeliani sparano sulle abitazioni dei civili palestinesi. I manifestanti hanno
visitato una casa bombardata dove due palestinesi hanno perso la vita. Gli
“internazionali” si sono assunti l’impegno di compiere ulteriori azioni
dimostrative per richiamare l’attenzione della comunità internazionale su ciòo’ che sta accadendo ai palestinesi in questi mesi.
Io sono andato a al-Fawwar dove stiamo per
avviare la clinica di prima emergenza presso il Centro comunitario polivalente.
Prima di andare ad al-Fawwar passo ad Hebron per salutare Haroun, il collega
della Palestinian Red Crescent Society (il corrispondente arabo della Croce
Rossa). E’ occupatissimo perché l’emergenza sta diventando la routine. Mi
racconta delle mille difficoltà che sta attraversando l’ospedale che si trova
nella parte della città sotto coprifuoco: i pazienti non possono più
raggiungerlo e questo, oltre a causare un danno a chi ha bisogno di cure, sta
creando un deficit inimmaginabile per la struttura. I costi di funzionamento,
per le attrezzature e per il personale, non sono più sostenibili.
Visto che sono a Hebron decido di visitare
Maesa, la mia ex collaboratrice, che vive nella zona della città sotto
coprifuoco dal 30 settembre.
Il coprifuoco è stato tolto per qualche
ora e così posso
camminare “liberamente” per Shouada Street, la strada dove si trova
l’insediamento israeliano e che porta direttamente nel cuore della città
vecchia.
All’entrata, tutta ingombra di macerie,
c’è un primo posto di blocco corazzato dell’Idf. Subito dopo aver percorso
cento metri di strada sulla quale si affacciano solo case palestinesi (finestre
e porte completamente sigillate) si passa davanti alle tre o quattro case
dell’insediamento israeliano. L davanti
un altro posto di blocco, all’incirca una ventina di soldati in assetto da
guerra. Subito dopo si passa davanti all’incrocio con la strada che fino a
qualche mese fa i palestinesi potevano percorrere con le proprie auto (uno dei
risultati dell’accordo di Sharm el-Sheik del settembre 1999).
Percorsi ancora duecento metri di strada
pattugliata da una decina di soldati, si arriva al mercato della frutta e della
verdura, l’inizio della città vecchia vera e propria. Là ci sono le
bancarelle distrutte qualche giorno prima dall’esercito e dai coloni
israeliani. Un dispetto.
Più avanti ancora un altro posto di blocco
corazzato e quindi si imbocca la strada che passa davanti al cimitero e che
porta o alla Moschea/Sinagoga dei Patriarchi o alla zona industriale di Hebron.
A questo bivio, sul tetto di una farmacia palestinese, l’esercito israeliano
ha costruito un posto di avvistamento con sacchi di sabbia e una parabolica per
tetto. L è
appostato un soldato che imbraccia un fucile di precisione con mirino
telescopico. In lontananza si vede la scuola elementare palestinese occupata
dall’esercito israeliano. L stazionano
due carri armati. La notte precedente proprio da questi carri armati sono stati
sparati colpi di mortaio dalle 22:00 fino alle 4.00.
Un gruppetto di bambine con la divisa a
righe della scuola pubblica passa proprio sotto la postazione israeliana. Il
soldato dall’alto urla: “Dove state andando?”, loro rispondono che casa
loro è dietro l’edificio. Il soldato fa cenno con il fucile di passare. Le
bambine corrono via.
Procedendo
per la strada incontro ancora militari, a gruppetti di quattro o cinque, che
nonostante la sospensione del coprifuoco fermano le persone, chiedono i
documenti e a loro discrezione mandano indietro alcuni e fanno passare altri.
Contrariamente a quanto mi aspettavo fanno transitare anche qualche auto, mentre
ad alcune auto, che probabilmente sono state lasciate passare da altri militari,
sgonfiano le ruote.
Finalmente arrivo a casa di Maesa. La
famiglia mi racconta la notte passata sotto ai colpi di cannone. Mi dicono di
aver sbirciato sul tetto di casa ed aver visto i proiettili passare proprio
sopra le loro teste.
Dopo circa un’ora decido di riprendere la
strada per al-Fawwar. Con me esce anche Wajda, una delle sorelle di Maesa che ha
da portare dei vestiti di ricambio a Buran, la sorella. Per poter seguire i
corsi dell’Università Buran ha dovuto affittare una stanza a Betlemme, così da non dover sperare ogni giorno nella temporanea
sospensione del coprifuoco. Wajda ha un po’ più di libertà di movimento
perché lavora alle Nazioni Unite, ma anche questo non impedisce ai soldati di
fermarla e spesso rimandarla indietro.
Passando sotto la farmacia da cui il
soldato osserva il bivio per la moschea/sinagoga, Wajda mi racconta che proprio
quel soldato qualche giorno prima l’ha fermata puntandole il fucile contro.
Lei ha mostrato la sua carta di riconoscimento da dipendente Un e il militare
l’ha ispezionata dall’alto col binocolo. Poi le ha fatto cenno di procedere.
Passato il controllo dei passaporti al
posto di blocco militare dell’insediamento israeliano, iniziamo a percorrere
gli ultimi cento metri di zona araba. L le finestre hanno cominciato ad aprirsi e c’è qualcuno per strada. Da una
porta esce una signora; io e Wajda stiamo ridendo: lei mi racconta di esser
stata spesso scambiata per una colona (ha i capelli lunghi, non porta il velo e
le piacciono i cappellini che di solito usano le israeliane). La donna cerca di
convincere una bambina in lacrime ad uscire per strada. Indica noi e cerca di
tranquillizzarla facendole vedere che noi ridiamo e che non c’è nulla di cui
preoccuparsi (come mi traduce Wajda). La bambina è disperata e punta piedi e
mani per non uscire dal portone.
Dall’altra parte dell’ultimo posto di
blocco Hebron sembra un’altra città. Per il Ramadan le bancarelle si sono
moltiplicate. La gente fa acquisti come da noi nei giorni prima di Natale.
Ovviamente c’è più povertà, quindi si comprano calze, canottiere, fichi
secchi, arance e piccola paccottiglia.
Davanti
all’ufficio della Prcs incontro i giornalisti della Rai (radio-giornale), de Il
Sole 24 Ore e del Corriere della Sera che il giorno prima mi avevano
contattato per visitare al-Fawwar. Per raggiungere il campo prendiamo la strada
che passa per Dura, che purtroppo alla fine, proprio a venti metri dal campo, è
bloccata. Bisogna prendere una strada sterrata e fare più di un chilometro in
mezzo ai campi per riprendere la strada asfaltata che porta al campo. L
ci sono ancora i soldati e i cumuli di macerie
che hanno messo sulla strada per impedire l’entrata al campo. Proprio davanti
alla strada bloccata che viene da Dura c’è un’altra strada sterrata che
passa per altri campi e che porta ad al-Fawwar. Ancora circa un chilometro di
sterrato dunque. In mezzo alla strada troviamo un pullmino-taxi fermo e il
conducente ci ferma per spiegarci che i soldati hanno sparato alle gomme del suo
mezzo. Dopo ore sono riusciti a sostituire le quattro ruote e, pronti a
ripartire, sono stati raggiunti un’altra volta dai soldati che hanno
sequestrato le chiavi del mezzo. E così loro
sono l ad
aspettare da tutto il pomeriggio.
Ad al-Fawwar, presso il Centro comunitario
polivalente, si è radunato tutto il comitato esecutivo del progetto ed è
venuto anche Abu Yiad, il responsabile dell’Unrwa per il campo. Hanno voglia
di raccontare le storie dei giorni passati, di ricordare i due ragazzi uccisi
senza motivo, l’uno mentre telefonava sul tetto di casa, l’altro mentre
passeggiava alla vigilia del suo matrimonio. Il giornalista de Il Sole 24 Ore
chiede a Ziad, il responsabile del Comitato di campo, se l’Olp abbia dato
ordini di attacco o difesa rispetto ai soldati israeliani. Ziad dice di no.
Mostrano loro il Centro e la clinica tirata a lucido in attesa che il dottore
possa iniziare il suo lavoro e che si riescano a portare nel campo le medicine e
le attrezzature per le necessità di base del funzionamento.
Sono le 15:30 e i giornalisti hanno timore
che faccia buio, per cui decidono di rientrare. Io mi fermo ancora un po’ per
gli auguri di rito per il Ramadan e quindi anch’io torno a Gerusalemme.
In corrispondenza dell’entrata
(anch’essa bloccata) del villaggio di el-Khader la strada è ricoperta di
sassi. Le camionette con i militari in assetto da guerra cominciano a convenire
in quel punto per colpire i responsabili della sassaiola. Finalmente passo e
raggiungo Gerusalemme. L chiamano
Carla e Gianluca, altri due cooperanti che vivono a Beit Jalla, mi dicono che
col buio sono iniziati i colpi di arma da fuoco provenienti dall’insediamento
del Gilo.
Questa mattina gli amici dell’Inad ci
confermano che per la terza volta il loro teatro è stato bombardato.
A proposito delle riflessioni sulle
responsabilità dei genitori coloni israeliani è uscito un articolo
interessante su The Indipendent a firma Phil. Reeves, secondo il quale
anche i “liberali” israeliani incomincerebbero a farsi qualche domanda
sull’opportunità di mantenere i coloni nei Territori palestinesi occupati
(Amos Oz, Abraham Yeoushua e altri intellettuali israeliani hanno fatto un
appello in questo senso proprio alcuni giorni fa). Reeves continua dicendo che i
genitori israeliani coloni, decidendo di vivere negli insediamenti, mettono a
repentaglio la vita dei propri figli.
Purtroppo pero’ è di oggi la notizia
riportata dal Jerusalem Post che la Land Administration del governo
israeliano ha approvato la costruzione di 607 nuove unità abitative negli
insediamenti in Cisgiordania e Gaza.
E le notizie preoccupanti non sono finite. Secondo Uzi
Mahnaimi, su The Sunday Times (Uk),del 26 novembre 2000, l’Idf starebbe
addestrando i suoi soldati per rioccupare i Territori palestinesi ad oggi sotto
l’Autorità palestinese (aree A).4
Per ora queste sono le notizie.
Comunicato n. 26
Gerusalemme occupata 30/11/2000
In questi ultimi due o tre giorni tutto
sembra immobile. Come se non accadesse nulla. Eppure sono stati ammazzati ancora
dei palestinesi (più di cinque in questi ultimi tre giorni), eppure il blocco
delle principali vie di accesso alle città e ai villaggi palestinesi rimane,
eppure l’occupazione militare israeliana continua anche se con meno clamore
dei media, eppure continua imperterrito il coprifuoco di Hebron (per il
sessantatreesimo giorno consecutivo) e la notte i carri armati sparano ancora
sulla zona della città vecchia. Forse la crisi politica israeliana ha sottratto
attenzione a quanto accade per le strade dei territori palestinesi, o forse si
tratta di una di quelle oscillazioni di attenzione che ci vengono imposte dai
media (anche a noi che vediamo le cose con i nostri occhi).
Oggi
andando ad al-Fawwar ho ritrovato gli stessi blocchi stradali di qualche giorno
prima. I palestinesi continuano ad uscire dalle loro città o dai loro villaggi
giungendo con i taxi ai “confini” imposti dagli israeliani, scavalcano
cumuli di terra al di là dei quali li attendono altri taxi e quindi sperano di
non essere fermati dalle pattuglie militari, che ormai costituiscono, per quanto
vedo io, il principale traffico per le strade della Cisgiordania.
Ad al-Fawwar poi, ogni via di accesso è
stata completamente chiusa. Con l’auto non si puòò nemmeno più passare dai campi. Pare che ieri un ragazzo di Dura, il
villaggio davanti a al-Fawwar, abbia cercato di lanciare un ordigno esplosivo
contro la jeep israeliana che staziona giorno e notte davanti al campo.
L’ordigno è esploso pero’ tra le sue mani. E quindi oggi l’esercito
israeliano ha imposto la punizione collettiva: tutte le strade sono state
bloccate con terra, sassi e blocchi di cemento. Nemmeno le auto delle Nazioni
Unite possono entrare.
Per raggiungere il campo ho dovuto lasciare
l’auto fuori e camminare per i quasi due chilometri che portano dalla strada
al Centro comunitario polivalente.
Rientrando a Gerusalemme mi è capitato di
essere testimone di una delle tante misure di repressione/oppressione
dell’esercito israeliano. Mentre guidavo ho notato tre o quattro persone
correre su una collina di fronte a me. Mi stava precedendo ad andatura
abbastanza sostenuta una camionetta dall’esercito israeliano. Probabilmente
anche loro hanno notato le persone correre sul lato opposto della collina e
hanno improvvisamente accostato; due militari sono scesi immediatamente per
salire su un rialzo opposto alla collina dove i tre o quattro stavano correndo.
Da l gli
hanno sparato. Non so se li abbiano colpiti, perché non ho voluto fermarmi, ma
resta il fatto che le persone che stavano correndo, per quanto si poteva vedere
dalla strada che stavamo facendo io e i soldati israeliani, avrebbero anche
potuto essere l a
giocare a nascondino.
Questa
mattina invece un ragazzo di 14 anni, Shadi Hassan Zoul, è stato investito
intenzionalmente da un colono israeliano che poi è scappato lasciando il
ragazzo morto sulla strada.
E la campagna di accusa nei confronti dei
genitori palestinesi continua sia sui media israeliani che americani. Oggi il Jerusalem
Post ha pubblicato un articolo intitolato: “Report: PA urging kids to risk
their lives” di Margot Dudkevitch. Secondo la giornalista, il Palestinian
Media Watch, un organo israeliano di monitoraggio dei media palestinesi, avrebbe
individuato sui giornali e nelle trasmissioni televisive palestinesi incitamenti
espliciti ai bambini da parte del mondo adulto palestinese a sacrificarsi anche
col martirio. Viene citata perfino questa frase di un bambino di Jabalia:
“potenzialmente siamo tutti martiri per Gerusalemme e la patria”.. Non si
riesce a capire come un’affermazione del genere possa provare che gli adulti
palestinesi incitano i loro figli a morire. Sempre a questo proposito ieri
l’American-Arab Anti-Discrimination Committee ha denunciato come la campagna
di accuse infamanti contro i genitori palestinesi stia procedendo anche sui
media statunitensi. L’Orlando Sentinel ha pubblicato il 26/11/2000 un
articolo a dir poco razzista a firma di Stan K. Sujka (urologo e presidente
dell’Holocaust Center di Maitland) il quale, utilizzando la compassione per i
bambini come pura mossa retorica, esplicitamente accusa i genitori palestinesi
di mandare i propri figli a morire, nutriti solo d’odio per Israele5.
Come già faceva notare Dci-ps ancora una volta viene utilizzata la tecnica di
accusare le vittime invece che attribuire le responsabilità agli oppressori.
Per ora queste sono le notizie.
Note
1 Chi vuole
rimanere al corrente dei dati del Medical Relief e di Defence for Children
International-Palestinian Section, puòò dare
un’occhiata ai loro siti web, che vengono regolarmente aggiornati sui fatti di
questi giorni: Medical relief-http://www.upmrc.org/, dc/ps-www.dci-pal.org/.
2 Chi è
interessato a dare un’occhiata ai vari accordi che hanno segnato la storia
palestinese – fin dall’inizio del secolo – puòò visitare il seguente sito web: www.palestinehistory.com/document.htm, dove
si possono trovare anche le varie risoluzioni dell’Onu sulla questione
palestinese.
3 Per leggere l’
articolo di Amira Hass si puòò
visitare il sito di Haaretz (http://www.haaretzdaily.com/htmls/1_1.asp)
cercando nellEdizione del 22/11/2000.
4 L’articolo di
Phil Reeves e quello di Uzi Mahnaimi si possono trovare nella loro forma
originale sul sito www.infopal.org/palnews/.
5 I riferimenti
per saperne di più sulla questione specifica li trovate sul sito internet http://www.adc.org.