Comunicati ottobre 2000
Comunicato n. a
Gerusalemme 6/10/2000
In questi giorni la situazione nei territori occupati
palestinesi sta diventando sempre più drammatica. Ad oggi i morti sono più di
70 e i feriti circa 2.500. Non è una guerra, come continuano a ripetere i
telegiornali italiani, ma un’operazione, su vasta scala, di violenta
repressione della popolazione civile palestinese che lede i più elementari
diritti umani.
I due terzi dei morti sono al di sotto dei 18 anni. La
città di Hebron da sei giorni è sotto coprifuoco per 24 ore al giorno e gli
abitanti palestinesi non possono nemmeno affacciarsi alle finestre. Maesa è
asserragliata in casa con tutta la sua famiglia. Il cibo sta finendo e nella
zona dove abita lei non si può nemmeno uscire per fare la spesa.
Gli
abitanti delle colonie israeliane nei territori palestinesi si sono uniti
all’esercito israeliano per attaccare indiscriminatamente i civili palestinesi.
Ieri a nord di Gerusalemme una bambina palestinese di due anni e mezzo è stata
uccisa con un colpo di arma da fuoco alla testa in un’imboscata tesa da alcuni
coloni israeliani su una strada di transito frequentata da palestinesi.
Oggi
sono stato testimone di un vero e proprio accerchiamento della moschea al-Aqsa
di Gerusalemme da parte dell’esercito israeliano. Dalle mura i ragazzi
palestinesi lanciavano sassi, dall’altra parte risponde uno degli eserciti più
potenti del mondo, che non si è fatto remora di sparare ad altezza d’uomo, di
uccidere un bambino e di impedire alle ambulanze dei soccorritori (per ben tre
ore!) di intervenire.
I miei amici palestinesi dicono che è una situazione
molto più grave di quella dell’Intifada del 1987. L’esercito israeliano
addirittura spara dagli elicotteri, lancia missili sui manifestanti e bombarda
le case dei civili. Diverse persone sono morte asfissiate dalle bombe
lacrimogene lanciate dagli elicotteri.
Oltre a fornire informazioni da qui non mi è possibile
fare di più. Il lavoro ovviamente si è fermato. Al-Fawwar non è raggiungibile
e come ho detto sopra Hebron è chiusa.
Il senso di impotenza e la frustrazione che ne deriva,
mi rendono particolarmente triste. Non riesco ad accettare tanta violenza e
tanta ingiustizia. Vi chiedo dunque di fare quanto potete per portare
all’attenzione dell’opinione pubblica non più solo la cronaca dei fatti, ma
anche un’analisi e di conseguenza una presa di posizione politica a difesa dei
diritti umani violati in questa terra. E’ necessario che la società civile
italiana esiga, a voce alta, il rispetto delle risoluzioni dell’Onu da parte
di Israele. Non è possibile che persista un assopimento generalizzato a causa
di giochi politici che non appartengono alla gente di Palestina. Tutto può servire in questo momento: lettere ai
giornali cittadini, discussioni pubbliche, raccolte di firme da inviare ai
governanti nazionali o cittadini, appelli alla Commissione europea.....
Solo un mese fa sono scesi in Palestina quasi mille
delegati degli Enti locali italiani. Si è parlato tanto di pace, giustizia e
del rispetto delle risoluzioni Onu come base per ogni possibile accordo. Ora è
il momento di far diventare realtà quelle parole. Quella missione dovrebbe pur
poter essere utilizzata come trampolino di lancio per una campagna di
sensibilizzazione e intervento!!
Spero di avere presto, almeno dall’Italia, notizie
confortanti.
A presto
Comunicato n. b
Gerusalemme 8/10/2000
La situazione in Palestina non sembra
migliorare.
Dopo
sei giorni di coprifuoco ininterrotto nella parte di Hebron sotto controllo
militare israeliano, oggi finalmente c’è stata una sospensione, seppur
temporanea. Per due ore (dalle 9:00 alle 11:00) la gente è potuta uscire di
casa. Già ieri dagli altoparlanti i militari israeliani avevano annunciato la
sospensione del coprifuoco, ma subito dopo il permesso di uscita per i
palestinesi era stato revocato. Gli amici di Hebron mi hanno raccontato che
questa notte gli spari sono andati avanti fino alle 4:00. Sono stati usati di
nuovo gli elicotteri e i coloni hanno affiancato i militari israeliani, sparando
ancora una volta sulle case dei civili. Maesa mi ha raccontato di alcuni suoi
amici costretti a dormire in cucina perché le loro finestre sono state prese di
mira dagli spari dei settlers.
Ma i fanatici israeliani armati non sono scesi in forze
solo ad Hebron. Un po’ ovunque – a Nablus, Jenin, Ramallah – i coloni
fanno posti di blocco, imboscate, sparano alle case dei palestinesi e tagliano i
fili elettrici. Ieri sera nella zona di casa nostra, a El Lahzaria e Abu Dis,
c’è stato un gran movimento di macchine fin verso le tre di notte.
Continuavano a passare ronde di ragazzi: forse temevano la discesa dei coloni
dai vicini insediamenti.
Ad
al-Fawwar la strada continua ad essere bloccata
dall’esercito israeliano, contro il quale sono cominciate proteste e anche
qualche scontro. Abu Hiad mi ha comunicato che ad oggi due ragazzi del campo
sono stati feriti da proiettili di gomma. Mi ha parlato anche di scontri nei
dintorni, a Dura e Yatta. Anche là i coloni tendono imboscate e sparano sulle
case dei palestinesi.
Due giorni fa gli elicotteri israeliani hanno sparato
sul campo profughi di Arroub, ferendo 25 palestinesi.
L’ultimatum che Barak ha lanciato ai palestinesi è
un vero insulto alla ragione e al diritto internazionale. Come può una forza occupante dare un ultimatum agli
occupati affinché smettano la violenza? Come può Barak attribuire ad Arafat la responsabilità per il rapimento dei tre
soldati al confine del Libano? Come può uno
Stato democratico, come dichiara di essere Israele, sparare su dei manifestanti
al di qua e al di là dei propri confini, al sud del Libano come in Galilea?
e’ necessario che in Italia così
come ovunque ci si mobiliti subito per smascherare
questo ricatto israeliano. Non si deve più accettare la sporca tattica
israeliana di attaccare da posizioni di difesa! In queste ore si deve fare di
tutto affinché i palestinesi non siano vittime dell’ultimatum israeliano. Si
deve smascherare il tentativo israeliano di portare lo scontro a livelli molto
più alti, senza lasciare loro la falsa giustificazione di essersi difesi mentre
cercavano la pace.
Oggi ho sentito Jaqueline Sfeir, la responsabile del
dipartimento di Educazione dell’Università di Betlemme, con la quale avevo
lavorato l’anno scorso. Non ha voluto parlare molto: forse non sapeva che
dire. Di solito lei è sempre positiva, questa volta mi è sembrata molto
pessimista.
I palestinesi non devono essere lasciati soli!
Mobilitatevi ogni giorno, ogni ora, scrivete ai giornali perché siano più
corretti nell’informazione, fate appelli ai nostri governanti e ai
responsabili delle Nazioni Unite, dormite davanti ai consolati e alle ambasciate
israeliane, esigete giustizia per questo popolo oppresso da più di 50 anni!
Comunicato n. c
Gerusalemme 11/10/2000
Al campo stanno tutti bene, a parte Abu Hiad che ha
l’influenza; la situazione comunque non si è per nulla normalizzata. Si è
deciso con Tariq e Hasan di tenere il Centro Comunitario Polivalente chiuso fino
a quando le cose non si tranquillizzeranno. Domani, se riuscirò a tornare ad al-Fawwar, ne
riparleremo.
Gli animi comunque mi sembrano abbastanza tranquilli,
per quanto si possa essere tranquilli in una situazione come questa. Ovviamente
ci sono tensioni, ma credo che sia più che naturale.
Sulla via del ritorno, proprio all’uscita di al-Fawwar,
sono stato fermato dall’esercito israeliano che sospettava una bomba sulla
strada. Mi hanno tenuto fermo per quasi un’ora vicino alle loro camionette,
mentre il robot faceva brillare la “presunta” bomba. Nel mentre dai due lati
della strada si erano assiepati i ragazzi palestinesi. Ho temuto per un po’ di
rimanere tra due fuochi, e l’ironia soprattutto stava nel fatto che uno di
questi fuochi era quello di al-Fawwar, il posto dove lavoro. Per fortuna i
palestinesi non hanno tirato pietre o altro, nonostante siano stati bersaglio di
lanci di lacrimogeni e di qualche colpo di arma da fuoco. Una volta sgomberata
la strada sono ripartito.
A Gerusalemme la situazione sembra tranquilla, anche se
è solo il primo giorno di relativa calma, dopo i tre giorni scorsi in cui i
coloni israeliani hanno imperversato nei quartieri e nei villaggi arabi.
Hebron continua ad essere una città off limits.
Continua il coprifuoco e Maesa mi ha raccontato che ieri notte è stata davvero
una brutta notte. Dall’elicottero hanno sparato proprio vicino a casa sua.
Ormai sono tre notti che non dorme più. L’ho sentita davvero provata. La
frustrazione maggiore sta nel fatto che non si riesce a prevedere quel che
accadrà nell’immediato futuro, a parte forse il fatto che l’unica a
rimetterci, come al solito, siano la gente palestinese.
Quasi tutte le Ong locali sono bloccate o lavorano solo
per la nuova emergenza.
A presto.
Comunicato
n. d
Gerusalemme 16/10/2000
Oggi, dopo sei giorni di assenza, sono tornato ad al-Fawwar.
La strada per raggiungere il campo era completamente deserta, a parte le
numerosissime camionette dell’esercito. Ho visto, come già la settimana
scorsa, che tutte le entrate di Hebron sono chiuse da blocchi di cemento imposti
dalle forze armate israeliane.
Sulla
strada, all’altezza di Efrata, in
corrispondenza della strada che rientra a Betlemme dal lato nord, ho visto un
nuovo check point israeliano, presidiato da un carro armato. Altri carri armati
stazionano nelle vicinanze di Beit Jalla.
Ad
al-Fawwar ho partecipato ad una cerimonia
commemorativa di Shadi Elwawi, ucciso nella notte di sabato 14 ottobre 2000 da
un soldato dell’esercito israeliano, mentre sul tetto della sua casa di al-Fawwar
stava telefonando.
Shadi (24 anni) era arrivato in Palestina la scorsa
settimana dal Sudan, dove si trovava da alcuni anni per motivi di studio. Dopo
aver trascorso qualche giorno a Gerusalemme, in visita dai fratelli, studenti
della al-Quds University, si è trasferito ad al-Fawwar, dove abita la madre (il
padre lavora e vive in Arabia Saudita). Dopo un giorno di permanenza nel campo
era pronto a ripartire e proprio questo stava cercando di comunicare al telefono
a qualche parente, sul tetto della sua casa di al-Fawwar, quando un soldato
l’ha colpito all’addome. L’ambulanza che è giunta in soccorso è stata
bloccata dall’esercito israeliano all’entrata del campo; non ha potuto
dunque seguire l’itinerario più breve per portare Shadi all’ospedale di
Hebron. In questa maniera il tragitto si è allungato di più di 40 minuti, col
risultato di giungere al pronto soccorso quando ormai Shadi era spirato.
La
cerimonia, dopo il tradizionale pranzo con la
famiglia (il padre è giunto ieri sera dall’Arabia Saudita) e i saluti della
comunità maschile al padre e ai fratelli, è proseguita con una marcia
all’interno del campo. Gli uomini hanno sfilato in corteo, e io con loro fino
al cimitero. Sulla via del ritorno, abbiamo incontrato la processione delle
donne, che per tradizione non possono partecipare al funerale insieme agli
uomini. C’erano tutte le bambine della scuola, le ragazze e le madri.
Portavano la foto di Shadi contornata di fiori di plastica e ghirlande. I due
gruppi si sono incrociati in silenzio. Alla fine la processione degli uomini è
ritornata al centro che l’Unrwa usava per la distribuzione di cibo nel campo.
Fortunatamente i responsabili dei vari Comitati di base hanno impedito che i
ragazzi di al-Fawwar si radunassero all’entrata del campo per scontrarsi con
l’esercito israeliano che ormai staziona l davanti
in maniera permanente. La marcia tuttavia ha raccolto la rabbia e la tristezza
di gran parte della comunità. Erano presenti tutte le fazioni politiche: al-Fatah,
(NO il) Fronte Popolare, Hamas, (NO la) Jiahad e ho riconosciuto anche le
bandiere degli Hezbollah. Hasan, il community activator che lavora insieme a me,
mi ha detto che questa è la prima volta che vede sfilare gli affiliati di al-Fatah
senza mostrare la foto di Arafat.
Terminata la cerimonia ho fatto ritorno a
Gerusalemme.
La giornata di oggi è stata caratterizzata un po’
dappertutto da una forte componente di critica per la decisione di Arafat di
recarsi a Sharm el-Sheik a discutere con Barak. Come credo abbiate saputo dai
media, manifestazioni contro questa scelta si sono svolte per tutta la
Cisgiordania e Gaza e in alcuni casi hanno comportato anche scontri, che
purtroppo hanno allungato la lista dei morti: un poliziotto palestinese è morto
a Gaza e un bambino palestinese è stato ucciso a Beit Jalla, davanti alla Tomba
di Rachele.
La caratteristica di questa situazione comunque
continua ad essere l’imprevedibilità e la confusione. Ci sono momenti in cui
si pensa che tutto possa finire da un momento all’altro e momenti in cui
sembra che stia per cominciare una vera e propria guerra (ad al-Fawwar durante
la manifestazione sono stati esplosi parecchi colpi di arma da fuoco da parte
dei manifestanti). Ziad, Abu Hiad, Hasan, il direttore della scuola, si sono
detti molto pessimisti e mi hanno confermato essere la peggior situazione di
conflitto degli ultimi anni, inclusa l’ultima Intifada del 1987.
Ciò che rende la situazione ancor più complessa è il fatto che non si riesce
a comprendere chi abbia il controllo della situazione o se ci sia qualcuno che
davvero ha questo controllo. Indubbiamente il fatto che in questi ultimi tre
giorni ci sia stata una relativa diminuzione del numero di scontri fa pensare
che in qualche modo Arafat (e quindi al-Fatah) abbia, almeno in parte, il polso
della situazione. Pero’è altrettanto vero che la spontaneità e la
connotazione popolare della protesta riservano elementi di sorpresa e
imprevedibilità che nemmeno al-Fatah puòò controllare. Nessuno ad esempio si
aspettava il linciaggio di Ramallah e il conseguente bombardamento israeliano di
sabato scorso.
La stessa al-Fatah non è compatta. Prima e durante il
summit egiziano, Marwan Barghouti, il responsabile della sicurezza di al-Fatah e
leader dei Tanzim, ha dichiarato che la protesta andrà avanti comunque,
qualunque siano i risultati dell’incontro. D’altro canto Moustafa Barghouti,
responsabile della Ong sanitaria Medical Relief, pare sia stato il promotore di
una raccolta di firme per chiedere ad Arafat di non partecipare al summit (oggi
ad al-Fawwar erano presenti già i manifesti sui quali venivano riportate tutte
le firme).
Un altro elemento che può aiutare a capire la criticità della
situazione e l’imprevedibilità degli sviluppi è la reazione di alcune
comunità internazionali. Il governo francese ha evacuato tutti i cittadini
francesi dalla Striscia di Gaza, il consolato spagnolo ha chiesto a tutti i
cittadini spagnoli di non uscire da Gerusalemme e i cooperanti statunitensi sono
stati tutti concentrati a Gerusalemme. Dal canto suo il nostro consolato ci ha
consigliato di limitare gli spostamenti e di prestare particolare attenzione
alle zone calde, teatro di possibili scontri.
Che
dicono gli amici palestinesi? Al momento ho tenuto i contatti più stretti con
la comunità di al-Fawwar e con la Palestinian Red Crescent Society (Prcs) di
Hebron, che è la controparte ufficiale del progetto a cui lavoro. Nessuno di
loro ha espresso particolari analisi né alcuno ha azzardato previsioni; tutti
ovviamente sono preoccupati per la violenza assassina che gli israeliani stanno
usando per rispondere alla protesta. Sono in continuo contatto con Defence for
Children International-Palestinian Section (Dci-ps), George Abu al-Zulof, il
direttore di Dci/Ps mi tiene informato soprattutto per e-mail delle loro attività
di monitoraggio e denuncia delle violazioni dei diritti dell’infanzia; i loro
rapporti si possono trovare anche sul loro sito internet (www.dci-pal.org). Ho
parlato qualche volta anche con Rana Nashhashibi, la direttrice del Palestinian
Counselling Center, che da anni si occupa di progetti per il sostegno
psicologico dei minori. Hanno deciso di concentrarsi soprattutto nel lavoro di
sensibilizzazione attraverso i media. Il Pcc realizzerà alcuni spot e un
programma di sensibilizzazione per aiutare i genitori a spiegare quanto sta
accadendo ai loro bambini e affrontare il trauma che comporta lEsposizione
continua a tanta violenza. In questi giorni ho incontrato Dyala Husseini e altri
rappresentanti dell’Orient House. Alla mia richiesta di informazioni per
comprendere come li si possa supportare in questa situazione di emergenza, loro
mi hanno risposto presentandomi una lista di interventi che poco hanno a che
fare con la situazione di emergenza contingente, per i Centri rivolti ai giovani
della città vecchia di Gerusalemme. Vogliono concentrarsi su obiettivi più a
lungo termine, per non rischiare di ricevere un supporto troppo limitato e
questo forse fa pensare a quali siano le loro aspettative rispetto ad una veloce
soluzione del conflitto. Per ora penso di avervi detto tutto.
A presto.
Comunicato
n. E
Gerusalemme
occupata 20/10/2000
Da
più di quattro giorni il campo profughi di al-Fawwar è isolato telefonicamente
dal resto dei territori occupati palestinesi. Questa è una situazione comune a
tutta l’area a sud della Cisgiordania.
L’esercito
israeliano, subito dopo l’incontro di Sharm el-Sheik, ha scavato una trincea
profonda più di mezzo metro per bloccare la strada principale di collegamento
per entrare in Haloul. Sono state tagliate le tubature dell’acqua, i fili
elettrici e le connessioni telefoniche. La strada peraltro era stata costruita
con i fondi della cooperazione italiana. Sono riuscito a sentire i miei colleghi
che hanno un cellulare, ma le comunicazioni erano molto disturbate.
Ieri
comunque ho deciso di andare ad al-Fawwar. In prima battuta sono passato da
Hebron, per salutare Haroun (responsabile della Prcs). Sta bene anche se è
occupatissimo. L’ho trovato in attesa di una delegazione dall’Arabia Saudita
e non ha potuto dedicarmi molto tempo.
Dopo
un veloce saluto ho deciso di provare a raggiungere Maesa, nella zona di Hebron
sotto coprifuoco; Haroun mi ha avvertito trattarsi di una situazione molto
pericolosa. Ho voluto provare lo stesso. Con l’aiuto di un taxista palestinese
che ha acconsentito ad accompagnarmi fino al limite della zona sotto coprifuoco,
sono riuscito a raggiungere l’abitazione di Maesa, passando per stradine
secondarie. Per Maesa e la sua famiglia, così
come per tutti gli abitanti di quella parte
della città, la situazione è durissima. Il coprifuoco viene sospeso
saltuariamente e senza regolarità. Nella notte tra martedì
e mercoledì i
carri armati israeliani hanno colpito nuovamente un’abitazione vicina a casa
Irfaeya. Gli israeliani si sono appostati sulle alture della città, dove hanno
occupato una scuola femminile elementare: l
hanno issato la bandiera di
Israele.
Dopo
la breve visita, sono andato ad al-Fawwar. L’entrata è tuttora chiusa dai
blocchi di cemento posizionati dai soldati israeliani. Tutte le vie di accesso a
Hebron e Dura sono chiuse alla stessa maniera. Passando per il vicino campo di
zucche sono riuscito ad arrivare dentro al-Fawwar. La tensione tra i soldati che
stazionano all’entrata e i ragazzi del campo è minore che nei giorni
precedenti.
Oggi
si sono ripetuti gli scontri un po’ per tutti i Territori e, dopo i fatti di
Nablus di ieri (un palestinese e un colono israeliano uccisi), c’è il timore
diffuso che la situazione possa aggravarsi. I famigliari dei funzionari delle
Nazioni Unite sono stati rimpatriati, e questo equivale allo stato di allerta n.
3 per le Nazioni Unite, ovvero il passo precedente ad una vera e propria crisi
grave. Non si riesce a capire per quale motivo proprio le Nazioni Unite debbano
dare un segnale del genere. Non sarebbe proprio in una situazione simile che
l’Onu dovrebbe far sentire ai palestinesi che non verranno lasciati soli? Ma
forse questo è solo ciò
che si immagina della legalità internazionale e del ruolo delle Nazioni Unite
nel mondo delle idee. Nei fatti purtroppo mi accorgo giorno dopo giorno che le
cose stanno in maniera molto differente.
Per
il momento queste sono le notizie.
Comunicato
n. 2
Gerusalemme
occupata 22/10/2000
La
situazione in Palestina rimane molto critica. La lista delle vittime al di sotto
dei 18 anni si allunga giorno dopo giorno. Sul sito di Dci-ps (www.dci-pal.org) si
può
trovare una lista dettagliata dei bambini uccisi dall’esercito israeliano; la
lista non comprende i dati dei bambini uccisi ieri ed oggi (mezz’ora fa la
radio ha annunciato che un altro bambino è stato ammazzato a Gaza). La maggior
parte delle ferite e dei colpi mortali vengono sparati dai soldati dell’Idf
dalla vita in su, con la chiara intenzione di uccidere. Dci-ps ieri sera ha
diramato un comunicato stampa dove vengono denunciate le continue violenze da
parte dell’esercito israeliano, in contravvenzione a qualsiasi accordo
internazionale e in aperta contraddizione con quanto stabilito nei giorni
passati a Sharm el-Sheik.
Ieri
elicotteri e carri armati hanno sparato sulle città di Nablus, Beit Sahour e
Beit Jala, causando l’evacuazione di decine di civili palestinesi. A Beit
Sahour sei palestinesi sono stati feriti, tre dei quali erano bambini tra i
cinque e i nove anni. Quindici case sono state danneggiate.
I
coloni israeliani continuano ad attaccare i palestinesi, soprattutto nelle aree
remote ed isolate, impedendo in questa maniera le attività agricole e i
movimenti tra una zona e l’altra. L’esercito israeliano continua a
proteggere i coloni anche in queste attività di terrorismo.
Israele
ha rifiutato di cooperare con la Commissione di indagine stabilita il 19 ottobre
dall’Alta commissione alle Nazioni Unite per i diritti umani, confermando così
la loro
completa inosservanza dei basilari diritti umani.
Nel
comunicato stampa di cui dicevo sopra, Dci-ps chiede alle Nazioni Unite:
– che vengano usati tutti i mezzi per far si’ che Israele cooperi con
la Commissione delle Nazioni Unite;
– che contro Israele vengano prese misure punitive nel caso di una
mancata cooperazione con essa;
– che le NU adottino misure protettive per la popolazione palestinese
in particolar modo per i bambini palestinesi;
– che le NU costituiscano un tribunale per i crimini di guerra che
giudichi i responsabili dei crimini commessi contro i diritti umani dei
palestinesi;
– che gli stati firmatari della IV convenzione di Ginevra adottino
misure immediate per far rispettare l’articolo 1 della convenzione stessa;
– che i leader delle nazioni arabe, riuniti in questo momento al Cairo,
adottino tutte le misure a loro disposizione per far cessare le violazioni dei
diritti umani del popolo palestinese e l’assedio della Cisgiordania e Gaza.
In
un incontro con George, responsabile di Dci-ps, mi sono stati mostrati frammenti
delle munizioni sparate contro le case di Beit Sahour. Si tratta, secondo
George, di munizioni mai utilizzate prima, che invece di distruggere
completamente le case, penetrano nei muri, per poi distruggere l’interno
dell’abitazione.
Oggi,
sul sito di informazione http://www.infopal.org/palnews/
è apparso un articolo molto interessante di Uri Avnery intitolato Dodici
bugie ordinarie. Uri Avnery è stato, come afferma lui stesso
nell’articolo citato, membro dell’Irgun, formazione terroristica israeliana.
Già dagli anni Sessanta è passato al pacifismo, sostenendo posizioni molto
avanzate rispetto al conflitto israeliano-palestinese. Di recente pubblica
articoli sui maggiori quotidiani israeliani (Haaretz e Jerusalem Post).
E’ membro di Gush Shalom, che in ebraico significa: Fronte della Pace.
Ecco
la lista delle dodici bugie denunciate da Avnery:
1. “Barak ha rivoltato ogni sasso per raggiungere la pace”.
2. “A Camp David Barak è andato oltre qualsiasi altro Primo
Ministro” (israeliano, ndt).
3. “Arafat ha fatto fallire il vertice di Camp David”.
4. “Ogni volta noi diamo, diamo, diamo, Arafat non dà nulla”.
5. “Come si può
far la pace con i palestinesi quando questi non rispettano nessun accordo?”.
6. “Barak è l'erede di Rabin”.
7. “Il linciaggio di Ramallah dimostra che gli Arabi sono animali”.
8. “I media palestinesi sono uno strumento di incitamento”.
9. “Loro (i palestinesi, ndt) ci sparano contro e l’esercito
israeliano si sta contenendo”.
10. “Gli arabi mandano i loro bambini contro le nostre postazioni
militari, in modo che possano essere uccisi e così
finire su tutti giornali del mondo”.
11. “Ancora una volta viene provato che tutto il mondo è contro di
noi. Sono tutti anti-semiti”.
12. “Non abbiamo un partner per fare la pace”.
Credo
che non ci sia bisogno di spiegazioni.
A
presto.
Comunicato
n. 3
Gerusalemme
occupata 23/10/2000
Questa
mattina la radio palestinese ha annunciato che durante la notte il villaggio di
Beit Jalla e il campo profughi di Aida, vicino Betlemme, sono stati colpiti
dagli elicotteri e dai carri armati israeliani. Non sono state riportate notizie
di feriti o morti. L’attacco è stato preceduto dall’ordine di evacuazione
da parte dell’esercito israeliano. Simili ordini erano stati impartiti anche
prima dei bombardamenti dei giorni scorsi.
Tanya
Reinhart in un suo articolo del 21 ottobre 2000 (“Green Light to Slaughter”,
Z Magazine) afferma che questo tipo di ordini di evacuazione rientra in
una precisa strategia militare israeliana, mediante la quale le forze occupanti
vogliono progressivamente entrare nelle zone sotto autorità palestinese e
intraprendere un’offensiva, che entro la metà di questa settimana porterebbe,
a detta dell’articolista, al massacro di due o tremila palestinesi. Reinhart
ritiene che questa strategia sia stata concordata tra gli Stati Uniti e Israele
a seguito del summit di Sharm el-Sheik. L’articolo per intero e i riferimenti
della mailing list che l’ha fatto pervenire si possono trovare sul sito http://www.infopal.org/palnews/..
Non so se quello che scrive Reinhart sia vero, né tantomeno se le sue
previsioni si avvereranno. Continua la confusione, e di previsioni e smentite se
ne sentono troppe ogni giorno. E’ innegabile comunque che i bombardamenti
indiscriminati, gli attacchi sulle aree abitate dai civili, le chiusure e tutto
quanto sta facendo l’esercito israeliano contro la popolazione palestinese
segue una logica militare di distruzione che poco ha a che vedere con la pretesa
difesa della sicurezza israeliana. Se anche non saranno due o tre mila i morti
da contare fra qualche settimana, tutte le persone che fino ad oggi hanno perso
la vita sono già abbastanza per condannare il comportamento dell’esercito
israeliano.
Ieri
sera l’Alternative Information Center (Aic) ha diramato le bozze di un
rapporto sugli attacchi terroristici dei coloni israeliani ai danni dei civili
palestinesi che a giorni verrà reso pubblico nella sua interezza. L’Aic è
una Ong israeliano-palestinese, con sede a Betlemme che diffonde informazioni e
analisi sul conflitto israeliano-palestinese e sulle due società, promuovendo
al contempo la cooperazione tra palestinesi e israeliani basata sui valori
sociali della giustizia, della solidarietà e del coinvolgimento comunitario
(web site: http://www.alternativenews.org/).
Di
seguito ecco una sintesi delle anticipazioni che l’Aic ha comunicato:
Il
7 ottobre, coloni di Kadumin hanno attaccato Imad Hussei Rashid vicino a Nablus
e la famiglia palestinese Fahmi Agil; il 9 ottobre, nelle vicinanze di Ramallah
coloni israeliani hanno ucciso Esam Joudeh (40 anni), parte del suo corpo era
bruciata.
Il
10 ottobre, per tutta la Cisgiordania e Gaza coloni israeliani hanno attaccato
automobili palestinesi con pietre e colpi di arma da fuoco (70 auto nei pressi
di Eretz Check Point, 20 nei pressi di Karni Crossing).
Il
10 ottobre, coloni di Kiryat Arba (nei pressi di Hebron) hanno attaccato un bus
palestinese. Quattro colpi di arma da fuoco hanno raggiunto l’autobus.
Il
12 ottobre, coloni israeliani, nei pressi di Khan Younis, nella Striscia di
Gaza, hanno rapito per tre ore 3 giovani palestinesi (Jawad Ahmand Amin,
Mohammed Khamees Akkawee, NaEm Lahham). Sono stati picchiati e dopo il loro
rilascio sono stati ricoverati in ospedale.
Il
12 ottobre, coloni israeliani hanno sparato a Ibrahim Alami (25 anni) mentre
percorreva la strada n. 60 per ritornare a casa, nei pressi di Beit Omar
(Hebron). Il giovane è morto.
Il
13 ottobre, nei pressi di Qabalan, (Nablus) coloni israeliani hanno attaccato e
picchiato il giovane palestinese Khaled Alaqra’. Sempre lo stesso giorno 5
auto palestinesi sono state danneggiate dal lancio di pietre da parte di coloni
israeliani nei pressi di Maleh Amous (insediamento israeliano vicino a
Betlemme). Nei pressi di Jenin i coloni hanno attaccato i palestinesi Quasi
Lafee Sawaftea e Adnan al-Khateeb. Le loro auto sono state danneggiate ed essi
hanno riportato ferite. Sempre il 13 ottobre, 200 coloni dell’insediamento
illegale di Efrat (nei pressi di Betlemme) hanno sparato su cinque case
palestinesi a sud di al-Khader e Artas, ferendo quattro persone. Il villaggio
palestinese di Hosan (vicino a Betlemme) è stato attaccato a colpi di arma da
fuoco dai coloni israeliani di Beitar. Decine di finestre sono state
danneggiate. Lo stesso tipo di attacco è stato perpetrato la stessa sera dai
coloni di israeliani di Kiryat Arba ai danni degli abitanti del villaggio
palestinese di Beit Enoon (vicino Hebron).
Il
14 ottobre, presso il villaggio palestinese di Dair al-Balah, coloni israeliani
di Kfar Darom hanno incendiato il negozio di Khalil Basheer, impedendo agli
abitanti del villaggio di estinguere le fiamme.
Il
17 ottobre, coloni israeliani di Elon Moreh hanno ucciso a colpi di arma da
fuoco il giovane palestinese Farid Mousa Nasasreh, di Beit Fureik (vicino a
Nablus), mentre insieme alla famiglia lavorava nei campi. Cinque suoi famigliari
sono riamasti feriti. Sempre lo stesso giorno coloni israeliani di Itamar hanno
attaccato il villaggio palestinese di Hawareh, sparando colpi di arma da fuoco.
Sono state danneggiate case palestinesi ed è stato colpito Abed Raouf Amoudi,
conducente di un’ambulanza palestinese che stava prestando soccorso agli
abitanti del villaggio.
Nelle
due settimane appena trascorse i coloni israeliani di Efrat, Daniel e EliEzer
hanno attaccato le auto palestinesi che transitavano sulla strada tra
Gerusalemme ed Hebron. Dozzine di auto sono state danneggiate.
Questa
volta ho voluto riportare per intero il rapporto di Aic, per dare un’idea
della violenza dei coloni israeliani. Le prossime volte vi suggerirò
solo dove trovare gli aggiornamenti sul sito web dell’Aic.
Per
il momento queste sono le informazioni disponibili.
Comunicato
n. 4
Gerusalemme
Occupata 23/10/2000
Questa
notte Beit Jalla, cittadina a maggioranza cristiana, nelle vicinanze di Betlemme
è stata bombardata ancora una volta dagli elicotteri e dai carri armati
israeliani. E’ stato danneggiato l’edificio dell’Inad Theatre. Solo due
parole sul teatro, tanto per farvi capire di che sto parlando. Ho conosciuto
l’Inad grazie a Carlotta, la mia compagna, che da quasi sei mesi ha iniziato a
lavorare con la compagnia come coreografa. Inad, che in arabo significa testardo,
è l’esperienza quasi decennale di un gruppo di attori che ha deciso di unire
la passione del teatro con il lavoro di base nella propria comunità. E così è
nato il Centro Inad, che oltre a produrre opere teatrali che girano per tutto il
Medio Oriente e qualche volta arrivano pure in Europa e negli Stati Uniti,
aggrega i bambini di Beit Jalla e in generale di tutta la zona a sud della
Cisgiordania. Gli attori – che lavorano un po’ anche da educatori, tengono
corsi di teatro, danza ed espressione corporea, ma fanno anche spettacoli
appositamente pensati per le scuole e i centri sociali per bambini –
organizzano campi estivi e si ritrovano con i bambini del quartiere ogni
pomeriggio della settimana. O per lo meno così
accadeva fino all’inizio del mese, quando sono
iniziati gli scontri e la violenta reazione israeliana. Prima giravano come
trottole con i loro spettacoli, ora non possono più muoversi. In questa
situazione di emergenza hanno deciso di raccordarsi con altri teatri e centri
simili al loro per provare a organizzare delle attività per i bambini delle
aree più colpite, ma l’incertezza dei movimenti per il momento non ha
permesso al gruppo di fare granché.. Certo loro sono testardi, ma ad esempio
oggi si temevano nuovi bombardamenti: agli attori non è rimasto altro che
unirsi al gruppo di giornalisti e civili in attesa dei nuovi colpi israeliani.
Si sono ritrovati tutti davanti al teatro, che sta proprio in faccia
all’insediamento del Gilo, e hanno aspettato.
Fino
ad ora non si ha notizia di nuovi bombardamenti, per quanto vengono riportati
scontri ovunque. Due ragazzi palestinesi feriti nei giorni scorsi sono deceduti
in ospedale. La città di Hebron rimane per il ventiquattresimo giorno
consecutivo sotto coprifuoco, che oggi è stato sospeso solo dalle 13:00 alle
17:00. Nel pomeriggio una marcia di migliaia di sostenitori di Hamas ha sfilato
per le strade di Ramallah. I coloni israeliani continuano a minacciare i civili
palestinesi, impedendo in molti casi il raccolto delle olive. Varie persone sono
state minacciate nei dintorni di Nablus e Jenin e casi analoghi vengono
riportati anche dall’Aic che, a seguito del rapporto trasmesso nel precedente
Comunicato, ha diramato informazioni più dettagliate in proposito, che si
possono trovare sul suo sito internet. Su quasi tutti i territori palestinesi
l’esercito israeliano ha imposto una rigida chiusura totale.
Ad
al-Fawwar è stata chiusa anche la strada di accesso che passava per il vicino
campo di zucche. Ora è impossibile entrare ed uscire da qualsiasi parte. Le
linee telefoniche del sud della Cisgiordania rimangono danneggiate e le
comunicazioni sono difficili.
Arafat
ha lanciato una sorta di ultimatum a Barak con il quale gli chiede di scegliere
la pace o la guerra. Barak sembra stia andando verso la creazione di un nuovo
governo di unità nazionale che molto probabilmente includerà anche il Likud di
Sharon.
Per
il momento questo è tutto. A presto.
Comunicato
n. 5
Gerusalemme
occupata 24/10/2000
Oggi
sembra che gli scontri abbiano avuto un affievolimento.
Peraltro
qui piove e forse la cosa ha avuto il suo effetto. Inoltre oggi è la festa
dell’ascensione del profeta Maometto al cielo. Ad ogni modo dai giornali
locali è stato riportato il decesso di due giovani palestinesi feriti nei
giorni scorsi.
Dopo
i bombardamenti di ieri notte e di questa notte su Beit Jalla, insieme con
Carlotta sono andato a trovare i nostri amici dell’Inad Theatre. Proprio
questa mattina ci avevano scritto, confermandoci che nel recente bombardamento
l’edificio del teatro era stato colpito, fortunatamente senza causare feriti.
Passando
per Betlemme sembra di attraversare una città fantasma, quasi nessuno gira per
le strade. Prima di arrivare alla Tomba di Rachele, luogo di culto riservato
agli ebrei, l’esercito israeliano ha eretto delle barriere di cemento in mezzo
alla strada. Non si puòò più passare da quella parte con l’auto. Si deve
fare una lunga deviazione che aggira la base militare israeliana che sta davanti
alla Tomba. Una volta sbucati dall’altra parte, a soli venti o trenta metri
dalle barriere di cemento, l’intero manto stradale è ricoperto da una distesa
di pietre lanciate nelle dimostrazioni contro l’esercito israeliano. Tutti i
negozi della zona ovviamente sono chiusi e le finestre delle case sprangate. Per
arrivare al teatro si deve procedere fino all’incrocio principale di Betlemme
e quindi prendere la salita che si inerpica a destra, su per la collina di Beit
Jalla. Su quella strada, che si trova proprio sul versante che si affaccia
sull’insediamento del Gilo, abbiamo incontrato uomini armati.
I
nostri amici dell’Inad erano tutti riuniti a discutere quanto accaduto la sera
prima. Non potendo muoversi con facilità, hanno deciso di continuare comunque a
portare avanti le attività per i bambini del paese, anche se di bambini ne
arrivano pochi. Quando siamo arrivati era in corso una lezione di danza
classica. Abbiamo provato una sensazione contraddittoria, di gioia e paura al
contempo. I nostri amici vogliono tenere duro, non vogliono interrompere il
rapporto che hanno costruito con tanto lavoro insieme a quei bambini, non
vogliono che tutti i loro sforzi vengano annullati, ma al contempo a venti metri
da l ieri
un carro armato ha distrutto una casa. L’abbiamo visitata: da fuori si nota
solo un buco nel muro, abbastanza piccolo, ma all’interno è tutto distrutto.
Sono i danni causati da un tipo particolare di munizioni che penetrano
all’interno dei muri per poi esplodere, dividendosi in tantissimi proiettili:
tutto quello che sta intorno viene distrutto. R. Fisk, giornalista irlandese,
che ha raccontato a tutto il mondo la guerra in Libano, riporta dell’uso di
queste munizioni anche durante l’occupazione israeliana del Libano. Si tratta
di munizioni anticarro, il cui uso è vietato contro obiettivi non militari.
Dal
momento che in Italia si parla tanto di violenza da ambo le parti, voglio
riportarvi una notizia che ho sentito alla radio locale proprio questa sera:
pare che la polizia palestinese abbia arrestato un collaborazionista che sparava
da Beit Jalla contro l’insediamento del Gilo, proprio per suscitare la
reazione israeliana.
Amira
Hass, corrispondente dell’Haaretz, uno dei quotidiani israeliani più
pluralisti, ha raccontato che il bombardamento di Beit Sahour, di cui vi ho
raccontato nel precedente Comunicato, è impossibile che sia stato deciso come a
reazione a “presunti” spari da parte palestinese contro l’insediamento in
costruzione di Har Oma (Abu Gneim Mountain). La gittata degli Eventuali’
Kalashnikov palestinesi non supera gli ottocento metri. Har Oma si trova a molto
più di un chilometro dal villaggio di Beit Sahour.
Questa
sera ci sono stati forti scontri ad Al Fawwar. Tariq e Ziad mi hanno telefonato
e mi hanno detto di due feriti gravi, uno alla testa e uno al collo. Uno dei due
è stato anche portato nei locali del Centro Comunitario Polivalente, per poi
essere affidato alle cure del dottore dell’Unrwa.
Per
il momento questo è tutto.
Comunicato
n. 8
Gerusalemme
occupata 27/10/2000
Dopo
quasi dieci giorni di assenza forzata giovedì
sono tornato al campo di al-Fawwar per
incontrare il comitato esecutivo del progetto che coordino. Nelle mie precedenti
visite eravamo riusciti ad incontrarci, ma solo alla spicciolata e non tutti
insieme. Ma ieri, forse a seguito di due giorni “relativamente” calmi nel
campo, siamo riusciti a fare una riunione vera e propria. Si è deciso di
procedere con le attività del Centro comunitario polivalente per l’infanzia,
senza pero’ proseguire con le attività dislocate negli altri centri (Centro
delle donne, Centro dei giovani e Centro per la riabilitazione) perché troppo
vicini all’entrata del campo, dove solitamente avvengono gli scontri con
l’esercito israeliano. Al di là delle attività per i ragazzi e i bambini, di
cui si è incaricato Tariq, abbiamo discusso dell’utilizzo della clinica, che
purtroppo ad oggi è rimasta inutilizzata per l’inadeguatezza delle
attrezzature. Al momento dell’acquisto non si prevedeva che dovessero servire
per l’attività di pronto soccorso. La clinica doveva assomigliare più a un
presidio medico-consultoriale. In aggiunta pare che sia difficile trovare un
dottore che sia in grado di raggiungere al-Fawwar con regolarità. L’unico
dottore che abita nel campo è già impegnato in altre attività.. Nei prossimi
giorni cercheremo di trovare una soluzione, almeno per far fronte a questo
periodo di crisi.
Mentre
facevamo la riunione i soldati israeliani continuavano a sparare (lacrimogeni,
pallottole vere e di gomma) contro i ragazzi che all’entrata del campo
lanciavano sassi (mentre stavo entrando nel campo un sasso a dir la verità ha
preso anche la mia macchina). Ormai sono quasi due settimane che al-Fawwar è
completamente chiuso. Saltuariamente i soldati lasciano passare alcune macchine
per la “strada” che passa in mezzo ai campi, parallelamente alla strada
principale che rimane bloccata con blocchi di cemento, sassi e terra.
Prima
di andarmene ha chiamato la madre di tre bambini di un villaggio vicino, che
come sempre erano venuti a giocare nel nostro Centro. Era agitatissima è ha
chiesto che, avendo io un’auto con la targa israeliana (e non essendo quindi
soggetto a troppi controlli da parte dell’esercito) accompagnassi i suoi figli
con la mia auto fino a casa. I tre erano terrorizzati mentre passavamo vicino ai
soldati, che comunque non ci hanno fermati.
Per
far capire la paura di questi bambini (la più grande ha quattordici anni) forse
vale la pena raccontare un episodio raccontatomi da Hasan, un operatore del
Centro Comunitario Polivalente. Alcuni giorni fa due soldati israeliani stavano
“provando” le loro armi; uno insegnava all’altro a sparare i lacrimogeni.
Nel campo davanti a loro c’era un gruppo di bambini. Il soldato che stava
imparando ha puntato contro i due e gli ha sparato un lacrimogeno.
Durante
la notte sono state bombardate Hebron e Tulkarem. Ma ormai qui queste notizie
vengono riportate senza troppo clamore e sembra quasi che le persone abbiano
fatto l’abitudine a queste tremende violazioni dei loro più basilari diritti
umani. E questo fa davvero paura anche a me, a Carlotta, a tutti gli amici che
sono qui insieme a noi: rischiamo di abituarci a sentire le notizie di ogni
giorno senza più tanto spaventarci o forse senza più quello sdegno dei primi
giorni. Scrivere forse mi serve anche per mantenere la lucidità e un punto di
riferimento per riflettere e analizzare quanto accade sotto ai miei occhi.
Avrei
voluto iniziare il messaggio di oggi proponendovi un esempio. Lo faccio ora:
poniamo, per assurdo ovviamente, che ai palestinesi venisse riconosciuta la
“sovranità” sulla città vecchia di Gerusalemme, vale a dire non solo sulla
Spianata delle Moschee (Haram al-Sharif), ma anche sul Muro del Pianto (Temple
Mount). Poniamo, ancora per assurdo ovviamente, che per una ragione o per
l’altra (anche fosse di sicurezza) i palestinesi decidessero di non far
accedere gli ebrei al di sotto dei 40 o 35 anni al loro luogo di culto e
preghiera. Quale sarebbe l’accusa che girerebbe i giornali di mezzo mondo? antisemitismo,
di sicuro.
Purtroppo
(o forse per fortuna?) non esiste una parola altrettanto carica di significati e
capace di accendere gli animi, per descrivere il sentimento anti-islamico e più
in generale anti-arabo che gli israeliani stanno esprimendo in questi giorni.
Altrimenti potremmo usarla oggi (come avremmo potuto fare anche venerdì
scorso)
e far raddrizzare i capelli sulla testa di tutti. Sono ormai due venerdì
che un cordone inimmaginabile di militari,
poliziotti e squadre speciali antisommossa, impedisce a tutti i maschi
palestinesi al di sotto dei 40 anni non solo l’entrata alla Spianata della
Moschee, ma perfino all’interno della cinta muraria della città vecchia di
Gerusalemme. Oggi passando ho visto per l’ennesima volta i palestinesi
costretti a pregare in mezzo alla strada, inginocchiati sui loro tappetini
rivolti alla Mecca. Perché nessuno si sdegna per questo? Come riportano tutte
le agenzia di stampa del mondo, i musulmani di Gerusalemme, dopo aver pregato in
mezzo alla strada, fuori le mura di Gerusalemme, se ne sono andati pacificamente
senza tirare un sasso. Chissà se questa sera nei telegiornali nazionali ci sarà
qualcuno che commenterà l’accaduto con il dovuto rispetto per il
comportamento dei palestinesi di Gerusalemme, attribuendo le responsabilità
dovute agli israeliani? O forse, visto che Gerusalemme non ha avuto morti, non
se ne parlerà.
Non
è andata così invece
altrove. All’uscita delle moschee, ci sono stati scontri un po’ ovunque, a
Gaza, a Khan Younis, a Ramallah, a Qalqilia, a Tulkarem. Fino alle 14:30 si
contavano tre ragazzi morti, tutti e tre al di sotto dei 25 anni. Durante la
mattina, con altri italiani impegnati in Ong, siamo andati un’altra volta a
Beit Jalla, dove i nostri amici dell’Inad Theatre hanno organizzato uno
spettacolo per i bambini del paese. Hanno cantato e ballato nel loro teatro,
bersaglio due giorni fa dei cannoni israeliani e poi sono anche usciti in
strada. I bambini hanno disegnato e alcuni disegni mi sono sembrati molto
significativi. In particolare mi hanno colpito quelli di due bambini. Uno ha
disegnato un aereo che butta delle bombe sul teatro. La contraddizione è che i
colori sono luminosi, non c’è sangue e le case non sembrano toccare terra,
come se fossero case di sogno. Sul lato sinistro splende un sole che prende
quasi un quarto del foglio. L’altro bambino ha disegnato carri armati, aerei,
elicotteri e soldati, mettendo una didascalia a tutto, come per spiegare che
cosa significhi quello che lui vede con i suoi occhi. La testa del bambino al
quale il soldato israeliano spara non ha occhi, bocca né naso. Il soldato al
posto della faccia ha una stella di David.
Come
avevo accennato qualche giorno fa (riportandovi le notizie da un report di Aic,
sito web: www.alternativenews.org) i coloni israeliani continuano a terrorizzare
i contadini palestinesi, impegnati in questi giorni nella raccolta delle olive.
Questa
mattina l’al-Quds, quotidiano palestinese in lingua araba, riportava un
appello della Croce Rossa per invitare tutti i lavoratori stranieri presenti in
Palestina ad affiancare i contadini palestinesi nella raccolta delle olive; in
questo modo la Croce Rossa auspica di costituire un deterrente per gli atti
terroristici dei coloni israeliani.
Mentre
scrivo, ad Abu Dees, villaggio vicino ad El Lazarieh, dove si trova casa mia, i
soldati israeliani stanno sparando lacrimogeni.
Per
ora è tutto.
Comunicato
n. 9
Gerusalemme
28/10/2000
Ieri
notte l’esercito israeliano ha bombardato nuovamente le città di Betlemme,
Beit Sahour, Beit Jalla, Hebron e Gerico (dove pare sia stata colpita la
centrale elettrica). Gli elicotteri da guerra israeliani hanno sorvolato anche
Gerusalemme, ronzando sopra i tetti delle nostre case fino alle due di notte
circa.
Il
campo di al-Fawwar da ieri è stato sigillato ermeticamente, vale a dire che non
possono più entrare né uscire non solo le auto private, ma nemmeno quelle
dell’Unrwa e i mezzi di soccorso o rifornimento medicinali, nemmeno per i
campi vicini.
Oggi
la situazione sembra apparentemente calma, anche se questa mattina si è diffusa
la notizia che un giornalista palestinese, ferito nei giorni scorsi, è deceduto
in un ospedale giordano. Approfitto di questa relativa calma, per raccogliere un
po’ le idee e i materiali che ho ricevuto in questi ultimi due giorni
turbolenti.
Innanzitutto
voglio riportarvi l’ignobile campagna diffamatoria che i media israeliani
stanno portando avanti ai danni dei genitori palestinesi che vengono accusati di
mandare a morire i propri figli per ottenere la simpatia dei media
internazionali. Ieri sul Jerusalem Post è apparso un articolo che
rivolgeva queste ignobili calunnie anche all’Ong palestinese Defence For
Children International-Palestinian Section, accusandola di utilizzare i fondi
dei donatori internazionali per fare propaganda anti-israeliana.1
Dci-ps
per parte sua ha diffuso un comunicato stampa con il quale denuncia la campagna
diffamatoria dei media israeliani2.
George,
direttore di Dci-ps, ha comunicato che la sua Ong intende promuovere un’azione
di protesta contro le “notizie” diffuse dal Jerusalem Post.. Tutti
sono invitati a mandare lettere e messaggi di protesta ai seguenti indirizzi,
senza superare possibilmente le 150 parole:
The
Jerusalem Post
Editor-in-Chief,
Jeff Barak
Editorials
Editor, Saul Singer
Tel:
+972 2 531 5666
Fax:
+972 2 538 9527
email
rivolte all’editore per la pubblicazione: letters@jpost.co.il
E-mail
rivolte agli editori: editors@jpost.co.il
Dci
invita anche a mandare e-mail all’autore dell’articolo,
Gerald
Steinberg: gerald@vms.huji.ac.ils
e
per conoscenza a Dci-ps: dcipal@palnet.com
Per
concludere, riassumo di seguito la lettera che Ziad Hmouze, responsabile del
Comitato di campo di al-Fawwar, mi ha detto essere stata indirizzata il 25 otto
2000 al signor Cook, responsabile generale dell’Unrwa West Bank.
Sostanzialmente
la lettera denuncia l’aggressione brutale ai danni della popolazione civile
palestinese e nello specifico ai danni dei profughi palestinesi e richiede
azioni di protezione nei confronti di questi ultimi. La lettera sottolinea
quattro richieste:
– utilizzo di osservatori Unrwa con presenza permanente per il
monitoraggio delle violazioni dei diritti umani;
– creazione di un programma di assistenza e protezione per
l’emergenza rivolta ai residenti dei campi profughi palestinesi;
– creazione di programmi di emergenza per le scuole Unrwa;
– apertura di centri medici di pronto soccorso, insieme alla fornitura
di medicinali e ambulanze per i campi profughi.
Per
il momento è tutto.
Note
1 L’articolo si può
vedere al seguente link: http://www.jpost.com/Editions/2000/10/27/Opinion/.