Comunicati ottobre 2000

 

 

Comunicato n. a

Gerusalemme 6/10/2000

In questi giorni la situazione nei territori occupati palestinesi sta diventando sempre più drammatica. Ad oggi i morti sono più di 70 e i feriti circa 2.500. Non è una guerra, come continuano a ripetere i telegiornali italiani, ma un’operazione, su vasta scala, di violenta repressione della popolazione civile palestinese che lede i più elementari diritti umani.

I due terzi dei morti sono al di sotto dei 18 anni. La città di Hebron da sei giorni è sotto coprifuoco per 24 ore al giorno e gli abitanti palestinesi non possono nemmeno affacciarsi alle finestre. Maesa è asserragliata in casa con tutta la sua famiglia. Il cibo sta finendo e nella zona dove abita lei non si può nemmeno uscire per fare la spesa.

Gli abitanti delle colonie israeliane nei territori palestinesi si sono uniti all’esercito israeliano per attaccare indiscriminatamente i civili palestinesi. Ieri a nord di Gerusalemme una bambina palestinese di due anni e mezzo è stata uccisa con un colpo di arma da fuoco alla testa in un’imboscata tesa da alcuni coloni israeliani su una strada di transito frequentata da palestinesi.

Oggi sono stato testimone di un vero e proprio accerchiamento della moschea al-Aqsa di Gerusalemme da parte dell’esercito israeliano. Dalle mura i ragazzi palestinesi lanciavano sassi, dall’altra parte risponde uno degli eserciti più potenti del mondo, che non si è fatto remora di sparare ad altezza d’uomo, di uccidere un bambino e di impedire alle ambulanze dei soccorritori (per ben tre ore!) di intervenire.

I miei amici palestinesi dicono che è una situazione molto più grave di quella dell’Intifada del 1987. L’esercito israeliano addirittura spara dagli elicotteri, lancia missili sui manifestanti e bombarda le case dei civili. Diverse persone sono morte asfissiate dalle bombe lacrimogene lanciate dagli elicotteri.

Oltre a fornire informazioni da qui non mi è possibile fare di più. Il lavoro ovviamente si è fermato. Al-Fawwar non è raggiungibile e come ho detto sopra Hebron è chiusa.

Il senso di impotenza e la frustrazione che ne deriva, mi rendono particolarmente triste. Non riesco ad accettare tanta violenza e tanta ingiustizia. Vi chiedo dunque di fare quanto potete per portare all’attenzione dell’opinione pubblica non più solo la cronaca dei fatti, ma anche un’analisi e di conseguenza una presa di posizione politica a difesa dei diritti umani violati in questa terra. E’ necessario che la società civile italiana esiga, a voce alta, il rispetto delle risoluzioni dell’Onu da parte di Israele. Non è possibile che persista un assopimento generalizzato a causa di giochi politici che non appartengono alla gente di Palestina. Tutto può servire in questo momento: lettere ai giornali cittadini, discussioni pubbliche, raccolte di firme da inviare ai governanti nazionali o cittadini, appelli alla Commissione europea.....

Solo un mese fa sono scesi in Palestina quasi mille delegati degli Enti locali italiani. Si è parlato tanto di pace, giustizia e del rispetto delle risoluzioni Onu come base per ogni possibile accordo. Ora è il momento di far diventare realtà quelle parole. Quella missione dovrebbe pur poter essere utilizzata come trampolino di lancio per una campagna di sensibilizzazione e intervento!!

Spero di avere presto, almeno dall’Italia, notizie confortanti.

A presto

 

 

Comunicato n. b

Gerusalemme 8/10/2000

La situazione in Palestina non sembra migliorare.

Dopo sei giorni di coprifuoco ininterrotto nella parte di Hebron sotto controllo militare israeliano, oggi finalmente c’è stata una sospensione, seppur temporanea. Per due ore (dalle 9:00 alle 11:00) la gente è potuta uscire di casa. Già ieri dagli altoparlanti i militari israeliani avevano annunciato la sospensione del coprifuoco, ma subito dopo il permesso di uscita per i palestinesi era stato revocato. Gli amici di Hebron mi hanno raccontato che questa notte gli spari sono andati avanti fino alle 4:00. Sono stati usati di nuovo gli elicotteri e i coloni hanno affiancato i militari israeliani, sparando ancora una volta sulle case dei civili. Maesa mi ha raccontato di alcuni suoi amici costretti a dormire in cucina perché le loro finestre sono state prese di mira dagli spari dei settlers.

Ma i fanatici israeliani armati non sono scesi in forze solo ad Hebron. Un po’ ovunque – a Nablus, Jenin, Ramallah – i coloni fanno posti di blocco, imboscate, sparano alle case dei palestinesi e tagliano i fili elettrici. Ieri sera nella zona di casa nostra, a El Lahzaria e Abu Dis, c’è stato un gran movimento di macchine fin verso le tre di notte. Continuavano a passare ronde di ragazzi: forse temevano la discesa dei coloni dai vicini insediamenti.

Ad al-Fawwar la strada continua ad essere bloccata dall’esercito israeliano, contro il quale sono cominciate proteste e anche qualche scontro. Abu Hiad mi ha comunicato che ad oggi due ragazzi del campo sono stati feriti da proiettili di gomma. Mi ha parlato anche di scontri nei dintorni, a Dura e Yatta. Anche là i coloni tendono imboscate e sparano sulle case dei palestinesi.

Due giorni fa gli elicotteri israeliani hanno sparato sul campo profughi di Arroub, ferendo 25 palestinesi.

L’ultimatum che Barak ha lanciato ai palestinesi è un vero insulto alla ragione e al diritto internazionale. Come può una forza occupante dare un ultimatum agli occupati affinché smettano la violenza? Come può Barak attribuire ad Arafat la responsabilità per il rapimento dei tre soldati al confine del Libano? Come può uno Stato democratico, come dichiara di essere Israele, sparare su dei manifestanti al di qua e al di là dei propri confini, al sud del Libano come in Galilea?

e’ necessario che in Italia così come ovunque ci si mobiliti subito per smascherare questo ricatto israeliano. Non si deve più accettare la sporca tattica israeliana di attaccare da posizioni di difesa! In queste ore si deve fare di tutto affinché i palestinesi non siano vittime dell’ultimatum israeliano. Si deve smascherare il tentativo israeliano di portare lo scontro a livelli molto più alti, senza lasciare loro la falsa giustificazione di essersi difesi mentre cercavano la pace.

Oggi ho sentito Jaqueline Sfeir, la responsabile del dipartimento di Educazione dell’Università di Betlemme, con la quale avevo lavorato l’anno scorso. Non ha voluto parlare molto: forse non sapeva che dire. Di solito lei è sempre positiva, questa volta mi è sembrata molto pessimista.

I palestinesi non devono essere lasciati soli! Mobilitatevi ogni giorno, ogni ora, scrivete ai giornali perché siano più corretti nell’informazione, fate appelli ai nostri governanti e ai responsabili delle Nazioni Unite, dormite davanti ai consolati e alle ambasciate israeliane, esigete giustizia per questo popolo oppresso da più di 50 anni!

 

Comunicato n. c

Gerusalemme 11/10/2000

Al campo stanno tutti bene, a parte Abu Hiad che ha l’influenza; la situazione comunque non si è per nulla normalizzata. Si è deciso con Tariq e Hasan di tenere il Centro Comunitario Polivalente chiuso fino a quando le cose non si tranquillizzeranno. Domani, se riuscirò a tornare ad al-Fawwar, ne riparleremo.

Gli animi comunque mi sembrano abbastanza tranquilli, per quanto si possa essere tranquilli in una situazione come questa. Ovviamente ci sono tensioni, ma credo che sia più che naturale.

Sulla via del ritorno, proprio all’uscita di al-Fawwar, sono stato fermato dall’esercito israeliano che sospettava una bomba sulla strada. Mi hanno tenuto fermo per quasi un’ora vicino alle loro camionette, mentre il robot faceva brillare la “presunta” bomba. Nel mentre dai due lati della strada si erano assiepati i ragazzi palestinesi. Ho temuto per un po’ di rimanere tra due fuochi, e l’ironia soprattutto stava nel fatto che uno di questi fuochi era quello di al-Fawwar, il posto dove lavoro. Per fortuna i palestinesi non hanno tirato pietre o altro, nonostante siano stati bersaglio di lanci di lacrimogeni e di qualche colpo di arma da fuoco. Una volta sgomberata la strada sono ripartito.

A Gerusalemme la situazione sembra tranquilla, anche se è solo il primo giorno di relativa calma, dopo i tre giorni scorsi in cui i coloni israeliani hanno imperversato nei quartieri e nei villaggi arabi.

Hebron continua ad essere una città off limits. Continua il coprifuoco e Maesa mi ha raccontato che ieri notte è stata davvero una brutta notte. Dall’elicottero hanno sparato proprio vicino a casa sua. Ormai sono tre notti che non dorme più. L’ho sentita davvero provata. La frustrazione maggiore sta nel fatto che non si riesce a prevedere quel che accadrà nell’immediato futuro, a parte forse il fatto che l’unica a rimetterci, come al solito, siano la gente palestinese.

Quasi tutte le Ong locali sono bloccate o lavorano solo per la nuova emergenza.

A presto.

 

Comunicato n. d

Gerusalemme 16/10/2000

Oggi, dopo sei giorni di assenza, sono tornato ad al-Fawwar. La strada per raggiungere il campo era completamente deserta, a parte le numerosissime camionette dell’esercito. Ho visto, come già la settimana scorsa, che tutte le entrate di Hebron sono chiuse da blocchi di cemento imposti dalle forze armate israeliane.

Sulla strada, all’altezza di Efrata, in corrispondenza della strada che rientra a Betlemme dal lato nord, ho visto un nuovo check point israeliano, presidiato da un carro armato. Altri carri armati stazionano nelle vicinanze di Beit Jalla.

Ad al-Fawwar ho partecipato ad una cerimonia commemorativa di Shadi Elwawi, ucciso nella notte di sabato 14 ottobre 2000 da un soldato dell’esercito israeliano, mentre sul tetto della sua casa di al-Fawwar stava telefonando.

Shadi (24 anni) era arrivato in Palestina la scorsa settimana dal Sudan, dove si trovava da alcuni anni per motivi di studio. Dopo aver trascorso qualche giorno a Gerusalemme, in visita dai fratelli, studenti della al-Quds University, si è trasferito ad al-Fawwar, dove abita la madre (il padre lavora e vive in Arabia Saudita). Dopo un giorno di permanenza nel campo era pronto a ripartire e proprio questo stava cercando di comunicare al telefono a qualche parente, sul tetto della sua casa di al-Fawwar, quando un soldato l’ha colpito all’addome. L’ambulanza che è giunta in soccorso è stata bloccata dall’esercito israeliano all’entrata del campo; non ha potuto dunque seguire l’itinerario più breve per portare Shadi all’ospedale di Hebron. In questa maniera il tragitto si è allungato di più di 40 minuti, col risultato di giungere al pronto soccorso quando ormai Shadi era spirato.

La cerimonia, dopo il tradizionale pranzo con la famiglia (il padre è giunto ieri sera dall’Arabia Saudita) e i saluti della comunità maschile al padre e ai fratelli, è proseguita con una marcia all’interno del campo. Gli uomini hanno sfilato in corteo, e io con loro fino al cimitero. Sulla via del ritorno, abbiamo incontrato la processione delle donne, che per tradizione non possono partecipare al funerale insieme agli uomini. C’erano tutte le bambine della scuola, le ragazze e le madri. Portavano la foto di Shadi contornata di fiori di plastica e ghirlande. I due gruppi si sono incrociati in silenzio. Alla fine la processione degli uomini è ritornata al centro che l’Unrwa usava per la distribuzione di cibo nel campo. Fortunatamente i responsabili dei vari Comitati di base hanno impedito che i ragazzi di al-Fawwar si radunassero all’entrata del campo per scontrarsi con l’esercito israeliano che ormai staziona l davanti in maniera permanente. La marcia tuttavia ha raccolto la rabbia e la tristezza di gran parte della comunità. Erano presenti tutte le fazioni politiche: al-Fatah, (NO il) Fronte Popolare, Hamas, (NO la) Jiahad e ho riconosciuto anche le bandiere degli Hezbollah. Hasan, il community activator che lavora insieme a me, mi ha detto che questa è la prima volta che vede sfilare gli affiliati di al-Fatah senza mostrare la foto di Arafat.

Terminata la cerimonia ho fatto ritorno a Gerusalemme.

La giornata di oggi è stata caratterizzata un po’ dappertutto da una forte componente di critica per la decisione di Arafat di recarsi a Sharm el-Sheik a discutere con Barak. Come credo abbiate saputo dai media, manifestazioni contro questa scelta si sono svolte per tutta la Cisgiordania e Gaza e in alcuni casi hanno comportato anche scontri, che purtroppo hanno allungato la lista dei morti: un poliziotto palestinese è morto a Gaza e un bambino palestinese è stato ucciso a Beit Jalla, davanti alla Tomba di Rachele.

La caratteristica di questa situazione comunque continua ad essere l’imprevedibilità e la confusione. Ci sono momenti in cui si pensa che tutto possa finire da un momento all’altro e momenti in cui sembra che stia per cominciare una vera e propria guerra (ad al-Fawwar durante la manifestazione sono stati esplosi parecchi colpi di arma da fuoco da parte dei manifestanti). Ziad, Abu Hiad, Hasan, il direttore della scuola, si sono detti molto pessimisti e mi hanno confermato essere la peggior situazione di conflitto degli ultimi anni, inclusa l’ultima Intifada del 1987.

Ciò che rende la situazione ancor più complessa è il fatto che non si riesce a comprendere chi abbia il controllo della situazione o se ci sia qualcuno che davvero ha questo controllo. Indubbiamente il fatto che in questi ultimi tre giorni ci sia stata una relativa diminuzione del numero di scontri fa pensare che in qualche modo Arafat (e quindi al-Fatah) abbia, almeno in parte, il polso della situazione. Pero’è altrettanto vero che la spontaneità e la connotazione popolare della protesta riservano elementi di sorpresa e imprevedibilità che nemmeno al-Fatah puòò controllare. Nessuno ad esempio si aspettava il linciaggio di Ramallah e il conseguente bombardamento israeliano di sabato scorso.

La stessa al-Fatah non è compatta. Prima e durante il summit egiziano, Marwan Barghouti, il responsabile della sicurezza di al-Fatah e leader dei Tanzim, ha dichiarato che la protesta andrà avanti comunque, qualunque siano i risultati dell’incontro. D’altro canto Moustafa Barghouti, responsabile della Ong sanitaria Medical Relief, pare sia stato il promotore di una raccolta di firme per chiedere ad Arafat di non partecipare al summit (oggi ad al-Fawwar erano presenti già i manifesti sui quali venivano riportate tutte le firme).

Un altro elemento che può aiutare a capire la criticità della situazione e l’imprevedibilità degli sviluppi è la reazione di alcune comunità internazionali. Il governo francese ha evacuato tutti i cittadini francesi dalla Striscia di Gaza, il consolato spagnolo ha chiesto a tutti i cittadini spagnoli di non uscire da Gerusalemme e i cooperanti statunitensi sono stati tutti concentrati a Gerusalemme. Dal canto suo il nostro consolato ci ha consigliato di limitare gli spostamenti e di prestare particolare attenzione alle zone calde, teatro di possibili scontri.

Che dicono gli amici palestinesi? Al momento ho tenuto i contatti più stretti con la comunità di al-Fawwar e con la Palestinian Red Crescent Society (Prcs) di Hebron, che è la controparte ufficiale del progetto a cui lavoro. Nessuno di loro ha espresso particolari analisi né alcuno ha azzardato previsioni; tutti ovviamente sono preoccupati per la violenza assassina che gli israeliani stanno usando per rispondere alla protesta. Sono in continuo contatto con Defence for Children International-Palestinian Section (Dci-ps), George Abu al-Zulof, il direttore di Dci/Ps mi tiene informato soprattutto per e-mail delle loro attività di monitoraggio e denuncia delle violazioni dei diritti dell’infanzia; i loro rapporti si possono trovare anche sul loro sito internet (www.dci-pal.org). Ho parlato qualche volta anche con Rana Nashhashibi, la direttrice del Palestinian Counselling Center, che da anni si occupa di progetti per il sostegno psicologico dei minori. Hanno deciso di concentrarsi soprattutto nel lavoro di sensibilizzazione attraverso i media. Il Pcc realizzerà alcuni spot e un programma di sensibilizzazione per aiutare i genitori a spiegare quanto sta accadendo ai loro bambini e affrontare il trauma che comporta lEsposizione continua a tanta violenza. In questi giorni ho incontrato Dyala Husseini e altri rappresentanti dell’Orient House. Alla mia richiesta di informazioni per comprendere come li si possa supportare in questa situazione di emergenza, loro mi hanno risposto presentandomi una lista di interventi che poco hanno a che fare con la situazione di emergenza contingente, per i Centri rivolti ai giovani della città vecchia di Gerusalemme. Vogliono concentrarsi su obiettivi più a lungo termine, per non rischiare di ricevere un supporto troppo limitato e questo forse fa pensare a quali siano le loro aspettative rispetto ad una veloce soluzione del conflitto. Per ora penso di avervi detto tutto.

A presto.

 

Comunicato n. E

Gerusalemme occupata 20/10/2000

Da più di quattro giorni il campo profughi di al-Fawwar è isolato telefonicamente dal resto dei territori occupati palestinesi. Questa è una situazione comune a tutta l’area a sud della Cisgiordania.

L’esercito israeliano, subito dopo l’incontro di Sharm el-Sheik, ha scavato una trincea profonda più di mezzo metro per bloccare la strada principale di collegamento per entrare in Haloul. Sono state tagliate le tubature dell’acqua, i fili elettrici e le connessioni telefoniche. La strada peraltro era stata costruita con i fondi della cooperazione italiana. Sono riuscito a sentire i miei colleghi che hanno un cellulare, ma le comunicazioni erano molto disturbate.

Ieri comunque ho deciso di andare ad al-Fawwar. In prima battuta sono passato da Hebron, per salutare Haroun (responsabile della Prcs). Sta bene anche se è occupatissimo. L’ho trovato in attesa di una delegazione dall’Arabia Saudita e non ha potuto dedicarmi molto tempo.

Dopo un veloce saluto ho deciso di provare a raggiungere Maesa, nella zona di Hebron sotto coprifuoco; Haroun mi ha avvertito trattarsi di una situazione molto pericolosa. Ho voluto provare lo stesso. Con l’aiuto di un taxista palestinese che ha acconsentito ad accompagnarmi fino al limite della zona sotto coprifuoco, sono riuscito a raggiungere l’abitazione di Maesa, passando per stradine secondarie. Per Maesa e la sua famiglia, così come per tutti gli abitanti di quella parte della città, la situazione è durissima. Il coprifuoco viene sospeso saltuariamente e senza regolarità. Nella notte tra martedì e mercoledì i carri armati israeliani hanno colpito nuovamente un’abitazione vicina a casa Irfaeya. Gli israeliani si sono appostati sulle alture della città, dove hanno occupato una scuola femminile elementare: l hanno issato la bandiera di Israele.

Dopo la breve visita, sono andato ad al-Fawwar. L’entrata è tuttora chiusa dai blocchi di cemento posizionati dai soldati israeliani. Tutte le vie di accesso a Hebron e Dura sono chiuse alla stessa maniera. Passando per il vicino campo di zucche sono riuscito ad arrivare dentro al-Fawwar. La tensione tra i soldati che stazionano all’entrata e i ragazzi del campo è minore che nei giorni precedenti.

Oggi si sono ripetuti gli scontri un po’ per tutti i Territori e, dopo i fatti di Nablus di ieri (un palestinese e un colono israeliano uccisi), c’è il timore diffuso che la situazione possa aggravarsi. I famigliari dei funzionari delle Nazioni Unite sono stati rimpatriati, e questo equivale allo stato di allerta n. 3 per le Nazioni Unite, ovvero il passo precedente ad una vera e propria crisi grave. Non si riesce a capire per quale motivo proprio le Nazioni Unite debbano dare un segnale del genere. Non sarebbe proprio in una situazione simile che l’Onu dovrebbe far sentire ai palestinesi che non verranno lasciati soli? Ma forse questo è solo ciò che si immagina della legalità internazionale e del ruolo delle Nazioni Unite nel mondo delle idee. Nei fatti purtroppo mi accorgo giorno dopo giorno che le cose stanno in maniera molto differente.

Per il momento queste sono le notizie.

 

Comunicato n. 2

Gerusalemme occupata 22/10/2000

La situazione in Palestina rimane molto critica. La lista delle vittime al di sotto dei 18 anni si allunga giorno dopo giorno. Sul sito di Dci-ps (www.dci-pal.org) si può trovare una lista dettagliata dei bambini uccisi dall’esercito israeliano; la lista non comprende i dati dei bambini uccisi ieri ed oggi (mezz’ora fa la radio ha annunciato che un altro bambino è stato ammazzato a Gaza). La maggior parte delle ferite e dei colpi mortali vengono sparati dai soldati dell’Idf dalla vita in su, con la chiara intenzione di uccidere. Dci-ps ieri sera ha diramato un comunicato stampa dove vengono denunciate le continue violenze da parte dell’esercito israeliano, in contravvenzione a qualsiasi accordo internazionale e in aperta contraddizione con quanto stabilito nei giorni passati a Sharm el-Sheik.

Ieri elicotteri e carri armati hanno sparato sulle città di Nablus, Beit Sahour e Beit Jala, causando l’evacuazione di decine di civili palestinesi. A Beit Sahour sei palestinesi sono stati feriti, tre dei quali erano bambini tra i cinque e i nove anni. Quindici case sono state danneggiate.

I coloni israeliani continuano ad attaccare i palestinesi, soprattutto nelle aree remote ed isolate, impedendo in questa maniera le attività agricole e i movimenti tra una zona e l’altra. L’esercito israeliano continua a proteggere i coloni anche in queste attività di terrorismo.

Israele ha rifiutato di cooperare con la Commissione di indagine stabilita il 19 ottobre dall’Alta commissione alle Nazioni Unite per i diritti umani, confermando così la loro completa inosservanza dei basilari diritti umani.

Nel comunicato stampa di cui dicevo sopra, Dci-ps chiede alle Nazioni Unite:

che vengano usati tutti i mezzi per far si’ che Israele cooperi con la Commissione delle Nazioni Unite;

che contro Israele vengano prese misure punitive nel caso di una mancata cooperazione con essa;

che le NU adottino misure protettive per la popolazione palestinese in particolar modo per i bambini palestinesi;

che le NU costituiscano un tribunale per i crimini di guerra che giudichi i responsabili dei crimini commessi contro i diritti umani dei palestinesi;

che gli stati firmatari della IV convenzione di Ginevra adottino misure immediate per far rispettare l’articolo 1 della convenzione stessa;

che i leader delle nazioni arabe, riuniti in questo momento al Cairo, adottino tutte le misure a loro disposizione per far cessare le violazioni dei diritti umani del popolo palestinese e l’assedio della Cisgiordania e Gaza.

In un incontro con George, responsabile di Dci-ps, mi sono stati mostrati frammenti delle munizioni sparate contro le case di Beit Sahour. Si tratta, secondo George, di munizioni mai utilizzate prima, che invece di distruggere completamente le case, penetrano nei muri, per poi distruggere l’interno dell’abitazione.

Oggi, sul sito di informazione http://www.infopal.org/palnews/ è apparso un articolo molto interessante di Uri Avnery intitolato Dodici bugie ordinarie. Uri Avnery è stato, come afferma lui stesso nell’articolo citato, membro dell’Irgun, formazione terroristica israeliana. Già dagli anni Sessanta è passato al pacifismo, sostenendo posizioni molto avanzate rispetto al conflitto israeliano-palestinese. Di recente pubblica articoli sui maggiori quotidiani israeliani (Haaretz e Jerusalem Post). E’ membro di Gush Shalom, che in ebraico significa: Fronte della Pace.

Ecco la lista delle dodici bugie denunciate da Avnery:

1. “Barak ha rivoltato ogni sasso per raggiungere la pace”.

2. “A Camp David Barak è andato oltre qualsiasi altro Primo Ministro” (israeliano, ndt).

3. “Arafat ha fatto fallire il vertice di Camp David”.

4. “Ogni volta noi diamo, diamo, diamo, Arafat non dà nulla”.

5. “Come si può far la pace con i palestinesi quando questi non rispettano nessun accordo?”.

6. “Barak è l'erede di Rabin”.

7. “Il linciaggio di Ramallah dimostra che gli Arabi sono animali”.

8. “I media palestinesi sono uno strumento di incitamento”.

9. “Loro (i palestinesi, ndt) ci sparano contro e l’esercito israeliano si sta contenendo”.

10. “Gli arabi mandano i loro bambini contro le nostre postazioni militari, in modo che possano essere uccisi e così finire su tutti giornali del mondo”.

11. “Ancora una volta viene provato che tutto il mondo è contro di noi. Sono tutti anti-semiti”.

12. “Non abbiamo un partner per fare la pace”.

Credo che non ci sia bisogno di spiegazioni.

A presto.

 

Comunicato n. 3

Gerusalemme occupata 23/10/2000

Questa mattina la radio palestinese ha annunciato che durante la notte il villaggio di Beit Jalla e il campo profughi di Aida, vicino Betlemme, sono stati colpiti dagli elicotteri e dai carri armati israeliani. Non sono state riportate notizie di feriti o morti. L’attacco è stato preceduto dall’ordine di evacuazione da parte dell’esercito israeliano. Simili ordini erano stati impartiti anche prima dei bombardamenti dei giorni scorsi.

Tanya Reinhart in un suo articolo del 21 ottobre 2000 (“Green Light to Slaughter”, Z Magazine) afferma che questo tipo di ordini di evacuazione rientra in una precisa strategia militare israeliana, mediante la quale le forze occupanti vogliono progressivamente entrare nelle zone sotto autorità palestinese e intraprendere un’offensiva, che entro la metà di questa settimana porterebbe, a detta dell’articolista, al massacro di due o tremila palestinesi. Reinhart ritiene che questa strategia sia stata concordata tra gli Stati Uniti e Israele a seguito del summit di Sharm el-Sheik. L’articolo per intero e i riferimenti della mailing list che l’ha fatto pervenire si possono trovare sul sito http://www.infopal.org/palnews/.. Non so se quello che scrive Reinhart sia vero, né tantomeno se le sue previsioni si avvereranno. Continua la confusione, e di previsioni e smentite se ne sentono troppe ogni giorno. E’ innegabile comunque che i bombardamenti indiscriminati, gli attacchi sulle aree abitate dai civili, le chiusure e tutto quanto sta facendo l’esercito israeliano contro la popolazione palestinese segue una logica militare di distruzione che poco ha a che vedere con la pretesa difesa della sicurezza israeliana. Se anche non saranno due o tre mila i morti da contare fra qualche settimana, tutte le persone che fino ad oggi hanno perso la vita sono già abbastanza per condannare il comportamento dell’esercito israeliano.

Ieri sera l’Alternative Information Center (Aic) ha diramato le bozze di un rapporto sugli attacchi terroristici dei coloni israeliani ai danni dei civili palestinesi che a giorni verrà reso pubblico nella sua interezza. L’Aic è una Ong israeliano-palestinese, con sede a Betlemme che diffonde informazioni e analisi sul conflitto israeliano-palestinese e sulle due società, promuovendo al contempo la cooperazione tra palestinesi e israeliani basata sui valori sociali della giustizia, della solidarietà e del coinvolgimento comunitario (web site: http://www.alternativenews.org/).

Di seguito ecco una sintesi delle anticipazioni che l’Aic ha comunicato:

Il 7 ottobre, coloni di Kadumin hanno attaccato Imad Hussei Rashid vicino a Nablus e la famiglia palestinese Fahmi Agil; il 9 ottobre, nelle vicinanze di Ramallah coloni israeliani hanno ucciso Esam Joudeh (40 anni), parte del suo corpo era bruciata.

Il 10 ottobre, per tutta la Cisgiordania e Gaza coloni israeliani hanno attaccato automobili palestinesi con pietre e colpi di arma da fuoco (70 auto nei pressi di Eretz Check Point, 20 nei pressi di Karni Crossing).

Il 10 ottobre, coloni di Kiryat Arba (nei pressi di Hebron) hanno attaccato un bus palestinese. Quattro colpi di arma da fuoco hanno raggiunto l’autobus.

Il 12 ottobre, coloni israeliani, nei pressi di Khan Younis, nella Striscia di Gaza, hanno rapito per tre ore 3 giovani palestinesi (Jawad Ahmand Amin, Mohammed Khamees Akkawee, NaEm Lahham). Sono stati picchiati e dopo il loro rilascio sono stati ricoverati in ospedale.

Il 12 ottobre, coloni israeliani hanno sparato a Ibrahim Alami (25 anni) mentre percorreva la strada n. 60 per ritornare a casa, nei pressi di Beit Omar (Hebron). Il giovane è morto.

Il 13 ottobre, nei pressi di Qabalan, (Nablus) coloni israeliani hanno attaccato e picchiato il giovane palestinese Khaled Alaqra’. Sempre lo stesso giorno 5 auto palestinesi sono state danneggiate dal lancio di pietre da parte di coloni israeliani nei pressi di Maleh Amous (insediamento israeliano vicino a Betlemme). Nei pressi di Jenin i coloni hanno attaccato i palestinesi Quasi Lafee Sawaftea e Adnan al-Khateeb. Le loro auto sono state danneggiate ed essi hanno riportato ferite. Sempre il 13 ottobre, 200 coloni dell’insediamento illegale di Efrat (nei pressi di Betlemme) hanno sparato su cinque case palestinesi a sud di al-Khader e Artas, ferendo quattro persone. Il villaggio palestinese di Hosan (vicino a Betlemme) è stato attaccato a colpi di arma da fuoco dai coloni israeliani di Beitar. Decine di finestre sono state danneggiate. Lo stesso tipo di attacco è stato perpetrato la stessa sera dai coloni di israeliani di Kiryat Arba ai danni degli abitanti del villaggio palestinese di Beit Enoon (vicino Hebron).

Il 14 ottobre, presso il villaggio palestinese di Dair al-Balah, coloni israeliani di Kfar Darom hanno incendiato il negozio di Khalil Basheer, impedendo agli abitanti del villaggio di estinguere le fiamme.

Il 17 ottobre, coloni israeliani di Elon Moreh hanno ucciso a colpi di arma da fuoco il giovane palestinese Farid Mousa Nasasreh, di Beit Fureik (vicino a Nablus), mentre insieme alla famiglia lavorava nei campi. Cinque suoi famigliari sono riamasti feriti. Sempre lo stesso giorno coloni israeliani di Itamar hanno attaccato il villaggio palestinese di Hawareh, sparando colpi di arma da fuoco. Sono state danneggiate case palestinesi ed è stato colpito Abed Raouf Amoudi, conducente di un’ambulanza palestinese che stava prestando soccorso agli abitanti del villaggio.

Nelle due settimane appena trascorse i coloni israeliani di Efrat, Daniel e EliEzer hanno attaccato le auto palestinesi che transitavano sulla strada tra Gerusalemme ed Hebron. Dozzine di auto sono state danneggiate.

Questa volta ho voluto riportare per intero il rapporto di Aic, per dare un’idea della violenza dei coloni israeliani. Le prossime volte vi suggerirò solo dove trovare gli aggiornamenti sul sito web dell’Aic.

Per il momento queste sono le informazioni disponibili.

 

Comunicato n. 4

Gerusalemme Occupata 23/10/2000

Questa notte Beit Jalla, cittadina a maggioranza cristiana, nelle vicinanze di Betlemme è stata bombardata ancora una volta dagli elicotteri e dai carri armati israeliani. E’ stato danneggiato l’edificio dell’Inad Theatre. Solo due parole sul teatro, tanto per farvi capire di che sto parlando. Ho conosciuto l’Inad grazie a Carlotta, la mia compagna, che da quasi sei mesi ha iniziato a lavorare con la compagnia come coreografa. Inad, che in arabo significa testardo, è l’esperienza quasi decennale di un gruppo di attori che ha deciso di unire la passione del teatro con il lavoro di base nella propria comunità. E così è nato il Centro Inad, che oltre a produrre opere teatrali che girano per tutto il Medio Oriente e qualche volta arrivano pure in Europa e negli Stati Uniti, aggrega i bambini di Beit Jalla e in generale di tutta la zona a sud della Cisgiordania. Gli attori – che lavorano un po’ anche da educatori, tengono corsi di teatro, danza ed espressione corporea, ma fanno anche spettacoli appositamente pensati per le scuole e i centri sociali per bambini – organizzano campi estivi e si ritrovano con i bambini del quartiere ogni pomeriggio della settimana. O per lo meno così accadeva fino all’inizio del mese, quando sono iniziati gli scontri e la violenta reazione israeliana. Prima giravano come trottole con i loro spettacoli, ora non possono più muoversi. In questa situazione di emergenza hanno deciso di raccordarsi con altri teatri e centri simili al loro per provare a organizzare delle attività per i bambini delle aree più colpite, ma l’incertezza dei movimenti per il momento non ha permesso al gruppo di fare granché.. Certo loro sono testardi, ma ad esempio oggi si temevano nuovi bombardamenti: agli attori non è rimasto altro che unirsi al gruppo di giornalisti e civili in attesa dei nuovi colpi israeliani. Si sono ritrovati tutti davanti al teatro, che sta proprio in faccia all’insediamento del Gilo, e hanno aspettato.

Fino ad ora non si ha notizia di nuovi bombardamenti, per quanto vengono riportati scontri ovunque. Due ragazzi palestinesi feriti nei giorni scorsi sono deceduti in ospedale. La città di Hebron rimane per il ventiquattresimo giorno consecutivo sotto coprifuoco, che oggi è stato sospeso solo dalle 13:00 alle 17:00. Nel pomeriggio una marcia di migliaia di sostenitori di Hamas ha sfilato per le strade di Ramallah. I coloni israeliani continuano a minacciare i civili palestinesi, impedendo in molti casi il raccolto delle olive. Varie persone sono state minacciate nei dintorni di Nablus e Jenin e casi analoghi vengono riportati anche dall’Aic che, a seguito del rapporto trasmesso nel precedente Comunicato, ha diramato informazioni più dettagliate in proposito, che si possono trovare sul suo sito internet. Su quasi tutti i territori palestinesi l’esercito israeliano ha imposto una rigida chiusura totale.

Ad al-Fawwar è stata chiusa anche la strada di accesso che passava per il vicino campo di zucche. Ora è impossibile entrare ed uscire da qualsiasi parte. Le linee telefoniche del sud della Cisgiordania rimangono danneggiate e le comunicazioni sono difficili.

Arafat ha lanciato una sorta di ultimatum a Barak con il quale gli chiede di scegliere la pace o la guerra. Barak sembra stia andando verso la creazione di un nuovo governo di unità nazionale che molto probabilmente includerà anche il Likud di Sharon.

Per il momento questo è tutto. A presto.

 

Comunicato n. 5

Gerusalemme occupata 24/10/2000

Oggi sembra che gli scontri abbiano avuto un affievolimento.

Peraltro qui piove e forse la cosa ha avuto il suo effetto. Inoltre oggi è la festa dell’ascensione del profeta Maometto al cielo. Ad ogni modo dai giornali locali è stato riportato il decesso di due giovani palestinesi feriti nei giorni scorsi.

Dopo i bombardamenti di ieri notte e di questa notte su Beit Jalla, insieme con Carlotta sono andato a trovare i nostri amici dell’Inad Theatre. Proprio questa mattina ci avevano scritto, confermandoci che nel recente bombardamento l’edificio del teatro era stato colpito, fortunatamente senza causare feriti.

Passando per Betlemme sembra di attraversare una città fantasma, quasi nessuno gira per le strade. Prima di arrivare alla Tomba di Rachele, luogo di culto riservato agli ebrei, l’esercito israeliano ha eretto delle barriere di cemento in mezzo alla strada. Non si puòò più passare da quella parte con l’auto. Si deve fare una lunga deviazione che aggira la base militare israeliana che sta davanti alla Tomba. Una volta sbucati dall’altra parte, a soli venti o trenta metri dalle barriere di cemento, l’intero manto stradale è ricoperto da una distesa di pietre lanciate nelle dimostrazioni contro l’esercito israeliano. Tutti i negozi della zona ovviamente sono chiusi e le finestre delle case sprangate. Per arrivare al teatro si deve procedere fino all’incrocio principale di Betlemme e quindi prendere la salita che si inerpica a destra, su per la collina di Beit Jalla. Su quella strada, che si trova proprio sul versante che si affaccia sull’insediamento del Gilo, abbiamo incontrato uomini armati.

I nostri amici dell’Inad erano tutti riuniti a discutere quanto accaduto la sera prima. Non potendo muoversi con facilità, hanno deciso di continuare comunque a portare avanti le attività per i bambini del paese, anche se di bambini ne arrivano pochi. Quando siamo arrivati era in corso una lezione di danza classica. Abbiamo provato una sensazione contraddittoria, di gioia e paura al contempo. I nostri amici vogliono tenere duro, non vogliono interrompere il rapporto che hanno costruito con tanto lavoro insieme a quei bambini, non vogliono che tutti i loro sforzi vengano annullati, ma al contempo a venti metri da l ieri un carro armato ha distrutto una casa. L’abbiamo visitata: da fuori si nota solo un buco nel muro, abbastanza piccolo, ma all’interno è tutto distrutto. Sono i danni causati da un tipo particolare di munizioni che penetrano all’interno dei muri per poi esplodere, dividendosi in tantissimi proiettili: tutto quello che sta intorno viene distrutto. R. Fisk, giornalista irlandese, che ha raccontato a tutto il mondo la guerra in Libano, riporta dell’uso di queste munizioni anche durante l’occupazione israeliana del Libano. Si tratta di munizioni anticarro, il cui uso è vietato contro obiettivi non militari.

Dal momento che in Italia si parla tanto di violenza da ambo le parti, voglio riportarvi una notizia che ho sentito alla radio locale proprio questa sera: pare che la polizia palestinese abbia arrestato un collaborazionista che sparava da Beit Jalla contro l’insediamento del Gilo, proprio per suscitare la reazione israeliana.

Amira Hass, corrispondente dell’Haaretz, uno dei quotidiani israeliani più pluralisti, ha raccontato che il bombardamento di Beit Sahour, di cui vi ho raccontato nel precedente Comunicato, è impossibile che sia stato deciso come a reazione a “presunti” spari da parte palestinese contro l’insediamento in costruzione di Har Oma (Abu Gneim Mountain). La gittata degli Eventuali’ Kalashnikov palestinesi non supera gli ottocento metri. Har Oma si trova a molto più di un chilometro dal villaggio di Beit Sahour.

Questa sera ci sono stati forti scontri ad Al Fawwar. Tariq e Ziad mi hanno telefonato e mi hanno detto di due feriti gravi, uno alla testa e uno al collo. Uno dei due è stato anche portato nei locali del Centro Comunitario Polivalente, per poi essere affidato alle cure del dottore dell’Unrwa.

Per il momento questo è tutto.

 

Comunicato n. 8

Gerusalemme occupata 27/10/2000

Dopo quasi dieci giorni di assenza forzata giovedì sono tornato al campo di al-Fawwar per incontrare il comitato esecutivo del progetto che coordino. Nelle mie precedenti visite eravamo riusciti ad incontrarci, ma solo alla spicciolata e non tutti insieme. Ma ieri, forse a seguito di due giorni “relativamente” calmi nel campo, siamo riusciti a fare una riunione vera e propria. Si è deciso di procedere con le attività del Centro comunitario polivalente per l’infanzia, senza pero’ proseguire con le attività dislocate negli altri centri (Centro delle donne, Centro dei giovani e Centro per la riabilitazione) perché troppo vicini all’entrata del campo, dove solitamente avvengono gli scontri con l’esercito israeliano. Al di là delle attività per i ragazzi e i bambini, di cui si è incaricato Tariq, abbiamo discusso dell’utilizzo della clinica, che purtroppo ad oggi è rimasta inutilizzata per l’inadeguatezza delle attrezzature. Al momento dell’acquisto non si prevedeva che dovessero servire per l’attività di pronto soccorso. La clinica doveva assomigliare più a un presidio medico-consultoriale. In aggiunta pare che sia difficile trovare un dottore che sia in grado di raggiungere al-Fawwar con regolarità. L’unico dottore che abita nel campo è già impegnato in altre attività.. Nei prossimi giorni cercheremo di trovare una soluzione, almeno per far fronte a questo periodo di crisi.

Mentre facevamo la riunione i soldati israeliani continuavano a sparare (lacrimogeni, pallottole vere e di gomma) contro i ragazzi che all’entrata del campo lanciavano sassi (mentre stavo entrando nel campo un sasso a dir la verità ha preso anche la mia macchina). Ormai sono quasi due settimane che al-Fawwar è completamente chiuso. Saltuariamente i soldati lasciano passare alcune macchine per la “strada” che passa in mezzo ai campi, parallelamente alla strada principale che rimane bloccata con blocchi di cemento, sassi e terra.

Prima di andarmene ha chiamato la madre di tre bambini di un villaggio vicino, che come sempre erano venuti a giocare nel nostro Centro. Era agitatissima è ha chiesto che, avendo io un’auto con la targa israeliana (e non essendo quindi soggetto a troppi controlli da parte dell’esercito) accompagnassi i suoi figli con la mia auto fino a casa. I tre erano terrorizzati mentre passavamo vicino ai soldati, che comunque non ci hanno fermati.

Per far capire la paura di questi bambini (la più grande ha quattordici anni) forse vale la pena raccontare un episodio raccontatomi da Hasan, un operatore del Centro Comunitario Polivalente. Alcuni giorni fa due soldati israeliani stavano “provando” le loro armi; uno insegnava all’altro a sparare i lacrimogeni. Nel campo davanti a loro c’era un gruppo di bambini. Il soldato che stava imparando ha puntato contro i due e gli ha sparato un lacrimogeno.

Durante la notte sono state bombardate Hebron e Tulkarem. Ma ormai qui queste notizie vengono riportate senza troppo clamore e sembra quasi che le persone abbiano fatto l’abitudine a queste tremende violazioni dei loro più basilari diritti umani. E questo fa davvero paura anche a me, a Carlotta, a tutti gli amici che sono qui insieme a noi: rischiamo di abituarci a sentire le notizie di ogni giorno senza più tanto spaventarci o forse senza più quello sdegno dei primi giorni. Scrivere forse mi serve anche per mantenere la lucidità e un punto di riferimento per riflettere e analizzare quanto accade sotto ai miei occhi.

Avrei voluto iniziare il messaggio di oggi proponendovi un esempio. Lo faccio ora: poniamo, per assurdo ovviamente, che ai palestinesi venisse riconosciuta la “sovranità” sulla città vecchia di Gerusalemme, vale a dire non solo sulla Spianata delle Moschee (Haram al-Sharif), ma anche sul Muro del Pianto (Temple Mount). Poniamo, ancora per assurdo ovviamente, che per una ragione o per l’altra (anche fosse di sicurezza) i palestinesi decidessero di non far accedere gli ebrei al di sotto dei 40 o 35 anni al loro luogo di culto e preghiera. Quale sarebbe l’accusa che girerebbe i giornali di mezzo mondo? antisemitismo, di sicuro.

Purtroppo (o forse per fortuna?) non esiste una parola altrettanto carica di significati e capace di accendere gli animi, per descrivere il sentimento anti-islamico e più in generale anti-arabo che gli israeliani stanno esprimendo in questi giorni. Altrimenti potremmo usarla oggi (come avremmo potuto fare anche venerdì scorso) e far raddrizzare i capelli sulla testa di tutti. Sono ormai due venerdì che un cordone inimmaginabile di militari, poliziotti e squadre speciali antisommossa, impedisce a tutti i maschi palestinesi al di sotto dei 40 anni non solo l’entrata alla Spianata della Moschee, ma perfino all’interno della cinta muraria della città vecchia di Gerusalemme. Oggi passando ho visto per l’ennesima volta i palestinesi costretti a pregare in mezzo alla strada, inginocchiati sui loro tappetini rivolti alla Mecca. Perché nessuno si sdegna per questo? Come riportano tutte le agenzia di stampa del mondo, i musulmani di Gerusalemme, dopo aver pregato in mezzo alla strada, fuori le mura di Gerusalemme, se ne sono andati pacificamente senza tirare un sasso. Chissà se questa sera nei telegiornali nazionali ci sarà qualcuno che commenterà l’accaduto con il dovuto rispetto per il comportamento dei palestinesi di Gerusalemme, attribuendo le responsabilità dovute agli israeliani? O forse, visto che Gerusalemme non ha avuto morti, non se ne parlerà.

Non è andata così invece altrove. All’uscita delle moschee, ci sono stati scontri un po’ ovunque, a Gaza, a Khan Younis, a Ramallah, a Qalqilia, a Tulkarem. Fino alle 14:30 si contavano tre ragazzi morti, tutti e tre al di sotto dei 25 anni. Durante la mattina, con altri italiani impegnati in Ong, siamo andati un’altra volta a Beit Jalla, dove i nostri amici dell’Inad Theatre hanno organizzato uno spettacolo per i bambini del paese. Hanno cantato e ballato nel loro teatro, bersaglio due giorni fa dei cannoni israeliani e poi sono anche usciti in strada. I bambini hanno disegnato e alcuni disegni mi sono sembrati molto significativi. In particolare mi hanno colpito quelli di due bambini. Uno ha disegnato un aereo che butta delle bombe sul teatro. La contraddizione è che i colori sono luminosi, non c’è sangue e le case non sembrano toccare terra, come se fossero case di sogno. Sul lato sinistro splende un sole che prende quasi un quarto del foglio. L’altro bambino ha disegnato carri armati, aerei, elicotteri e soldati, mettendo una didascalia a tutto, come per spiegare che cosa significhi quello che lui vede con i suoi occhi. La testa del bambino al quale il soldato israeliano spara non ha occhi, bocca né naso. Il soldato al posto della faccia ha una stella di David.

Come avevo accennato qualche giorno fa (riportandovi le notizie da un report di Aic, sito web: www.alternativenews.org) i coloni israeliani continuano a terrorizzare i contadini palestinesi, impegnati in questi giorni nella raccolta delle olive.

Questa mattina l’al-Quds, quotidiano palestinese in lingua araba, riportava un appello della Croce Rossa per invitare tutti i lavoratori stranieri presenti in Palestina ad affiancare i contadini palestinesi nella raccolta delle olive; in questo modo la Croce Rossa auspica di costituire un deterrente per gli atti terroristici dei coloni israeliani.

Mentre scrivo, ad Abu Dees, villaggio vicino ad El Lazarieh, dove si trova casa mia, i soldati israeliani stanno sparando lacrimogeni.

Per ora è tutto.

 

Comunicato n. 9

Gerusalemme 28/10/2000

Ieri notte l’esercito israeliano ha bombardato nuovamente le città di Betlemme, Beit Sahour, Beit Jalla, Hebron e Gerico (dove pare sia stata colpita la centrale elettrica). Gli elicotteri da guerra israeliani hanno sorvolato anche Gerusalemme, ronzando sopra i tetti delle nostre case fino alle due di notte circa.

Il campo di al-Fawwar da ieri è stato sigillato ermeticamente, vale a dire che non possono più entrare né uscire non solo le auto private, ma nemmeno quelle dell’Unrwa e i mezzi di soccorso o rifornimento medicinali, nemmeno per i campi vicini.

Oggi la situazione sembra apparentemente calma, anche se questa mattina si è diffusa la notizia che un giornalista palestinese, ferito nei giorni scorsi, è deceduto in un ospedale giordano. Approfitto di questa relativa calma, per raccogliere un po’ le idee e i materiali che ho ricevuto in questi ultimi due giorni turbolenti.

Innanzitutto voglio riportarvi l’ignobile campagna diffamatoria che i media israeliani stanno portando avanti ai danni dei genitori palestinesi che vengono accusati di mandare a morire i propri figli per ottenere la simpatia dei media internazionali. Ieri sul Jerusalem Post è apparso un articolo che rivolgeva queste ignobili calunnie anche all’Ong palestinese Defence For Children International-Palestinian Section, accusandola di utilizzare i fondi dei donatori internazionali per fare propaganda anti-israeliana.1

Dci-ps per parte sua ha diffuso un comunicato stampa con il quale denuncia la campagna diffamatoria dei media israeliani2.

George, direttore di Dci-ps, ha comunicato che la sua Ong intende promuovere un’azione di protesta contro le “notizie” diffuse dal Jerusalem Post.. Tutti sono invitati a mandare lettere e messaggi di protesta ai seguenti indirizzi, senza superare possibilmente le 150 parole:

The Jerusalem Post

Editor-in-Chief, Jeff Barak

Editorials Editor, Saul Singer

Tel: +972 2 531 5666

Fax: +972 2 538 9527

email rivolte all’editore per la pubblicazione: letters@jpost.co.il

E-mail rivolte agli editori: editors@jpost.co.il

Dci invita anche a mandare e-mail all’autore dell’articolo,

Gerald Steinberg: gerald@vms.huji.ac.ils

e per conoscenza a Dci-ps: dcipal@palnet.com

Per concludere, riassumo di seguito la lettera che Ziad Hmouze, responsabile del Comitato di campo di al-Fawwar, mi ha detto essere stata indirizzata il 25 otto 2000 al signor Cook, responsabile generale dell’Unrwa West Bank.

Sostanzialmente la lettera denuncia l’aggressione brutale ai danni della popolazione civile palestinese e nello specifico ai danni dei profughi palestinesi e richiede azioni di protezione nei confronti di questi ultimi. La lettera sottolinea quattro richieste:

utilizzo di osservatori Unrwa con presenza permanente per il monitoraggio delle violazioni dei diritti umani;

creazione di un programma di assistenza e protezione per l’emergenza rivolta ai residenti dei campi profughi palestinesi;

creazione di programmi di emergenza per le scuole Unrwa;

apertura di centri medici di pronto soccorso, insieme alla fornitura di medicinali e ambulanze per i campi profughi.

Per il momento è tutto.

Note

1 L’articolo si può vedere al seguente link: http://www.jpost.com/Editions/2000/10/27/Opinion/.

2          Il comunicato stampa può essere reperito al link: www.dci-pal.org/003200.htm.

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