Articul tirât fûr da "Il Friuli" dal 20/01/2006

     

Versi fatti per colpire

I componimenti de l'Arlêf, autore sconosciuto, che scrive poesie in friulano

       

Non è dato conoscere il nome di chi si nasconde sotto lo pseudonimo di "L'Arlêf" (il discepolo). Sappiamo soltanto che tutela severamente il proprio anonimato, che ha per amica una poetessa che chiama "St. Lussie" e che parla volentieri in friulano. E' autore di due raccolte, "No steit crodi ce ch'o 10" e "L'Arlêf". Poesie non allineate, fuori dal 'mainstream' locale, poco mielose e dure come randellate. Finalmente un uso del friulano "per il mondo" e non "nonostante il mondo"; finalmente un poeta friulano che usa la propria lingua in modo eguale e non dominante rispetto alle altre, ignorandole sdegnosamente come se il Friuli fosse in un altro pianeta. L'Arlêf scrive versi in friulano, li volge in italiano e viceversa, mescola parole inglesi e esclamazioni di canone fumettistico, cita acronimi del gergo dei computer e sigle; lancia invettive, cuntumelie, imprecazioni e slogan.

Dalla contemplazione disincantata del vivere quotidiano e dell'amore passa a grida disperate che si perdono nel nulla e nell'indifferenza più assoluta; osserva e penetra una realtà invivibile e un mondo meschino e futile, sottolinea spesso coi suoi 'nonsense' il male comune. Spesso il significato delle sue poesie è racchiuso nell'ultimo verso e spesso "l'Arlêf" riesce a sorprendere, giammai a deludere; la fucilata è sempre pronta, propinata con fredda lucidità, con ira.

Volendo assolutamente cercare per "l'Arlêf" una collocazione, pensiamo che si possa risalire a quel gruppo di autori che tanto piacevano alla Pivano: volente o nolente, l'Arlêf è vicino a Kerouac, a Ferlinghetti e, forse, anche all'ultimo Bukowsky, quello meno ubriaco e più dolente: tutti vittime e critici di un mondo molto porco e poco degno di sguardi miserevoli, al quale occorre tuttavia lasciare testimonianza a futura memoria e per l'uso altrui e, forse, anche per una sottile e non del tutto caritatevole vendetta.

Le poesie dell'Arlêf vanno rilette. Chi scrive è passato dal fastidio al pieno consenso e viceversa; mai come per i versi di quest'originale poeta il giudizio è provvisorio, legato com'è allo stato d'animo del lettore. Ciò non costituisce affatto una limitazione; anzi, è possibile apprezzare vivamente il dinamismo assai spiccato e cangiante della comunicazione tra l'autore dei versi e chi li legge.

Mancano descrizioni di ambienti peculiari o tipici; ciò dimostra che il cosmo che contiene e ispira questo autore nasce e muore con le ispirazioni: viene dal sentire piuttosto che dall'essere. Il tutto potrebbe sembrare delusione, pessimismo, giudizio negativo; invece, è vigore, reazione, saper rimettersi in piedi dopo il disinganno, poter gioire della felicità di un attimo per eternarla accuratamente in una sequela di versi prima sentiti e poi pensati, scritti di getto e scaraventati contro l'indifferenza. Hemingway ha detto che "quando si va in guerra, è bene dotarsi di una bottiglia di whisky: se non si riesce a romperla in testa al nemico, si può sempre berla".

L'Arlêf è fatto proprio così: cercherà di colpire duramente; nel caso non ci riuscisse, poco male: i versi gli serviranno da anestetico e continuerà egualmente la sua vita.

Gino Spoleni