Contributo
per una ricerca sul folklore delle grotte lombarde
di Enrico
Gleria (Club Speleologico Proteo, Vicenza)
Riassunto. Il presente contributo sul folklore delle grotte lombarde, condotto essenzialmente su basi bibliografiche, costituisce la continuazione di un'analoga ricerca iniziata sul Veneto. Essa ha individuato alcuni temi dove è facile riconoscere tradizioni e credenze popolari ricorrenti.
Abstract. This research work on cave folk tales in Lombardia is based on bibliographic research and is a continuation of a similar work carried out in Veneto region; re-current popular believes and traditions are among the main subject.
1. Premessa. Il presente contributo ha come punto di partenza e riferimento il lavoro sul folklore condotto sul Veneto presentato nel 1991 al Convegno "Immaginario popolare e grotte delle Venezie". Questo lavoro, tuttavia, non è partito dall'esame del catasto lombardo, risultato di problematica consultazione, ma è proceduto su basi essenzialmente bibliografiche facendo ampio riferimento a quanto è stato pubblicato da Banti e Dellera (1985); è mancata inoltre, salvo qualche raro caso, la conoscenza diretta dei luoghi che è spesso utile per la corretta interpretazione delle tradizioni. Si è voluto ovviare a queste limitazioni richiedendo notizie sul folklore direttamente ai gruppi lombardi, ma a questa richiesta solo 5 gruppi, sui 29 contattati, ha risposto. Si spera pertanto che questa nota risvegli un certo interesse per un argomento che ha visto in Corrado Allegretti e Leonida Boldori illustri precursori e possa servire come stimolo per una ricerca più approfondita magari condotta con riscontri sul campo. Vale la pena qui insistere sull'opportunità di inserire a catasto tutte le cavità ricordate dalla tradizione popolare cioè procedere alla loro ubicazione e schedatura al di là del limite morfometrico dei sei metri spesso ritenuto a torto dagli speleologi condizione "sine qua non".
2. La caverna e gli animali. Nel Comasco, erano particolarmente temute la 'cavra sbagiola', un mostruoso uccello dalla testa caprina che, uscendo dalle grotte, tormentava chi aveva la "coscienza sporca" e la 'cavra del Cincirunbel' che viveva negli anfratti e nelle caverne prossime alle cave di gesso poste tra Nobiallo ed Acquaseria (Sasso Rancio). La tradizione di Torriggia, sopra Laglio, ha invece sempre fantasticato sugli orsi giganteschi che un tempo infestavano la valle. Nel 1841 il Casella, convinto che queste voci fossero basate su indizi concreti esplorò quello che doveva poi diventare il Bus de l'Urs o Bus de la Bagaglia (2207 Lo Co) trovando i resti di decine di individui di orso speleo.
Più curiosa la tradizione relativa alla Grotta di San Giovanni a Laorca (1708 Lo Co), nel secolo scorso ritenuta una delle più belle grotte della regione. In quest'ultima i contadini brianzoli e bergamaschi facevano la fila per prelevare con le "brente" l'acqua di cui erano colme le vaschette della parte terminale; con questa innaffiavano le "sementi" dei bachi da seta convinti di ottenere produzioni più abbondanti. Il Boeucc di Carpen (2020 Lo Co) ha una leggenda che parla invece di mostruose carpe, chiamate da Paolo Giovio "pesci burberi", che hanno l'abitudine di rintanarsi nella grotta nelle ore più calde. Anche se pochi li hanno visti tutti li descrivono come pesci molto belli, con scaglie grandi e dorate, il labbro color oro e le pinne gialle; qualcuno racconta che pesino fino a 200 libbre e siano scaltrissimi: presi nelle reti le distruggono.
Nel Bresciano un'altra tradizione ricorda infine come in tempi remotissimi il Buco del Frate (1 Lo Bs) abbia costituito la tana di un immane mostro a forma di spaventevole e colossale serpente, terrore e disperazione di tutti gli abitanti della zona.
3. La caverna e il femminile: fade e strie. Secondo Gagliardi l'Antro del Pipistrello, presso Cascino d'Erba, sarebbe stato usato fino ad epoca recente per riti magici testimoniati da numerose incisioni impresse nella roccia nelle quali trovano eco i lontani processi alle streghe. D'altra parte le streghe sono di casa a Magreglio nel Büs de la Stria (2188 Lo Co) o a Barni nella Grotta del Fao o Bus de la Pissalonga (2192 Lo Co); si racconta che in quest'ultima, nei pressi di un faggio gigantesco, esse si radunavano nelle notti di plenilumio a danzare. Le streghe si davano convegno anche ai Grosgalli sopra il Boeucc di Carpen (2020 Lo Co), alle Grotte del Bisbino o in Tremezzina, partendo sempre dai dintorni di Lezzeno, a cavallo delle loro scope. Il Büs de la Strea (1023 Lo Bg), ad Albino in valle Seriana, ricorda i tempi bui delle caccie alle streghe: un giorno i valligiani raggiunsero una di esse nella grotta per farla finita con le sue fatture; quando essa si sentì perduta cominciò a graffiare le pareti che da allora presentano profonde impronte sulla roccia. Il Boldori segnala che altre cavità dedicate alle streghe si trovano a Comerio (2003 Lo Va), Velate (2061 Lo Va), il Bus de la Stria a Magreglio (2088 Co Lo), Cevo (260 Lo Bs, 261 Lo Bs) e sui monti Maddalena (47 Lo Bs), Selvapiana (56 Lo Bs), Covolo (193 Lo Bs) e Denervo (85 Lo Bs).
A proposito della risorgente del Funtanin de la Tur, situata sopra Esino Lario, si racconta che una strega, installatasi nella Torre di Esino, un giorno aveva deciso di mettere in pentola un gatto nero. Forse per sbadatezza, o perchè l'animale cominciava ormai a scottarsi le zampe, ad un certo punto con un balzo riuscì a fuggire dalla prigione ormai rovente emettendo urla che di felino avevano ben poco. La cosa ebbe conseguenze spropositate: la montagna infatti si aprì e dal Funtanin de la Tur scaturì un'immane massa d'acqua che travolse l'intero paese. Il Büs de le Strie, presso Costa-Mignone in Valvestino è un pozzo di 15 metri particolarmente temuto dagli abitanti della zona convinti che sia ancora abitato dalle streghe. Quest'ultime risucchiano i curiosi che, ignari del pericolo, si avvicinano troppo alla bocca della cavità. Il Buco dei Ladri, è invece una piccola grotta orizzontale situata nel dirupo roccioso di Dosso Boscoso, sulla destra del torrente Mella, ritenuta in comunicazione con l'inferno. A questo riguardo si racconta che i contadini della zona, infastiditi dalla continua sparizione del fieno falciato dai campi, un giorno si appostarono per sorprendere i responsabili. Fu solo verso l'imbrunire che scorsero una donna seguita da tre ragazzi avvicinarsi con balzi furtivi ai mucchi di fieno appena tagliato. I contadini uscirono allora dai loro nascondigli precipitandosi con i forconi verso gli strani esseri che però, dopo un grugnito di rabbia, ritornarono sui propri passi sparendo nella direzione della grotta a fantastica velocità. I contadini, intesa la natura diabolica di quegli esseri, desistettero subito dall'inseguimento ma uno di loro, più temerario, volle ad ogni costo andare stanarli. I compagni lo aspettarono a lungo ma solo dopo molte ore udirono urla terrificanti alle quali seguì un silenzio che li lasciò angosciati fino all'alba. Fu solo allora che osarono raggiungere la grotta dove trovarono il compagno morto, con gli occhi sbarrati dal terrore, mentre dall'angusta apertura avvertivano ancora un acre odore di zolfo e carni bruciacchiate.
4. La caverna e il maschile: il diavolo, l'orco, il mago. Le grotte sono spesso associate a personaggi maschili come il mago della Ca di Vicc (2209 Lo Co) a Faggeto Lario, o quello della grotta omonima a Como (2057 Lo Co) o ancora quello del Boeucc de la Tonsa (2058 Lo Co) a Brienno. Ad orchi e diavoli sono dedicati alcune cavità come il Bus del Babau sopra Olcio (5019 Lo Co), ricordato come spauracchio per i bambini in tutto il paese, l'Unghia del Diavolo presso Canzo (2378 Lo Co), la Tana Selvatica a Grandola (2053 Lo Co), il Buco dell'Orco a Pellio (2320 Lo Co), il Boeucc del Luf a Castiglione Intelvi (2056 Lo Co) e il Buco della Nicolina (2204 Lo Co), il cui toponimo sembra essere derivato da 'nicolino', pseudonimo del diavolo.
Il Buco del Diavolo, detto anche Buco delle Streghe, è una cavità bresciana che si apre sul versante occidentale di Dosso Quarone in val Gandine (Gussago). Si racconta che un contadino, recatosi a far pascolare la propria mucca nelle vicinanze della grotta, un giorno si trovò circondato da tre briganti: dopo un attimo di smarrimento, con un balzo il contadino cercò scampo nella grotta tirandosi dietro l'animale. I banditi, profondamente superstiziosi e sospettosi, si guardarono bene dal seguirlo temendo che il diavolo stesso volesse attirarli in qualche trappola: così se la svignarono rapidamente. Ma il contadino, per lo spavento, si era così addentrato in un cunicolo della grotta con il povero animale che ora non riusciva più ad indietreggiare. Per tre giorni e tre notti i muggiti lamentosi dell'armento uscirono dalla grotta come una tromba infernale così che tutti giravano alla larga e si turavano le orecchie atterriti. Alla fine i famigliari del contadino, preoccupati per la lunga assenza del congiunto e dell'animale, si decisero a varcare la soglia della grotta misteriosa e grande fu il loro stupore nel trovare dopo pochi metri la mucca così incastrata nel cunicolo che solo con un duro lavoro di corde e leve la riuscirono a liberare.
In Valvestino, sul versante bresciano del Garda, sono noti ancora due Cùel del Diaòl: il primo in val Personcino, il secondo alla base delle pareti della forra incisa dal torrente Proalio. Quest'ultimo è un lungo riparo sottoroccia, utilizzato un tempo come ovile, presso l'imboccatura del quale si trova un masso con incise numerose impronte provocate dallo stillicidio della parete sovrastante; gli alveoli accoppiati sono ancora interpretati come impronte caprine del diavolo.
5. La caverna come tema iniziatico: il labirinto. Sono numerose le grotte che vengono descritte dal popolo come profondissimi dedali sotterranei, come è il caso del Labirinto di Cernobbio (2210 Lo Co), comunicanti con punti e luoghi impensati o lontanissimi. I contadini di solito non amano il mondo delle tenebre e, specie se l'ingresso della grotta è isolato e nascosto, lo evitano con timore. Tra i motivi curiosi legati a questo tema ricordiamo il Boeucc del Gaggieou o Oregia Marina (2240 Lo Co) che la tradizione vuole prolungarsi fin sul versante che scende a Schignano; il Bus de l'Urs (2207 Lo Co) risulterebbe collegato con il Lago di Lugano, la Grotta di Vallombria o Bus de la Colma Squarada (2200 Lo Co) con il Bus de la Nicolina (2204 Lo Co), il Fiumelatte (1501 Lo Co) con la Ghiacciaia di Moncodeno (1506 Lo Co); nel Buco del Piombo (2208 Lo Co) un cane sarebbe entrato per uscire poi morto nel lago di Como.
Talvolta la leggenda trova riscontri reali come nel caso della Grotta di Camara (2000 Lo Pv) che una leggenda vuole prolungarsi sino all'altra parte del monte dove esiste una sorgente alla base di un gigantesco smottamento e della Grotta di Cristallo, a Montescano nell'Oltrepo Pavese, che collega due valli contigue attraverso una galleria orizzontale. Alla Grotta Tacchi o Uregia del Mar a Zelbio (2029 Lo Co), al Buco dell'Alpe Fusi o Oregia sul Monte Suello (2035 Lo Co) al Boeucc de Gaggieou o Oregia Marina di Castiglione Intelvi, il Bus de La Lumaga o Oregia Marina a Ponna (2322 Lo Co) all'Uregièla di Laglio (2604 Lo Co) vengono attribuiti sviluppi strepitosi. Nel 1894, Giovan Battista Bazzoni pubblica un romanzo storico in cui uno dei protagonisti entra in una caverna posta sotto il Pian del Tivano e ne esce nella valle del Lambro.
Altre leggende si intrecciano attorno al Fiumelatte (1501 Lo Co), una di queste narra che nel 1583, alcuni ardimentosi, sfruttando una magra del corso sotterraneo penetrarono per sei miglia nella grotta ma, perduta la strada, vagarono per quattro giorni uscendo senza più ritrovare il lume della ragione. Un'altra leggenda racconta di una ragazza che, per scegliere fra tre pretendenti, volle che questi si sfidassero in un'esplorazione della grotta. I tre innamorati, scomparvero nella grotta, e tutti li credettero morti, finchè un giorno, riapparirono il primo cieco, il secondo pazzo ed il terzo muto. Più sfortunati due frati cappuccini che, spinti dalla curiosità, vollero sfidare le tenebre della stessa grotta. Anche loro non diedero più notizie per mesi fino a quando il torrente della grotta non restituì i corpi dei due.
Una leggenda raccolta nel Bergamasco vuole che la Tamböra de San Patrize o Pozzo di San Patrizio (1028 Lo Bg), presso il santuario omonimo in valle Seriana, raggiunga il livello del fiume Serio mentre è opinione comune che le acque del Büs del Töf (Noboli) provengano dal lago d'Iseo nonostante questo si trovi ad una quota inferiore. Presso Brozzo, in val Trompia, si racconta che un frate sia precipitato dentro una delle cavità verticali della Caja; da allora l'anima del povero monaco continua ad emettere gemiti mentre nei pressi del baratro risuonano inspiegabilmente anche suoni di campanelli. La caverna diventa quindi un luogo oscuro di confronto con la paura, dove scompaiono i vivi, si sotterrano i morti, si confondono i vivi con i morti.
Il Buco del Laghetto avrebbe un canale sotterraneo che porta le acque del Mella ad alimentare il lago della Fantasina (Cellatica) e la tradizione a sostegno di ciò ricorda che della segatura gettata sul baratro del Laghetto sarebbe uscita appunto alla Fantasina. Ugual sorte sarebbe toccata ad un povero cane gettato nel Buco di Dosso Boscone visto galleggiare, cadavere, alcuni giorni dopo sul medesimo stagno. Così altra segatura, gettata nel Negondol o nel Buco della Bocca, sarebbe uscita alle fonti di S. Eufemia o alla Bornata. Il Büs del Sol è ritenuto continui fino a Rezzato e il Büs de la Volp nella valle del Codigolo, dovrebbe condurre con un percorso di almeno due chilometri fino a Costorio; il Buco del Frate (1 Lo Bs) è ritenuto invece in comunicazione con l'abitato di Gavardo. Si racconta infine in Valvestino che l'interno del Cùel Sant Grande (385 Lo Bs), in realtà costituito da un unico vano, sia così labirintico da rendere impossibile il raggiungimento del fondo.
6. La caverna e il culto
6.1 Santi, eremiti. Alberto Besozzi, figura che la tradizione locale considera beato, si era arricchito facendo il traghettatore tra le due sponde del Lago Maggiore, ma una sera, a causa del vento di "Mergozzo" naufragò sullo scoglio del Sasso Ballaro (Leggiuno). Prima che la barca scomparisse tra i flutti Alberto fece voto a S. Caterina che, se si fosse salvato, non avrebbe abbandonato quello scoglio dove si sarebbe ritirato a vivere come eremita. Miracolosamente scampato alla morte, nel 1170 raggiunse una spaccatura dell'alta rupe a picco sul lago e l'abitò per 35 anni. All'inizio parenti ed amici lo venivano a trovare portandogli un po' di cibo ma poi, a poco a poco dimenticato, venne rifocillato solo dagli angeli. Nel 1195 scoppiò nella regione una grave pestilenza e qualcuno si ricordò dell'eremita che fu ritrovato nell'anfratto roccioso tutto pelle ed ossa. Scongiurato d'intercedere contro il male Alberto rispose di costruire sopra la grotta un sacello dedicato a Caterina d'Alessandria simile a quello sul monte Sinai dove la santa fu sepolta. La volontà dell'eremita venne presto esaudita e fu allora che la pestilenza cessò miracolosamente. Da allora iniziò il culto verso S. Caterina del Sasso Ballaro e più tardi anche verso Alberto, morto nel 1205, le cui spoglie vennero deposte in un sepolcro scavato nella roccia accanto al sacello.
Frati o anacoreti si dice avessero stabilito la loro dimora anche alla Grotta in località Ciucher (2615 Lo Co), nei pressi della frazione sovrastante il Santuario della Madonna del Soccorso. A ridosso dell'ingresso della grotta, sono visibili i resti di antiche mura, forse le fondamenta di un eremo. Gli anziani della zona ricordano anche un pozzo addossato alla costruzione, oggi riempito di detriti. Ad Esino Lario è venerata la Grotta di San Nicolao (1510 Lo Co), poco sopra la frazione di Guillo, in cui visse il santo omonimo. La tradizione ricorda ancora, subito dopo l'ingresso della cavità, due prominenze della roccia: una sarebbe stata il capezzale del santo l'altra, incavata, l'acquasantiera.
Sopra Como, a poca distanza dalla frazione Garzola Superiore, è importante ricordare la Grotta di San Donato. La cavità, inglobata in un antico eremo (si hanno notizie a partire dal 1453), era un tempo assai famosa perchè legata al culto di San Donato, al quale si chiedeva di intercedere per le infermità dei bambini: le madri per ottenere la grazia ponevano sul piatto di una bilancia il proprio figlio mettendo nell'altro tanto offerte in natura fino a raggiungere l'equilibrio. Il convento venne chiuso nel 1772: si racconta che i frati arricchitisi con le continue donazioni conducessero ormai una vita scandalosa; nella cavità è possibile riconoscere alcuni di questi monaci dissoluti pietrificati. Sempre nel Comasco è fortemente radicato anche il culto del beato Miro, personaggio vissuto nel XIV secolo. Una vita pittosto movimentata condusse Miro a Roma, quindi a Canzo ove la tradizione lo ricorda eremita in una grotta sopra il paese, quindi a Nesso, di nuovo a Canzo e poi a Sorico, ove si spense nel 1381. Il beato è invocato ora contro la siccità ora contro la pioggia: a Canzo, nei pressi della grotta nella quale si era ritirato, gli è intitolato un oratorio mentre a Sorico gli è dedicata una chiesa. La Grotta di Canzo è praticamente un enorme riparo, largo una trentina di metri, sotto il quale nel 1643 è stato costruito l'oratorio e anche a Sorico la chiesa dedicata al santo insiste in un "sottosasso". All'interno della grotta dedicata a Miro c'è una fonte miracolosa che, oltre come rimedio per la siccità, guarisce il mal d'occhi (Stampa 1772). Altre cavità comasche dedicate ai santi sono le Grotte di Santa Giulia a Claino con Osteno (2041 Lo Co, 2042 Lo Co) la cui leggenda si è perduta, una grotta non localizzata posta tra il Bregagno e la Grona sopra Plesio, è dedicata a San Mamete, santo invocato in caso di siccità prolungate e, dalle donne, per aver latte a sufficienza per i propri figli. Si hanno poi notizie di una Grotta di Sant'Eutichio, situata sul monte che si innalza davanti alla Basilica di Sant'Abbondio a Como.
Anche Sant'Antonio di Lérins e San Guglielmo d'Orange avrebbero vissuto come eremiti in due grotte lombarde forse non ancora catastate. Il primo santo, originario della Pannonia, nacque nella seconda metà del V secolo; nel 488, sotto la spinta delle incursioni di Odoacre, si trasferì sul Lago di Como presso un sacerdote. Desideroso di solitudine passò sull'altra sponda del lago dove visse per qualche tempo in una grotta vicino alla tomba di San Felice con due vecchi eremiti. L'afflusso crescente dei devoti lo costrinse poi a valicare le Alpi e a stabilirsi a Lérins. San Guglielmo, secondo la tradizione, proveniva invece da una ricca famiglia della regione dell'Orange, dov'era nato agli inizi del XI secolo. Avviato alla carriera cavalleresca in seguito la abbandonò per condurre vita eremitica. Sceso in Italia, nella selvaggia valle di San Giacomo, a settentrione del lago di Como, visse in un antro acquistando presto fama di grande taumaturgo. Dopo la morte, avvenuta tra il 1070 e il 1080, le spoglie del santo furono inumate nella stessa grotta in seguito trasformata in oratorio. Nel 1391, crescendo la devozione per il santo, fu eretta nei pressi una chiesa, in seguito ricostruita ed ampliata più volte. Un ciclo di affreschi quattrocenteschi ha tramandato la tradizione del santo come taumaturgo.
In una frazione presso Lecco molti ricordano un certo frate Agnolo ritiratosi in penitenza nella Grotta sopra Versasio (3650 Lo Co), quest'ultimo, in occasione della peste del 1400, si prodigò a prestare aiuto agli ammalati. Rimasto senza cibo, venne sfamato dal latte di una cerva inviatagli da Dio e, alla sua morte, tutte le campane del circondario suonarono a festa. Ancor oggi la località ove si apre la grotta abitata dal frate è detta "Cervolt", cervo alto. A Laorca, sempre nei dintorni di Lecco, è molto nota la Grotta di San Giovanni (1708 Lo Co) attorno alla quale si intrecciano numerose leggende. Una di queste narra che la caverna fosse la dimora di un eremita a cui ci si rivolgeva per chiedere consigli e conforto. La cosa infastidì i signorotti locali che alla fine lo fecero assassinare: una delle forme tondeggianti visibili nella grotta sarebbe la testa dell'eremita, decapitato, rimasta impressa nel luogo dell'esecuzione. Sul monte Barro, nella zona detta "Munt del Pedro", nel tratto di strada tra Sant'Alessandro e San Michele, è oggetto di culto popolare la Grotta di San Gerolamo, modesta nicchia nella quale ancora si leggono scritte a carattere devozionale risalenti al XVIII secolo.
La Grotta di San Ponzo (2901 Lo Pv) ed il Giaciglio del Santo (2902 Lo Pv) sono due cavità adiacenti notissime a San Ponzo Semola, nei pressi di Godiasco nell'Oltrepo Pavese. Nel Medievo entrambe divennero famose per il rinvenimento di una sepoltura in cui il popolo riconobbe i resti del santo omonimo, famoso taumaturgo. Così la parte mediana della prima grotta, dalla quale scaturisce una sorgente, è stata trasformata in oratorio.
Nella Val Camonica è molto popolare invece S. Glisente che l'agiografia vuole soldato di Carlo Magno. Dopo la battaglia di Mortirolo, Glisente abbracciò la vita eremitica trasferendosi sul monte di Berzo dove abitò una spelonca fino alla morte, avvenuta nel 796. La tradizione racconta che il santo accendesse di notte dei fuochi per comunicare dalla sua grotta con S. Fermo, che viveva in un'altra spelonca a Borno, e con Santa Cristina che era invece nel romitaggio di Lozio.
A Brembate, sotto il Santuario di S. Vittore, si apre una seconda chiesa più antica che si sviluppa in una cavità naturale (Grotta di S. Vittore); a metà circa della grotta, dove la roccia si abbassa, si trova una vasca in pietra che dà l'idea di un'antichissima fonte battesimale. Sopra quest'ultima, su una prominenza rocciosa, secondo la tradizione si trova l'impronta della mano di San Vittore dalla quale è sempre stillata anche nelle più ostinate siccità e stilla oncora oggi una goccia perenne. Quest'acqua è raccolta con devozione e la fama attribuisce alla sua virtù molte guarigioni prodigiose. Anche sul fondo della stessa grotta, dopo l'altare del Crocefisso, la tradizione popolare attribuisce una specie di nicchia al fatto che la roccia si sarebbe infossata in maniera prodigiosa per nascondere il santo agli sgherri discesi nella grotta a cercarlo.
All'estremità della cresta settentrionale del monte S. Emiliano, in val Trompia, è scavata la Grotta di S. Cecilia (93 Lo Bs), profonda poco più di tre metri. La leggenda racconta come la santa avesse scelto un modestissimo anfratto naturale per sentirsi più prossima a Dio; ma un giorno venne accusata di stregoneria e una folla inferocita si mise in cammino per la grotta con l'intenzione di linciarla. Cecilia, vistasi perduta, si rannichiò in una nicchia raccomandando la propria anima a Dio ma, come nella Grotta di S. Vittore, immediatamente la roccia cedette e si produsse un vano dove la santa trovò rifugio, contemporaneamente una frana rovinò sulla turba di pagani che parte precipitò sul burrone sottostante parte si diede ad una fuga precipitosa. A ricordare il prodigio la rupe che fiancheggia la grotta viene chiamata l' "Abisso dei Pagani" e i contadini, che ancora si recano a visitare la grotta, si raccolgono in silenziosa venerazione davanti ad alcuni piccoli fori sulla roccia convinti di trovarsi di fronte alle impronte delle dita della santa impresse nel momento della suprema invocazione. Anche il nobile mantovano Costanzo di Rodolesco si sarebbe ritirato in una grotta del Bresciano per condurre vita eremitica. In breve tempo Costanzo venne in fama di santità e, dopo la sua morte, la caverna dove visse ne mantenne vivo il ricordo in tutta la zona del monte Nave. Sotto il versante del monte Caplone, in Valvestino, si apre il Cuèl de la Casa Santa cavità abitata da Alessio, un giovane eremita che la tradizione locale ricorda come santo. Dopo una vocazione contrastata dalla famiglia si racconta che il giovane abbandonò la casa paterna in una notte d'inverno. Stremato dal cammino nella neve Alessio alla fine trovò rifugio in una grotta della val di Campèi nella quale decise di vivere come eremita ma dove morì di stenti prima che l'inverno fosse finito. Il corpo del giovane venne ritrovato la primavera successiva da alcuni pastori che in sua memoria dipinsero sulla parete della grotta una croce rossa.
Altre tradizioni, costruite su scarsi elementi topografici o morfologici, restano latenti alla ricerca di una accettabile collocazione spazio-temporale: una tradizione vuole, ad esempio, che una Santa (Maria) Maddalena abbia abitato una delle grotte del monte omonimo nel Bresciano; altre ancora ci giungono frammentarie anche se spesso reiterano storie già note come la stalagmite ritenuta un eremita pietrificato nella Grotta di Levrange o Büs del Romet (15 Lo Bs).
6.2 Apparizioni miracolose. Numerose grotte sono legate al culto mariano, luoghi ricorrenti in cui la tradizione vuole sia apparsa la Madonna o il rinvenimento di sue immagini, sempre comunque in circostanze miracolose. Cavità ad essa dedicate in tempi più recenti nel solo Comasco sono: la Grotta della Madonnina a Ballabio (1544 Lo Co), la Grotta della Madonna di Lourdes a Laorca (1705 Lo Co), il Pertus o Grotta della Vergine di Lourdes a Valeso (2036 Lo Co), la Grotta della Madonna delle Selve a Oliveto Lario (2571 Lo Co). Sul tema della comparsa delle sacre immagini esistono leggende molto simili come quella relativa alla Rotella (2211 Lo Co) ed alla Caldirola (2215 Lo Co) nei pressi delle quali una contadina rinvenne una statua della Vergine. L'immagine fu subito collocata nella chiesa di Griante, ma poi miracolosamente tornò sulla rupe delle due grotte e il popolo intese manifestasse la volontà di essere collocata in un santuario lì appositamente costruito.
Legate alla Vergine sono anche le credenze della Madonna Nera di Fiumelatte (1506 Lo Co) il cui corso d'acqua è detto anche Fiume delle due Madonne perchè compare otto giorni prima o dopo il 25 marzo (Annunciazione) e scompare circa alla l° domenica di ottobre (Madonna del Rosario) e infine quella relativa alla cascata del corso d'acqua proveniente dal Bus del Tuee (2046 Lo Co). La tradizione racconta che una donna aveva fatto voto di tenere una lampada ad olio accesa nella vicina cappella della Madonna se avesse fatto un buon raccolto di noci, ma, avuto un raccolto eccezionale, si pentì della promessa fatta e, passando davanti alla sacra immagine con l'ennesima gerla stracolma, si sentì tacitamente rimproverata. Si volse allora alla Madonna dicendo: "Occhi di bue, è inutile che guardi il mio carico: questa roba è mia, non tua!" ma come ebbe detto queste parole inciampò annegando miseramente tra i vortici della cascata. Al Santuario della Madonna del Soccorso sopra Ossuccio, costruito nel 1529, una pastorella sordomuta trovò nella Grotta del Traforo (2595 Lo Co), in località Tuff, una statua assisa su un trono con protome umane e leonine. Riconosciuta come immagine della Vergine fu trasportata alla pieve ma, dopo poco, ritornò dove era comparsa: il popolo, convinto dalla traslazione miracolosa, edificò sul posto un nuovo santuario. Sembra comunque che nell'immagine attualmente venerata sia riconoscibile Cerere e che il santuario stesso insista sulle rovine di un presistente tempio pagano.
La Cornabusa (1136 Lo Bg), a Sant'Ombono Imagna, è una grotta venerata come santuario in tutta la Vallimagna; il culto sarebbe stato originato dall'occultamento di beni in periodi di guerre. Un'immagine della Madonna, rimasta dimenticata o abbandonata nella grotta per lunghi anni, sarebbe stata successivamente ritrovata da una pastorella sordomuta che avrebbe per intercessione della Vergine riacquistato la parola. La leggenda ricalca la storia della fondazione di altri santuari ma incuriosisce come, accanto alla venerazione per la Vergine, nel santuario sopravviva una pratica devozionale più antica che consiste nello staccare frammenti di roccia dalla grotta e conservarli come talismani. Anche il Santuario della Beata Vergine di Breglia, edificato nel 1781, vive su un'analoga leggenda di ritrovamenti e scomparse e, nei suoi pressi, esiste una modesta grotta oggetto di culto. Poco sotto la cima di Monte Isola, sul Lago d'Iseo, vi è una piccola grotta lunga pochi metri chiamata Orecera della Madonna (12 Lo Bs); la leggenda vuole che in essa sia apparsa l'immagine della Madonna della Seriola questa volta trasportata e venerata nel vicino santuario.
7. La caverna e i tesori. Legate al rinvenimento di favolosi tesori sono il Bus de l'Or a Puria (2346 Lo Co), in cui è riconoscibile forse un'antica miniera di pirite, ed il Bus de la Nicolina (2204 Lo Co), posto ai margini del Pian del Tivano. Scavi praticati in quest'ultima cavità hanno portato alla luce numerosi oggetti di epoca romana e ciò ha alimentato la leggenda che vuole nella località il palazzo di Aufreda, moglie di Teodorico, re dei Goti. Nel Pavese anche la Grotta presso il Castelliere di Guardamente a Cecina (2903 Lo Pv) è legata a tesori nascosti anche se finora ha restituito materiale di interesse esclusivamente archeologico.
Un tempo si favoleggiava che all'interno del Cùel Sant Grande (385 Lo Bs), presso Gargnano nella Val di Vesta, si celasse un misterioso vitello d'oro il cui fiato produceva un vento mortale che pietrificava all'istante coloro che osavano penetrare nella caverna. Le numerose colonne concrezionali che si trovano all'imboccatura della grotta sarebbero infatti le forme pietrificate degli incauti visitatori.
8. Altri temi tra realtà e leggenda
8.1 Storia. Il Buco del Piombo (2208 Lo Co) sarebbe stato testimone di innumerevoli fatti d'arme, forse a partire dal periodo longobardo (568-774) e poi durante le invasioni degli Ungari (899). Le continue razzie compiute da quest'ultimi avrebbero determinato gli abitanti del Triangolo Lariano ad erigere il primo nucleo della fortificazione. Nel 1160, durante le guerre comunali tra il Barbarossa e la lega lombarda l'esito incerto della battaglia di Tassera si risolse a favore di Milano grazie all'appoggio degli erbesi i quali, qualche tempo dopo, avuto sentore di una rappresaglia sembra si bariccassero nella caverna. Nel 1522 Giacomo Medici, in guerra con il duca di Milano, avrebbe tenuto per otto anni la caverna fortificandola ulteriormente.
Un certo Antonio Picozzi, nel 1855, mise in versi dialettali la triste storia di due giovani della Tremezzina, promessi sposi, separati dall'improvvisa chiamata alle armi. I due, mentre traghettavano per raggiungere Como, sono costretti dal maltempo a riparare al Boeucc di Carpen (2020 Co), dove si amano; così dopo la partenza del giovane la ragazza per consolarsi non può far altro che recarsi ogni giorno alla grotta cercando di rivivere le ore felici trascorse. Ma un giorno, mentre si avvicina al Boeucc di Carpen, la giovane si spaventa, cade dalla barca e annega: verrà trovata due mesi piu tardi impigliata nella rete di un pescatore .
Alla fine del secolo scorso, una donna di Cadria avrebbe abortito nel Cùel de la Casa Santa; sembra che in passato fosse abbastanza comune sfruttare le grotte come luoghi segreti per pratiche abortive per questo si racconta che passando di notte sulle pendici del monte Fassane si sentono i gemiti dei bambini non nati provenire dalle grotte sovrastanti.
Intorno al Bus della Marta, presso il Dosso Quarone in Val Trompia, si raccontano varie storie che hanno come motivo comune la caduta della ragazza omonima in un'oscura voragine e il suo successivo salvataggio. Nella prima versione la giovane vi sarebbe stata spinta dal fidanzato, ingelosito delle attenzioni di un signorotto locale: rimasta miracolosamente illesa solo dopo sette giorni sarebbe stata tratta in salvo. In un'altra versione Marta, sempre in compagnia col fidanzato, vi sarebbe caduta accidentalmente. Convinto della tragedia consumatasi davanti ai propri occhi il fidanzato sarebbe fuggito in preda al più grande dolore ma in realtà Marta era giunta incolume sul fondo dell'abisso. Tuttavia, dopo aver chiamato aiuto a lungo, stava per cadere nella disperazione quando una colomba, apparsa alla sommità del baratro, lasciando cadere due pezzi di pane la convinsero a sperare nella divina Provvidenza. Per sette giorni si ripetè l'apparizione finchè fu tratta in salvo da un contadino.
8.2 Contrabbandieri, ladri e briganti. La fascia montana di confine e in particolar modo il Comasco ha sempre costituito il territorio preferito di contrabbandieri e briganti perchè la vicina Svizzera poteva dar lavoro agli uni e ricetto agli altri. La grotta chiamata Bus di Bricoll presso il Traliccio a Rovenna (2519 Co), la Grotta sopra il Buco del Riccio ad Albese con Cassano (2325 Lo Co), chiamata anche Bus del Sachett ed infine la Grotta dei Contrabbandieri nei pressi di Bellagio (2187 Lo Co), sarebbero servite come rifugio per l'attività di contrabbando. Il Bus dei Lader (2550 Lo Co) in Valbrona, alla Colletta dei Corni, è la grotta dei ladri. Molto noti localmente sono poi i Bocc di Brigant nei pressi di Pellio, sulla Grona, anfratti dove si racconta trovasse rifugio nel 1799 il brigante Cerri che, vistosi circondato dalle guardie, piuttosto che arrendersi preferì gettarsi dal Ponte del Passo.
Un'altra leggenda molto nota è quella relativa al Boeucc del Monte Bisbino o Boeucc de la Campana (2028 Lo Co). Sembra che la cavità si sia aperta in seguito al seguente fatto: due briganti, dopo aver fatto razzia nelle baite circostanti, decisero di rubare anche le campane del vicino santuario. Detto fatto se le caricarono sulle spalle e si avviarono verso la vicina Svizzera ma, fatta poca strada, uno dei due si sentì schiacciare dal peso della campana che portava. Ne parlò all'amico dicendosi intenzionato a lasciare il maltolto ma l'altro, più risoluto, rispose che piuttosto che abbandonare il bottino sarebbe sprofondato nel posto. Detto fatto fu accontentato: la terra si aprì inghiottendolo e ancora oggi passando accanto alla voragine si può sentire il gemito del poveretto ed il rintocco della campana.
La Grotta del Coren Büs, presso Zogno nel Bergamasco, è ricordata come rifugio del leggendario bandito della Val Brembana Pacì Paciana (Vincenzo Pacchiana), le cui gesta, risalenti ai primi anni dell'800, erano ancora vive oltre un secolo più tardi nella tradizione della vallata. Anche in val Vesta, sul monte Alberelli, si apre il Cùel dei Briganti che lascia solo presumere altre storie di banditi alla macchia, forse simili alle seguenti. Sul versante orientale del vicino Pizzocolo si ricorda ancora come una banda di briganti aveva scelto come rifugio un pozzo verticale nel quale si calava con una scala a pioli di ritorno dalle sue incursioni. Un componente della banda faceva da "palo" all'entrata per dare il segnale di via libera quando qualcuno voleva uscire dal nascondiglio. Questo segnale consisteva nel lancio di un sasso dentro al pozzo che riuscì però fatale alla banda quando divenne noto alle forze dell'ordine. Quest'ultime si recarono in forze sul pozzo e, scagliata la pietra, arrestarono ad uno ad uno tutti i membri della banda.
Il Cùel de Zanzanù, in val Droanello, è un'altra grotta legata al ricordo del brigante Giovanni Beatrici, realmente vissuto all'inizio del XVII secolo, ma le cui vicende sono sfumate in un alone di leggenda. Anche il nome del Buco del Frate (1 Lo Bs) sembra avere una derivazione leggendaria, si racconta infatti che un frate, ribelle ed insofferente alle restrizioni e mortificazioni della regola, per spirito avventuroso ed animo malvagio si sarebbe rifugiato nella grotta accodandosi acoliti e procurandosi viveri e mezzi con rapine e violenze. Altra versione, ugualmente accreditata, attribuisce il nome ad una banda di briganti che avevano sempre base nella grotta e che, per poter più facilmente compiere ruberie ed azioni delittuose, si travestivano da frati.
E' viva nell'immaginazione popolare la convinzione che nel Negondol, voragine bresciana del monte Maddalena, si siano consumati efferati omicidi rimasti poi impuniti. Le modalità dell'assassinio dei Büs della Mandria (65 Lo Bs) sarebbero invece noti a tutti. Le cronache narrano che una banda di briganti infestava da tempo l'altipiano di Cariadeghe tanto che i contadini esasperati decisero alla fine di organizzarsi per aver ragione delle continue violenze. Dopo un breve scontro i banditi, sopraffatti dal numero e dalla rabbia dei contadini, si diedero alla fuga lasciando però uno di loro nelle mani dei vincitori. Quest'ultimi con argomenti persuasivi lo costrinsero a rivelare il nascondiglio della banda. Il bandito si lasciò sfuggire qualche parola ma poi, con uno strappo improvviso, riuscì a liberarsi e, con una corsa estenuante, a sottrarsi ai propri inseguitori. Si trovava presso i Büs della Mandria in una dolina alle pendici nord orientali del monte S. Bartolomeo. Quando sentì un fruscio non trovò altro modo per nascondersi che lasciandosi penzolare da un ramo che sporgeva sul baratro del Büs. Si accorse però con sollievo che si trattava del proprio capobanda intento a coprire la fuga agli altri briganti; mentre si considerava ormai sicuro sforzandosi ad uscire dall'incomoda posizione, fu fatto precipitare nella voragine proprio dal compagno, convinto di essere stato tradito.
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Addenda dal 01.06.99
La Buca dei Pagani
Nel bosco sopra Vilmaggiore, mostrano ancora una grotta chiamata ancora la Busa di pagà (la buca dei pagani). Una volta una moglie cattiva venne gettata e rinchiusa dal marito in quell'antro. Essa rimase là molto tempo, non vista dai pagani. Di giorno, mentre quelli dormivano, si cibava con quello che trovava nella grotta, portatovi da quei ladroni; poi preparava loro la polenta e, prima che essi si destassero, si nascondeva in un angolo oscuro. Così essi per molto tempo, pur accorgendosi che qualcuno entrava in casa loro, non riuscivano a vederla; ma un giorno la scoprirono e la costrinsero a dure fatiche. Finalmente essa si pentì della triste vita passata, e Dio fece in modo che riuscisse a fuggire e a ritornare presso suo marito.
E narrano ancora che la grotta una volta era lunghissima e andava a finire fin sotto la chiesa di S. Lucia, nel paese. I pagani stavano là rinchiusi tutto il giorno, e di notte entravano in chiesa a rubare gli ori e le candele dell'altare. Perciò si è sempre creduto che dentro la grottafossero raccolti immensi tesori. E la credulità giunse a tal punto che, anche dietro l'assicurazione di una certa fattucchiera morta non è molto a Schilpario, alcuni arditi giovanotti, circa trent'anni orsono, entrarono nella spelonca. Delusione: non trovarono che foglie secche. Fu un grande avvenimento quello per il paese; incominciato tra la paura e la speranza, finito tra le risa e le beffe ai poveri ricercatori del tesoro. Ora, nessuno più crede che nella grotta si nascondano tesori; o piuttosto le donnette pensano che vi siano stati veramente una volta, al tempo dei pagani, ma che poi li abbia rapiti il diavolo. E la buca è detta oggi anche la Busa del Diaol (la buca del diavolo). (Marchesi, 1897; Beduschi, 1983)
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La caverna dei ladri
Nella località "Castel" a Parre Inferiore, erano visibili fino al 1300 i ruderi di un antico castello circondato da fortificazioni. Nei pressi partiva un cunicolo che sfociava sulla strada fra ponte nona e ponte selva. ancor oggi si può notare un largo foro praticato nella roccia che s'insinua sotto terra in direzione di casa Caminelli, foro chiamato "Caverna dei ladri". Gli informatori riferiscono anche dell'esistenza di numerosi altri cunicoli colleganti Parre di Sopra e Parre di Sotto. Di qui il fiorire di queste storie di briganti, comuni a molte località della Valle Seriana (Anesa, Carissoni, Rondi, 1981; Beduschi 1983).
Anesa M., Rondi M., (1981) Fiabe bergamasche, Regione Lombardia, Silvana, Milano.