Tradizione popolare e grotte del Veneto: tra realtà e leggenda
di Enrico Gleria (Club Spelologico Proteo, Vicenza - Società Speleologica Italiana)
1. Premessa
2. La caverna e gli animali: tra realtà e fantasia (l'orso, la volpe, il drago e il basilisco)
3. La caverna e il femminile: anguane, fade, strie, donne beate
4. La caverna e il maschile: il diavolo, il salbanelo, l'orco, l'uomo selvatico
5. La caverna e i morti: la porta degli inferi e il labirinto
6. La caverna e gli eremiti: alla ricerca di un archetipo
7. La caverna e i tesori
8. Altri temi tra realtà e leggenda
9. Bibliografia
1. Premessa
La presente ricerca sulla tradizione storica e fantastica legata alle grotte del Veneto parte dallo spoglio delle 4198 schede relative alle cavità naturali inserite nel catasto regionale. Questi dati sono integrati da altri ripresi da pubblicazioni, spesso a carattere locale e non specializzate, e da appunti raccolti dagli speleologi stessi che spesso riferiscono testimonianze inedite.
La ricerca è partita con l'intenzione di colmare il vuoto che esisteva nella pubblicistica relativa al folklore delle grotte della regione mentre lavori del genere sono già stati redatti in Friuli-Venezia Giulia e in Trentino (Faraone & Guidi, 1975; Montina, 1985; Zambotto, 1980). E' risultato pertanto un lavoro più a carattere bibliografico che una ricerca sul campo e l'aspetto strettamente filologico può apparire trascurato. E' chiaro che molte storie o riferimenti desunti da vecchie note o lavori, magari del secolo scorso, sono stati sintetizzati o interpolati ma, in questa fase, mi è parso importante riferirli soprattuto ad un luogo geografico definito dove sarà possibile poi verificare eventuali connessioni e sopravvivenze. Molte citazioni per poi essere comprese od interpretate necessitano di una buona conoscenza del territorio che spesso è mancata per zone fuori dal Vicentino, sono state comunque inserite come opere di riferimento per aiutare un approfondimento della ricerca, magari condotto su temi più specifici e chiavi di lettura diverse per le quali si rimanda ai titoli in bibliografia.
La ricerca si propone anche di uscire dall'ambito ristretto del gruppo di lavoro sul folklore delle grotte della Società Speleologica Italiana per stabilire relazioni con altri ricercatori, che hanno magari maggiore competenza, ma hanno spesso operato in sovrapposizione ignorando quanto veniva raccolto dagli speleologi. Cavità verticali e grotte risorgenti sono realtà naturali che hanno sempre colpito e suggestionato l'uomo alimentando storie e credenze fantastiche. Sapere dove si trovano le grotte può servire ad individuare tradizioni, fiabe e leggende, a definire i caratteri dei personaggi che animavano i filò e le storie dei nostri nonni. I catasti, quando coprono diffusamente il territorio e soprattutto se sono espressione della toponomastica locale, forniscono quindi un utile punto di riferimento per indirizzare il recupero e lo studio delle tradizioni del passato. In questo senso particolare sensibilità ha dimostrato lo speleologo, soprattutto in passato, nel recuperare e conservare i toponimi delle culture "minori", annotando ogni leggenda o credenza come un dato ugualmente importante del patrimonio culturale della nostra terra.
2. La caverna e gli animali: tra realtà e fantasia
(l'orso, la volpe, il drago e il basilisco)
Bestiario
V Vr Fuchlouch (tana della volpe) a N di Giazza (Cipolla, 1884)
V Vr Pärlouch (buco dell'orso) presso Giazza (Cipolla, 1884)
3 V Vr Perloch (buco dell'orso), Selva di Progno
13 V Vr Spigola di Poiana, Tregnago
26 V Vi Grotta del Martarello (Buso del Tavolino), Montecchio Maggiore
37 V Vi Grotta della Salamandra, Nanto
40 V Vi Buso della Rana, Monte di Malo
46 V Vi Buso del Gatto (Buso della Caldiera), Montebello Vicentino
54 V Vi Cava degli Orsi, Roana
81 V Vr Coalo de la Signàpola (covolo del pipistrello) o Grotta del Ciabattino, Sant'Anna d'Alfaedo
92 V Vi Grotta del Leone, Valdastico
93 V Vi Caverna del Pipistrello, Valdastico
99 V Vi Grotta Dito dell'Orso, Arcugnano
108 V Vr Buso de la Volpe, Verona
125 V Vi Buco della Bestia, Longare
133 V Bl Buso dela Bela (Grotta di S. Donà), Lamon
140 V Vi Covolo di Paina, Mossano
165 V Vi Grotta dell'Orso Speleo, Longare
183 V Vi Covolo della Volpe, Longare
216 V Vi Covoli dei Falchi, Longare
290 V Vi Grotta del Tasso, Longare
329 V Vi Grotta della Moreieta, Arcugnano
353 V Vi Buso della Volpe, Arcugnano
358 V Vi Grotta delle Volpi, Villaga
390 V Vr Spurga del Gatto, Vestenanuova
399 V Vi Buco del Topo, Grezzana
416 V Vr Spurga del Tasso, Caprino Veronese
417 V Vr Grotta della Salamandra, Torri del Benaco
425 V Vr Buso delle Taccole, Brenzone
513 V Vi Grotta dell'Alce, Monte di Malo
536 V Vi Buso della Volpe, Cornedo Vicentino
542 V Vi Buso delle Volpi, Isola Vic.na
557 V Vi Tana del Tasso, Valdagno
592 V Vi Buso della Volpe, Altissimo
614 V Vi Buso del Gatto, Montecchio Maggiore
617 V Vi Grotta dell'Elefante, Roana
621 V Vi Busa del Colombo, Asiago
624 V Vi Covolo delle Volpi, Castelgomberto
637 V Vi Buso del Barbastrjo, Torrebelvicino
689 V Vi Buso della Volpe, Valdagno
697 V Vi Tana della Volpe, Cornedo Vicentino
711 V Vi Tana del Tasso, Molvena
747 V Vi Busa del Molton, Asiago
767 V Vi Grotta della Capra, Asiago
779 V Vi Grotta della Volpe, Monte di Malo
810 V Vi Buso della Vacca, Lusiana
852 V Vi Busa dell'Asinello, Conco
864 V Vi Buso dell'Orso, Recoaro Terme
898 V Vi Buso della Volpe (Grotta di Ca' Marana), Arzignano
899 V Vi Grotta dell'Orso Grasso, Chiampo
919 V Vi Spurga dei Scarbonassi, Arcugnano
970 V Vi Buso della Lepre, Asiago
996 V Tv Busa dell'Orso, Fregona
1002 V Bl Bus del Cavron, Cesio Maggiore
1016 V Vi Voragine dei Caprioli, Asiago
1036 V Vi Spelonca delle Vacche, Pove del Grappa
1131 V Vr Speluga dei Ghiri, Boscochiesanuova
1162 V Vr Buso del Bolpe, Velo Veronese
1275 V Tv Primo Buso de la Volpe, Nervesa della Battaglia
1330 V Vi Buso della Volpe, San Vito di Leguzzano
1333 V Vi Buso della Salamandra, San Vito di Leguzzano
1346 V Vi Buso della Volpe, Montecchio Maggiore
1384 V Vi Busa del Cane, Asiago
1386 V Vi Buso dei Boi, Asiago
1387 V Tv Buco delle Salamandre, Segusino
1391 V Tv Busa del Can, Valdobbiadene
1394 V Tv Grotta dell'Agneo, Nervesa della Battaglia
1398 V Pd Busa dell'Orsa, Rovolon
1421 V Vr Busa del Gatto, Roverè Veronese
1426 V Vr Buso della Volpe, Vestenanuova
1427 V Vr Buso dela Vaca, Vestenanuova
1439 V Vr Buso della Poiana, Grezzana
1502 V Vi Tana della Volpe, Schio
1517 V Vi Buso dell'Orso Bruno, Asiago
1534 V Vi Buso del Cervo, Roana
1535 V Vi Grotta dell'Elefante, Valdagno
1539 V Tv Tana della Volpe, Montebelluna
1657 V Vi Grotta dell'Elefante Bianco, Valstagna
1724 V Vi Buso della Volpe, Valstagna
1725 V Vi Voragine del Cervo, Valstagna
1732 V Vi Grotta secca del Tasso, Roana
1734 V Vi Buso della Capra Balsana, Asiago
1777 V Vi Buso del Can Vecio, Valdagno
1814 V Tv Bus dell'Orso, Valdobbiadene
1891 V Vi Buso della Volpe, Cornedo Vicentino
1955 V Tv Spaccatura del Tritone, Nervesa della Battaglia
1962 V Tv Buso della Volpe, Possagno
1991 V Vi Buso del Can, Gallio
2072 V Vi Buso dell'Aquila, Arsiero
2085 V Tv Bus de la Volp, Cison di Valmarino
2089 V Bl Landre del Boral de l'Ors, Sedico
2104 V Tv Landro del Capriolo, Fregona
2114 V Tv Bus de la Volp, Valdobbiadene
2139 V Tv Salto della Volpe, Nervesa della Battaglia
2199 V Vi Buso del Boh, Asiago
2233 V Vi Cogol dee Vacche, Valstagna
2237 V Vi Cogol dee Gaìne, Valstagna
2244 V Vi Tana della Bestia, Monte di Malo
2259 V Vi Buso della Cavretta, Velo Veronese
2285 V Vi Grotta della Volpe, Recoaro Terme
2287 V Vi Buso del Tasso, Recoaro Terme
2306 V Vi Buso Nido dell'Aquila, Tonezza del Cimone
2388 V Vi Peroloch (buso dell'orso), Asiago
2401 V Vr Tana del Gatto, Fumane
2473 V Vi Spurga del Viperotto, Cornedo Vicentino
2502 V Vi Abisso della Pernice Bianca, Asiago
2533 V Vi Grotta dei Corvi, Romano d'Ezzelino
2602 V Bl Tana de la Volp, Feltre
2687 V Vi Buso della Volpe, Arcugnano
2747 V Vi Nido di Volpe, Valdastico
2854 V Tv Buco della Salamandra, Borso del Grappa
2861 V Vi Busetto dei Ghiri, Pove del Grappa
3181 V Bl Bus del Cervo, Arsiè
2918 V Vi Spironcia del Lepre, San Nazario
3093 V Vi Busa della Cavra, Asiago
3132 V Vi Buso di Volpe, Calvene
3165 V Tv Grotta del Tasso, Nervesa della Battaglia
3168 V Vr Grotta dei Masci, Tregnago
3202 V Pd Buso delle Gatte, Baone
3269 V Vi Buso della Vipera, Lusiana
3298 V Vi Buso della Volpe, Lusiana
3333 V Vi Grotta degli Elefanti, Valstagna
3397 V Vi Sprofondo dei due Caprioli, Asiago
3474 V Vi Buco della Volpe, Marostica
3785 V Vi Spelonca dei Cavalli, Conco
3792 V Vi Buso dea Volpe, Marostica
3532 V Bl Pozzo della Pecora, Quero
3543 V Tv Busett del Tass, Miane
3545 V Tv Bus del Tass, Miane
3608 V Bl Grotta del Camoscio, Pieve d'Alpago
3617 V Bl Abisso del Merlo, Tambre d'Alpago
3686 V Tv Grotta del Cane Perduto, Paderno del Grappa
3700 V Pd Grotta del Gufo, Boscochiesanuova
3712 V Tv Grotta del Barbastrio, Paderno del Grappa
3891 V Vi Covolo dell'Orsa, Valdastico
3971 V Vi Cogol del Tasso, Foza
3994 V Vi Cunicolo della Volpe, Brendola
4104 V Bl Bus del Gat, Belluno
4190 V Bl Grotta dei Camosci, Auronzo di Cadore
Fra gli animali cui più spesso è associata la grotta troviamo la volpe (Vulpes vulpes), animale che la tradizione vuole campione di ogni astuzia, principale responsabile dei furti nei pollai e per questo combattuto dal contadino con accanimento. Attorno ad ogni contrada non c'è anfratto che non venga chiuso con pietre o tenuto d'occhio costringendo l'animale a passaggi obbligati nei quali vengono posti rami rivelatori della sua presenza. Per questo sono moltissime le cavità conosciute genericamente come "busi della volpe", tanto che spesso, per evitare troppo frequenti omonimie, lo speleologo ha preferito adottare nuove denominazioni anche se va raccomandato ancora quanto sia utile conservare il toponimo locale.
Certe abitudini della fauna selvatica (volpi e tassi) sono senz'altro da mettere in relazione con l'attività di allevamento negli insediamenti rurali dove conseguentemente è rimasta viva un'attività venatoria primitiva con uso anche di trappole rudimentali. Ma non era solo la povera volpe a colpire la magra economia dei piccoli insediamenti rurali delle nostre colline la Grotta del Tavolino (26 V Vi), ad esempio, era nota localmente come Buso del Martarelo perchè fu scoperta nel 1927 cacciando una martora (Martes martes) che vi si era rintanata.
Il lupo (Canis lupus), nella sua denominazione cimbra bolf o wolvin, praticamente non è più associato alle grotte in quanto da tempo scomparso, nei Lessini gli ultimi due esemplari vennero uccisi nel 1848 nella Spiuga dei Marognoni, nella valle di Giazza (Benetti, 1983); nella stessa grotta in seguito vennero comunque catturati od uccisi altri animali selvatici come volpi (vuks), tassi (daks) e martore (mortaril). Nella Lessinia legata alla tradizione cimbra restavano molti ricordi del lupo e ancora nella seconda metà del secolo scorso la sua comparsa era ricordata e temuta dai vecchi delle contrade più isolate (Cipolla, 1884). Nel Bellunese, dice Catullo, se ne trovavano più che in Cadore e nell'Agordino; qualche tempo dopo però, cessate le guerre di Russia, tali animali scomparvero (Nardo Cibele, 1887).
L'orso (Ursus arctos), in cimbro pearo o pearin, era un tempo molto diffuso nelle montagne venete ma già al principio del secolo scorso si faceva sempre più raro. Molte grotte ed anfratti sono stati abitati anche dall'orso speleo, estintosi alla fine dell'ultima glaciazione, per cui un tempo era relativamente facile rinvenire le ossa di questi plantigradi. Il Cipolla, nella seconda metà dell'Ottocento, riporta l'ultima segnalazione dell'orso nella Lessinia Veronese che risaliva ad una decina d'anni prima. A questo proposito l'autore sottolinea che nella zona corrono non pochi racconti di persone assalite ed anche sbranate dall'orso. Sopra Giazza ad esempio si trova una grande spelonca, chiamata Pärlouch (buco dell'orso), e a questa si congiunge la tradizione di un'antica caccia dell'orso, nella quale un uomo sarebbe rimasto vittima della fiera (Cipolla, 1884). L'ultimo orso del Zoldano, grossissimo, fu ucciso da un contadino di Castion, nella Valle di San Mamante. Nel Feltrino la sua scomparsa avvenne nella prima metà del secolo scorso, mentre in Altopiano di Asiago l'ultimo orso è ucciso nella località Turchio nel 1856 (Brentari, 1885). All'avvicinarsi dell'orso i contadini dicevano di osservare una grande inquietudine nelle stalle tra il bestiame. L'orso ammansito ha bella parte nella leggenda di San Lugano (Nardo Cibele, 1897). L'orso, dritto sulle gambe posteriori, si tende anche ad identificare con la figura fantastica dell'uomo selvatico, der bilje mann, (Cipolla, 1884) di cui parleremo più avanti.
Sorprende come il pipistrello, tipico animale delle grotte, sia così poco ricordato eppure ad esso era legata più di qualche tradizione contadina; al di là della facile associazione con il mondo delle tenebre e quindi dei morti che ne fanno un cattivo presagio troviamo credenze più curiose che ne abborriscono il contatto: ad esempio il malcapitato colpito con lo sterco alla testa perde i capelli, oppure se l'animale gli sbatte sugli occhi rimane accecato. Il pipistrello nel Feltrino come oggetto scaramantico è invece manipolato e, disseccato al sole ed inchiodato nella porta delle stalle, allontana il malocchio (Nardo Cibele, 1887). Nel Vicentino risulta addirittura una ghiottoneria, ricordo di magre diete a base di polenta, ma qui forse la naturale ripugnanza per l'animale fu vinta per necessità quando i contadini dovettero sostenere lunghi assedi rinchiusi nelle grotte della zona (Gleria, 1992).
Il drago, nonostante la tradizione e l'iconografia lo ritragga spesso accanto ad una spelonca (Scheuchzer, 1723; Berti, 1991), compare solo in una tradizione della Vald'Astico. I contadini temono il drago come un animale fantastico che abbia malvagità selvaggia e desiderio di vendetta. Quando è meno terribile lo fanno assomigliare all'Orco che si fa piccolo e grande, nero o risplendente a piacer suo. Quelli di Primiero vedono sorgere il Drago dal lago di Caoria, battendo le ali schizzando scintille per poi andare a tuffarsi nei laghetti di Colbricon. Stranamente il drago compare appena nelle grotte del Veneto ma forse il suo ricordo è da ricercare nelle grotte dedicate ai santi cari alla tradizione longobarda: San Giorgio e San Donato che l'iconografia rappresenta spesso accanto a draghi ammansiti.
In una fiaba feltrina (Nardo Cibele, 1887), il popolo ricorda il mitico personaggio di Silvan Marino che dovette fare sette lunghi ed interminabili viaggi ed in uno di questi fu portato alla grotta dei basilischi. Il basilisco rampante in campo rosso è l'antica impresa dei Bellunesi e si vede nello stemma dell'antica città. E' forse per questo che esso è rimasto a lungo vivo e presente nella tradizione locale. Valle Serpentina si chiamava pure anticamente la Valle di Belluno.
274 V Vi Covoli di Costozza, Longare
L'Arduino nella metà del '700, riportava a proposito dei covoli di Costozza che "alcuni del Paese sono soliti di entrare in questa Grotta per andare a caccia de' pipistrelli molto grandi e grassissimi, che vi albergano, e che essi mangiano ghiottamente" (Arduino, 1760; Maccà, 1799)
127 V Vi Grotta della Guerra e 128 V Vi Grotta della Mura, Longare
Giuseppe Perin in "Scienza e poesia sui Berici" ricorda che, alla fine dell'ultima guerra mondiale, i pipistrelli di questa grotta erano quasi scomparsi "per la caccia spietata che gl'indigeni ne fanno, al tempo dell'uva, onde assimilarli coi più saporiti uccelletti" (Da Schio e al., 1947).
130 V Vi Gorgo Santo, Pedemonte
Nella scheda catastale è riportata una leggenda, forse giustificata dal suggestivo accesso del Gorgo, secondo la quale un mitico "Grande Drago" sarebbe stato ucciso sulla soglia della grotta che gli serviva come tana. Secondo un'altra tradizione il drago sarebbe solo solo stato rinchiuso nella caverna da un vescovo (Dal Pozzo, 1820; Brentari, 1890; Frescura, 1897; Sartori, 1956; Toldo, 1984).
3. La caverna e il femminile:
anguane, fade, strie, donne beate
Femminile
2 V Vi Buso delle Anguane (Grotta del Dente), Montecchio Maggiore
4 V Vi Buso delle Anguane (Grotta dei Fontana), Chiampo
19 V Vi Buso delle Anguane (Grotta del Sengio), Altissimo
20 V Vi Grotta delle Strie, Altissimo
21 V Vi Grotta della Stria, Altissimo
22 V Vi Buso delle Anguane (Grotta Valle del Cengio), Altissimo
25 V Vi Grotta del Sengio Brusà, Altissimo
31 V Vi Buso delle Gane, Valli del Pasubio
36 V Vi Cogolo delle Tette, Lonigo
61 V Vi Grotta delle Anguane, Schio
64 V Vi Buso de le Anguane (Grotta delle Colonne del Proneche), Crespadoro
71 V Tv Buoro di Ciano, Crocetta del Montello
72 V Tv Bus de le Fate sopra il Forame o Bus de le Fate, Giavera del Montello
76 V Tv Bus de le Fate Superiore o Bus de le Fate, Nervesa della Battaglia
105 V Vr Grotta de le Done Selvadeghe, Vestenanuova
107 V Vr Bus de le Fade, Tregnago
121 V Vr Bus del le Strie, Grezzana
133 V Bl Buco della Bella (Grotta di San Donà), Lamon
138 V Vi Cògolo delle Tette, Mossano
162 V Vr Buso de la Dona (Grotta della Donna), Grezzana
170 V Vi Grotta delle Fade, Valstagna
186 V Vi Fontana delle Fade, Zovencedo
203 V Vi Covolo delle Tette di Fimon, Arcugnano
293 V Vi Covolo della Stria, Mossano
294 V Vi Covolo Col della Strega, Mossano
385 V Vr Buso delle Anguane (Grotta inferiore di Cà Ceghi), Vestenanuova
512 V Vi Buso delle Anguane, Malo
518 V Vi Buso delle Anguane, Valdagno
523 V Vi Grotta delle Anguane, Tonezza del Cimone
531/5 V Vi Covoli de le Anguane (Covoli di Lonedo), Lugo Vicentino
555 V Vi Buso delle Anguane, Schio
583 V Vi Zeleghen Baiblen, Roana
611 V Vi Covolo della Vecia, Tonezza del Cimone
627 V Vi Buso della Femmina, Lusiana
658 V Vi Grotta delle Strie, Altavilla Vic.na
677 V Vi Covolo delle Anguane (Covolo del Lustre), Tonezza del Cimone
692 V Vi Buso delle Anguane, Valdagno
855 V Vi Buso delle Fate, Bassano del Grappa
1007 V Vi Cugua delle Fade (Covolo di Val Frenzela), Foza
1087 V Vr Grotta delle Strie, Fumane
1147 V Vr Bus delle Strie, Sant'Anna d'Alfaedo
1215 V Vi Buso delle Strie, Enego
1256 V Tv El Bus delle Fave, Susegana
1268 V Tv Bus de la Veceta, Vittorio Veneto
1270 V Tv Bus della Regina, Montebelluna
1271 V Tv Bus de le Fade, Susegana
1272 V Tv Bus de le Fave, Refrontolo
1287 V Vr Buso delle Fade, Selva di Progno
1289 V Vr Buso delle Fade, Badia Calavena
1388 V Tv Bus de le Anguane, Crespano del Grappa
1443 V Vr 1° Buso delle Anguane, Soave
1469 V Vi Busa delle Anguane di Rio Secco, Montecchio Maggiore
1533 V Tv Cadin de le Fate, Volpago del Montello
1618 V Vi Tana dele Done Salbeghe, Schio
1668 V Vr Buso dele Anguane, San Giovanni Ilarione
1848 V Vi Buso della Veceta, Conco
1866 V Vi Buso dee Fade Mosquine, Bassano del Grappa
1880 V Vi Buso dela Vecia (Grotta di Casale), Vicenza
1977 V Vi Buso delle Anguane dei Faccin, Cornedo Vicentino
2006 V Vi Covolo della Vecchia, Valdastico
2031 V Vi Scafa delle Anguane in Val delle Rive, Cornedo Vicentino
2095 V Pd Fonte delle Fade, Torreglia
2214 V Vi Buso dee Femene, Cismon del Grappa
2535 V Vi Grotta dee Fade, Solagna
2559 V Vi Cain dee Fade, Valdstagna
2592 V Tv Bus de le Fave, Follina
3185 V Bl Buso de la Vecia, Feltre
3324 V Vi Grotta dee Fate, San Nazario
3355 V Vi Buso delle Anguane CA 1, Marostica
3369 V Vi Bus de la Vecia Pempa, Pedemonte
3416 V Vi Buso della Befana, Schio
3516 V Vr Tana de le Strie, Tregnago
3755 V Vr Caseta dele Fade, Boscochiesanuova
La grotta è presente in molti miti di origine, di rinascita e di iniziazione, come archetipo dell'utero materno e come tale si identifica con il femminile. Associata alla sorgente e all'acqua, mezzo di purificazione e di rigenerazione, la grotta assume un carattere sacro ricorrente perchè da essa sgorga l'energia che alimenta di vita ogni organismo. La tradizione nordica ha quindi sempre popolato le grotte di personaggi femminili (sacerdotesse, sibille, maghe druidiche, ecc.) che sono state demonizzate e trasformate in streghe solo in un secondo tempo per l'influenza cristiana, che ebbe buon gioco nell'attribuire loro poteri diabolici e quindi tutte le connotazioni negative del potere sovrannaturale.
Le streghe, insieme alle fate, che generalmente ne sono l'antitesi, sono creature dell'incoscio collettivo che le leggende hanno raffigurato e animato in personaggi spesso ostili (Loeffler-Delacroix, 1949; Chevalier & Gheerbrant, 1986). Strie ed anguane sono quindi esseri malefici, dotati di poteri magici, che si muovono nelle tenebre. La tradizione popolare vuole che abitino luoghi abbandonati ed incolti, i ruderi e le grotte e da essi si muovino di notte compiendo i loro sortilegi su chi a quell'ora si trova fuori casa: col loro aspetto scomposto o mostruoso non solo incutono paura ma spesso fanno subire alle loro vittime i soprusi e le violenze più strane e capricciose. Le strie sono ritenute responsabili delle fatture che portano ricorrenti disgrazie nelle famiglie contro le quali spesso neppure gli esorcismi dei preti possono porre rimedio (AA.VV., 1976).
Le anguane, ancor più delle strie, abitano le grotte e le cavità risorgenti e sono strettamente connesse con le acque (Frescura, 1894; Monfosco, 1987; Milani, 1990). Sono affini e spesso si confondono con le ondine delle saghe germaniche e scandinave o con le ninfe di quelle greco-romane. La mitologia nordica parla di ondine, graziose e spesso crudeli, che vengono maliziosamente a pettinare la lunga capigliatura verde-azzurro alla superficie delle acque. Fate delle acque, generalmente malefiche, si offrono di condurre ingenui viandanti attraverso paludi e foreste immerse nella nebbia per poi sperderli ed annegarli; le anguane lo attraggono irresistibilmente mentre passa accanto al lago dove vivono e poi lo trasportano nel loro regno, fuori dal tempo dei mortali, da dove non può più sfuggire. Le leggende di origine scandinava appaiono generalmente più cupe ed appassionate: il bel giovane trascinato dalle ondine nelle acque non rivede la luce e sfinisce in un amplesso mortale. Esse sono dunque il simbolo dei sortilegi dell'acqua e dell'amore legati alla morte; rappresentano cioè i pericoli della seduzione a cui ci si abbandona senza controllo (Chevalier & Gheerbrant, 1986).
Le antiche popolazioni cimbre della Lessinea favoleggiavano sui primitivi abitanti delle terre nelle quali si insediarono che si identificano per lo più con personaggi femminili custodi dei focolari. A nord di Giazza questa gente, in seguito mitizzata, è stata chiamata "Selegan" o "Hoalagan Laute", cioè Gente beata o santa, e si dice abitasse un grande covolo, il "Selegankuwal". Questa caverna era adorna delle suppellettili più belle e splendenti ma, se uno vi capitava a curiosare, tutto svaniva all'istante. Nei Sette Comuni sono ricordate le analoghe "die Seilgen Waiblen" o "de Seligen Loite", sempre vestite di bianco ed insediate nelle grotte. Per le popolazioni cimbre della Lessinia esse erano creature selvagge vestite di scorza d'abete senza fede o legge, capaci quindi di qualsiasi azione malvagia. Particolarmente macabra è la caccia che praticavano nei loro boschi le Genti beate, lo smembramento della vittima umana seguiva un copione conosciuto anche nella tradizione germanica: a Selva di Progno invece che di "una coscia" si parlava di una "mezza donna". Lo smembramento rituale compare anche nella processione notturna che le "Genti beate" usavano fare in carnevale discendendo dalla montagna tenendo ciascuna una torcia accesa costituita da un arto umano.
La tradizione narra anche delle intime relazioni che sono corse tra le "Genti beate" e gli uomini: quando una loro fanciulla andò sposa ad un uomo di Giazza la madre della fanciulla le diede in dote una matassina dicendole lega ma non dire mai dove sia il capo del filo; se non che avendo essa rivelato la cosa al marito fu perduta. Andò prima raminga, tornò per pettinare i figlioli e poi non fu più veduta. Ma la notizia sulla quale più insiste la tradizione cimbra è che le "Genti beate" facevano il bucato e mettevano in mostra i panni sopra una lunghissima fune tirata da una rupe all'altra della valle. I due punti ai quali a Giazza veniva assicurata questa fune erano il Selegenkuwal e il Monte Grol. La tradizione popolare vuole invece che nei Covoli di Velo ci siano degli anelli di ferro a cui le fate attaccavano la fune per distendere il bucato e di queste fate vedono le impronte nel terriccio degli stessi covoli (Cipolla, 1884; Frescura, 1894; Schweizer, 1984). Tutte queste tradizioni si ritrovano confuse in cento racconti diversi dove i luoghi sono gli stessi ma i personaggi possono cambiare e chiamarsi ora strie, ora fade od anguane.
3.1 Veronese
81 V Vr Grotta del Ciabattino, Sant'Anna D'Alfaedo
Nelle contrade Coste e Adamoli si racconta che un ciabattino rifugiatosi una notte nella grotta con il gregge del fratello sia stato testimone di un raduno di streghe alla bocca della profonda Spluga della Preta (1V Vr). Ma la curiosità del giovane alla fine era stata pagata cara: scorto da una strega dietro ad un faggio aveva cercato di nascondersi nella grotta ma raggiunto da un incantesimo era stato mutato in stalattite e le pecore in candide nuvolette. La tradizione vuole che nelle notti di plenilunio nella grotta avvenga una straordinaria nevicata: sono le pecore del ciabattino che piangono il loro padrone (Rama, 1983).
Grotta delle Anguane, non identificata - Tregnago
Presso Castelvero c'è una grotta nella quale, dicesi, si vedono i sedili delle "anguane", che ivi un tempo abitavano. Uscivano esse di notte, ed emettevano terribili grida, onde il detto: "Te cighi come 'n'anguana" (Balladoro, 1922).
3755 V Vr Casa de le Fade, Boscochiesanuova
Una leggenda vuole anche che la strana costruzione, arroccata in un covolo inaccessibile, fosse un tempo abitata da quattro fade le quali ogni mattina all'alba si recavano nella contrada sottostante per chiedere qualche lavoro da sbrigare. I contadini, non sapendo cosa dar loro da fare, avevano pensato di frustrare la loro insistenza mandandole a lavare alla sorgente Regosse la lana delle pecore nere, che allora era poco pregiata, raccomandando di non tornare finché questa fosse diventata bianca. Ma ogni sera le fade soddisfatte tornavano dalla sorgente con la lana sbiancata così che i contadini, sospettosi quanto meravigliati, una mattina pensarono di seguirle per vedere come riuscivano a fare una cosa simile. Giunti alla sorgente videro le fade prendere la bacchetta magica con la quale sbiancavano senza fatica la lana. Da quel giorno i contadini di Squaranto cambiarono atteggiamento e con senso pratico consegnavano la lana nera alle quattro fade certi di poterla poi vendere meglio (Benetti, 1983).
45 V Vr Covoli di Velo, Velo Veronese
Nei Covoli di Velo stanno degli anelli ai quali le genti beate, misteriose creature dei monti, attaccano le funi. Nelle stesse grotte si vedono le impronte dei piedi delle anguane che spesso gridano per attirare l'attenzione degli uomini, così è rimasto il detto "sigar come 'n anguana" (Garobbio, 1973; Schweizer, 1988).
Il Benetti (1983) racconta la leggenda di Aissa Màissa, la più bella fada dei Lessini, incaricata a stendere il bucato su una corda stesa sopra la valle dei Covoli. La fada contravvenne ad un tabu perchè ebbe una relazione con un montanaro dalla quale nacque un bambino. Quest'ultimo fu affidato ad un orco buono che impedì venisse strangolato dalle altre fade ma Aissa Maissa venne scacciata dai Covoli così prese servizio come serva in una casa di montanari. Dopo qualche tempo un cavallaro di passaggio gli riferì:
O Aissa Màissa, da qoela bela bàissa,
l'Orco del Coalo el m'à dito
che te torni a casa che Trolge Molge l'è morto.
La fada urlò così forte che la casa tremò, quindi sparì nella direzione dei Covoli e da allora più nessuno l'ha vista.
Di questa leggenda esiste anche una versione assai diversa raccolta da Piazzola (1971).
Anfratti del Monte Lasta, non identificati - Velo Veronese
Secondo gli abitanti della contrada Kunech gli anfratti dell'altura ad est delle Laste di Velo Veronese sarebbero abitati dalle Fade (Benetti, 1983).
Grotta del Parparech, non identificata - Velo Veronese
Secondo una leggenda alla sommità del Parparech (Monte Belloca), grande dosso posto a nord dell'abitato di Camposilvano, c'è un punto denominato Rinstele che battuto rimbomba per la presenza di una grande caverna abitata dalla regina delle fade (Benetti, 1983).
Antro del Monte Sabionàra, non identificato - Velo Veronese
Secondo gli abitanti di Azzarino le fade abitavano un antro del Monte Sabbionara ma, dopo il Concilio di Trento, dovettero trasferirsi nell'alta Val d'Illasi sugli strapiombi del Sentàl. Un giovane che volle andare a trovarle, avendo sentito parlare della loro bellezza, visse per qualche tempo recluso in un antro con una di esse trasformatasi però in una vecchia orribile. Nonostante venisse soddisfatto in ogni suo desiderio alla fine il giovane preferì la libertà (Benetti, 1983).
Buso del Sengio de la Paicoal, non identificato - Velo Veronese
Una leggenda narra che, prima del Concilio di Trento, alcuni montanari saliti nel bosco del versante nord orientale del Monte Purga a tagliar legna, improvvisamente si videro circondati da bellissime ragazze che indossavano un grembiulino rosso. Nonostante la sorpresa e il timore si fecero avanti per chiedere loro chi erano e da dove venivano. Le ragazze senza mostrare timidezza rivelarono di essere delle fade e di abitare nel vicino Buso del Sengio de la Paicoal (Benetti, 1983).
Un'altra leggenda (I commisséi de le fade) racconta che le donne della contrada sottostante si recarono una sera nell'antro delle fade, approffitando della loro assenza, per saccheggiarlo. Qui riempirono i loro grembiuli dei magici gomitoli di lana ma appena uscite dall'antro non riuscirono più a reggere il peso dei gomitoli che pietrificati rotolarono giù per il versante dove si trovano ancora oggi (Benetti, 1983).
41 V Vr Covolo di Camposilvano, Velo Veronese
Il Benetti (1983) riporta alcuni racconti popolari ambientati nel Covolo che la tradizione vuole abitato dalle fade, leggiadre e graziose fanciulle dai modi gentili, che si mutavano poi in streghe orribili. In uno di questi racconti un montanaro è attratto nel Covolo, dove viene incaricato di ravvivare il fuoco delle fade, ma viene liberato appena si fa il segno della croce; in un altro la fada Calamita riesce invece a sedurre un mercante tirolese che vende l'anima al diavolo rimanendo prigioniero nel Covolo per sempre; in un altro ancora una donna sfida per scommessa i cupi racconti dei filò ambientati nel Covolo recandosi verso mezzanotte nella grotta ma qui riceve da uno spirito, condannato dal Concilio di Trento, un sonoro schiaffo che la mette in fuga.
Un'altra tradizione racconta che le fade usavano riunirsi presso i Coali, dove esiste ancor oggi una specie di chiesetta con un'antica croce di legno e un vecchio quadro e che una fada inesperta una volta precipitò dalla rupe più alta dei Coali cadendo su una pietra dove tuttora si possono vedere le impronte delle sue scarpine (Rama, 1996).
Covolo degli Storti, non identificato, Velo Veronese
Pozzo carsico molto degradato con riparo sottoroccia, secondo una leggenda (Benetti, 1983) abitato da alcune fade poco ubbidienti, cacciate dalla caverna del Parparech.
Séalagan Küwal, non identificato, Selva di Progno
Questo covolo, che si apre in Val Fraselle sopra Giazza, secondo la leggenda era abitato dalle Genti Beate, donne che di notte uscivano e ballavano sopra una fune tesa attraverso la valle (Messedaglia, 1923; Cappelletti, 1956; Fabbris, 1975; Rama, 1983; 1992).
Buso delle Fade, non identificato, Selva di Progno
Quando si doveva passare davanti al Buso delle Fade, che si apriva sotto contrada Tanara, lo si faceva correndo con una forte ansia nel petto perchè alla sera, dopo il rintocco dell'Ave Maria, le Fade "le tiràa la bala de oro e le te encantesimàa" così tutte le donne si chiudevano in casa evitavano di uscire (Rama, 1996).
Buso de la Viéra, non identificato
La tradizione vuole che il Buso de la Vièra, che si apre nei pressi di contrada Pozzini vicino al vajo dei Molini, fosse popolato dalle Anguane, mitici esseri femminili che vivevano allo stato selvaggio. Di giorno le anguane lavoravano come le altre persone ma di notte si trasformavano in cacciatrici di donne e bambini per cui il Concilio di Trento le condannò a vivere nelle grotte. Tracce dei loro piedi caprini sono impresse anche all'ingresso della Vièra. All'interno di questa grotta c'era un grosso masso detto "Preta" e un altro detto "Campanella" che usavano come tavole per i loro banchetti. Le anguane si erano costruite delle gallerie comunicanti con la grotta dei Cracchi, dove vivevano altre Anguane e quando da una piccola apertura usciva un filo di fumo erano le strane creature che sipreparavano per il pranzo (Rama, 1996).
El Còelo, non identificato -
Nei pressi di Cogollo, in fianco del vajo che scende dalla contrada Carbonari, si apre un'ampia grotta che gli abitanti della zona ritenvano abitata dalle strìe. Quest'ultime uscivano di nascosto di notte per operare malefici contro persone ed animali e perciò si ammoniva chiunque a passare presso la cavità. Alcuni riferiscono che la grotta s'inoltri per chilometri fino a sbucare proprio sotto la cucina della canonica di Badia Calavena (Rama, 1996).
3.2 Vicentino
1880 V Vi Buso dela Vecia (Grotta di Casale), Vicenza
La presenza della "Vecia" che abitava il "Buso" era vissuta come spauracchio dagli abitanti della zona: "Dai, che vien torme la Vecia!"; la grotta è stata allargata con mine durante l'ultima guerra per servire come nascondiglio agli abitanti di Casale durante i rastrellamenti tedeschi (Rosa Sgarabotto, anni 63).
274 V Vi Covoli di Costozza, Longare
Secondo la tradizione i Covoli di Costozza sono sempre stati abitati da presenze arcane tanto che non si poteva transitare per la località "ghiaroni", ai piedi del Monte Parnaso, dalle undici di sera fino alle prime ore del mattino perchè si correva il rischio d'incontrare e disturbare le streghe, che dalla pianura salivano al Monte attraversando la strada, danzando. Secondo altre voci tutto sarebbe nato per le continue salite al Monte di certi signorotti forestieri che vi andavano per trarre ispirazione dalle muse. Il popolino ingnorante e curioso voleva sapere cosa andavano a fare a tutte le ore lassù così questi, per essere lasciati tranquilli nei loro studi, approfittarono dell'ingenuità del popolo facendogli credere che lassù esistevano fate, streghe e folletti e guai fare a loro dispetti perchè "ne sarebbero avvenuti guai seri" (Cappellaro, 1959; Moriconi, 1983).
138 V Vi Cògolo de le Tette, Mossano
Così detto per la forma mammellonare delle sue stalattiti. L'acqua dello stillicidio, che si raccoglie in una pozzetta a tal uopo scavata, è ritenuta dalle donne dei paesi vicini come efficace galatogeno (Fabiani, 1902; Allegranzi, 1992).
4 V Vi Grotta dei Fontana o Buso delle Anguane, Chiampo
Secondo Fracasso (1930) questa grotta della Val Chiampo è assai nota per la leggenda delle anguane "specie di streghe maliarde che uscivano nella notte a lavare i loro stracci, chiacchierando e cantando per attirare i giovani nelle loro infide tane". Le anguane secondo i contadini della zona sono state confinate nelle loro tane dal Concilio di Trento. Questa leggenda come altre simili, sempre secondo Fracasso, è diffusa in quasi tutte le cavità della zona.
64 V Vi Grotta delle Colonne del Proneche, Crespadoro
Lungo questa strettoia, sulla sinistra della strada è situato il covolo delle Guane, fonte di fantasiosi racconti del passato (Mecenero, 1984). Dal covolo le streghe chiamavano durante la notte i carrettieri di passaggio:
- Oh, dal caval bianco ....
- Oh, dal caval griso ...
Una di queste ha seguito fino ai Lovati un carettiere, di nome Fusaretto, e si è fatta sua sposa per qualche tempo, scomparendo nel covolo protetto dopo aver sentito del richiamo della madre morente:
- Disìghe che so mare sta mal de morte!
Così la diffusa leggenda associata alle cavità abitate dalle anguane e forse anche a certe unioni frettolose con donne "foreste" che dovevano risultare temibili concorrenti per le chiuse contadine della vallata.
Tutta Campodalbero per recarsi a valle doveva passare davanti a quel Covolo e tutta la zona circostante aveva fama di esser popolata di innumerevoli streghe, orchi e spiriti vaganti tanto da riempire ed animare di personaggi fantastici gli interminabili filò invernali.
Quelli dei Làngari è la contrada più meridionale di Campodalbero, proprio di fronte al Covolo delle Guandane, ed erano i Langaresi che verso sera fantasticavano sulle ombre che vedevano muoversi spedite tra i sengi, al di là della valle. Si racconta che qualcuno, contro l'opinione comune, aveva messo in dubbio che ci fossero le streghe nella zona e per dimostrarlo una sera si era messo dalla contrada a beffeggiarle:
- Eh, Piffe Poaffe, porténe la vostra caccia!
Il mattino dopo una coscia di donna pendeva sulla porta di una casa. Nessuno osava toccare quel macabro trofeo che aveva seminato sgomento e terrore fra gli abitanti della contrada così che all'imbrunire lo sfidante riprese la trattativa:
- Eh, Piffe Poaffe, tolìve la vostra caccia!
Durante la notte la coscia sparì e più nessuno osò sfidare le streghe che nascoste nel covolo continuarono a tenere in soggezione l'intero paese (Mecenero, 1984).
Una variante della stessa storia è sempre di Mecenero (1979). L'autore racconta che le rocce tra i Lovatini e il Màjo erano il regno incotrastato delle anguane e delle strie. Lì nei prati oltre le case "le slargava la lìssia" (stendevano il bucato) davanti ai numerosi antri che ancora si vedono e dove alloggiavano stabilmente. Se ne potevano vedere facilmente di sera fino verso il Majo dove sull'opposta sponda sopra la strada è collocato il più noto "buso" dell'Alta Valle del Chiampo: il Covòlo delle Guandane.
Si raccontava nei filò della brutta esperienza avuta da un abitante dei Lovatini con le "done dei sìngi". Quest'ultimo una domenica sera era tornato da Durlo per l'impervio sentiero dei Micheletti; era tardi e sapeva che, dopo l'Ave Maria, erano padrone le anguane, ma quella sera il coraggio non gli mancava: glielo aveva dato, durante una partita a spaventin (briscola), il generoso durello del Moro di Durlo alla Ca' del Vento. Così arrivato sano e salvo a casa aveva gridato per sfida: "Fava, fava, pòrteme la to' cacia!".
Al mattino appeso alla lamina di ferro che tiene chiuso l'uscio aveva trovato una bella coscia di donna. "Eh no, no' magno mìa 'sta roba qua, mi" aveva detto ad alta voce ma quella roba era lì e non sapeva come farla sparire. Come un tempo costumavano un po' tutti era andato allora a confidarsi con il prete di Durlo. "E ti dighe da nòvo la frase, a la so ora, e che la vegna a tòrselo, sto coss... sto còsso!" (il termine gli pareva poco pulito).
Convinto sul da farsi alla solita ora il montanaro aveva nuovamente chiamato la strega: "Fava, fava, vien torte la to cacia!" Al mattino non c'era più nulla ma un'incontrollabile paura era penetrata nell'uomo che da allora non è stato più lui.
49 V Vi La Spaccata, Recoaro Terme
La Spaccata, nella Valle dell'Agno, è nota per una leggenda che la vuole abitata dalle anguane. Esse sono qui considerate fate d'indole benigna, dall'aspetto di giovani formosissime o di vecchie megere, che frequentano in incognito i vicini paesi. Il loro nascondiglio si trovava appunto in un ampio covolo nella parte più nascosta della Spaccata. Guai all'incauto visitatore che fosse penetrato là dentro perchè le anguane, cacciatrici infallibili, non lo avrebbero più liberato. Ma dovevano essere pochi quelli che cadevano prigionieri delle giovani anguane perchè esse per trovar marito erano costrette ad andarlo a cercare fuori della Spaccata. Si narra che un'anguana, di nome Ittele, riuscì a sedurre un contadino di Fongàra che sposò e da cui ebbe due figlie. Un giorno però un viandante sentì uscir fuori dalla Spaccata una voce che diceva di avvertire Ittele perchè sua madre Uttele era morta. Dopo aver riferito queste parole in paese Ittele scomparve ma ritornava ogni mattina invisibile a pettinare ed ungere i capelli delle figlie penetrando in casa ora per il camino ora per il buco della porta. Il marito, che vedeva ogni mattina le figlie ben curate, usò ogni stratagemma per riuscire a vedere e trattenere la moglie, ma senza successo. Ma Ittele un giorno cedette alla disperazione del consorte e si mostrò dicendo: "Se riuscirai a trattenermi mentre farò tre passi indietro resterò per sempre con te". Al marito non restò che accettare la sfida ma al terzo passo, quando ormai era convinto di abbracciare Ittele, non strinse che il vuoto; così scomparve e non fu più vista (Bellucci, 1888; Frescura, 1894; Berti, 1983).
154 V Vi Buso del Becco d'Oro, Malo
Secondo informazioni riportate nella scheda catastale (1940) la grotta era considerata abitata dalle "Anguane" (comuni a tante altre grotte del Vicentino) cioè "serpi con la testa di donna."
40 V Vi Buso della Rana, Monte di Malo
Trevisiol (1940) ricorda a proposito di questa grotta la leggenda delle anguane che, sotto l'aspetto di vaghe donzelle uscivano di notte dai meandri sotterranei del monte, attraendo con arti maliarde i giovani dei paesi vicini. Secondo altre tradizioni le anguane andavano a fare il bucato di notte ed erano viste al Buso della Rana dove erano state condannate (dal Concilio di Trento): lavavano e non facevano niente di male (Milani, 1990).
1618 V Vi Tana de le Done Salbeghe, Schio
La grotta ha ispirato una leggenda locale (Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991). Essa racconta che dai tempi delle invasioni barbariche alcune famiglie abitavano le cavità che si aprono lungo le pendici del monte Rozzo Covole. A lungo andare queste persone si erano chiuse in se stesse e nelle proprie abitudini divenendo particolarmente taciturne, scorbutiche e selvatiche, "salbeghe" appunto. Le donne "salbeghe" venivano poi schernite dagli abitanti delle contrade vicine per cui si dice che esse si vendicassero "striando" gli uomini. Se fossero donne o anguane non si sa, certo comunque è che sempre più spesso figli e mariti si lasciavano striare dalle "donne salbeghe", che caste e timorate di Dio certamente non erano. Si può immaginare con quale spirito spose e madri attendessero, qualche volta invano, il ritorno dei loro uomini che quando arrivavano, erano pallidi e smunti da far paura, "ciucà da le strie" appunto.
Un bel giorno, d'accordo con il parroco, le donne di Tretto organizzarono una spedizione per risolvere una volta per tutte il problema e così una folla urlante s'incamminò verso le grotte. Quando il parroco benedisse le spelonche vi fu come una gran scossa di terremoto, tutti i "busi" crollarono e dalla terra uscì, come un turbinio di vento, una gran moltitudine di spiriti dalle sembianze femminili senza veli. Alle giaculatorie del parroco, la congerie di spiriti s'inabissò con gran fragore nell'unica grotta rimasta aperta la quale, da quel momento, prese il nome di "Buso dele Done Salbeghe". Tuttavia da allora una volta all'anno, con il plenilunio di primavera, le Done Salbeghe continuano a striare gli uomini che osassero ad avventurarsi di notte nei pressi della loro spelonca.
555 V Vi Buso delle Anguane di Contrà Corbara, Schio
Le streghe escono dal Buso nelle notti senza luna per terrorizzare gli abitanti della zona: depredano i pollai, spillano dalle botti il vino migliore, spogliano gli alberi dalla frutta, strappano dalle corde il bucato steso ad asciugare all'imbrunire. Una notte dalla Val dei Mercanti alcuni uomini videro le orribili figure delle streghe stendere il bucato oltre il Monte Naro; ignare fanciulle persero la virtù passando accanto alla loro tana, alcuni cani furono uccisi, vacche furono rese sterili. Per lo stesso motivo a contrà Corbara presso Schio è divenuto ormai familiare il malocchio associato con le anguane. Ma a chi s'avventura di notte nei boschi vicini al Buso delle Anguane può capitare di vedere anche draghi fumanti o d'incappare in un omino vestito di rosso, petulante e perturbatore che ti mette in fuga seguito dalla sua sghignazzata. Tutto ciò accade nelle notti illuni, quando gli uomini rincasano dopo un'abbondante mangiata di "polenta e osei" innaffiata da generose dosi di "scabio" (Milani, 1961; Marchi,1968; 1972; Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991).
31 V Vi Buso delle Gane, Valli del PasubioSecondo la leggenda del Sojo Rosso nel Buso delle Gane viveva il mago Sabin con le sue strie che uscivano dalla grotta solo nelle notti di bufera. In una notte d'inverno il mago aveva cominciato a insidiare una giovane bellissima, di nome Catina, per farne una sua stria. Ma Catina era promessa sposa al Cavaliere del Tirolo ed un incantesimo la proteggeva. Le cose sarebbero andate a favore di Sabin se una stria, per vendicarsi di essere stata cacciata dal Buso delle Gane, non avesse rivelato a Catina il segreto del potere del mago. Così, all'arrivo dell'amato, Catina spiegò come poteva essere liberata dall'incantesimo: doveva affrontare in duello Sabin che avrebbe perduto i suoi poteri se i mantelli rossi delle anguane fossero stati esposti al sole. Nottetempo il Cavaliere riuscì a sottrarre i mantelli e a distenderli sul Sojo così al mattino il mago perse il duello e le strie, un tempo belle e nobili fanciulle, uscirono liberate dalla grotta (Ortelli, 1930; Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991).
29 V Vi Bocca Lorenza, Santorso
Sotto la grotta l'acqua zampilla da una sorgente detta Doncheo dove le anguane vanno ogni sabato nottetempo a far bucato dipanar gomitoli ed ultimar altre faccende domestiche (Colleoni, 1890; Frescura, 1893). La presenza di un luogo di culto importante come quello sorto sul Monte Summano, alle cui pendici si apre la grotta, spiegherebbe la sopravvivenza di altre tradizioni. Carattere esaugurale potrebbe avere la leggenda dell'impronta del ginocchio e della mano della Madonna toccata con devozione da quanti si recavano al santuario del Summano, a due terzi della salita. La Madonna, per infondere coraggio a San Prosdocimo nella sua opera per evangelizzare il Vicentino, gli avrebbe detto: "Fa cuore; tu otterrai il tuo scopo; il paganesimo cadrà come questo sasso cederà sotto la mia pressione" (Colleoni, 1890).
531/5 V Vi Covoli di Lonedo o Busi delle Anguane, Lugo Vicentino
A Lonedo nella villa palladiana dei conti Piovene, si ricorda il Parco delle Anguane con i suoi viali ombrosi e le grotte profonde (Frescura, 1893).
Covolo in Valle Brutta, non identificata - Lusiana
La storia delle anguane della Spaccata è simile in alcune parti ad un'altra, ambientata a Santa Caterina di Lusiana, raccontata da un vecchio pastore ed ancora ricordata nella zona (Frescura, 1898; Milani, 1990). In questo centro, al margine dell'Altopiano, la famiglia Xillo aveva adottato una fanciulla d'ignota provenienza, la quale era giunta in età di pigliar marito. Un bel giorno il padrone di casa che doveva passare vicino alla Valle Brutta, si sentì chiamare: "Ohè ! omo dalla cavalla bianca ! dite alla vostra tosa, che la madre sua sta male, e che venga ad assisterla". Il buon montanaro ritornato a casa informò la giovinetta di quanto aveva ascoltato, ma essa non se ne diede per inteso, non senza destare meraviglia in quegli alpigiani, che per i genitori nutrono grande rispetto. Un bel giorno però la fanciulla scomparve, e, per qualche tempo, se ne ignorò il destino: quando il suo padrone passando nuovamente per la Valle Brutta, udì dei gemiti strazianti come di chi soffre atrocemente. Guardò, e in un covolo del torrente vide la giovinetta tormentata dalle anguane: il giorno seguente poi i montanari s'accorsero con meraviglia, che, sul fondo della valle, al di sopra dell'antro dove era stata tormentata la fanciulla, era sorta una roccia di foggia strana che da quel giorno chiamarono "Pieròn delle anguane". La tradizione popolare attribuisce a questa roccia, conosciuta anche come "Carèga del diavolo", strane leggende: di notte è pericoloso avvicinarsi a questo luogo dal quale si odono lunghi e misteriosi ululati, perchè le anguane non vogliono esser disturbate, mentre s'abbandonano ai loro giochi. Secondo altri autori (Zanocco, 1985) il Caregòn, ora avvolto tra la fitta vegetazione nell'alta Val Laverda, veniva utilizzato dal diavolo che veniva a riposarsi dopo le improbe fatiche della settimana santa; veniva detto anche "Ramestòn o Ramenstòn", che significa pietra dei corvi oppure deriva da "Lammenstòn", pietra della pecora, in quanto vi saliva il pastore per difendersi dal furioso assalto dei capri durante la distribuzione del sale. L'ipotesi che il luogo sia stato frequentato in passato da pastori sembra giustificata dalla presenza di una fonte perenne che gorgoglia ai piedi del grande masso calcareo.
Analoga tradizione esiste nel Trevigiano, sul versante sud del passo di Praderadego la Val Scura o Valle dell'Inferno è da secoli evitata da tutti; su un fianco di quest'ultima infatti le rocce sono disposte a formare il cosìdetto "caregon del diaul" dove il diavolo attende le anime per portarle all'inferno (Dall'Anese & Martorel, 1980).
Covolo delle Anguane sopra Casotto, non identificata - Valdastico
Viene così chiamata una stretta fessura risorgente che si apre a pochi minuti di cammino da Bersaglio, la vecchia casamatta austriaca. Secondo gli abitanti della zona una volta superata a carponi l'imboccatura della grotta ci si trova in un'ampia galleria che, restringendosi sempre più, non si sa dove termini. Su una cengia si può vedere con la luce della lanterna la sezione frontale di un'aquila fossilizzata ad ali spiegate. Più oltre la grotta è leggermente illuminata da uno spiraglio di luce proveniente dall'esterno attraverso una fenditura che però non è mai stata individuata. E' molto pericoloso avventurarsi all'interno di questo Covolo perchè l'acqua, anche nei mesi estivi più siccitosi, può irrompere improvvisamente innondandolo e fuoriuscendo all'esterno con uno schianto. Per i valligiani il Covolo o Còvola era la dimora delle Anguane, le ondine dell'Astico, che con i loro canto ammaliavano gli uomini che poi annegavano nei vortici del torrente (Zanocco, 1985).
Scafa delle Anguane, non identificata - Valdastico
E' un riparo sotto roccia che potrebbe identificarsi con il precedente e che si apre sulla parete strapiombante del Sojo de Mezodì; i vecchi nell'indicare la posizione della scafa, più che alla sporgenza alla base della parete, sono soliti riferirsi ad un'ampia ed allungata fessura orizzontale nella quale le Angunane trascorrevano il loro tempo a pettinarsi ed acconciarsi i lunghi capelli e ad asciugarsi al sole dopo le laboriose danze nelle gelide acque dell'Astico (Frescura, 1894; Zanocco, 1985).
Le anguane erano donne che vivevano sulla roccia del Mezzogiorno dietro al paese. Di giorno non le vedevamo mai perchè erano dentro che lavoravano al telaio, mentre di notte venivano fuori, andavano giù all'Astico in un posto che si chiamava le Fontanelle, e lì lavavano le lenzuola. La gente che passava vedeva tutte queste lenzuola stese, ma solo di notte. Su questa roccia - da giovane, io ci sono stata in cima - c'è un buco piccolo per entrare e dentro c'è un focolare, e si vede che vivevano dentro, vivevano: mentre fuori ci sono tutti buchi come se ci fossero stati piantati dei pali per non cascare di sotto (Rubini & Cocco, 1990).
90 V Vi Tanzerloch (buco della danza), Roana
Secondo la tradizione "attorno a quei buchi ballano le falciatrici e si crede che intreccino le loro carole anche le fate" (Frescura, 1898). Secondo Brentari (1885) esistevano varie cavità con questa denominazione (Tangerloch) la principale, oltre a questa di Camporovere, si apre a Campolongo ed è costituita da "una larga e profonda caverna nel cui fondo c'è ghiaccio tutto l'anno, quantunque se ne cavi continuamente, e negli anni asciutti se ne estragga tanto da abbeverare gli animali delle malghe vicine". Ciò fa pensare a più luoghi di culto, associati a profonde voragini, dove venivano praticate danze rituali.
Una leggenda, in parte ambientata nella prima grotta, racconta di come una tale Marietta sia diventata, alla morte, una strega (Frigo Metel, 1977). "Arrivati nel letto della Val d'Assa, lungo le alte rupi (l'angelo) si avvicinò ad un gran masso e questo girò mettendosi da un lato e lasciando aperta una caverna tutta illuminata. L'angelo davanti ed io dietro siamo entrati in questa caverna ed appena dentro, il masso chiuse la caverna. Abbiamo fatto ancora cinquanta passi e la caverna si è allargata e là abbiamo trovato tante donne come me intente a lavorare. (...) e così siamo arrivati ad una seggiola alta sopra la quale era seduto un grande e brutto uomo: egli era il padrone. (...) disse all'angelo: "il tuo compito è finito, va' via di qua" e l'angelo volò sparendo attraverso il buco, senza dirmi nulla. (...) "E così - proseguì il padrone - per castigo tu dovrai stare qui per circa cinque anni e fare tutto ciò che ti dico io. Guai a non obbedirmi! Qui dietro vedi queste scope? Lì c'è anche la tua. Tu devi adoperarla quando dirò io. Quando tu siederai a cavalcioni sopra la scopa e dirai le parole: scopa portami via, la scopa ti alzerà su e tu potrai andare fuori per il buco dove prima sparì l'angelo. Quando sarai fuori di qui tu sarai nel fondo del Tanzerlch. (...) Ricordati, qui non si dorme mai; di giorno dovete sempre lavorare e di notte sempre fuori per andare a compiere ciò che voglio io. Mangiare e bere mai niente. Il primo giorno di carnevale, siete libere: voi potete andare dove vorrete".
Il primo giorno di carnevale Marietta con le due cognate, streghe anch'esse, si reca a trovare Alberto, un conoscente che gli abitava vicino, e lo conduce, a cavallo della scopa, a vedere le streghe che sono giù nel Tanzerloch. "Volando poi sopra il Tanzerloch videro il fondo tutto illuminato come di giorno e là in mezzo il padrone agitare le mani e tutti i gruppi di streghe ballare e cantare come matti".
Che belle canzoni avevano cantato. Marietta avvicinandosi ad Alberto gli chiese: "Vuoi che andiamo giù per vedere e sentire meglio?". "No, no - rispose subito - E' meglio che andiamo là da dove siamo venuti". Del Tanzarloch parla anche Schweizer (1987) non sempre però riferendo di danze delle streghe.
583 V Vi Kërchle von Zelighen Baiblen, Roana
E' questa una grotta scavata dalla natura, a guisa di chiesetta, larga 6 metri, lunga 9 metri e alta 15, che si innalza con una cupola a cono, con una specie di altare nel mezzo. S'entra in questo speco, che potrebbe contenere alcune dozzine di persone, per una specie di finestra. Un'antica superstizione vuole che ivi abitassero, quali semidivinità tutelari del paese, le Fate; le quali, a chi le invocava, portavano certe matasse di filo, che disvolgendole non finivano mai, a condizione però che la persona beneficata non si lamentasse della lunghezza del tempo da occuparsi nell'interminabile svolgimento; nel qual caso la matassa spariva. In qualche montanaro dei Sette Comuni vivono ancora altre superstizioni sulle Fate: si crede che esse siano sempre vestite di bianco, intente a far bucato, a stendere di notte i pannilini ed a far pane (Brentari, 1885). Secondo altri autori le seileghen Baiblen sono creature misteriose e fantastiche, alte un soldo di cacio, generalmente sollecite a beneficare chiunque avesse chiesto con rispetto ed umiltà il loro aiuto. Oltre alla grotta della Val Martello altre località sono designate come loro dimora ad esempio sul monte Itanzar presso Gallio o presso la sorgente dei Rust nella Valdassa (Milani, 1990). Le beate femminette di Castelletto di Rotzo erano contraddistinte coi nomi di Gritt-Grott e Schicka-Schaicka che secondo i vecchi della zona sta a significare "Greta (Margherita) della grotta" e "abile e scaltra (filatrice)" (Garrobbio, 1975; Zanocco, 1985).
Giù nel Staich ci sono alti rupi, e queste rupi hanno grandi caverne: entro queste caverne anticamente c'erano le beate donnette. Queste donnette erano persone, piccole, astute e buone. In qeste caverne avevano il loro alloggio: avevano sistemato piccole camere e la cucina per fare da mangiare. Nelle camere c'erano i letti per dormire, dentro un po' di paglia con un po' di foglie secche: cuscini e lenzola nessuna. Per finestre avevano scavato delle buche nella parete che guardava nel profondo della valle: alla notte queste finestre venivano chiuse ed otturate con tavolette e foglie secche. Nella cucina c'era un focolare; nessun camino e il fumo usciva dalla porta: una piccola catena era agganciata sopra il focolare e serviva per attaccarvi la pentola. (...) Nei boschi per un dono di Domine Dio, avevano la facoltà di parlare con le bestiole e con gli animali selvatici. Rare volte parlavano con altra gente: preferivano parlare con le bestioline. (...) Tutte le mattine al sorgere del sole, una beata donnetta veniva sulla porta e battendo una ciotola cantava (Frigo Metel, 1977):
Gute sechlen d'ar sai vor de taldar
ailt hia hoite' me lustige waible.
Willegoze d'ar sait vor de waldar.
Wunsch' ich segan un melchan an waile.
Buone bestiole che siete per le valli
venite qui oggi dalla beata donnetta.
Capriole che siete nei boschi
desidero vedervi e mungere un po'
Busi delle Fate, non identificati
Poco a sud del Monte Xomo, sopra Foza, certi incavamenti o nicchie della roccia, fatte a guisa di sedili di un coro, si chiamano Busi delle Fate, e si dice essere della loro Dama il più profondo fra essi; e colà di notte convengono le fade a parlamento (Brentari, 1885).
Kùvela o Kòvel, non identificata - Rotzo
Piccola grotta seminascosta dalla vegetazione, nota anche come Kòvel o Kerkle (chiesa), che si apre vicino alle Banchette, lungo la mulattiera Castelletto-Pedescala. Essa viene considerata dimora di due fate, alte un soldo di cacio, e forse confusa con la cavità omonima (Kerchle von Seileghen Baiblen) nella val Martello. Quest'ultime erano ritenute sorelle, vecchie quanto gli abitanti preistorici del Bostel superstiti del diluvio universale, che passavano la giornata filando e cantando:
Seleghen Blaiben !
Siam bianche fate.
Lino vi diamo
se lo chiedete...
Lana vi diamo,
se non l'avete.
Seleghen Blaiben !
Chi aderiva allo strano invito riceveva in dono dalle fate una cannocchia di candido lino o un fuso di soffice lana che erano praticamente inesauribili; ma dovevano essere filate ogni giorno senza manifestare pigrizia o insofferenza altrimenti il lavoro di anni sarebbe scomparso (Zanocco, 1973).
59 V Vi Giacominerloch (buso di Giacomino), Roana
La leggenda, raccolta da Zanocco (1979), parla di un giovane boscaiolo, di nome Josele, attratto alla bocca di una voragine dalla voce di una ragazza che dal regno dei laghi sotterranei chiedeva di rivedere l'Altopiano. Aiutata dal giovane la ragazza, dai capelli di un tenue verde fosforescente, gli era però svenuta davanti e solo al mattino si era risvegliata ma per riscomparire nella voragine. Ma ciò era bastato a far innamorare Josele che da quel giorno cambiò d'umore e decise infine di raggiungere Giacomina, la sua amata. Calatosi nella voragine raggiunse un labirinto fantastico di laghi e fiumi, alimentati da cascate, dove infine ritrovò Giacomina. Essa lo condusse in un luogo al riparo dagli assalti degli elfi, che non amavano gli intrusi, e qui raccontò di essere la figlia di Hèberle, il più abile boscaiolo dell'Altopiano, rapita dagli elfi offesi per l'abbattimento della foresta di Cesuna. Così Giacomina era destinata a diventare un'anguana. L'unica possibilità di ritornare in Altopiano restava la "nave delle evanescenze addormentate" che, con lo scioglimento delle nevi, conduceva le anguane addormentate dai recessi sotterranei all'improvviso risveglio nelle acque vorticose della Torra. Ma nel passare attraverso uno stretto passaggio le anguane restavano coi piedi caprini ritorti. Josele si propose ancora una volta di aiutarla e, salito con Giacomina nella nave fatata, le intrecciò alghe e muschio ai piedi così all'uscita della grotta essa si ritrovò libera senza i piedi deformi. Ma l'Altopiano era completamente mutato, in quanto il tempo nelle grotte, non scandito dal giorno e la notte, è praticamente fermo. Sulla bocca della voragine trovarono infatti una lapide consunta dal tempo che portava incise queste parole:
In dizar tif loch In questo profondo buco
zo vennen Giacomina per trovare Giacomina
is-se smariert Josel scomparve Josele
wàllemar vo' Lèmerle. boscaiolo del Lèmerle.
3069 V Vi Grotta della Rozzola, Chiuppano
Nella leggenda "Il pastore Ardengo e la bella castellana" Aldegarda per un incantesimo sparisce nella Grotta della Rozzola ma il suo innamorato, Ardengo, non esita un solo istante a seguirla e discendere nel baratro. "Con l'aiuto del suo fedele compagno, il ragno dal filo miracoloso, tocca ben presto il fondo. Ma non trova traccia di Aldegarda, la bella castellana. Stanco e sconsolato è in procinto di salire, quando s'accorge di una luce rossastra che intermittente esce da un anfratto. Si china a guardare e scorge così un lungo corridoio che si apre poco oltre. Con l'amico ragno si infila in una galleria lunga e trasudante di rossa rugiada. Cammina e cammina il percorso sembra interminabile. Intanto la luce si fa sempre più rossa e più ampie le dimensioni della volta. Ecco finalmente l'uscita... Ma un lago limaccioso si para innanzi a precludere ogni passo e proprio nel mezzo sorge un castello di alabastro dove deve trovarsi certamente Aldegarda.
E' un paese di mistero. Nel cielo di pece splendono con riflessi rossastri miriadi di cocomeri sfaccetati ed un esercito di streghe, a cavallo di manici di scopa, volano qua e là gracchiando. Ardengo si fa pensieroso ma il ragno lo incoraggia a non temere. - Ma come facciamo ad attraversare questo lago? - sospira - Facilissimo! - risponde il ragno - Ora io salgo lassù lego il mio filo alla sommità della volta e mi calo quasi fin a terra. Tu mi darai una spinta... e il resto lo vedrai -
Ciò detto sale sulla volta della caverna attacca saldamente il filo ad una sporgenza, quindi si lascia sospendere. Ardengo gli da una spinta ed il ragno si mette ad oscillare sporgendo di molto sul lago. Ad un certo punto gli vola vicino una strega ed il ragno è pronto ad aggrapparvisi. La strega volante sul suo manico di scopa non avverte nulla di nulla e continua il suo giro. Giunto sull'isola il ragno si lascia cadere vicino alla riva, dove è attaccata una piccola barca. Il ragno sapiente vi sale sopra, lega il suo filo sia a poppa che a prua, ridiscende sulla spiaggia e fa un segnale convenuto all'amico. Ardengo, guardandosi bene da non staccare l'estremità del filo dalla volta, recupera la barca mentre il ragno lascia andare filo e filo dal suo capace addome. Così il pastore della Bregonza, una volta salito sulla barca, può aiutarsi col filo di prua a raggiungere l'isola: infatti il ragno ha legato l'altra estremità del filo attorno ad una grossa stalagmite della spiaggia.
Non occorre soffermarsi a narrare tutti gli ostacoli che i due devono superare prima di penetrare nella grande sala del castello dove incontrano l'orrenda Baldenascafa. Quest'ultima era una strega che aveva rapito la bella castellana per punirla di non aver saputo vincere l'ostinato Ardengo e, quando il pastore entra nella sala, la vecchia sta appunto propinando ad Aldegarda una mistura che l'avrebbe irrimediabilmente trasformata in una strega volante su un manico di scopa. Ma Ardengo con un balzo riusce a strappare dalle mani di Aldegarda il calice infame e ad uccidere la perfida strega. La bella castellana, cessato l'influsso dell'incantesimo, sviene tra le braccia dell'intrepido pastore che, contento di aver raggiunto e salvato all'estremo la propria amata, la riconduce al suo castello (Rando, 1958).
1657 V Vi Grotta dell'Elefante bianco e Grotta del Subiolo, Valstagna
Il Subiolo è un lago di superficie strettissima, posto in un rientramento della montagna; esso vi è alimentato dall'acqua che esce perennemente di sotto alle roccie. Corre voce che questo piccolo bacino sia profondissimo, molti e molti anni fa vennero legate, l'una con l'altra, cinque corde del campanile di Valstagna assicurando ad una estremità il battaglio del campanone ma anche così non si giunse ancora a toccare il fondo (Faggion, 1894).
"Narrano che il Subiolo fosse un logo abitato da fate e da beatrichi, dei quali, nella notte, si udivano strida e zufolii (zufolo nel dialetto dicesi subio, il che fa credere sia stato dato il nome di Subiolo per gli strani zufolii che vi si udivano). Ho cercato, se anteriore a quella che sto per narrare, vi fosse del Subiolo una particolare leggenda. Non ho potuto rilevare che una fede in fate, spiriti e beatrichi esistenti in questo luogo, senza un fatto, tradizionale s'intende, che la giustifichi.
Un giovane falegname ritornava una sera a casa, tardi, alla sua casa vicina al Ponte Subiolo, dopo una visista alla sua fidanzata; quando, attraversando il ponte si sentì chiamare ripettamente per nome. Al pallido raggio di luna, sopra l'onde fuggenti, danzavano le fate.
- Vieni, vieni con noi - esse gli dicevano; - tu non hai mai provato la felicità che ti offriamo: finchè splende la luna vieni a danzare con noi.
- No, no! - rispose il giovane sgomento - laggiù c'è l'acqua; se scendo mi annego.
- Hai paura? - chiesero le fate ridendo - guarda, l'acqua è sparita; vieni!
Infatti anche i sassolini del fondo erano asciutti ed i massi rivestiti di muschio porgevano soffice divano alle fate.
- No, no! - ripetè il giovane; ma, come soggiogato, non poteva staccarsi dal parapetto del ponte.
- Non vuoi? - le fate ripresero - ebbene, perchè tu abbia a ricordarti di noi, t'offriamo una grazia: chiedi!
Ed egli tremante domandò:
- Che io possa colle mie mani eseguire qualunque lavoro d'intaglio.
- Concessa! - si sentì rispondere - ma non sarai mai ricco!
Alla mente del falegname balenò forse l'idea d'opere grandiose, l'artista ebbe forse la sua prima visione. Intanto l'acqua tornava ad uscire impetuosa, spumeggiante dal laghetto, stormivano pel vento le fronde dei faggi e la montagna proiettava l'ombra sua immobile, perchè la luna era calata dietro la cima. Le fate erano intanto sparite (...)" (Faggion, 1884; Scandellari, 1979).
601 V Vi Covol dei Veci, Valstagna
Una leggenda riporta la storia di una ragazza iniziata alla stregoneria nella Grotta di Oliero, forse il Covol dei Veci. La giovane, nonostante i consigli della madre, non aveva voglia di far niente e stava l'intero giorno alla finestra a vedere ed a far la civettuola. Ma un giorno fu rapita dalle streghe, che la portarono con loro nella Grotta di Oliero. Lassù trovò quattordici signore, che la servivano, ed in quei pochi dì che vi rimase imparò a leggere ed a scrivere e seppe cosa significhi il levar delle stelle e della luna, il tramonto del sole e la ragione di tutti i fenomeni celesti. Diedero ad essa le streghe quel libro che si dice il libro d'Abano, e con questo libro poteva, con un atto di volontà, recarsi dovunque volando, purchè avesse fatto con un passetto (misura) da falegname il segno di Salomone. Si faceva anche accompagnare da altri sulle più alte montagne, purchè si attaccassero con le mani alle sue vesti. Partita dalla Grotta di Oliero, si recò a Venezia dove fu ammessa nella compagnia dei Framassoni. Vi s'iscrisse coll'inchiostro e non col proprio sangue, chè l'avesse fatto con questo, non avrebbe potuto levarsene mai più. A questa donna, oltre ad altre virtù, era rimasta quella di mutare in cavallo il proprio servitore e ciò ponendogli i ferri ai piedi e la briglia al collo. Dopo di ciò doveva correre correre guidato dal pazzo capriccio di lei. Trascorso qualche tempo, il servo non ne poteva più e se ne lagnò con una vecchia, che si diceva fosse una strega, la quale gli disse: Se nel momento in cui ti fa la fattura, sei pronto a levargli di dosso la briglia e a metterla sul collo ad essa, la tua padrona dovrà diventare una cavalla e correre in vece tua. Così egli fece, e la strega dovette correre suo malgrado, aizzata e maltrattata da quell'uomo, che disfogava villanamente la sua vendetta. Dopo sì dura lezione si levò dalla scuola dei Framassoni, si pentì del mal fatto, cercò di far del bene, ma in fine la trovarono annegata nelle acque del Cismon (Nardo Cibele, 1887).
170 V Vi Covolo de le Fade al Collicello, Valstagna
Nella Valstagna abitano le fade bianche. Nella Valle del Brenta, si trovano i covoli de le fade. In uno di questi, al Collicello, contrada del comune di Valstagna, non si può entrare che trascinandosi carponi per una stretta apertura. La volta dell'antro è rischierata dalla luce che penetra attraverso i crepacci formatisi sul fianco della montagna, ed il piano della caverna è tutto acqua. Da questa grotta, la credenza popolare vuole, uscissero di notte le fade a stendere il bucato sui prati vicini (Faggion, 1884).
1007 V Vi Cugua delle Fade o Covolo di Val Frenzela, Foza
Castaldini (1992) riporta l'antica tradizione che le fade abitano in una caverna posta sopra la vecchia strada che unisce Foza con il paese di Valstagna. La caverna è detta "Cugua delle Fade", covolo delle fade. Gli incontri notturni di queste avvenenti fanciulle vestite di bianco iniziano con il lavaggio dei panni che poi vengono stesi su una corda attraverso la vallata. Presenza costante di questi incontri è la luna piena che appartiene alle fade ed asciuga i loro panni.
3.3 Trevisano e Bellunese
1388 V Tv Bus de le Anguane, Crespano del Grappa
Nella valletta sottostante il Santuario della Madonna del Covolo c'è una piccola sorgente, detta "l'Acqua dei tre buchi", perchè esce da tre fori, che il popolo dice praticati dal dito della Madonna, per procurare l'acqua necessaria alla costruzione del santuario; vicino c'è anche la "Caverna delle Guane", o anguane, spelonca che è profonda a destra 4 metri e a sinistra, dove finisce in uno stanzone ricco di stalattiti, più di 8 metri (Guadagnini, 1884; Brentari, 1885; Mazzotti, 1972).
133 V Bl Buso dela Bela (Grotta di S. Donà), Lamon
Secondo la leggenda una bella ragazza, novella Diana, vivendo di caccia fra quei monti, avrebbe abitato la grotta da allora chiamata Buco della Bella; secondo altri il nome della grotta deriverebbe invece da bela, che nel dialetto locale indica la pecora, cioè sarebbe stata utilizzata come ovile dai pastori di passaggio nella zona (Frattini, 1880; Dal Piaz,1900).
71 V Tv Buoro del Ciano, Crocetta del Montello
E' una caverna, quella del Buoro a Crocetta nota in tutto il Veneto per la fonte d'acqua purissima che vi scaturisce e che ha la straordinaria virtù di ridare il latte alle madri sfinite da un allattamento troppo faticoso e prolungato (Caccianiga, 1874; Serena, 1923; Dolce, 1938; Silvestri, 1954, Corrain & al., 1967; Dall'Anese & Martorel, 1980).
72 V Tv Bus de le Fate sopra il Forame o Bus de le Fade, Giavera del Montello
In questa caverna del Montello vi si potevano scorgere un tempo le fate che si lavavano alla fonte, tutte vestite di bianco e coi piedi di pecora (Dall'Anese & Martorel, 1980).
Presso il Bus de le Fade sul Collle della Tombola, una caverna che si può percorrere per un centinaio di metri, le fate facevano la loro comparsa al tramonto, avvolte in vesti candide. Le Fade si facevano sentire anche a Refrontolo, in una sorgente calda d'inverno e fresca d'estate che sgorga presso la vecchia latteria. C'era chi le vedeva danzare sulle acque e chi le udiva sbattere sulla Zhopa i panni della loro biancheria (Dall'Anese & Martorel, 1980).
Busa Scalona, non identificata - Farrò di Follina
Nella valle del Soligo si racconta che i neonati si compravano nella Busa della Scalona, una caverna di Farrò. Chi entrava nella grotta senza essere accompagnato dalla "siora", la levatrice, e senza portare sufficiente denaro non avrebbe fatto più ritorno. Dentro la Busa c'era infatti una vecchia, permalosa e prepotente, che consegnava i bambini avvolti in foglie di zucca e là, nel buio della spelonca, non si poteva vedere se fossero belli o brutti, maschi o femmine; si pagava, si ritirava il fardello e si ripartiva. La strada era così lunga che al ritorno le donne erano sfinite e dovevano mettersi a letto per molti giorni prima di recuperare forze sufficienti per alzasi e camminare ancora (Dolce, 1938; Dall'Anese & Martorel, 1980).
Caverne del Sasso di Stria, non identificate
Le Salvarie stavano nei boschi, amiche di camosci, caprioli e cervi; quando si sentivano osservate o venivano inseguite correvano veloci al torrente, si tuffavano nell'acqua, la bianca pelle si copriva di un pelo nero lucente, spuntava la piatta coda delle lontre. Gli uomini le desideravano ma allo stesso tempo le temevano; le donne le odiavano. Così furono costrette a rifugiarsi nei posti più impervi, tra le caverne del Sasso di Stria, del Lagazuoi. Ma una di esse s'innamorò di un giovane e quando fu scoperto il loro amore le tesero un agguato. La Salvaria fu inseguita su per la Valparola, da una turba accanita, gelosa ed invidiosa, e come fu raggiunta fu lapidata. Dal suo sangue nacquero le rosse sassifraghe di Valparola (Dal Lago, 1989).
Grotte di Làgole, non identificate - Calalzo
Le Làgole designa un'area sorgentifera con acque solforose dal forte potere incrostante ed una temperatura di circa 10 gradi. Le acque si perdono poco dopo in tre gruppi di grotte assorbenti per ricomparire dopo un centinaio di metri in nuove sorgenti che riunite formano un grosso ruscello che ristagna prima in un bacino naturale e poi in altri, artificiali, usati come bagni. A monte di quest'ultime opere si rovano altri manufatti, probabilmente di epoca romana, che servivano a sbarrare le acque (Brentari, 1886; Donà, 1888; Feruglio, 1910). Negli antri delle Làgole il popolo raccoglie sassi che dice punteggiati dalle anguane e vede le loro orme come se fossero ancora presenti, e qualche vecchia famiglia conserva certe figurine di legno dalle lunghe mammelle e dai piè di capra, che dicono essere le loro immagini (Nardo Cibele, 1885). Le anguane di Làgole terminato il bucato ammucchiano i panni che il sole ha asciugato; mentre le anguane dolomitiche stendono la biancheria sui prati quando sta per piovere e qualcuno sostiene che così facendo chiamano la pioggia. Esse non vogliono far troppa fatica a lavare: al massimo quando la loro roba è pulita da una parte, la rigirano stando sotto il diluvio che a loro, figlie dell'acqua, non dispiace. Le anguane sembrano essere qui la sopravvivenza delle divinità celtiche "Adgane" (Pellegrini, 1967; Garrobbio, 1977). Una leggenda (Monfosco, 1987) vuole che le anguane delle grotte di Làgole siano tutte perite avvelenate per mano della divinità del Lago mentre erano immerse nell'acqua fatata con la speranza di riacquistare salute e bellezza. Le acque di Làgole erano infatti considerate miracolose fin dall'antichità lo prova il rinvenimento di un abbondante complesso di ex voto che copre il periodo dalla protostoria alla tarda romanità. Nel santuario venetico l'acqua si attingeva con un simpulo che dopo il rito diventava oggetto sacro e veniva offerto: grande è il numero dei manici di questi simpuli ritrovati e su quasi tutti è incisa una dedica che in qualche caso risale al III° o II° secolo a. C. Con l'arrivo dei romani la divinità locale fu sostituita da un Apollo guaritore, ma a questo culto non si sovrappose quello cristiano che preferì esorcizzare la zona evocando la presenza di orribili anguane (Garrobbio, 1977).
Bus dele Longe Longane, non identificato - Domegge di Cadore
Secondo la tradizione le anguane partivano da questa grotta e scendevano giù a Depo, poi andavano nelle cantine a rubare le forme di formaggio (Milani, 1990).
4. La caverna e il maschile: il diavolo,
il salbanelo, l'orco, l'uomo selvatico
Maschile
V Vr Orkarlouch (buco dell'orco) a N di Giazza (Cipolla, 1884)
V Bl Bus del Diàol, Monti del Sole
V Bl Bus del Diou, Antelao
V Vi Tana del Diavolo, Castegnero
28 V Vi Casa del diavolo (Voragine Calavena), Recoaro Terme
118 V Vi Covolo del Diavolo, Marano di Valpolicella
120 V Vr Buso del Mago, Grezzana
143 V Vi Grotta del Salvanello, Marostica
211 V Vi Covolo del Gigante, Longare
313 V Vi Covolo Mulin del Diavolo, Longare
380 V Vr Buso Vajo del Diavolo, Grezzana
453 V Vr Buso del Diavolo, Grezzana
606 V Vi Grotta dell'Orco, Zovencedo
828 V Vi Forno del Diavolo, Torrebelvicino
858 V Vi Busa dell'Orco, Bassano del Grappa
1099 V Vr Covo del Diavolo, Malcesine
1465 V Vi Foiba del Diavolo, Gambugliano
1498 V Vi Buso del Diavolo, Asiago
1509 V Vi Busa del Diavolo, Roana
1739 V Vi Buso del Monte Catz, Asiago
1811 V Tv Speloncia del Diaol, Cavaso del Tomba
1878 V Vi Buso dell'Orco, Castegnero
2416 V Bl Bus del Diaol, Sedico
2600 V Bl Tana dell'Orco, Tambre d'Alpago
3145 V Vi Buso del Diavolo (Buso del Castello dei Scocchi), Valli del Pasubio
3300 V Vi Grotta dell'Orco, Lusiana
3875 V Vi Buso del Diavoletto, Asiago
3957 V Vi Buso del Diavolo, Asiago
4030 V Vi Risorgente dell'Orco, Schio
4170 V Bl Bus del Diaol, Lamon
Il diavolo nelle fole venete quando assume sembianze umane appare con i caratteri maschili, nonostante spesso la tradizione sottolinei il suo ermafroditismo, per cui riteniamo opportuno inserirlo fra i personaggi di questa seconda categoria i cui ruoli, per altro, al solito sfumano e si confondono. Chevalier e Gheerbrant (1969) vedono nel diavolo il simbolo della forza che indebolisce la coscienza e la fa regredire verso ciò che è di più indeterminato ed oscuro, in opposizione a Dio, che è centro di luce. Quindi l'uno brucia in un mondo sotterraneo, mentre l'altro brilla nel cielo. Il diavolo assume moltissime sembianze ma ha sempre il ruolo del tentatore e del carnefice ridotto però in forme animalesche, ciò che denota simbolicamente la caduta dello spirito. Giacomo da Verona ad esempio, facendosi interprete della mentalità popolare, nel poemetto "De Babilonia civitate infernali" (Contini, 1960) descrive con colori grotteschi l'inferno dove tra acque putride popolate da rettili e draghi affamati s'aggirono i diavoli, ad arrostire i dannati ed offrirli in pasto a Satana. Secondo Milani (1990) non è comunque il diavolo dei trattati demonologici quello che appare nella tradizione veneta sucessiva. Da una parte prevale l'essere spaventoso dei racconti di devozione, rapitore di anime dannate con apparizioni e segni del fuoco (Guerevic, 1986) dall'altra appare un personaggio più accettabile che si intromette nelle faccende quotidiane soprattutto nei corteggiamenti. Questa dualità si presenta anche presso le popolazioni cimbre dove il diavolo può essere il "tauwal", che incarna il male secondo le credenze religiose, o il "koke" che ha più del mito o del fantastico (Cipolla, 1884).
Della figura del sanguanello o salbanello il Frescura (1894) ci dà un'ampia descrizione: si tratta di un gnomo svelto, malizioso e beffardo che la tradizione popolare ricorda sempre vestito di rosso. Se lo stalliere al mattino trova arruffata la criniera dei cavalli, o il bovaro la coda delle sue vacche; se il povero viandante smarrisce di notte la strada; se una bella fanciulla trova la chioma intricata o la mamma osserva spaventata i capelli del suo bimbo pettinati a rovescio; se non si riesce a trovare qualche oggetto, o lo si trova scompigliato, è sempre il salbanello che si diverte a compiere questi piccoli scherzi. Il buon popolano accetta con pazienza i suoi tiri vede ovunque questo spiritello irrequeto e sempre in movimento, perchè non ha nessun luogo dove stare, ma si ritrova nei boschi, nei cortili delle case coloniche (businèlo è quel particolare vento che a primavera forma rapidi ed innocui vortici d'aria), nelle stalle, nelle grotte e talora anche nel sottosuolo. Infatti secondo un documento del XVI secolo alcuni operai che lavoravano in una miniera di Tretto non sapevano più dove custodire i propri attrezzi perchè questi venivano di continuo nascosti dal salbanello; alla fine essi risolsero di offrire allo spirito un saietto di panno rosso e da allora non ebbero più fastidi. Sempre secondo Frescura sarebbe attendibile una derivazione del salbanello dal "Silvanus" della mitologia romana "il cui carattere agreste, innocuo, boschereccio ben si confà d'altronde a quello del nostro folletto, le cui origini non sono da cercarsi nelle leggende germaniche".
L'orco era invece una figura malefica con la quale si confrontavano soprattutto gli uomini e i bambini. Come essere maschile, era grosso e robusto, meno rapido negli spostamenti a causa della sua grandezza, più pesante nei suoi interventi e anche meno capriccioso; le sue apparizioni erano saltuarie e più localizzate (Frescura, 1894; Da Schio, 1855; AA. VV., 1976). Il maggior numero delle leggende cimbre ha come protagonista l'orco (Cipolla, 1884). L'orco o gli orchi sogliono farsi vedere di preferenza nella festa dell'Avvento (dicembre), di notte o all'alba. Qualcuno però dice che dopo il "sacro Concilio di Trento" anche questo personaggio è stato bandito ed ora l'orco non compare più. Nella seconda metà del secolo scorso il Balt 'un Zen (Bosco di Giovanni) a sud di Giazza era ormai completamente disboscato; ma prima che vi si adoperasse la scure, esso passava per dimora degli orchi. L'orco è quindi una creatura dei boschi che non doveva vedere di buon occhio quanti, per un motivo o per un altro, riducevano sempre più il proprio habitat: molesta scagliando sassi contro il carbonaio finchè questo gli spara contro una fucilata e l'orco scompare con una grande fiammata. In altri casi è solo una presenza ma essa incute ugualmente timore: un carbonaio sul Reméike, che è una località sulla strada che conduce alle Goccie (de Troupfen), controllando di notte dalla capanna (hute) la carbonaia, sentì che qualcuno batteva di sopra; guardò fuori e vide l'orco vestito di una lunga "velada" e con la schiena che pareva vuota "come un canale". La più consueta figura sotto cui l'orco si fa vedere è quella di un uomo altissimo e bruttissimo che sbarra le strade ai passanti, mettendosi di solito sopra due case o fienili ad un tempo, con una gamba su un tetto e l'altra sull'altro. Spesso incute paura facendo sentire il suo riso infernale o la parola rauca e scabra (er reidet semper alt) e sempre svanisce in una fiamma (lochwaur) che ascende verso il cielo. L'orco può assumere forme bestiali; ha spesso gambe di capra o le apparenze di un asinello o, più facilmente, di una pecora, bianca o nera. Quando l'orco chiama una persona per nome questa non deve rispondergli perchè altrimenti viene toccata e la carne toccata dall'orco corrode così che la morte è inevitabile. L'orco soffoca anche i fanciulli e per questo ed altri malefizi ai tempi del Cipolla venivano citati fatti recenti con nomi e cognomi delle vittime. L'orco in alcuni racconti è burlato dalle donne ma più spesso è lui a prendersi gioco dell'uomo. Ad esempio si racconta di un pastorello che rincasando una sera con le pecore si era accorto d'averne smarrita una; ritornato sui suoi passi, la sente belare e la chiama, ma essa continua a scendere giù nella valle finchè a un certo punto il pastorello si rende conto di essere stato burlato dall'orco. In altri racconti, che sembrano di origine italiana, l'orco ha per moglie la marascha, cioè la strega (Cipolla, 1884).
L'uomo selvatico, il "Bilje Mann" della tradizine cimbrica, non è molto diverso dall'orco e tanto più dal diavolo. E' una bestia che abita nelle tane in mezzo ai boschi. Un montanaro raccontava, ancora nel secolo scorso, che a Giazza, dopo la distruzione dei boschi, non si vede più mentre c'è ancora nel Trentino. I genitori ne fanno lo spauracchio dei bambini come nei Sette Comuni. Qualcuno vede nell'uomo selvaggio l'orso specialmente nell'atto che si leva dritto sulle zampe posteriori per assalire l'uomo (Cipolla, 1884; Centini, 1989; Bertolotti, 1991). A Rivamonte, nell'Agordino, fino al secolo scorso ricorreva il 25 aprile la "festa dell'Om salvàrech" che consisteva nel far uscire dai boschi vicini un uomo tutto coperto di muschio e fronde di pino e di fare intorno ad esso balli e festeggiamenti. Altra credenza del Feltrino è quella dell'Om mazzarol o Mazzaròl, che si accostava molto a simili credenze di Primiero e del resto del Trentino (Brentari, 1887).
4.1 Veronese
117 V Vr Ponte di Veja - Grotta A, Sant'Anna d'Alfaedo
Secondo una leggenda, peraltro ricorrente, il ponte di Veja sarebbe stato costruito dal diavolo che si sarebbe fatto promettere dai contadini del luogo l'anima del primo che l'avrebbe attraversato. Ma quest'ultimi avevano già idea di come imbrogliare il diavolo e fecero passare sul ponte un cane affamato facendogli inseguire una bella forma di formaggio. Il diavolo con una gran rabbia in corpo sferrò un calcio poderoso per distruggere l'opera ma sbagliò mira e colpì la roccia. Se ne andò via quindi zoppicando ed urlando dal dolore mentre l'impronta della pedata è ora la grotta dell'Orso (Garrobbio, 1973).
438 V Vr Buso del Vallon, Boscochiesanuova
Secondo una leggenda (Benetti, 1893) le fade dei Lessini avrebbero vinto la guerra con gli orchi quando una di esse avrebbe fatto precipitare nel Buso del Valon il loro capo Selmano.
1441 V Vr Spiuga dei Marognoni o Spiga del Monte Gozze, - Selva di Progno
Secondo una leggenda raccolta da Benetti (1983) in una "spiuga" della foresta delle Gozze vive ancora l'orco Mùssele per cui non bisogna gettarvi pietre altrimenti "chi osa far tanto viene trascinato dentro". Un tempo nella vasta grotta erano stati confinati dal Concilio di Trento anche altri orchi e le fade della zona ma poi, a seguito di un litigio fra due orchi, parte dell'abisso era crollato dando luogo ad un gigantesco ammasso di frana; così orchi e fade, perduto il proprio covo, si erano stabiliti nelle Senge di Campofontana, sull'altro lato della valle.
Buso del Perloche, non identificato - S. Mauro di Saline
Una leggenda vuole questa grotta abitata da el Perloche, un strione dall'aspetto di un vecchio brutto e peloso che andava sempre in giro con un sacco sulle spalle e quando incontrava un bambino lo spaventava (Benetti,1983).
Spigola di Gazza, non identificata - Cogolo di Tregnago
Scrive il naturalista Abramo Massalongo (1850): "Questa spelonca è una delle più temute dai villici del luogo, e di essi si noverano fatti spaventevoli e fantasticherie, colle quali d'ordinario dagli idioti si spargono d'errore questi tranquilli recessi."
Buso Andretta, non identificata - Selva di Progno
Piccola caverna che si scorge nel fitto del bosco percorrendo il sentiero fra la frazione di Sant'Andrea e quella di SS. Trinità. L'ingresso della cavità sarebbe stato sorvegliato nottetempo da un uomo spaventoso che montava un cavallo nero (Rama, 1996), forse impersonificazione dello stesso demonio.
4.2 Vicentino
274 V Vi Covoli di Costozza, Longare
Attraverso i Covoli di Costozza sarebbe ritornato nel suo regno infernale lo sfortunato diavolo Purafiaba della novella di Giovanni da Schio (1862).
167 V Vi Covolo del Prussiano, Longare
La grotta è stata abitata fino al secondo dopoguerra da un vecchio e fiero minatore (Da Schio e al., 1947). Gastone Trevisiol, compilatore della scheda catastale, precisa (1940): "(...) usufruita ad uso abitazione da un misantropo individuo di origine belga che però dalla popolazione viene denominato Il Prussiano. Racconta il Prussiano di aver rinvenuto in un angolo della grotta una moneta romana", andata però perduta. In seguito nel paese di Lumignano la grotta e il Prussiano venivano additati come spauracchio ai bambini capricciosi (CSP= segnalazione raccolta dal Club Speleologico Proteo ).
1465 V Vi Foiba del Diavolo, Gambugliano
Pozzo carsico chiuso a 6 metri di profondità. A detta della gente del posto è una cavità profondissima che immette in una grandiosa caverna con acqua. Presso il suo imbocco sarebbero state trovate alcune monete d'oro (CSP).
28 V Vi Voragine Calavena o Casa del Diavolo, Recoaro Terme
Questa cavità di Fongara, nota anche come "Buso del Mascio", è stata esplorata dagli speleologi di Arzignano sul far della sera ed era accompagnata dagli scongiuri della popolazione della zona che paurosa assisteva da lontano ai preparativi della discesa (Fracasso, 1930).
3145 V Vi Buso del Diavolo, Valli del Pasubio
Una leggenda vuole che una strega avesse venduto l'anima al demonio in cambio della bellezza. La strega si era invaghita di un giovane boscaiolo ed impiegava tutta la sua seduzione e le sue arti magiche per carpirne l'amore, ma tutto era inutile perchè il giovane era già innamorato di un'altra. La strega andò dunque nella grotta del Castello dei Scocchi, sulle cui cenge, nelle notti di plenilunio, il diavolo era solito stendere ad asciugare i suoi tesori. Ottenuto l'aiuto del demonio la strega non ebbe difficoltà a lanciare un potente maleficio su tutta la selva e a trasformare in capriola la giovane amata dal boscaiolo. Un mattino, prima del levar del sole, il boscaiolo affacciatosi alla finestra, vide vicino alla baita una capriola ed imbracciato il fucile uscì dalla baita. Appena all'aperto si trovò innanzi la bellissima strega tutta discinta che con moine cercava di circuirlo e intanto lo invitava a sparare sulla capriola.
Solo la sensibilità e l'amore del giovane riuscì a spezzare l'incantesimo: la ragazza riprese le sue sembianze e alla strega non restò che fuggire imprecando andandosi a nascondere negli anfratti del monte Castello.
I due giovani scesero subito a Valli e narrarono al parroco la brutta avventura pregandolo di salire sulle balze del Castello a benedire quei luoghi per scacciare il maligno. La campana riunì subito i valligiani e una processione con lo stendardo della Madonna salì a benedire il monte e la selva, al che, dalle profondità della terra cominciò ad uscire, con grida orrende, una moltitudine interminabile di corvi che altri non erano se non i diavoli e gli spiriti maligni che abitavano le grotte e avevano preso possesso della foresta. Solo quando questa congerie di esseri si disperse all'orizzonte fu tolto alla selva ogni maleficio (Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991).
956 V Vi Abisso di Mandrina, Velo d'Astico
Cavità che una leggenda locale (Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991) vuole un tempo abitata dal Saggio della Montagna; la grotta sarebbe stata abbandonata da quest'ultimo dopo che un nano malvagio per maleficio avrebbe aperto sul pavimento un baratro senza fine.
104 V Vi Voragine delle Banchette, Rotzo
Percorrendo la vecchia mulattiera che dal Castelletto di Rotzo scende a Pedescala, si osserva a mezzacosta una rilevante sporgenza di roccia, la quale forma una specie di riparo con sotto lunghe stratificazioni che assomigliano a panche (Zanocco, 1985). La tradizione dice che qui convenivano i framassoni dell'Altopiano per discutere di libertà e cantare inni a satana. Il nome avrebbe una radice longobarda (banka) o cimbrica (pank). La stessa cavità compare in varie narrazioni, raccolte da Rubini (Milani, 1990), che hanno per protagoniste le beate donnette.
Busi dei Castelloni di San Marco, non identificato - Foza
Secondo un montanaro di Foza il Sanguanello si diverte anche a portar via i bambini, e ricordava che una volta rapì un bambino di Marcesina, e lo tenne nascosto per otto giorni in uno dei tanti busi che si aprono nei Castelloni di San Marco: quando fu ritrovato da alcuni caprai, il povero bimbo era quasi impazzito dallo spavento (Frescura, 1894).
89 V Vi Buso Stonhaus (casa di pietra), Roana
Secondo una leggenda raccontata da Frigo Metel (1977) Tonina, una bambina dell'Altopiano, cresceva come una capretta, piena di vivacità e di cattiveria, preoccupando non poco i genitori. Il padre, che lavorava nei boschi, decise così di recarsi dall'orco per chiedergli di intervenire e punire la figliola. L'orco si reca la notte stessa nella casa di Tonina, lasciata dai genitori sola, e spaventandola a morte la rapisce portandola allo Stonhaus, la caverna dove abitava. Qui la ragazzina, facendosi corraggio, domanda: "Prego signore, perchè mi avete portato qui, cosa vi ho fatto di male?" "A me nulla! - risponde l'orco - ma tu dovresti ricordare ciò che hai fatto a tua madre e agli altri bambini del villaggio". "Bene - prosegue l'orco, e poi, gridando forte, dice - vedi per tutto il male che hai fatto, tu devi espiare e rimanere rinchiusa qui un giorno. Domani ti lascierò andare; ma se ti comporti ancora male ti riprendo e ti appendo a quellla catena per arrostirti lentamente". Detto questo l'orco uscì chiudendo la caverna con un gran masso e lasciando Tonina, ormai pentita tra i singhiozzi.
90 V Vi Tanzerloch, Roana
Tanzerloch significa "Buco della danza" perchè secondo una leggenda nei suoi pressi si svolgevano dei balli sacri che celebravano una divinità pagana, venerata in particolare dai soldati di guardia ai caposaldi dell'Altipiano. La fama di queste danze cerimoniali si era particolarmente diffusa e molta gente accorreva per partecipare ed esibirsi nei ludi scenici sui quali era fondato il culto.
Durante il dominio dei Longobardi e dopo la loro conversione al cristianesimo un'accolta di pagani opponeva un'accanita resistenza alla nuova fede e decise di dare massima pubblicità agli antichi riti. Si giunse a dedicare un mese intero ad orge in dileggio ai preparativi della grande festa di San Michele Arcangelo, patrono dei Longobardi. I cristiani allora si portavano in processione da una chiesetta sul fondo della valle fino a Camporovere convinti che S. Michele avrebbe inflitto un severo castigo agli orgiasti del Tanzerloch. Ma gli anni passavano senza che l'attesa apparizione avesse luogo così venne deciso di portare la processione al limite del bosco dove avvenivano le danze. Qui abbandonate le donne, gli uomini armati di bastoni s'inoltrarono nel bosco ma giunti in prossimità della radura furono immobilizzati da una moltitudine di diabolici folletti che li trascinarono sullo spalto erboso dove fervevano le danze. Legati a grossi ceppi di faggio dagli astanti fu risolto di bruciarli vivi ed accatastati cespi di mugo si diede inizio alla danza sacrificale; senonchè nell'istante in cui si doveva appiccare il fuoco la terra tremò e la radura sulla quale s'intrecciavano le danze sprofondò in una voragine che lambì i piedi degli attoniti prigionieri. Secondo la tradizione popolare affacciandosi sull'abisso si restava inchiodati da spettacoli terrificanti (Zanocco, 1973).
Un'altra leggenda narra che nelle notti di plenilunio esce dalla spelonca una fitta schiera di folletti. Quest'ultimi danzano a mezz'aria intorno all'abisso ed attirono così le belle fanciulle che osano avventurarsi nei boschi trascinandole poi con loro nei bui recessi della terra ( Busellato, 1973; Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991).
Jakominerloch o Buso delle Cornacchie, non identificato - Gallio
In alcune narrazioni (Schweizer, 1987) troviamo in una grotta ubicata però presso Gallio (Tanzarloch) sei ballerini maschi e un suonatore lì esiliati che di notte invitano le ragazze di passaggio a ballare. Sempre Schweizer (1987) riferisce in un altro punto delle sue note di un Buco delle Cornacchie, che deve trovarsi tra Gallio e il Monte Longra. Anche lì verso la mezzanotte sei danzatori accompagnati da un suonatore di violino sono scorti da una ragazza, che viene subito invitata ad unirsi alla danza. Al suo rifiuto si mettono subito ad imprecare e a minacciarla di buttarla nella profonda voragine. In altre note (Schweizer, 1984) viene specificato che il Buco delle Cornacchie corrisponde al Jacominerloch che si apre d'altra parte vicino a malga Tanzer, chiaro riferimento ad antiche danze rituali. Lo stesso autore racconta della leggenda di sei ballerini e un suonatore condannati per un delitto prima a danzare per una settimana e poi esiliati in una caverna e avanza l'ipotesi che potrebbe trattarsi di un riferimento agli dei dei pianeti ereditati dall'antichità romana.
Grotta nella Val d'Assa, non identificata
Ad una grotta sul fondo della Val d'Assa, identificabile forse con La Balcugola (53 V Vi) in passato sovente utilizzata dai pastori che si recavano a valle, fa riferimento un racconto raccolto dallo Schweizer (1988). In esso un pastore della frazione di San Filippo scende in Val d'Assa oltre i Rumita e poi ancor più giù al Gelpach davanti al Camastoan (Pedescala) dove si ferma a far riposare le pecore. Scoppia un violento temporale con tuoni, lampi e grandine e la Val d'Assa, di solito asciutta, è percorsa da un torrente impetuoso che si gonfia a vista d'occhio. Il pastore è costretto a cercar riparo con il suo gregge in una caverna vicina dove trascorre tutta la notte. Ma a mezzanotte sente terribili grida tra le quali afferra le seguenti parole: "Prendilo! Prendilo e tienlo fermo! vengo subito anch'io e lo amazziamo!" Il pastore spaventatissimo prega e si lamenta ad alta voce tutta la notte tanto che i Selvaggi devono sentirlo. Così gridano per un'ora e poi non si fanno più sentire. L'uomo non vede nulla, ne i Selvaggi gli fanno male. Poi si fa giorno e i suoi familiari lo cercano per portargli da mangiare ma devono chiamarlo a lungo perchè il pastore, diventato sordo per lo spavento, non risponde. Quando finalmente i familiari lo raggiungono e gli chiedono cosa ha visto e sentito, quello risponde: "Ho udito degli uomini gridare lassù sui monti della Cunca: Veniamo a prenderti e ti amazziamo!" Da allora quando lo si interrogava diceva sempre: "Non andrò più nel Gelpach: ci sono i Selvaggi, che divorano gli uomini come fa l'orso con le pecore!"
Buso della Drèssena, non identificato - Caltrano
Una testimonianza raccolta da Rubini (Milani, 1990) vuole che in questa grotta sotto la canonica, che adesso è chiusa, sia scomparsa una lunga fila di maiali guidata da un ometto piccolo identificato come un salbanello.
86 V Vi Speluga di Lusiana, Lusiana
Secondo una leggenda re Zalin, cioè Ezzelino il Tiranno (1194-1259), è stato relegato dal diavolo nella Speluga affinchè insegni alle streghe tutti i segreti dell'iniquità di cui è stato maestro nella vita. Nelle notti che precedono il Natale, la Pasqua e la Pentecoste Zalin cerca di uscire dalla Speluga per sconvolgere ancora l'Altopiano ma interviene Sant'Antonio che dalla bocca della voragine fa rintronare la sua voce mentre dal profondo risponde il latrare rabbioso di Zalin. Capita però qualche volta che Sant'Antonio, immerso nei fervori celesti, dimentichi il suo appuntamento alla Speluga e allora re Zalin, cavalcando il suo cavallo, sfreccia sul cielo dell'Altipiano lasciando dietro di se una scia di fuoco che ritaglia il profilo adunco delle streghe che lo seguono a cavallo di manici di scopa (Costa, 1954; 1965; Zanocco, 1979).
1739 V Vi Buso del Monte Catz, Asiago
La leggenda parla di un orco grande come una quercia che prosciugava le sorgenti e le pozze d'acqua dell'Altopiano terrorizzando donne e bambini fin dentro nelle loro case. Alla fine venne messo in fuga da nugoli di freccie e per sfuggire dovette assumere le sembianze di vari animali; trovò infine rifugio dentro il Monte Katz nella valle Maddarello "ed è lì che ancora beve nel gran lago gurgitante, che se smette per un istante, tutta Asiago skalìt, skalòt ..." (Zanocco, 1979).
1498 V Vi Buso del Diavolo, Asiago
Il Buso del Diavolo, profondo una ventina di metri, è degno di menzione perchè, dicono, è senza acqua nei giorni piovosi, pieno d'acqua nei giorni asciutti (Brentari, 1885).
827 V Vi Buso del Sorlaro, Foza
Secondo la tradizione della zona di Foza i demoni afferrano con lunghi artigli tutti coloro che sono vissuti male e nella depravazione e, per impossessarsi della loro anima, li gettano nel buso del Sorlaro considerato la dimora del diavolo (Gastaldini, 1992). La stessa cavità è conosciuta anche come Buso dei Gighigeghi o Baratro dei Gighegegari, antichi mitici cacciatori dell'Altopiano soprannominati "Galanti" (Zanocco, 1985).
4.3 Bellunese
Bus del Diàol, non catastata - Sospirolo
Narrano quelli del Mis, e citano nomi e date per avvalorare il racconto, che due arditi cacciatori di camosci che s'erano spinti nell'alta Val dei Feruc, in una giornata caliginosa videro uscire da quella apertura di caverna uno spaventoso gigante che imbracciava minaccioso il fucile: i due fuggirono terrorizzati, persuasi naturalmente di essersi incontrati col diavolo in persona, e da quel giorno abbandonarono quella località durante le loro battute di caccia. I loro figli e nipoti non sembrano però temere simili incontri pericolosi, pur essendo convinti che i loro vecchi quella volta la scamparono bella (Andreoletti, 1914). Garrobbio (1975) ha ripreso nei suoi lavori questi vecchie storie mentre Zandonella le rielabora immaginando due cacciatori destimoni, durante un bivacco notturno, della terrificante uscita del diavolo dalla grotta (Zandonella, 1978).
4979 V Bl Bus del Diau, Vodo di Cadore
Abitano i dannati in certe caverne dell'Antelao; si vedono roteare tra le nubi dei temporali (Garrobbio, 1977).
Un colorito articolo apparso sul Gazzettino (Belli, 1980) accenna alla cavità e descrive la strana visita agli archivi comunali di San Vito fatta da una delegazione di anziani signori. I documenti consultati, della seconda metà del secolo scorso, testimonierebbero un'oscuro episodio che portò alla morte il maniscalco Andrea Del Favero (1802-1863) e forse causò altri decessi. La prima cronaca ci porta nel mezzo di un furioso temporale quando giunse presso la casa del maniscalco un distinto signore che nonostante l'ora tarda, insistette perchè gli fosse ferrato uno zoccolo del cavallo. Mentre il maniscalco si accingeva all'opera il signore entrava in casa ed iniziava a giocare a carte al suo posto; ad un certo punto alla caduta di una carta i presenti si rendevano conto con sbigottimento che lo sconosciuto aveva i piedi caprini. Nel frattempo il maniscalco aveva segnato con una croce il ferro e poi lo aveva fissato allo zoccolo del cavallo che si era come imbizzarrito suscitando il nervosismo del forestiero. Quest'ultimo comunque non si era trattenuto oltre e, pagato con una moneta d'oro il lavoro, era balzato a cavallo facendolo ancor più imbizzarrire. Il documento con la testimonianza del maniscalco continua: "Ed eccoli saltare su grossi macigni, raggiungere il ghiaione che scende dall'Antelao. Al chiarore della luna vidi quel povero disgraziato incapace di rendere la bestia impazzita. Invano gridava. Apparvero contro il cielo sulla vetta del Ciastel poi sulla Salvella. Il rombo degli zoccoli sulle crode rintuonava nella notte e io mi sentivo il sangue che si "peava" ed un sudore freddo formarsi sulla schiena (...)" Raccomandando i suoi orfani alla bontà dei paesani il poveretto rese l'anima. Anche la testimonianza della moglie del maniscalco, che pur non aveva osato guardare in faccia il forestiero, parla di "mani lunghe e delicate di vero gentiluomo che non tocca lavoro (...)"; così l'opinione pubblica della Val Boite non perse tempo ed ancora quell'autunno la zona del dramma era stata soprannominata "Bus del Diou".
Grotta del Mazaròl di Voltago, non identificata - Voltago
Una leggenda di Voltago Agordino descrive l'aspetto e le abitudini del Mazaròl che abitava una grotta della zona. Il folletto era vestito di rosso, dagli zoccoli al berretto, che aveva un fiocco ancora più rosso, e si spostava da un luogo all'altro a velocità incredibile, proprio come uno "sprit". Il Mazaròl lasciava sempre delle impronte che se qualcuno, malauguratamente, calpestava era costretto a percorrere a ritroso fino alla sua grotta. Di solito preferiva vivere sulle Crepe Rosse, in località Camere del Diàol o sulle Crepe della Giòa, sulla riva sinistra del torrente Sarzana, oppure sulla cima di un grande albero.
Una volta una bimbetta pestò le orme del Mazaròl e dovette girovagare per giorni e notti, su e giù per rocce scoscese. Alla fine scorse un braccio che le faceva cenno di avvicinarsi e di entrare in una grotta. La poveretta sfinita non aveva la forza di scappare per cui si fece coraggio e trovò il Mazaròl che dava sale rosso alle capre. Appena la vide le offrì uno zoccolo di mucca pieno di latte e poi le insegnò a fare burro, formaggio e ricotta. Nonostante il buon trattamento e gli insegnamenti ricevuti, la bimba appena potè scappò via mentre il Mazaròl le gridava: "Se aspettavi ancora un po' ti avrei insegnato anche a fare la cera dal siero!" (AA.VV., 1979).
Grotta del Mazzaròl, non identificata - Arsiè
Secondo la tradizione della zona di S. Vito di Arsiè (Scandellari, 1979), una delle "spelonce" ad est della Forcelletta, usate un tempo come frigoriferi naturali dai pastori, si identificherebbe con la grotta del Mazzaròl o Salvanelo.
Una volta questo omino vestito di rosso si era invaghito di una ragazza della valle che aveva accettato di farsi corteggiare per imparare a fare ricotta, burro e formaggio che gli uomini non sapevano ancora lavorare. La bella ragazza, una volta imparati i segreti del Salvanelo, lo aveva però abbandonato ritornando dai giovani della valle.
5. La caverna e i morti:
la porta degli inferi e il labirinto
Morti
1456 V Bl Bus de le Anime, Taibon Agordino
1941 V Vi Buso del Morto, Tonezza del Cimone
1971 V Tv Bus dei Morti, Revine Lago
Le creature diaboliche ospitate in vario modo nelle grotte fanno sì che quest'ultime si identifichino anche con il luogo di confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti. I bui recessi sotterranei rappresentano in questo senso le porte del mondo degli inferi nelle quali i morti possono venire sepolti e incominciare il viaggio nell'oltretomba (Chevalier & Gheerbrant, 1986). Esiste una simmetria tra le abitazioni dei vivi e il mondo sotteraneo destinato alla custodia dei morti. Ben prima del viaggio di Enea nell'antro della Sibilla, o del mito della caverna raccontato da Platone, il mondo sotterraneo viene interpretato come spazio in cui dimora il lato oscuro della vita. In questo senso la caverna rappresenta il simbolo dell'inconscio, terreno di confronti imprevedibili; come tale viene descritta come antro dai limiti indefiniti, recesso oscuro abitato da mostri e spiriti diabolici che materializzano le paure e le angoscie dell'uomo. Da questo punto di vista l'esplorazione della grotta rappresenta quella dell'io interiore, soprattutto l'io primitivo, rimosso nel profondo dell'inconscio (Chevalier & Gheerbrant, 1986).
Esiste una stretta relazione fra il labirinto e la caverna, collegati entrambi alla stessa idea di viaggio sotterraneo. Il labirinto ha una duplice ragione d'essere nel senso che permette od impedisce, secondo il caso, l'accesso ad un certo luogo in cui non devono penetrare tutti indistintamente. Soltanto coloro che sono qualificati possono percorrere il labirinto fino in fondo mentre agli altri ciò risulta impossibile. Si vede immediatamente come vi sia implicita un'idea di selezione in evidente rapporto con l'ammissione all'iniziazione; in questo senso il percorso del labirinto è dunque propriamente una rappresentazione delle prove iniziatiche; ed è facile rendersi conto che quando esso serviva effettivamente come accesso a certi santuari, poteva essere disposto in modo tale da far sì che i riti corrispondenti fossero compiuti lungo il percorso stesso. Per l'uomo preistorico le caverne rappresentarono verosimilmente non delle abitazioni, come comunemente si crede, ma dei santuari quindi la caverna avrebbe ricevuto, in rapporto con la necessità di occultare la conoscenza, il carattere di simbolo dei centri spiritali e quindi di luogo d'iniziazione (Guénon, 1975; Duerr, 1984).
41 V Vr Covolo di Camposilvano, Velo Veronese
Secondo il compilatore della scheda catastale (Zorzi, 1935) il "Covolo" costituisce per il visitatore uno spettacolo veramente impressionante, da molti paragonato ad una bolgia dell'inferno dantesco. Ciò sembra aver dato origine alla leggenda che Dante sia venuto qui a trarre ispirazione per alcuni suoi canti della "Commedia".
746 V Vi Buso delle Vaccheresse o Buso dei Pichè, Velo d'Astico
Poco lontano dal Summano verso il Novegno c'è il Buco delle Vaccheresse, un nero recesso dove il vento, rimbombando fra le pareti, produce strani e paurosi fenomeni. Gli anziani di Tretto da tempo immemorabile raccontano che il "Buso" è in comunicazione con l'inferno e che prima del Concilio di Trento per gli strani e cupi rumori era impossibile dormire nelle malghe vicine. Anche Giovanni da Schio nella prima metà dell'800 riporta nel suo Vocabolario Vicentino che in questo luogo isolato i villici ponevano il congresso delle streghe o la sepoltura dei dannati all'inferno. Infatti, camminando un giorno verso S. Martino di Schio, trovò una contadina che gli raccontò di aver veduto poche sere prima il cadavere del filosofante Antonio Toaldo, morto da poco, che passava sul dorso d'un asino, e secondo la sua interpretazione quest'ultimo non poteva essere che il demonio che lo trasportava dal cimitero di Schio al Buso delle Vaccaresse (Da Schio, ined.). Il Colleoni racconta di un uomo facinoroso di Schio, di nome Canetto, dopo la morte sepolto al camposanto ma il giorno successivo trovato dal becchino fuori dalla tomba. Il pover'uomo, spaventato, lo seppellì nuovamente ritrovandolo però in superficie l'indomani e così tutte le volte che tentò di seppellirlo. Le autorità locali ordinarono allora che l'ostinato cadavere fosse gettato nel Buso delle Vaccheresse; e di ciò fu incaricato un coraggioso mugnaio che sistemato in un sacco il cadavere si recò col suo asino alla voragine. Mentre stava per calare il Canetto nella voragine, una romba di vento, con frastuono di fischi diabolici, investì il povero mugnaio che scappò via spaventato; però non volendo perdere l'asino, fattosi animo, ritornò sui suoi passi. Così vide con stupore il cadavere del Canetto, uscito dal sacco ritto ed impettito, alla luce sinistra di fiamme rossastre che, accompagnato da un concerto di catene squassanti, si dirigeva verso l'antro per sparire nelle sue profondità. Ancora più terribile fu quanto accadde ad Angelo Redo e Francesco Stella di Velo d'Astico. Quest'ultimo raccontava che una domenica, rimasto solo in una malga vicina, sentì "venir fuori dalle viscere del buco temuto un urlo fragoroso che con crescendo terribile continuò per un paio d'ore. Poi fra nuvole rossastre di fumo gli apparvero tredici individui avvolti in sacri paramenti arrovesciati, che salmodiando inni a lui ignoti fecero attorno all'abisso una spaventosa tregenda" (Colleoni, 1890).
Alcuni di questi episodi non sono dissimili da quelli che si raccontano ancora nella zona (Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991). Un ricco possidente di S. Caterina, che non aveva mai praticato carità alcuna ed aveva sfruttato sempre tutto e tutti, irridendo a Dio e agli uomini, giunto in età avanzata, e sapendo del Buso delle Vaccaresse, lasciò scritto nel testamento che nessuno avrebbe ricevuto un soldo di eredità se il suo corpo non avesse riposato nella tomba che si era fatta costruire al camposanto. Quando morì i parenti, per evitare sorprese, legarono saldamente la cassa sul dorso di un robusto mulo e lo guidarono al cimitero. Ma ecco sorgere un turbine di vento, con nubi nere, fulmini ed una gran puzza di zolfo: mulo e cassa furono strappati ai parenti finendo com'era giusto nel Buso delle Vaccaresse.
Un'altra leggenda vuole che un giovane di Posina si fosse innamorato della figlia del padrone nella bottega del quale batteva il rame con rara maestria. Anche alla giovane piaceva l'artigiano soprattutto dopo che questi aveva iniziato a suonare con la fisarmonica e c'era dunque da aspettarsi una felice storia d'amore. Invece il padre della ragazza decise di combinare un matrimonio con uno della città e a nulla valsero le preghiere della giovane di essere lasciata libera nella scelta dello sposo. L'innamorato, disperato, si impiccò e il suo corpo finì nel Buso dei Pichè (buso degli impiccati) dove ancor oggi, nelle notti illuni, chi ha l'avventura di trovarsi nei pressi della malga Vaccaresse può sentire le note struggenti della fisarmonica del giovane sfortunato (Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991).
In un'altro racconto per far fronte ad un'epidemia con febbri altissime si era pensato di andare a prendere il ghiaccio, ormai introvabile nella zona, sul fondo del Buso delle Vaccaresse ma erano pochi naturalmente quelli dispostoti ad affrontare la maledizione che pesava sulla spelonca. Alla fine si reca il maggiore dei sette figli di una famiglia della zona che spavaldamente affermava di non avere paura di quanto si raccontava sulla grotta. Quest'ultimo calatosi con una corda nella voragine aveva ammassato una grande quantità di neve in un lenzuolo ma, raggiunto l'esterno, lo aveva raccolto e si era messo a correre all'impazzata fino alla contrada di origine come se fosse inseguito da cento demoni. Dopo quella corsa durissima, inutilmente richiamato dai fratelli, il giovane era stramazzato al suolo morto: per tutti ciò era stato opera dei demoni delle Vaccaresse offesi da chi aveva violato il loro mondo (Busellato, 1992).
Buso della Lavoradora, non identificato
Nei pressi del Summano è una cavità ricca di stalattiti e stalagmiti così chiamata perchè una donna, gran filatrice di canape e nello stesso tempo gran miscredente, fu là sepolta in tempi remoti (Colleoni, 1890).
104 V Vi Voragine delle Banchette, Rotzo
Da Schweizer (1987) abbiamo tre diverse annotazioni del lancio di cadaveri nella Caverna della Bank, che per la sua ubicazione facilmente può identificarsi con la Voragine delle Banchette.
Nel primo racconto la bara di un ladro, mentre dal Castelletto sta per essere trasportata a valle, nei pressi della cavità diventa pesantissima tanto che viene posata a terra. Esce allora dalla voragine un corvo che a colpi di becco spinge la bara nella cavità. Nel secondo racconto, uno studente di farmacia aiuta il parroco nel trasporto di un morto vicino alla grotta. Qui il parroco traccia un cerchio d'interdizione all'interno del quale si pone al sicuro in attesa dell'uscita del diavolo che si porta via il morto; in un'altra variante dello stesso racconto il morto è posto sopra una scala e trasportato da quattro uomini coraggiosi che devono comunque essere rimpinzati dal parroco per compiere la propria opera (Schweizer, 1984). In un altro racconto viene ricordato che nella grotta era stato gettato un morto che non poteva stare al cimitero perchè nella vita era stato un malvagio ed aveva rubato molto. Per questo motivo erano stati vani tutti i tentativi di chiudere quel buco (Costa 1954; 1965).
59 V Vi 'S Jakominen-loch (buso di Giacomino), Roana
Secondo due vecchiette nella voragine di Giacomino si gettano tutti coloro che dopo la sepoltura si fanno nuovamente trovare sopra terra e non possono restare nella terra consacrata del camposanto. Quelle bare vengono lasciate dove sono fino al calar della notte, e solo allora arriva un prete con quattro uomini robusti, i quali prendono la cassa e vanno a posarla a cento metri dalla voragine. Arriva quindi una schiera di cornacchie o una di corvi, che danno una spinta alla cassa fino a farla scomparire dentro alla voragine. Non si usa parlare di quelli che sono stati portati al Giacominerloch perchè porta sfortuna. Una volta portarono la bara di una donna ed uno scherzò gridando "ho hopp!": salì subito dalla voragine una schiera di corvi che gli volarono dietro e gli avrebbero certamente spaccato la testa col becco se non ci fossero stati il prete e i becchini a difenderlo (Bacher, 1905; Bellotto, 1978; Schweizer, 1984)
Buso di Semblen, non identificato
Una volta tre o quattro pastorelle si fermarono vicino al Buso di Semblen (Loch von Semblen) a far pascolare le loro pecore. A un certo punto queste ragazze si chiesero come fare per vedere quanto era profonda la voragine. Le ragazze avevano una corda per ciascuna e la più vecchia pensò di unirle tutte insieme attaccando all'estremità un sasso da calare sul fondo dell'abisso. Quando il sasso arrivò in fondo ebbero paura di aver stuzzicato il demonio così pensarono di gettare tre medagliette benedette raffiguranti la Madonna e S. Antonio. Ma non appena le ebbero gettate venne su un grosso cane, con grandi occhi aperti e una lingua lunga, che chiese loro infastidito cosa avevano intenzione di fare in quel luogo. Quella apparizione improvvisa spaventò a morte le ragazze che subito fuggirono piangendo.
Poco lontano da loro c'era un pastore che, sentiti i pianti delle fanciulle, scese a vedere cosa era successo. Le ragazze fra i singhiozzi raccontarono della terribile apparizione ma non seppero indicare dove il cane fosse andato; così il pastore scese al Buco di Semblen e qui vide il cane fuggire giù per la voragine avvolto fra le fiamme. Per nulla intimidito il pastore, con altri quattro compagni, ritornò il giorno dopo alla voragine per chiarire dove fosse scomparso il misterioso animale. Due giovani salirono su una cesta e gli altri tre iniziarono a calarli con una fune dentro la paurosa voragine. Ma quando la cesta raggiunse il fondo i due gridarono spaventati di essere nuovamente issati, e giunti all'imboccatura della voragine erano quasi morti di paura perchè avevano visto la sotto un gruppo di scrivani e giurarono che non sarebbero mai più scesi nelle voragini dell'altopiano. Quando poi in confessione raccontarono quanto era successo il prete, convinto che avevano sfidato il demonio, non volle neanche assolverli (Baragiola, 1903).
6. La caverna e gli eremiti: alla ricerca di un archetipo
Eremiti e santi
56 V Vi Buso di San Zeno, Schio
96 V Vi Grotta di San Vito, Brendola
110 V Vi Covolo di San Donà, Villaga
113 V Vi Grotta di San Cassiano, Longare
133 V Bl Grotta di San Donato, Lamon
137 V Vi Covolo di San Lorenzo, Gambugliano
272 V Vi Grotta Maggiore di San Bernardino, Mossano
314 V Vi Covolo di Santa Tecla, Longare
351 V Vi Covolo di San Giuseppe, Longare
354 V Vi Covolo della Madonna, Longare
502 V Vi Grotta della Madonna (Buso dell'Acqua), Cornedo Vicentino
603 V Vi Grotta di San Giorgio, Solagna
1019 V Vi Grotta di San Bovo, Bassano del Grappa1086 V Vr Abisso di San Zeno, Brenzone
1088 V Vr Abisso San Nazzaro, Boscochiesanuova
1201 V Pd Grotta di Sant'Antonio, Teolo
1203 V Bl Grotta di Santa Barbara, Quero
1249 V Tv Bus del Romit, Follina1257 V Tv Sperlonga del Romit, Miane
1258 V Tv Grotta di San Pietro, Miane
1964 V Bl Grotta di San Mauro, Feltre
2133 V Tv Grotta di San Girolamo, Nervesa della Battaglia
2218 V Vi Buso del Frate, Enego
2460 V Vi Grotta di San Biagio, Mason Vicentino
2820 V Bl Grotta di San Lucano, Taibon Agordino
3494 V Vr Riparo della Madonna della Corona, Ferrara del Monte Baldo
3524 V Bl Bus de la Madonna, Lamon
3526 V Bl Covolo di Sant'Antonio, Fonzaso
3725 V Tv Grotta della Madonna, Fregona
4107 V Bl Landre de San Maman, Belluno
4198 V Vr Covolo dei Santi Benigno e Caro, Malcesine
La grotta è considerata sacra dai culti preistorici come dalla religione cristiana perchè essa è luogo di nascita e di rigenerazione (Duerr, 1984). La Chiesa le riconosce un ruolo centrale che è forse ancora esaugurale: Gesù, incarnazione di Dio, è nato in una grotta e da questo luogo che non può che esere sacro si è irradiata la luce del Verbo e della Redenzione. In quanto luogo dove Dio si è fatto uomo la caverna diventa quindi archetipo della terra ma anche ricettacolo di energia celeste che rende possibile il percorso inverso. Luogo simbolico per eccellenza, carico di potere e trascendenza la caverna diventa l'archetipo dell'ascesi mistica di anacoreti e taumaturghi che si alimentano di poteri sovrannaturali anche solo riflessi. Anche le "caverne di pietra" di San Giovanni della Croce sono misteri divini a cui non si può giungere se non con l'unione mistica; la grotta rappresenta dunque il luogo di passaggio fra la terra e il cielo (AA.VV., 1957; Chevalier & Gheerbrant, 1986). Le caverne cominciano quindi ad essere abitate per tradizione da mistici ed eremiti spesso considerati anche taumaturghi od esorcisti perchè devono contendere l'antro con demoni e lupi. Così nella grotta l'eremita trova non solo un riparo ma un'abitazione stabile che se deve essere sufficientemente isolata e "inaccessibile" dall'altra deve dare la possibilità all'uomo comune di accostarsi con atti di devozione che comportano un cammino spesso faticoso. Così nella fiaba bellunese "del Ponte de le oche" tre signori, stanchi della vita perchè pieni di problemi, si recano nella grotta di un eremita a chiedere consiglio (Nardo Cibele, 1887).
In alcune leggende, si coglie l'intenzione a contrastare la frequentazione rituale di alcune caverne sacre, o Kirchlja (=chiesa), dei dintorni di Giazza (Cipolla, 1884); quest'ultime sono rivelatrici della sopravvivenza di forme di culto primitivo rivolto alle forze della natura. In queste leggende che popolano di cupe e ossessive presenze l'immaginario contadino cogliamo spesso l'imposizione riformatrice ecclesiastica operata con i concilii. Nel corso dei secoli la Chiesa ha infatti avuto buon gioco a demonizzare gli esseri ai quali faceva inizialmente riferimento la devozione popolare. Ma in altri casi é stata più efficace la sovrapposizione di nuovi culti che riprendevano i caratteri dei precedenti, così ad esempio l'acqua, non ha mai perduto il suo carattere sacro e rituale universale. Accanto a cavità dedicate a divinità acquatiche compaiono così storie miracolose che vedono protagonista la Madonna: così per la sorgente, detta "l'Acqua dei tre buchi", vicino la "Caverna delle Guane" di Crespano, che il popolo dice praticati dal dito della Madonna, per procurare l'acqua necessaria alla costruzione del santuario sovrastante (Guadagnini, 1884; Brentari, 1885; Mazzotti, 1972).
6.1 Veronese
4198 V Vr Covolo dei Santi Benigno e Caro, Marcesine
Si tratta di un piccolo covolo situato a poca distanza dalla chiesa, costruita sulle pendici del Baldo, dagli eremiti Benigno e Caro. La leggenda attribuisce loro il trasporto, avvenuto nell'807 circa, delle ossa di San Zenone "ex loco ubi iacebat" in una nova sede (Giacomini, 1962). Dopo l'807 l'aurea "legenda" di S. Zeno dovette avere un ulteriore sviluppo con il racconto della miracolosa traslazione del corpo del Santo ad opera degli eremiti di Malcesine Benigno e Caro. Il testo latino della "Historia traslationis Sancti Zenonis" è dovuto ad un anonimo vissuto a S. Zeno sul finire del secolo XII ma sembra derivato da una più antica narrazione.
"Alle orecchie del Re giunse fama di un uomo solitario che si nutriva di erbucce, di acqua e di poco pane; appena intese ciò, mandò subito a chiamare il vescovo. nominarono dunque dei messi diligenti e saggi, ai quali affidare questo compito. Giunti al lago detto Benaco, quelli si avvicinarono per un angusto e pericoloso sentiero alla grotta di un uomo solitario su un'alta cima (ad remoti viri latibulum in eminenti specula situm, angusto et periculoso calle aspirarunt). Scorsero in tal modo un uomo di nome Benigno e il suo discepolo chiamato Caro e furono molto lieti. Quello, udito del Re e del Vescovo, disse ai messi: Ritornate in pace e salutate i vostri signori, o carissimi: non piccola è la mia gioia, giacchè sono chiamato a sì gran festa; vi seguo tra poco. - Tosto entrò in un piccolo oratorio ed implorò l'aiuto divino; poi si affrettò a mettersi in cammino. giunto poco lontano dalla sua celletta, ecco un merlo incominciò a starnazzare, a zillare e ad attraversare ripetutamente il sentiero, come a significare un sinistro presagio per distogliere l'uomo di Dio all'impresa. Ma esso ben sapendo che ciò era opera del demonio, comandò al merlo di non muoversi più fino al suo ritorno. Il merlo restò là come fosse insensibile (...)" Benigno dopo varie peripezie raggiunge Verona e senza fatica alcuna riesce a traslare le spoglie di S. Zeno nella nuova basilica. Il fatto suscita enorme impressione e il popolo vorrebbe trattenere e festeggiare l'eremita ma l'uomo di Dio, bramoso di riprendere la vita contemplativa, affretta il ritorno all'eremo. Mentre sta per giungere alla sua dimora, Benigno vede il merlo giacere ancora immobile su una roccia e, pensando che riposasse ed attendesse il suo arrivo, si avvicina per farlo alzare e dargli la licenza di andarsene e così si accorge che nell'attesa l'uccello era morto (Giacomini, 1962; Carrara, 1964; Solinas, 1972).
3494 V Vr Covolo della Madonna della Corona, Ferrara di Monte Baldo
Secondo la tradizione, un conte di Castelbarco, forse lo stesso Lodovico, portò a Rodi la statua che collocata in una chiesa fu oggetto di grande venerazione. Quando l'isola fu assediata dai Turchi, l'Addolorata sparì dalla chiesa per ricomparire sulle rocce della Corona sul Monte Baldo, dopo esservi stata trasportata dagli angeli. Luci e suoni misteriosi attrassero l'attenzione degli abitanti della Lessinia, che andarono a gara per giungere sul luogo del prodigio calandosi con funi dall'alto o salendo dal fondovalle. Un tiglio, miracolosamente cresciuto sull'orlo di un burrone, consentì a quest'ultimi di superare l'ultimo dirupo e raggiungere il Covolo della Corona. L'origine della leggenda sulla traslazione dell'immagine di Maria di Rodi al Baldo nel 1522 si deve ad un laico cappuccino, chiamato fra Patricio. Egli, lasciò scritto nel suo convento di Caprino che l'immagine della Madonna della Corona era la stessa sparita il secolo prima da Rodi. Questo racconto cominciò a diffondersi dopo essere stato pubblicato nella seconda metà del '600, ed è ripreso nella storia del Santuario scritta nel 1668 da fra' Andrea Vigna, il quale riporta la testimonianza di un veneziano che avrebbe riconosciuto nella statua quella di cui gli avevano parlato alcune persone anziane incontrate a Rodi (Calzolari, 1566; Gumpemberg, 1659; Da Venezia, 1663; Moscardo, 1668; Vigna, 1668; Gagliardi, 1737-1757; Cornaro, 1761; Vannetti & Bridi, 1772; Anonimo, 1767; Riccardi, 1840; Schneller, 1877; Brentari, 1893; Brugnoli, 1981; Frinzi, 1986).
6.2 Vicentino
221 V Vi Covolo dell'Eremo di San Cassiano, Longare
Sotto un imponente sottoroccia incavato da anfratti e grotte è arroccato il più caratteristico eremo dei Berici la cui storia si perde nella leggenda. L'autore della vita del padre Antonio Pagani chiama l'Eremo di S. Cassiano: "antico loco d'Eremiti ov'è tradizione che per stare in solitudine vera, si ritirassero anco altri Santi Eremiti et forse Santo Theobaldo ordinato Sacerdote nella Cathedrale di Vicenza, essendovi grandissimi vestigii d'antichità, et habitationi fatte, insieme con una Chiesola nella pietra istessa à tal effetto da mano humana così incavate, overo da Dio per l'immensa, sua providenza così prodotte" (Maccà, 1813). Riguardo Teobaldo lo storico vicentino Francesco Barbarano scrive (1649): "Giunto S. Teobaldo nel Vicentino alcuni stimano, che si fermasse all'Eremo di S. Cassano, poichè nella Chiesa di Lumignano d'indi poco distante si vede la seguente memoria.
S. THEOBALDVS fuit Eremita in Ere-
mo, qui vocabatur Salanica in Diocefi Vi-
centina, & nunc vocatur Eremito-
rium S. Caffiani.
M. F. M. S. An. MCCCXC.
Che stasse nel detto Eremo, ha del verosimile, perchè quel detto luogo è attissimo alla contemplatione havendo alcuni antri, grotte, ò caverne dette covali fatti dalla natura in guisa di tante camere con una chiarissima, è freschissima fonte, quale dal monte sgorga in grande abbondanza, per il che sempre da tempo immemorabile fu habitato (come pure adesso è) da persone amabili della vita solitaria; e il P. Filippo Ferrari l'insinua dicendo nel Catalogo de' Santi d'Italia nel primo giorno di Giugno, che menò vita eremitica tra i colli di Vicenza, dalla quale l'Eremitorio predetto è distante sette miglia, che poi l'Eremo di S. Cassano anticamente si chiamasse Salanica è falso, perchè questa contrada sta fra Sossano e Campiglia, & ora corrottamente si dice Saianega, che da Pilei donata fu a S. Romualdo, come si ferì e nel cap. 70.
Ma se così è, come si verificherà nella predetta memoria, che S. Teobaldo stasse all'Eremo di S. Cassano si risponde, che quando venne nel Vicentino ivi dimorò qualche tempo, poi forse per esser tale luogo troppo vicino alla città ed essendo sturbato dalle frequenti visite passò in Salanica nelle pertinenze di Sossano, dove restaurò una Chiesa gia fabbricata da S. Romualdo (...)".
Presso l'Eremo sono presenti alcuni sepolcri, con ogni probabilità scavati nella roccia prima della costruzione dell'eremo, che sono stati in parte sventrati per livellare il fondo del covolo utilizzato dagli eremiti. Per tradizione si racconta ai visitatori che gli eremiti distendendosi in preghiera in queste fosse guarivano miracolosamente da ogni dolore alla schiena. Questa credenza superstiziosa, ancora molto radicata nella zona, per alcuni testimonierebbe la persistenza di un culto pagano precedente (Morsoletto, 1983). Si tratta comunque di una devozione molto antica, ricordata anche dal Barbarano: "In essa Chiesa è una sepoltura cavata nel sasso, fatta a similitudine d'un'huomo. Molti che patiscono mal di schena vi si distendono dentro per divozion, e si risanano."
2699/2700 V Vi Covoli 1 e 2 Eremo di S. Tecla, Longare
Anche alcuni piccoli covoli nella località di Santa Tecla, dei Berici, sono legati alla presenza eremitica. Si tratta di due cavità adiacenti che si aprono sotto una piccola scarpata rocciosa al margine di una dolina; il riparo a destra presenta al suo interno una vasca circolare per la raccolta dell'acqua scavata in parte nella roccia.
Tutta la zona circostante presenta innumerevoli tracce di frequentazione preistorica ma il primo insediamento di una chiesa sembra risalire al VII° secolo. Il luogo doveva essere allora presidiato da longobardi da poco cristianizzati che avevano eretto la propria chiesa intitolandola alla martire Tecla (Morsoletto, 1983). Comunque è solo dal 1236 che troviamo riferimenti sicuri sulle proprietà del fondo di S. Tecla. Il progressivo abbandono della zona, che coincise con la rinascita dei borghi lungo la Riviera, richiamò alcuni eremiti attorno alla vecchia chiesa ma con poca fortuna perchè quando nel 1583 vi giunse il francescano Antonio Pagani (1536-1589) la località doveva essere da tempo abbandonata. Lo storico Barbarano (1650) così riferisce dell'esperienza eremitica condotta da quest'ultimo:
"Venuto ciò a notizia del Padre, chiamò il solito discepolo, e li dise bisogna figliolo, che noi troviamo un'altro Eremo più solitario, & austero, però procuratelo. fatta donque l'obbedienza egli una mattina, senza che alcuno lo sapesse, menò il Padre sopra certi colli molto austeri nelli contorni di Costozza nominati di Santa Tecla, dove sono alcune grotte incavate dalla natura nel sasso. hor mentre cercavano tali caverne, o grotte, si levò una nebbia, & caligo tanto denso, & oscuro, che non potevano vedersi l'un l'altro, ne anco per spazio di due braccia, onde il discepolo ansioso di trovare questa caverna perse il Padre Antonio, e chiamandolo andava scorrendo qua, e là, ne trovandolo sopravvenne una gran pioggia, per il che si ritirò nella grotta ritrovata tutto bagnato con il tema, che al Padre potesse accader qualche sinistro accidente. Cessata la pioggia andò il discepolo cercando il Padre, quale finalmente trovò, ch'era nella stessa grotta, ma ritirato in un'altra parte, il quale mirava quella caverna, e come vide il discepolo disse. Dio ci ha fatto ritrovare il sito, dove abbiamo a far il nostro Eremo.
Era in quel colle di Santa Tecla una gran pietra, che haveva un foro fatto dalla natura, la quale talmente stava spaccata dal monte, onde pareva, che all'hora stasse per cadere, ma veduto che non ci era pericolo alcuno, e considerato il sito solitario, l'aria buona, la vista bella la comodità dell'acqua per esser d'indi non molto lontana una limpidissima sorgente. Il Padre ordinò al discepolo che la facesse accomodare, ma questo rispondendo non aver modo d'effetuar l'ordinato, il Padre replicò, voi siete huomo di poca fede, fate l'obbedienza, e vedrete poi, se Dio vi darà il modo, la onde il discepolo restò mutolo, e si dispose a far l'obbedienza.
(..) Hor sollecitando il discepolo di far accomodar quelle due grotte di Santa Tecla, inteso ciò il detto Alessandro Porto si prese l'assento di far quanto si bisognasse della propria borsa, onde in breve tempo furono accomodate; ma benchè fussero humidissime, anzi più tosto stanze de serpi, che d'huomini, nondimeno il Padre confidandosi della divina bontà, quantunque fusse sessagenario, & indisposto, qui si trasferì ad abitarvi giorno, e notte, quello che poi nel tempo che ivi dimorò, Dio facesse nell'anime di molti contadini delle ville convicine (...) ma il Signore, che voleva servirsi del suo servo in altro luogo permise, che il Padre insieme col discepolo in capo di tre mesi, che nelle grotte di Santa Tecla erano stati, s'ammalasse gravemente, per il che furono necessitati per medicarsi ritornare a S. Fise".
126 V Vi Grotta di Bastiano, Longare
Secondo notizie tratte dalla scheda catastale della grotta (1937), quest'ultima è costituita da un modesto vano in passato utilizzato come ricovero da un eremita di nome Bastiano.
272 V Vi Grotta Maggiore di San Bernardino, Mossano
Grotta che la tradizione vuole utilizzata dal senese San Bernardino come eremo. La cavità è stata abitata in passato da vari eremiti che custodivano la chiesa rupestre ricavata al suo interno. Fino al 1950 alla grotta giungeva una processione che partiva dalla parrocchiale di Mossano, in tale occasione nel secolo precedente all'interno della grotta venivano celebrate le esequie per i mossanesi lì massacrati nel 1510 (Da Schio e al., 1947; Gleria, 1989).
130 V Vi Gorgo Santo, Pedemonte
Il nome di questa grotta sembra sia dovuto ad una tradizione popolare secondo la quale le acque della risorgente carsica sarebbero state benedette da Papa Bonifacio IV (608-615) in viaggio verso nord (Dal Pozzo, 1820; Brentari, 1920; Trevisiol, 1937). La stessa leggenda, riportata nella cronaca seicentesca della visita pastorale di S. Gregorio Barbarigo, si ritrova nella consacrazione della chiesa di S. Maria Brancafora (Brentari, 1890; Sartori, 1956; Zordan, 1983; Toldo, 1984).
6.3 Trevisano e Bellunese
Covolo della Madonna di Crespano, scomparso - Crespano del Grappa
Secondo un'antica tradizione questo Santuario é sorto nel XII secolo in un riparo sottoroccia (covolo) per opera di una confraternita mariana. Una relazione settecentesca (Anonimo, 1767) lo enumera fra i 25 più importanti santuari dello Stato Veneto e spiega come la Madonna fosse apparsa ad una pastorella sordomuta scelta come ambasciatrice perchè annunciasse alla comunità di Crespano il luogo "sotto certo ruvido sasso" dove doveva sorgere una chiesa. "Accreditata dunque la relazione della fanciulla da un doppio miracolo, che osservavasi nella di lei persona, cioè sorda, che udiva, e mutola che parlava; s'avviarono al luogo le più accreditate persone della Terra medesima, i Sacerdoti in ispecie, per notare con gli occhi proprj il designato luogo dalla gran Regina degli Angeli. Se non che, datovi appena sopra uno sguardo, restarono sopraffatti al rimirare quell'angusta caverna, la quale d'un picciolo rozzo abituro di gente vile, ed abjetta pareva capace appena, non che d'una Chiesa da edificarsi alla Maestà venerabilissima dell'Imperatrice del Cielo. Guidati questi pertanto da umana prudenza, stabilirono che la Chiesa s'edificasse si bene in onor di MARIA, ma in sito però, distante non molto, pur men'orrido, e più decente, perchè all'aperto dell'aria, in bella veduta, che invitasse anche da se la divozione de' fedeli a portarvisi naturalmente di buona voglia". La costruzione della chiesa nella nuova posizione non andò comunque a buon fine perchè quello che veniva costruito si trovava abbattuto al mattino seguente; così la chiesa della "Beatissima Vergine di Crespano, detta del Covolo" venne costruita proprio nel luogo indicato sotto il concavo del monte (Brentari, 1885; Mazzotti, 1972; Ronzani, ined.).
La chiesa primitiva subì nei secoli vari rifacimenti: nel 1545 la Confraternita di S. Maria incaricò un muratore di "tagliare il sasso, ovvero il covolo, diritto a piombo, uguagliandone, a livello del muro, quanto entrava dentro la chiesa sicchè si potesse sbianchire a filo col resto, e dai muri in su tagliar tanto del sasso da far luogo al tetto ed alle grondaie"; ancora tra il 1645 e il 1646: "S'è buttato via un pezzo di sasso per mezzo alla porta della Chiesa della Madonna, e vi si fece un serraglio a muro con una gratella di ferro, con la sua fossa e filetti di pietra." Nonostante nella descrizione settecentesca si insista (Anonimo, 1767): "(...) starsene la suddetta Chiesa al di sotto immediatamente di grossissima e sterminata croda di monte, pendentevi sopra così d'appresso, che la distanza non vi si noterà dal tetto di detta Chiesa al sasso medesimo più che di due braccia, o circa, o forse anche meno; sepolta apparendo ella di conseguenza più che per metà, senza che mai dalle pietre, che staccare vi si dovrebbero naturalmente di tratto in tratto ell'abbia da qualche secolo, cioè dacchè fu innalzata fin'a quest'ora patito, o nel tetto, od in altra parte il menomo nocumento". I lavori di ampliamento del complesso, ultimo quello del Canova del 1809, non impedirono alcuni crolli della parete rocciosa adiacente che portarono alla scomparsa del Covolo ed alla distruzione della sagrestia (1819) e del coro del Santuario (1845).
71 V Tv Buoro del Ciano, Crocetta del Montello
Sorgente di ottima acqua a cui il volgo attribuisce mirabili virtù medicinali (Caccianiga, 1874; Saccardo, 1923); la grotta nota anche come Fontana del Boro è stata frequentata in epoca romana come centro di culto dedicato alla ninfa Ciane (Serena, 1923). Nella mitologia greca e romana le ninfe rappresentano divinità secondarie che incarnano le forze elementari della natura, specialmente il principio umido; erano vergini fiorenti di bellezza, benevole con i mortali, che vivevano a gruppi, danzando, cantando. Loro dimora erano i laghi, i ruscelli e le fonti (Naiadi), oppure i monti e le grotte (Oreadi); da queste ninfe locali si possono poi differenziare tutte quelle che hanno personalità definite e miti particolari spesse volte inrecciati fra loro. Il mito di Ciane, ninfa di Sicilia amata dal fiume Anapo, riprende ad esempio quello greco di Persefone dove troviamo Ciane mutata in una fonte per il tentativo di opporsi al ratto della ninfa Proserpina. Il culto delle ninfe era celebrato all'aperto, nei luoghi più ameni dove si immaginava esse avessero sede; i Romani identificarono le ninfe con le loro originarie divinità delle sorgenti ed in genere con l'elemento liquido. Secondo alcuni autori (Zanatta, 1958; Rosssi Osmida, 1960) nella Fontana del Buoro si sovrappone nel Medioevo il culto verso San Mamerto. E' questo un santo, vissuto in Francia intorno al V secolo, a cui si deve l'adozione delle preghiere delle Rogazioni, suppliche relative alle intemperie o alle svariate calamità che colpivano le zone rurali, inserite in un rituale determinato che comprendeva il digiuno e precedeva la festa dell'Ascensione (Mathon, 1967).
Ma è più probabile che questo santo sia stato confuso con S. Mama. Quest'ultimo toponimo compare infatti nella vicina contrada sulle sponda del Piave e al Santo è pure dedicata una chiesa, di chiaro significato esaugurale, all'imbocco della strada che conduce alla Fontana del Boro. Di San Mama, vissuto intorno alla seconda metà del III secolo, si hanno scarse notizie attendibili ma il culto verso questo Santo iniziato in Asia Minore, luogo del martirio, è stato molto popolare anche in Italia soprattutto nel Veneto e in Toscana. Della passio di Mama è particolarmente significativa la scelta ascetica quando, ubbidendo ad una voce soprannaturale, si ritira a vivere per oltre cinque anni su una spelonca per predicare il Vangelo alle bestie della foresta. Suo cibo è il miele dei favi e il latte delle fiere che si lasciano mungere ubbidendo mansuete ed abbeverandosi ad un pozzo da lui fatto miracolosamente sgorgare fra le rocce. A questo proposito sarà opportuno ricordare che Hadjinicolaou-Marava (1953) avanza la tesi che Mama non sarebbe altro che la metamorfosi cristiana della gran madre degli dèi Cibele, in Anatolia chiamata anche Ma. Il giovane martire, pastore di Cesarea, simbolo della primavera, emulo di Orfeo e protettore delle bestie, avrebbe ereditato parecchi attributi della dea e del suo amante Men o Attis. Nell'epoca dell'imperatore Claudio (41-54) i "Misteri di Cibele ed Attis" importati dall'Asia Minore divennero una vera e propria religione. Cibele era già stata ammessa fin dal 204 a. C. nella religione di stato, col nome di Magna Mater; ma il suo culto era rimasto in parte segreto per l'immoralità di certi suoi riti, celebrati esclusivamente da sacerdoti asiatici. L'imperatore Claudio abolì le restrizioni ed istituì, o almeno rese pubblica, la festa primaverile, eminentemente orgiastica, della Dea. Le due feste annuali di Mama, quella del 2 settembre e quella della "nuova domenica" (prima domenica dopo Pasqua o domenica in albis ) avrebbero rimpiazzato le due feste di Ma e di Men, in autunno e primavera. Non si può negare che la passio di Mama rieccheggi il mito di Orfeo, raccogliendo e sviluppando un motivo già in voga nel IV secolo, dal momento che il tema delle cerve che si lasciano mungere è già nell'omelia di S. Gregorio Naziazeno (ca. 330-390) che costituisce uno dei primi documenti relativi a Mama (Cignitti, 1967).
2133 V Tv Grotta di San Girolamo, Nervesa della Battaglia
Luogo che la tradizione popolare ricorda come eremo di San Girolamo (ca. 340-420); questo santo, nato vicino ad Aquileia, peregrinò tra Roma e l'Oriente e la sua agiografia lo vuole eremita in alcune grotte nel deserto siriaco (Penna & Casanova, 1965). La Grotta è costituita da un riparo sottoroccia, che si apre a poca distanza da una sorgente posta sul fondo di una dolina (Busa di San Girolamo), sulle pareti sono evidenti tre nicchie artificiali forse legate ad edicole ora somparse. La fontana, quando la località venne visitata da Rossi Osmida (1971), aveva un bocchettone in ferro a forma di testa leonina, di fattura rinascimentale. Sul fondo della Busa e lungo il corso ipogeo di una grotta sottostante (Bo Pavei) quest'ultimo autore ha rilevato la presenza di materiale archeologico, specie embrici di impasto medioevale, cosa che lo ha convinto di aver localizzato la "Valle delle Tre Fonti" ricordata nella cronaca medioevale della Certosa del Montello che sorgeva a poca distanza. Le tre fonti corrispondono a tre orifizi che si osservano lungo la costa della busa, seminascosti dalla vegetazione e dal materiale di degradazione.
La cronaca manoscritta della Certosa del Montello, scritta da Antonio de Macis tra il 1398 e il 1419 (Crovato, ined.; 1987), nella sua prima parte riferisce della leggenda che lega la costruzione della Certosa ad un'eremita della Val di Fassa giunto in questi luoghi dopo una visione avuta per intercessione della Vergine. Si tratta di pie tradizioni che troviamo reiterate in molte storie di monasteri sorti in questo periodo. E' opportuno riportare la prima parte della cronaca che riguarda direttamente la Busa di San Girolamo.
"Era l'anno di Nostro Signore 1320. Un uomo, Giovanni, nativo dei luoghi di S. Giuliana di Fassa, semplice e timorato di Dio, cercava con ogni mezzo la povertà in questo mondo, per acquistare la ricchezza nei Cieli.
A quel tempo si era stabilito a Venezia, dove conduceva una vita meditativa, schivo del mondo e delle sue lusinghe. Così, giorno dopo giorno, maturò il desiderio di farsi eremita e, incessantemente, pregava Dio che gli facesse avere un segno della Sua approvazione. Dopo un po' di tempo, cominciò ad apparirgli in sogno una valle, che non aveva mai visto e della quale non aveva mai sentito parlare, dove scorrevano tre limpide fonti d'acqua, dalle quali prendeva il nome. Ma tutto ciò a Giovanni non diceva niente e pertanto, continuò a pregare affinchè la visione gli divenisse più comprensibile. Una notte venne esaudito, infatti appena coricatosi gli apparve la Vergine che così gli si rivolse: "Giovanni: svegliati e non temere. Vai sicuro in quella valle dove più volte nel sonno già ti trovasti, e restaci." Dopo questa visione, Giovanni decise di partirsene da Venezia e, assunte alcune informazioni, venne a sapere che questa valle doveva trovarsi nel Bosco del Montello dove si recò. Arrivò in un paese, chiamato Nervesa, dove cautamente interrogò alcuni villici. Questi, dopo essersi brevemente consultati fra loro, gli risposero che si trattava della "Valle delle Tre Fonti" e che, in effetti, si trovava nel Bosco del Montello. Insistendo perchè qualcuno lo accompagnasse, solleticò la curiosità propria ai contadini ai quali alla fine dovette confidare le proprie intenzioni. Così tre giovani del posto lo accompagnarono nella località dove lo lasciarono ammirati ed esterefatti. Nè qui è il caso di sorprendersi: il luogo era talmente cupo e selvaggio da incutere terrore al solo vedersi. Cosparso di rupi, sterpaglie, con voragini che si aprivano un po' dappertutto, abitato da soli lupi e serpenti, era senza dubbio una valle non adatta ad un uomo.
Ma Giovanni, fiducioso nella volontà di Dio, si costruì un riparo sotto la rupe, posta su di un lato della valletta. Qui solo con se stesso, visse nutrendosi d'erbe e di radici, dissetandosi con la dolcissima acqua delle tre fonti e solo raramente accettando come una particolare benedizione divina il pane che un sacerdote insisteva nell'offrirgli. Frattanto, nei paesi vicini, si era già sparsa la voce che nel Bosco del Montello viveva un uomo buono, saggio eremita. Ebbero così inizio dei veri e propri pellegrinaggi, finchè, giunta anche a Venezia questa fama, colpì un certo Giannotto da Lucca che, con due suoi compagni (tutti desiderosi di dedicarsi al servizio di Dio) decise di raggiungere l'eremita per condividere la sua vita.
Intanto Giovanni, proprio per questa aureola che stava sorgendo ad edificaziobne dei vicini, era continuamente insidiato dal demonio. Una notte l'Angelo del Signore gli apparve e gli rivelò che Satana stava per far crollare la rupe sotto la quale riposava. Impressionato dalla rivelazione, Giovanni senza indugio si spostò appena in tempo: la rupe, infatti, cadde rovinosamente, aprendo sul fondo della valletta una impressionante voragine che i frati, nel 1414, colmarono per costruirvi una vasca per la raccolta dell'acqua.
Poco tempo dopo, Giannotto da Lucca e i due compagni si presentarono all'eremita che li accolse amabilmente, poichè non conosceva ancora le loro intenzioni. Quando però seppe che questi desideravano vivere con lui, si sentì frodato e cercò di far comprendere loro che, essendo eremita, gli si confaceva la solitudine. Giannotto non cedette: così Giovanni rimase nel tugurio che si era costruito e, più in là, si stabilì Giannotto con i compagni. Il vecchio eremita non si diede per vinto: non tralasciava occasione per lamentarsi con i villici dei nuovi venuti, nella speranza che questi cacciassero gli intrusi e di riconquistare la sua diletta solitudine.
Giannotto, venuto a conscenza di quanto Giovanni tramasse alle sue spalle si recò supplichevole dai proprietari di quei terreni, ossia dai conti Tolberto e Schenella di Collalto, conti di Treviso, chiedendo loro il permesso di vivere in quel luogo con i suoi compagni. I conti magnanimamente non solo gli accordarono quanto desiderava, ma promisero che avrebbero provveduto anche all'assistenza di tutta la comunità.
A Giovanni non rimase che accettare il fatto compiuto e convisse per un certo tempo in armonia coi nuovi arrivati. Intanto la fama dell'eremo crebbe nel tempo: altri uomini, desiderosi di Dio, si unirono ai primi, finchè visto che di solitudine ormai gliene rimaneva ben poca, Giovanni cominciò ad accarezzare l'idea di andarsene. Intanto Giannotto, considerato il numero crescente dei confratelli, pensò che sarebbe stata buona cosa edificare un monastero con una chiesetta. Così un giorno, radunati tutti al limite del bosco, preso un falcetto, disse: "Nel nome del Signore e della Vergine Maria" "Amen" risposero gli altri, e si diede inizio al disboscamento del luogo dove avrebbe dovuto sorgere il monastero. A questo punto Giovanni si decise: al cospetto dei fratelli che piangevano dispiaciuti, fece palese la sua intenzione e, benedicendoli, se ne andò. Secondo quanto affermano i Padri, si recò a Venezia e qui, imbarcatosi in una nave, raggiunse una isoletta dell'Oriente dove si stabilì; in seguito, caduto in mano degli infedeli, colse la palma del martirio" (De Macis, ined.; Favero, 1875; Agnoletti, 1898; Rossi Osmida, 1971; Sbrianzolo, 1980).
Caverna di S. Pietro Tuba, non identificata - Dussoi
Presso questo antro si troverebbero i resti di un antico monastero eretto fra il terzo e il quarto secolo dell'era volgare (Piloni, 1607; Miari, 1843; Catullo, 1844).
2820 V Bl Grotta di San Lucano, Taibon Agordino
La Grotta di San Lucano nella valle omonima è da sempre legata alla devozione delle vallate agordine che partecipano ad una processione che si muove da Taibon fino alla grotta. Una sorgente ripropone i temi legati al culto dell'acqua ripresi dalla tradizione locale (Nardo Cibele, 1888; AA.VV., 1979). La leggenda vuole che Vazza (S. Avazia), che aveva seguito Lucano nella grotta, avendo un giorno una gran sete, non ardiva parlare; ma "il santo ch'era tutto in ispirito conoscea i segreti del Signore, fece orazione insieme con lei confortandola, e gittò il suo bastoncello, e subito scaturì una fonte limpidissima come un Cristallo, dalla viva pietra, la quale acqua si ritrova ancora da un lato nella grotta, dove i divoti ne prendono per divozione" (Piloni, 1607; Brentari, 1887; Garrobbio, 1975).
7. La caverna e i tesori
Tesori
154 V Vi Buso del Becco d'Oro, Malo
166 V Vi Grotta Del Tesoro, Longare
168 V Vi Grotta dell'Oro, Crespadoro
202 V Vi Covolo delle Palanche, Arcugnano
404 V Vr Grotta Monte Tesoro, Sant'Anna D'Alfaedo
912 V Vi Spruggia del Tesoro, Arcugnano
1909 V Vi Buso dell'Oro, Valdagno
Il senso di nascondere i tesori nelle grotte appare chiaro dalle caratteristiche dell'ambiente sotterraneo: luogo buio che può celare ad ogni passo un pericolo o che spesso come un labirinto disorienta e incute timore ne fanno un luogo poco frequentato ideale come nascondiglio, per briganti e falsari, ma anche a frettolosi eserciti di passaggio che avevano necessità di nascondere in un luogo sicuro il bottino dei saccheggi. La fiaba dei tesori nascosti è comune a molte cavità frequentate e fortificate dall'uomo ed indica l'antica usanza di nascondere o murare nei periodi di guerre o invasioni le cose preziose. Spesso, in un passato non lontano, la dispendiosità dei mezzi e la meticolosità di certi scavi archeologici è stata visssuta dalle popolazioni rurali come un'attenzione verso oggetti e corredi strordinariamente preziosi. Così i tesori nascosti sono stati ricercati in ogni epoca con ostinazione e in molte grotte, soprattutto se fortificate od abitate, si scorgono profonde buche che hanno sconvolto ogni deposito ed abbattuto ogni muratura. D'altra parte la grotta si confonde e identifica spesso con la miniera, soprattutto quando quest'ultima viene abbandonata, oro o argento rimangono comunque maledetti e sono spesso più causa di disgrazia e dannazione che di fortuna per il loro scopritore (Rama, 1980).
Covolo di Squaranto, non identificato - Vestenanuova
In un processo per presunta complicità nella falsificazione di monete, istituito nel 1488 a Verona, si viene a sapere che tre anni prima era stato giustiziato un certo Lonardo Vincho di Chiesanuova che con un complice faceva monete "in un covolo del Squaranto che dura forsi X mèia et ha più covoli, et comenza a Pigozo e va fino in Lesin" (Varanini, 1983).
45 V Vr Covoli di Velo, Velo Veronese
Scrive Abramo Massalongo (1850) nel suo "Saggio sopra le principali caverne del distretto di Tregnago" a proposito del Covolo B di Velo: "Questa cavità prende nome di Incudine perchè è fama quivi abitassero falsi monetarj, anzi nel sasso di mezzo vedesi scalpellato un foro quadrato dove era infisso questo stromento, e le pareti sono ancora affumicate pel fuoco che quivi alimentavasi."
1089 V Vr Spiuga di Galbana, Boscochiesanuova
Secondo una leggenda nella voragine il podestà del luogo, all'arrivo della cavalleria francese, avrebbe gettato le bocce d'oro con le quali giocava con i nobili della Compagnia dei Lessini quando salivano da Verona a trovarlo (Benetti, 1990).
Caverna del Roate Bant, non identificato - Selva di Progno
Nel monte Roate Bant (Sasso Rosso), a SO di Giazza, è uno speco, in cui la tradizione vuole che stia nascosto da secoli un gran tesoro, depostovi dalla "Gente Beata". Questo tesoro non può esssere levato da nessuno, perchè ne ha preso possesso il diavolo (tauwal), che vi sta seduto sopra. Si narra che ogni notte da quello speco si vedesse altre volte uscire una fiamma, la qale indicò a quei di Giazza l'esistenza del tesoro nascosto. Molti v'andarono, ma dallo speco usciron gran fiamme, che quasi li abbruciavano. Dopo il "sacro Concilio di Trento" non ne escono più fiamme; ma, chi vi andasse, rimarrebbe soffocato dal fumo e dal calore. C'è peraltro chi dice, che le fiamme si facciano vedere ancora ogni cent'anni (Cipolla, 1884; Schweizer, 1984).
168 V Vi Grotta dell'Oro, Crespadoro
Il paese di Crespadoro deve il nome alle terre aurifere che la tradizione popolare dice rinvenute a poca distanza dalla chiesa parrocchiale. In tutte le contrade dei dintorni riaffiorano le memorie della cerca dell'oro con ricordi che sfumano tra le nebbie dei tempi (Cabianca & Lampertico, 1861; Bologna, 1876; Mecenero, 1979). La Grotta dell'Oro, o Buco della Scaletta, è stata visitata da Senofonte Squinabol all'inizio del secolo per valutare l'attendibilità di un curioso documento, esistente presso il Regio Capitanato Montanistico di Vicenza, che testimoniava la presenza di polvere aurifera nella cavità. La ricognizione che interessò altri presunti giacimenti della zona ebbe comunque esito negativo (Squinabol, 1904).
1909 V Vi Buso dell'Oro o Buso del Tesoro, Valdagno
L'attrazione maggiore l'esercitava l'inaccessibile "Buso del Tesoro", un bel buco nero su un paretone di un centinaio di metri ben visibile dagli Urbani di Sotto, perchè c'era di mezzo la solita storia del tesoro in monete d'oro e pietre preziose ammassatovi dai banditi nei secoli passati. I locali dicevano che i loro vecchi raccontavano ciò che a loro volta avevano sentito narrare dai bisnonni e dai trisnonni. "Védelo sior soto al buso fin quasi a terra: quela riga ciara, ben! lì ghe gera na pianta de edera, vecia assà e grossa ... i banditi i se rampegava su par de là e i meteva en tel buso i schei e dopo i vegneva xo come par na scala. Un bel giorno poareti i xe sta ciapà quasi tuti dai sbirri, via de do. Sti do i xe andà in sima, i se ga tolto un sacheto paron de ducati e marenghi e calandose un poco a la volta i ga taià l'edera dandoghe anca fogo, e più nissun ghe ga possudo più ndare. Ghi n'ha da essare ancora un bel mucio!" (Menato, 1981).
154 V Vi Buso del Becco d'Oro, Malo
Secondo informazioni fornite dal conte Gellio Ghellini ed inserite nella scheda catastale della grotta (1940) il nome della cavità "deriverebbe dal fatto che alcuni secoli fa vi sarebbe stata nascosta la statua di un bècco d'oro (caprone) per salvarla da un'invasione di stranieri; leggenda che risale al 1500, se nel 1667 il colle stesso era chiamato Monte del Becco d'oro, come risulta da un atto dell'epoca della famiglia Ghellini, che ne era divenuta proprietaria nel 1581".
29 V Vi Bocca Lorenza, Santorso
Gino Bigon racconta che pochi anni prima la grotta era diventata nota perchè due ladri vi stavano nascosti indisturbati a coniare monete con le argenterie che avevano rubato dalle chiese della zona (Bigon, 1932).
3145 V Vi Buso del Castello dei Scocchi, Valli del Pasubio
Secondo una leggenda raccolta dalla viva voce di un'anziana signora, originaria dalla contrada Zorla, su questa ed altre cavità della zona viveva il demonio che, nelle notti di plenilunio, era solito stendere ad asciugare sulle cenge i suoi tesori. Dopo che una processione lo aveva messo in precipitosa fuga i valligiani, per moltissimi anni, cercarono inutilmente quel tesoro abbandonato (Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991).
93 V Vi Caverna del Pipistrello, Valdastico
Secondo notizie riportate nella prima scheda catastale della grotta (1934) la popolazione del luogo sosteneva che questa grotta fosse opera dell'uomo che aveva tentato nei tempi antichi ricerche d'oro.
Cogolo del Colle della Fate, non identificato - Bassano
Secondo la tradizione locale alcuni giovani, che al tramonto avevano deciso di salire il Colle delle Fate, scoprirono alle sue pendici un covolo con dentro strani cappellacci ed archibugi a trombone. Essi erano appartenuti ad una banda di briganti che in passato aveva seminato il terrore nella zona. I giovani si sarebbero subito messi a scavare convinti di trovare un favoloso tesoro nascosto ma alla fine restarono delusi (Scandellari, 1979).
1179 V Vi Androne di Valgadena o El Cogolòn de la Valgàdena, Enego
Secondo una leggenda sotto la volta del Cogolòn o Covolòn, come compare in una mappa del 1770 (Provv. Camera dei Confini, b. 331, Arch. di Stato, Venezia), si apriva il cosiddetto "Camin de le strie" che conduceva in un salone immenso tutto d'oro. Gli scopritori lavorarono sette giorni e sette notti per accumulare una quantità sufficiente d'oro ma a quel punto la cupidigia li accecò. In breve si gettarono l'uno contro l'altro finchè uno di essi cadde ucciso: immediata la punizione divina e con un boato il cunicolo di accesso franò. Così i colpevoli rimasero dannati per l'eternità accanto a quell'oro maledetto ad invocare un perdono ormai tardivo (Scandellari, 1979).
Grotta della Val Frenzela, non identificata, Valstagna
Secondo una leggenda le anguane custodivano un tesoro favoloso in una grotta della Val Frenzela temute da tutta la popolazione del Canale di Brenta, solo un giovane forestiero si era messo in testa di arricchirsi senza fatica sfidando le terribili streghe. Così una notte era penetrato nella valle raggiungendo l'ingresso della grotta chiuso da un forte uscio. Era noto che a mezzanotte il portone si apriva e che per impossessarsi del tesoro bisognava ballare con le anguane. Ma all'ora stabilita la comparsa delle orribili streghe aveva spaventato il giovane a tal punto da farlo indietreggiare e poi precipitare nel vuoto (Scandellari, 1979).
1214 V Vi Covolo di Butistone, Cismon del Grappa
Secondo la tradizione un favoloso tesoro sarebbe stato nascosto nel fortilizio arroccato nel Covolo: la leggenda, che risalirebbe al IX secolo, è stata successivamente messa in versi da Segusini e Vecellio (Segusini & Vecellio, 1871; Petroni, 1982).
334 V Vi Voragine grotta della Commenda, Vicenza
Secondo gli attuali custodi della vicina Villa della Commenda, ora di proprietà dei conti Rinaldi, nella voragine sarebbero stati nascosti gli ori e gli argenti dei frati del vecchio convento, che erano avidi e "pieni de schei" e sarebbero stati trucidati in un misterioso fatto di sangue. Potrebbe trattarsi di un riferimento ai Templari, antichi proprietari della villa (Maccà, 1813), il cui ordine riuscì ad accumulare grandi ricchezze fino al processo, intentatogli contro dal Tribunale dell'Inquisizione agli inizi del '300 (1310-1312), che costò la vita a molti dei suoi esponenti. Alla stessa grotta porterebbe un misterioso sotterraneo di cui rimane murata la porta di accesso nel parco della villa (CSP).
1277 V Tv Bus de le Fratte, Nervesa della Battaglia
Secondo la tradizione il Bus de le Fratte sarebbe stato il covo dei briganti che infestavano la zona: alla fine di un cunicolo interno della cavità si accede alla cosiddetta "Sala dei Troni" eletta a sala della regalità nella quale sarebbero nascosti grandi tesori ed opere d'arte sottratte alla Serenissima (Rossi Osmida, 1963).
8. Altri temi fra realtà e leggenda
Topologica
35 V Vi Grotta senza fine, Vestenanuova
232 V Vi Covolo del Labirinto, Longare
854 V Vi Buso senza fine, Bassano del Grappa
Ricorrente è la descrizione di cavità di estensione strabigliante o dove ricompaiono animali scomparsi o ancora che mettono in comunicazione vallate diverse attraverso tortuosi passaggi sotterranei. La storia dell'animale caduto nella voragine e poi visto riaffiorare in qualche risorgiva a valle è riferita con notizie scarne solo raramente servite da trama per racconti più articolati. Questi racconti riescono comunque a farci capire quale sia stato l'interesse della cultura contadina per le manifestazioni più appariscenti del fenomeno carsico e di come la saggezza popolare avesse messo in relazione le cavità di un altopiano con le sue risorgive. Ma è anche l'oscurità, l'eco che rimbomba nell'abisso, la forte corrente d'aria, l'impalpabile che alimenta molte storie e credenze popolari; molto spesso è poi l'osservazione di strane analogie che si inseriscono nei fatti quotidiani a fornire elementi utili e rendere verosimili molti racconti che si radicano così nella tradizione locale.
81 V Vr Grotta del Ciabattino, Sant'Anna D'Alfaedo
Secondo una leggenda la grotta era un tempo collegata alla Spluga della Preta (1 V Vr). Attraverso uno stretto passaggio si sarebbe posta in salvo Adele, gettata nella profonda voragine dal crudele marito e miracolosamente salvatasi, che poi avrebbe vissuto nascosta nella grotta con il fratello che appunto faceva il ciabattino (Benedetti, 1990).
45 V Vr Covoli di Velo, Velo Veronese
Gli abitanti della zona in cui si aprono i Covoli di Velo dicono che queste grotte sono formate da un labirinto di cunicoli in cui è estremamente facile smarrirsi (Benetti, 1983).
3 V Vr Perloch, Selva di Progno
Con il nome di Pärlouch (buco dell'orso) il Cipolla ricorda una caverna non lungi da Giazza che si dice porti fino a Recoaro (Cipolla, 1884).
35 V Vi Grotta senza fine, Vestenanuova
Una leggenda locale dice che un cane avrebbe percorso tutta la grotta uscendo alla distanza considerevole di ben tre chilometri (Molon, 1932).
1777 V Vi Busa del Can Vecio, Valdagno
Secondo notizie raccolte dal Club Speleogico Proteo, impegnato nell'esplorazione della grotta, un cane vi sarebbe caduto dentro e sarebbe poi uscito nel sottostante Buso delle Anguane (518 V Vi).
274 V Vi Covoli di Costozza, Longare
I Covoli di Costozza costituiscono un complesso di antiche cave che si estendono all'interno della collina con un asse principale di circa 800 metri. L'architetto Vincenzo Scamozzi (1615) parlando di Costozza dice che ivi "si veggono iscavati i monti per opera degli antichi, e per grandissimo spacio all'indentro, con ampiezze molto grandi, e sostenute da pilastroni massicj, che le reggono, e con giri e strade, che vanno quà, e là, e penetrano molto all'indentro, e sono chiamati Covali: in tanto che alcuni di essi trapassano sino a Brendola per lo spacio di cinque miglia, onde è cosa più meravigliosa da vedere (...)". Altri autori attribuiscono alla grotta le misure seguenti:
Trissino cit. in Alberti, 1550 ovale 4000 piedi per 3000 piedi
Mercatore 1634 3000 passi
Marzari 1604 miglia 2 in lunghezza, & 1 per larghezza
Bembo 1552 3 miglia a dentro ne vanno
Ruggeri cit. in Maccà, 1799 3 miglia e più
Caldogno cit. in Maccà, 1799 più di 3 miglia
Scamozzi 1615 5 miglia
Lambert cit. in Maccà, 1799 non ha meno di 7 miglia di lunghezza
Barbarano 1649 7 miglia in lunghezza
Pivati 1751 7 miglia di lunghezza
Loschi cit. in Maccà, 1799 è lunga miglia 10
A proposito della favolosa estensione della grotta il Barbarano (1649-1762) riporta: "Si dice, che già in esso entrasse una Scrofa, e uscisse a Brendola, al quale luogo da Costozza sono sette miglia, retta linea" (Moriconi, 1983).
96 V Vi Grotta della Corte o Grotta di San Vito, Brendola
L'abate Morsolin nei suoi "Ricordi storici di Brendola" accenna ad una grotta situata in un sotterraneo del fabbricato detto la Corte, presso San Vito, ricordando che la tradizione vuole questa cavità in comunicazione col Covolo di Costozza. Corre nel popolo la fama, che una scroffa, smarritasi in questo, mettesse capo, dopo qualche tempo, all'imboccatura della grotta (Morsolin, 1878).
29 V Vi Bocca Lorenza, Santorso
Si dice che una ròja, una scrofa, sfuggita alla custodia dei padroni e penetrata nella Bocca Lorenza, vi si sia smarrita e sia inaspettativamente riapparsa, dopo lungo girovagare nelle cavità del Monte Summano, a Piovene, dove era uscita attraverso un condotto sotterraneo che uscirebbe secondo altre opinioni nei pressi della Birreria Pedavena di Piovene (AA.VV., 1976; Milani, 1990). Secondo un'antica leggenda il nome della grotta ricorderebbe la pietosa scomparsa di una giovinetta chiamata Lorenza la quale si sarebbe perduta nei paurosi meandri della caverna senza più uscirne (Frescura, 1893; Bigon, 1932; Busellato e Gruppo Grotte Schio, 1991; Busellato 1992).
3069 V Vi Grotta della Rozzola, Chiuppano
Secondo la tradizione locale nella Grotta della Rozzola avrebbe abitato l'uomo preistorico (Rando, 1958).
62 V Vi Speluga della Ceresara, Caltrano
Al Buso della Ceresara, presso Caltrano, sarebbe entrato un cane che uscì dopo parecchio tempo da una fessura, situata molto distante, completamente spelato per il continuo strisciare negli stretti meandri della caverna; la tradizione vuole infatti che la grotta si addentri molto nel monte ed abbia un'uscita presso la vetta del Monte Maleo (Bigon, 1932; Rando, 1958).
94 V Vi Grotta dei Parisoni, Molvena
Secondo notizie riportate nella scheda catastale della grotta, esplorata da Trevisiol nel 1934 per una trentina di metri, il corso d'acqua che fuoriesce dalla cavità in tempi di burrasca trasporta delle pigne "che a ragione logica dovrebbero provenire nientemeno che dal vicino Altopiano di Asiago".
104 V Vi Voragine delle Banchette, Rotzo
Al di sotto di Rotzo si trova un profondo buco che la gente un tempo chiamava la "Bank" una volta vi hanno gettato dentro un gatto che è uscito poi sul fondovalle, a Pedescala (Schweizer, 1987).
86 V Vi Buso della Speluga o Spaluga di Lusiana, Lusiana
Secondo una credenza popolare il Buso di Speluga, dopo il profondo pozzo iniziale, condurrebbe alla Grotta di Oliero (Brentari, 1885; Garobbio,1975; Zanocco, 1979). Più articolata la tradizione raccolta da Frescura (1897) imperniata su una triste storia d'amore rusticano. Una fanciulla si recava ad attingere l'acqua in una fontana situata vicino al buco di S. Giacomo e la seguiva un giovane che, innamoratosi di essa, le faceva calde proposte d'amore. Ai rifiuti sdegnosi dell'onesta ragazza il losco Don Giovanni perdette il senno: afferatala la gettò nell'abisso. Invano quella sera i vecchi genitori l'attesero a casa, l'indomani la cercarono nei boschi e nei prati ma poterono supporre quanto era successo quando scorsero il secchio abbandonato dalla figliuola presso il terribile buco. Un giovane, che s'era offerto di avveturarsi in cerca della fanciulla, venne legato e calato nell'abisso dal quale doveva essere tratto quando avesse suonato un campanello che portava con sè. Discese quel giovane nel buco e vide il corpo della fanciulla in mezzo ad un cespuglio: suonò il campanello ma, per la grande profondità a cui si trovava, non venne inteso e quindi dovette discendere ancora finchè si trovò di fronte ad una gran roggia d'acqua che proveniva dal lago di Levico e scorreva in direzione dell'Oliero.
827 V Vi Buso del Sorlaro, Foza
E' tradizione presso i montanari dell'Altopiano che il "Buso" comunichi con le grotte di Oliero. Se ne avvalora l'ipotesi citando la prova del barattolo del minio che, versato nell'abisso, riesce a colorare le acque del Brenta. Una leggenda narra di un giovane di Oliero, ingaggiato come pastore sulle Melette, che gettava nella voragine, ogni sabato ad un'ora convenuta, una pecora del gregge avuto in custodia ripescata poi a valle da sua madre. Ma un giorno il giovinetto venne scoperto in flagrante dal padrone e subì la stessa sorte delle pecore: la madre, complice, quandò ripescò il corpo del figlio incanutì d'un tratto e da allora divenne pazza (Zanocco, 1973; 1985). La stessa tradizione è riferita dal Frescura alla voragine di S. Giacomo di Lusiana (Frescura, 1897).
859 V Vi Buso del Carrello, Bassano del Grappa
Anche questa cavità, profonda una quarantina di metri, è ritenuta in comunicazione con le Grotte di Oliero (CSP).
601 V Vi Covolo dei Veci, Valstagna
Le risorgenti di Oliero vengono così descritte dal Maccà (1816): "Di sotto la montagna evvi una grande spelonca, detta volgarmente il covalo, ove trovasi un picciolo lago profondissimo. La sua acqua nel suo centro è ferma e senza moto, ne' si può vedere donde esca. Ha il colore che trae alla somiglianza dell'olio, che perciò penso sia il motivo, per cui chiamasi quest'acqua Oliero, e che abbia dato tal nome anche alla medesima villa. L'acqua che esce da questo lago forma un picciolo fiume, che pur Oliero appellasi, il quale viene accresciuto da due sorgenti, che in poca distanza escono anch'esse di sotto la suddetta montagna. (...) Ne' tempi piovosi questo picciolo fiume molto s'ingrossa, ma pur la sua acqua non diviene gran fatto turbida. Meno di un quarto di miglio dal suo principio scaricasi nel fiume Brenta."
1657 V Vi Grotta dell'Elefante bianco, e 135 V Vi Grotta del Subiolo, Valstagna
A questa imponente sorgente valclusiana deve essersi riferito il Maccà agli inizi del secolo scorso (1816) quando ipotizzava, riferendo quanto da tempo era noto fra i montanari dell'Altopiano, un collegamento con gli inghiottitoi di Marcesina. Nella sua "Storia del Territorio Vicentino" troviamo infatti scritto: "La montagna adunque di Marcesina ha nella sua sommità, ch'è circondata da montagne più alte, una vasta pianura con alcune colline, ma di poca altezza, ove si trovano varie petrificazioni marine. (...) Vi sono ivi due piccioli laghi di acqua nascente, da quali escono due rivi, i quali dopo il corso di circa mezzo miglio si uniscono insieme, e discendono sotterra per un buco, e sorgono ai piedi di una montagna non molti lungi dal luogo borgato di Valstagna, e ivi quest'acqua chiamasi l'acqua di Marcesina. Sopra questa pianura di Marcesina la quale serve a pascolo a vacche, e pecore, sononvi alcuni casoni formati di legno, e coperti di tavolette dette volgarmente scandole, per comodo de' vaccarj, e pastori, con due osterie, sorgon pur ivi tre, o quattro fontane di limpida acqua, e assai perfetta, la qual acqua scaricasi poi ne' suddetti rivi, e da lor maggior accrescimento, sicchè in Valstagna formano un picciolo fiume." E in altra parte aggiunge: "Oltre il fiume Brenta a piedi di una montagna sopra la chiesa parrocchiale di circa mezzo miglio evvi un piccolo lago di una profondità assai grande, da cui esce un ruscello, che ne' tempi piovosi s'ingrossa straordinariamente, ed accresce assai il sopradetto fiume Brenta. In questo picciolo lago si prendono Trutte nere, Marsoni, Anguille, Barbi ec. Simili pesci prendesi anche nel fiume Brenta. L'acqua di questo picciolo lago è minerale; e onde ponendola in un vaso di vetro, fa deposizione di verderame e perciò è pregiudiziale a beversi. Mi fu detto, che quest'acqua viene dalla montagna di Marcesina."
La Faggion chiama la risorgente "Subiolo" e scrive che "è un lago di superficie strettissima, posto in un rientramento della montagna; esso vi è alimentato dall'acqua che esce perennemente di sotto alle roccie". In passato si tentò addirittura di misurare la profondità di questo piccolo bacino ma, legate l'una all'altra cinque corde del campanile della chiesa di Valstagna ed assicurato ad una estremità il battaglio del campanone, non si riuscì a raggiungere il fondo (Faggion, 1894).
72 V Tv Bus de le Fate sopra il Forame o Bus de le Fade, Giavera del Montello
Si racconta che una scrofa pregna, entrata casualmente nel Bus de le Fade sul colle della Tombola, fosse uscita qualche tempo dopo con i piccoli nati da un antro vicino a Vittorio Veneto (Dall'Anese e Martorel, 1980).
Sorgente di Follina, non identificata
La tradizione attribuisce questa sorgente all'intervento della Madonna che avrebbe così ricambiato la grande devozione dei Follinesi: si tratta dunque di acqua benedetta che guarisce ogni male. Si racconta anche che questa sorgente sia l'emissario di un grande lago sotterraneo il cui livello quando le pioggie sono particolarmente abbondanti cresce in misura tale da far scaturire l'acqua da un foro della roccia ben più alto della solita sorgente. Sedici papere di una famiglia vicina sparirono una volta per due settimane e furono poi viste uscire dal foro da cui sgorga la sorgente ingrassate in modo incredibile (Dall'Anese e Martorel, 1980).
Istorica
55 V Vi Loite Cuvala (Grotta del Popolo), Roana
78 V Vr Grotta del Falasco, Grezzana
127 V Vi Grotta della Guerra, Longare
274 V Vi Covolo della Guerra, Longare
218 V Vi Covolo della Regina, Longare
600 V Vi Covol dei Siori, Valstagna
601 V Vi Covol dei Veci, Valstagna
602 V Vi Covol degli Assassini, Valstagna
626 V Vi Grotta dei Disertori, Castelgomberto
690 V Vi Buso dei Partigiani, Valdagno
857 V Vi Busa delle Sette Teste, Bassano del Grappa
909 V Vi Buso dei Partigiani, Lugo Vicentino
933 V Vi Buso dell'Inglese, Castegero
1106 V Vr Bus del Partigiano, Brentino Belluno
1144 V Vr Bus dell'Armi, Sant'Anna d'Alfaedo
1270 V Vi Bus della Regina, Montebelluna
1411 V Vr Covolo dei Disertori, Selva di Progno
1783 V Vi Grotta dei Partigiani, Valdagno
1818 V Tv Bus dei Tedeschi, San Pietro di Felletto
1890 V Vi Buso dei Contrabbandieri, Montecchio Maggiore
2028 V Vi Pozzo dei Partigiani, Cornedo Vicentino
2126 V Bl Buco degli Eretici, Seren del Grappa
2146 V Tv Primo antro della Spia, Nervesa della Battaglia
2201 V Vi Caverna Von Slonika, Asiago
2515 V Vi Buso dei Tedeschi, Cismon del Grappa
2523 V Vi Bus del Contrabbandiere, San Nazario
3779 V Vi Spelonca dei Todeschi, Bassano del Grappa
Nella tradizione di certe località la storia si fa leggenda e molte grotte vengono legate ad episodi di violenza e paura veri od immaginati: guerre, orribili massacri, nascondigli di briganti forniscono spunti sempre nuovi a storie che vengono poi deformate e stravolte nell'immaginario collettivo.
1 V Vr Spluga della Preta, Sant'Anna D'Alfaedo
Una storia racconta come un conte, innamoratosi di una marchesina, avesse deciso di eliminare la moglie spingendola dentro una profondissima voragine, nota come Spluga de la Preta, che si apriva in certe sue proprietà della Lessinia. Si trattava di un abisso assai noto nella zona per cui, raggiunti gli alpeggi, invitò la moglie a vedere il ciglio della voragine e da qui non ebbe difficoltà a spingerla dentro. Solo miracolosamente la povera sposa riuscì ad aggrapparsi ad una sporgenza e poi a salvarsi attraverso uno stretto passaggio che usciva in una grotta vicina (Benedetti, 1990).
Nelle contrade dei dintorni circolano molte storie che parlano di fantasmi che a notte fonda fuoriescono dalla bocca dell'abisso e si esisbiscono sul ciglio della voragine. A detta degli abitanti del luogo si tratterebbe delle anime dei contrabbandieri precipitati nella voragine quando quest'ultima si trovava sul confine tra la terraferma veneziana e l'Impero. C'è da aggiungere che talvolta simili fantasie erano messe in piazza dagli stessi contrabbandieri per rendere meno paraticata una località che per loro era di sicuro interesse (Zannoni e Muraro, 1965; Solinas, 1972; Rama, 1983)
78 V Vr Grotta del Falasco, Grezzana
Secondo la tradizione popolare della zona la grotta sarebbe stata nel 1600 la base della banda del brigante Paolo Bianchi detto il Falasco (Caliari, 1894; Zannoni e Muraro, 1965 ).
Grotta di Cerè, non identificata
Su uno strapiombo del Vajo dei Falconi si apre un'ampia caverna chiamata Grotta di Cerè. Tanto tempo fa in questa grotta abitava un giovane pastore di nome Cereo che conduceva al pascolo il suo gregge dove ora sorge la contrada Cerè. (...) Un giorno mentre conduceva le sue pecore incontrò una pastorella di nome Veja che abitava come lui in una grotta, situata in una piccola valle del versante opposto sotto ad un ponte di roccia. I due giovani si innamorarono subito tanto che giorno dopo giorno aspettavano con trepidazione di incontrarsi al pascolo. Ma un giorno un violento temporale fece paurosamente gonfiare il torrente nel fondovalle e Veja nell'attraversare il corso d'acqua scivolò e fu trascinata via dalla corrente impetuosa. Invano Cereo cercò Veja più a valle alla fine decise di farsi trascinare lui stesso dai flutti del torrente in piena dove il suo corpo si unì a quello di Veja per l'eternità (Zanoni & Muraro, 1962; Coltro, 1982).
1411 V Vr Covolo dei Disertori o Spiuga dei Marognoni, Selva di Progno
Secondo Benetti (1983) la Spiuga dei Marognoni, a circa 500 metri da malga Monticello, durante il periodo napoleonico fu rifugio di briganti; in tempi più vicini a noi, durante la prima e la seconda guerra mondiale, fu invece usata come nascondiglio da disertori e renitenti alla leva.
1075 V Vr Spiuga del Lazze o Spluga di Azzarino, Velo Veronese
Secondo una leggenda, raccolta da Attilio Benetti (1983), tre fratelli alla morte del padre si erano accordati di spingere il più giovane nella Spiuga del Lazze per poter meglio dividere l'eredità. Ma in realtà ognuno aveva complottato contro l'altro così alla fine precipitarono tutti dentro la paurosa voragine. Subito dopo nella zona si verificarono alcuni fatti strani che crearono allarme ed ansia fra la popolazione: raffiche di vento, uscite dalla voragine, sradicarono grossi alberi e scoperchiarono alcuni tetti, enormi massi rotolarono lungo il pendio e si fermarono in bilico e le fontane per alcuni giorni versarono acqua del colore del sangue.
1407 V Vr Schäferkuwel (covolo del pastore), Selva di Progno
In un racconto (Cipolla, 1884; Schweizer, 1987) troviamo la grotta fare da sfondo ad un uxoricidio. Un uomo dei Putler si era sposato ma i parenti gli rimproveravano di continuo la scelta fatta così un giorno l'uomo portò la moglie in montagna. Giunto al burrone del Lazze, vicino al Schäferkuwel, disse alla donna di volerla pettinare e mentre questa gli voltava le spalle la colpì con una pietra uccidendola. Nascosto il corpo della moglie dietro a un cespuglio l'uomo tornò a casa fingendo di averla preceduta. Ma fattasi notte i suoi vennero a dirgli di non averla vista tornare e l'uomo, fingendosi disperato, si mise a cercarla. Quanti si erano uniti nella ricerca dicevano che la donna si era nascosta forse nel Schäferkuwel e vollero andare a controllare. Quando furono vicini al Lazze trovarono il corpo della donna e così si recarono dai carabinieri a riferire l'accaduto.
218 V Vi Covolo della Regina, Longare
E' tradizione che nel X° secolo la grotta di San Cassiano sia servita da nascondiglio ad Adelaide di Borgogna (931-999) dopo la morte del marito, re d'Italia. Quest'ultima era stata infatti imprigionata da Berengario d'Ivrea che la voleva sposa del figlio per leggittimare le proprie pretese sul regno d'Italia. Lo storico vicentino Francesco Barbarano nei suoi Annali di Vicenza riporta: "(...) fatta prigione Adeleita, la mandò in salvo nel Castello di Garda, ma benchè fosse custodita con ogni diligenza, per opera di Martino suo Sacerdote fuggì con una sola damigella, e venne nel Vicentino, dove stette alcun tempo nelle grotte, o caverne del Romitorio di S. Cassano, di che ancora per tradizione si conserva memoria, et si mostra una picciola caverna dove si dice che lei habitava portandoli Martino il necessario sussidio."
Adelaide si sposò poi con Ottone di Sassonia offrendogli un pretesto per intervenire in Italia (Barbarano ined.; Maccà, 1812-1816; Berges, 1963). Il Barbarano riferendosi all'episodio, nella sua "Storia Ecclesiastica di Vicenza", ubica la grotta in questione sopra l'eremo, in un riparo divenuto a quel tempo inaccessibile: "Nella parte del Monte sopra l'Eremo sono molte alte grotte, la più insigne si chiama della Regina, tenendosi per tradizione, che una tale Regina, che Cassanetta o Cassavolta si nominava, fuggendo da' suoi nemici in essa si salvasse, hora senza manifesto pericolo della vita non si può andar essendo disfatta la stradda." Ogni riferimento sembra corrispondere all'attuale Covolo di San Giuseppe (351 V Vi), posto su una cengia 40 metri sopra l'eremo, al quale probabilmente si saliva con l'aiuto di corde. Sul fondo di questa grotta Perin (Da Schio e al., 1947) segnalava un "antichissimo manufatto di terra cotta" ed un'opera fatta per incanalare una piccola sorgente. In una cengia sottostante si trova scolpita sulla roccia la seguente iscrizione: 1502 - AD. 1-2-8 - LUGO
L'attuale Covolo della Regina (218 V Vi), presso l'eremo di S. Cassiano, pur presentando tracce di adattamenti è probabile servisse come cella per qualche monaco che poteva poi seguire da vicino le colture nelle terrazze ricavate sul versante. Ci sono comunque varie altre località nelle quali la tradizione vuole sia riparata Adelaide nella sua fuga e dove ricorre il toponimo "Regina": ad esempio fino al secolo scorso presso le rovine della chiesetta S. Ercolano di Campione sul Garda venivano riferite molte leggende intorno alla cosiddetta "Camera della Regina" (Barbarano, ined.; Castellini, 1783; Maccà, 1813; Odorici, 1854; Da Schio, ined.; Candiago, 1958).
127 V Vi Grotta della Guerra e 128 V Vi Grotta della Mura, Longare
Sulla destra orografica della valle di Lumignano, alla base di alcuni dirupi, si aprono la Grotta della Guerra e la Grotta della Mura, utilizzate da tempo immemorabile come rifugio in occasione di guerre dove opporre una facile resistenza e controllare la dipartita di eventuali aggressori. La tradizione locale parla appunto di assedi sopportati dentro le due caverne (Trevisiol, 1938). I vecchi di Lumignano, nel periodo tra le due guerre raccontavano che i loro lontani predecessori, una volta arroccati nella cavità, facevano rotolare contro gli assalitori lunghi pali, irti di punte acuminate, per la ripida china antistante le grotte.
933 V Vi Buso dell'Inglese, Castegnero
Grotta di una decina di metri, che si apre nel folto del bosco, nella quale si era nascosto un pilota inglese durante la II° guerra mondiale (CSP).
258 V Vi Covolo murato di Castegnero, Castegnero
Si tratta di un'ampia cavità fortificata che sarebbe stata abitata, fin dopo la seconda guerra mondiale, da certo "Toni Machina".
272 V Vi Grotta Maggiore di San Bernardino, Mossano
Nella grotta, durante la guerra di Cambrai, avvenne un terribile massacro ripreso da vari autori; qui viene proposta una relazione anonima del Cinquecento, attribuita però ad Angelo Caldogno (Guerin-Dalle Mese, 1983; Gleria, 1989). "(...) Quelli che a Vicenza andorono, furono per lo più Thedeschi, sotto il principe d'Annault, gl'altri Spagnoli et Francesi, et quelli che a Lignago si aviorono erano tutti Francesi, sotto buoni et esperti capitani, in modo che lo presero, et quello che a Vicenza havevano dissegnato venirse, giunti a Mossan cominciavano ad uccider et far priggioni i contadini, a talche tutti fuggivano, si ché, credendo esser securi quelli di Mossan et circumvicini, andorono in un covalo del monte di quel loco, con poche sue povere robbe e figliolini e donzelle, per fuggir la furia dell'essercito inhumano che vergognavano indifferentemente donne e donzelle. Ma i sagaci Spagnoli di quel campo, tagliata gran quantità di legna et postovi sopra e dentro la porta di quel covalo molta quantità di paglia, datovi il foco, furono soffocati dal fumo, che prima quella morte elessero per manco male ch'esser maltrattati et vergognati da quella canaglia thedesca et spagnola. Et perchè a quel loco per il medesimo effetto ricoverato s'era il prete della villa di Mossan, huomo di buona e veneranda vita, ingenochiatossi, dette letanie, et fece far confession generale a tutti ch'erano nel covalo, che doppo' tutti per il crescer del fumo morirono, eccetuata una figliola che fuggendo fu presa da' nemici. Et un animoso, forte e robusto contadino che, sprezzata la vil morte del fumo, uscendo con la ronca in mano al dispetto del fumo et del fuoco, con gran diffesa morti più di 15, tra Thedeschi et Spagnoli, volse morir combattendo. Restò viva ancora una piccola putta che, messo havendo il capo fuori d'una fissura del detto covalo che tra duoi sassi stava, restò illesa dalla furia del fumo, le qual due fanciulle testificorono di questo mirabile e lacrimoso evento, il quale, sì come diligentemente intesi da quei dei lochi, avenne al dì 22 di maggio, un giorno di mercordì, ch'erano i tempori con mortalità de 1.200 tra huomini e donne."
46 V Vi Buso della Caldiera, Montebello Vicentino
Secondo la tradizione la cavità sarebbe stata collegata con un lago, un tempo oggetto di culto (Lacus Dianae), che si estendeva su un piccolo polje. Nel 1784, in seguito alle omelìe del parroco, gli abitanti della zona prosciugarono il lago abbassando la soglia dell'inghiottitoio naturale, noto come "Buso del Gatto", le cui acque fuoriescono dal vicino Buso della Caldiera. Ci vollero ventisei giorni perchè le acque del lago defluissero completamente e sembra che dal suo fondo melmoso fossero affiorati i resti di una trireme romana (Lucato, 1991).
626 V Vi Grotta dei Disertori, Castelgomberto
Nella cavità, lunga una quindicina di metri, trovarono rifugio alcuni renitenti alla leva durante la II° guerra mondiale (CSP).
1584 V Vi La Cirenella, Valdagno
Nella grotta verticale si rifugiarono i partigiani che avrebbero costruito scale di legno per scendere i pozzi (CSP).
526 V Vi Voragine Rossetta, Tonezza
La voragine, che ha un salto iniziale di 32 metri, è nota per un cruento fatto di sangue: sembra che nei sui pressi, durante l'ultima guerra mondiale, si trovasse un ospedale militare tedesco nel quale un giorno fecero irruzione alcuni partigiani. Quest'ultimi per vendicare le rappresaglie tedesche prelevarono 22 feriti, con un sacerdote e sembra anche un'infermiera, e li giustiziarono sul bordo della cavità dove vennero poi gettati i corpi (Mietto, 1967).
55 V Vi Loite Cuvala o Grotta del Popolo, Roana
La grotta è stata rifugio degli abitanti del paese di Canove durante il passaggio in Altopiano delle truppe napoleoniche (Bigon, 1932).
59 V Vi Giacominerloch, Roana
Nel 1932 alcune persone raccontavano allo speleologo Gino Bigon che durante la prima guerra mondiale, nei vari scontri corpo a corpo per il possesso del Monte Lemerle, moltissimi cadaveri di caduti erano stati gettati nella voragine per evitare i pericoli derivanti dalle esalazioni giacchè non vi era la possibilità di dare sepoltura al grande numero di salme disperse qua e là a causa dei lunghissimi e micidiali bombardamenti; si tratta evidentemente di notizie fantasiose non confermate da documenti od altre testimonianze.
627 V Vi Buso della Femmina, Lusiana
Stretto pozzo che raggiunge la profondità di 26 metri teatro di un fatto di sangue di cui mancano i particolari (CSP).
Grotta del Cattagno, non identificata
Si racconta che intorno alla metà dell'Ottocento, un giovane di Foza, soprannominato "Cattagno", avrebbe ucciso la fidanzata davanti la porta di casa perchè non si decideva di sposarlo. Compiuto l'orrendo delitto il giovane visse per tre lunghi anni sui boschi che ora circondano Malga Fossetta, a quel tempo particolarmente impervi, nascondendosi in una grotta dalla quale si calava per mezzo di una scaletta di legno (Favero, 1992).
Grotta del Castellon della Valbianca, non identificata
Ampia grotta di accesso difficile e pericoloso, in prossimità del Castellon o Cima delle Taie, in cui nel 1848-49 e nel 1859 restarono nascosti per vari mesi alcuni giovani dei Sette Comuni, già congedati, per non obbedire al nuovo richiamo sotto le armi fatto dall'Austria (Brentari, 1885).
Buso dei Ladri, non identificato
Presso il Kalt Lochele (piccolo buco freddo) tra il passo Xomo e Marcesina. "Il Buso dei Ladri è stato sede negli anni 1766 e successivi di una schiera di banditi, condotti da Abano Bertizzolo di Enego, Marco Lazzaretti di Foza e Spadone Rossi dal Sasso i quali sparsero per molto tempo il terrore fra i paesi vicini e lontani. E' una conca fra rupi (certo un giorno coperta) tutta affumicata. Le pareti della rupe, di pietra tenerissima, portano graffiate varie figure, nomi, date, segni. Io vi lessi i nomi di Domenico, Antonio e Marco Lazzaretti e le recenti date del 1856 e 1859" (Brentari, 1885).
510 V Vi Voragine Spurgon, Malo
Secondo una tradizione favolosa gli abitanti di Malo decisero un giorno di costruire un monte sul luogo, allora assolutamente piatto, dove sorge il Monte Summano. Con una ininterrotta fila di carriole, che traversava la pianura, portavano la terra e i sassi, estratti dalla Voragine Spurgon sul Monte Piano, fino al luogo prescelto. Qui, a poco a poco, cominciò a crescere il Summano. Dopo giorni e giorni di lavoro il capomastro, che comandava le operazioni di scarico del materiale sul nuovo monte, avvertì gli uomini che venivano verso di lui con le carriole che il Monte Summano era alto a sufficienza e che non c'era più bisogno di materiale. Gli uomini tornaro verso Malo ma, non sapendo cosa fare della terra già caricata, la scaricarono poco prima del paese in un luogo noto come il pra' del Conte: sorse così il Montécio (AA. VV., 1976).
169 V Vi Grotta della Lora o Buso del Pilota, Sarcedo
Durante l'ultima guerra, nella cavità venne nascosto dagli abitanti della zona un pilota inglese precipitato nei dintorni (CSP).
Covolo degli Scaligeri, non catastato - Lugo Vicentino
E' un incavo della roccia che ne è tagliata per una lunghezza di 300-400 metri in linea ascendente, formando un'immensa volta mezza aperta sul cui piano corre un sentiero di camosci. (...) Pare un miracolo il modo in cui è sostenuta cotesta volta... Essa si apre di tratto in tratto in ampi saloni. Dicesi che abbia ospitato un tempo qualcuno degli Scaligeri, da cui il nome di Covolo degli Scaligeri (Brentari, 1885).
897 V Vi Busa delle Sette Teste, Bassano del Grappa
Il nome si riferisce ai resti di alcuni soldati tedeschi trovati all'interno della cavità, profonda una trentina di metri. Quest'ultimi sono stati in seguito recuperati con strascico di polemiche per presunte atrocità commesse dai partigiani (CSP).
2908/9 V Vi Cogol dei Coli n° 1 e 2, Cismon del Grappa
Presso il ciglione roccioso di due covoli, che si aprono lungo la mulattiera che risale da Cismon verso il Monte Grappa, si trova un gruppo di quattro tombe scavate nella roccia.. Questo sito è ricordato dal Fraccaro nella sua "Guida alpina del Bassanese" (1903) che riporta: "In una località detta gli Sbandidoni si vedono delle tombe scavate nel sasso, che la tradizione, incerta cronologicamente, attribuisce ad una torma ivi rifugiatasi di soldati nordici sbandati" (Fraccaro, 1903; Gerola, 1907).
2800 V Bl Bus de le Nèole (buco delle nuvole), Rivamonte Agordino
Questa grandiosa cavità alla testata della Val Pegolera è un barometro naturale che segnala l'avvicinarsi del maltempo agli abitanti della vallata sottostante. Le masse d'aria che risalgono lungo la Val del Cordevole vengono aspirate dall'ingresso inferiore del Bus e, condensando in nuvole, segnalano agli abitanti di Agordo, sull'altro versante dei Monti del Sole, l'avvicinarsi di una bassa pressione. Il nome della cavità, Nèole cioè nuvole, è riferito proprio al pennacchio di nuvole che risale in queste occasioni dall'ingresso superiore (Dal Mas, 1984; Mietto & Sauro, 1989).
Cimbro e corruzioni
V Vr Fuchlouch (tana della volpe) a N di Giazza (Cipolla, 1884)
V Vr Kirchlja (piccola chiesa) N di Giazza (Cipolla, 1884)
V Vr Kirchlja (piccola chiesa) S di Giazza (Cipolla, 1884)
V Vr Orkarlouch (buco dell'orco) a N di Giazza (Cipolla, 1884)
V Vr Pärlouch (buco dell'orso) presso Giazza (Cipolla, 1884)
V Vr Schäferkuwel (covolo del pastore) M. Campostrin (Cipolla, 1884)
V Vr Franceskan Kuwal (covolo di Francesco) settore orientale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kaltan Kuwilj (covoli freddi) settore orientale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Alar Kuwal (covolo di Alar) settore orientale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Koa Kuwal (covolo della vacca) settore orientale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kuwel'ume Longo (covolo del Longo) settore orientale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Hòagan Kuwal (covolo alto) settore orientale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Smeder Kuwal settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Séalagan Kuwal (covolo delle Sealagan Laute) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Baita Kuwilj (covoli larghi) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Schäljen Kuwal (covolo dei campanacci) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kanòppan Louch (buco del minatore) o Orkar Louch (buco dell'orco) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Roncaun Kuwal (covolo a roncola) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Iz Fuchs-Louch (buco della volpe) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Krupan Kuwal (covolo storto) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kirchlja (grotta a guisa di chiesa) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Schwartze Kuwal (covolo nero) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Goaze Kuwal (covolo delle capre) settore centrale di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kuwilj'um Mändärla (caverne di Mandrielo) settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Slorchan Kuwal (covolo dell'abisso) settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Mander Kòuwel (caverna degli animali) settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Bazzar Kuwal (covolo dell'acqua) settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Baize Kuwal (covolo bianco) settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kuwilja 'um Muntla settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kuwal 'ume Lùage (covolo del Luak) settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vr Kirchlja (grotta a modo di chiesetta) settore occ. di Giazza (Cipolla, 1902)
V Vi Alta Kughela (Frescura, 1898)
V Vi Tanzerlogh (buco del ballo) a Camporovere (Frescura, 1898)
V Vi Tanzerlogh (buco del ballo) a a Rotzo (Frescura, 1898)
V Vi Zambünerloch a Erio di sopra (Frescura, 1898)
V Vi Stenzerloch in Valdassa (Frescura, 1898)
V Vi Remaloch (Frescura, 1898) o Rämaloch (Zanocco, 1985)
V Vi Pärloch (buco dell'orso) (Frescura, 1898)
V Vi Tagaloch (buco delle taghe) ai Prati tedeschi di Rotzo (Frescura, 1898)
V Vi Sittalogh (buco del fulmine)(Frescura, 1898) o Siltaloch (Zanocco, 1985)
V Vi Tagheloch (buco col tetto) (Frescura, 1898)
V Vi Kalt lochele (piccol buco freddo)(Frescura, 1898)
Vi Kuvela von seileghen Baiblen (Frescura, 1898)
3 V Vr Perloch (buco dell'orso) o Grotta del Berclie (da "Klein Bär"), Selva di Progno
55 V Vi Loite Cuvala, Roana
59 V Vi Giacominerloch (buco di Giacomino), Roana
60 V Vi Tamparloch (buco del fumo), Roana
89 V Vi Buso Stonhaus (casa di pietra), Roana
90 V Vi Tanzerloch (buco della danza), Roana
573 V Vi Grotta Obar de Leute, Roana
585 V Vi Buso Tagheloch, Roana
586 V Vi Sorgente Kaltaprunno (sorgente fredda), Roana
973 V Vi Pozzo del Lunf, Asiago
1172 V Vi Busa Tagarloch, Roana
1361 V Vi Tagheloch, Foza
1407 V Vr Schefar Coval (covolo del pastore), Selva di Progno
1412 V Vr Langan Baut Louk, Selva di Progno
1429 V Vr Teldari Hole, Selva di Progno
1735 V Vi Bucksarloch, Asiago
1841 V Vi Timberloch, Roana
1984 V Vi Honte Loch, Foza
2111 V Vi Hertloch CA1, Asiago
2395 V Vi Kaltprunerloch, Rotzo
2498 V Vi Lihr Höle, Asiago
2504 V Vi Trapieloch, Asiago
2505 V Vi Shota gruba, Asiago
3269 V Vi Grotta dell'Interknotto, Asiago
Spesso accanto a toponimi nuovi sopravvivono i vecchi, frammenti di una geografia tesa alla sostanza delle cose e che pure sa riferire di storie e modi di vita scomparsi. Per concludere vale forse la pena farsi trasportare da essi e riscoprire nel nostro immaginario, in una lingua ormai lontana, le favole forse non irrimediabilmente perdute.
9. Bibliografia citata e di riferimento
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Parte I: La popolazione cimbra nel Veronese: 1. Il problema storiografico 2. Crescita e tramonto dei Cimbri 3. Statuti e vita dei Cimbri.
Parte II: Le dimensioni della religiosità cimbra negli scritti e racconti popolari: 1. Credenze in figure mitiche di origine pagana 2. Le credenze cristiane 3. Il fatto religioso dei Cimbri e una sua possibile ermeneutica.
Parte III: La religiosità cimbra nella sua realtà storica: 1. Organizzazione ecclesiastica 2. Usi e costumi nel ciclo dell'anno e durante la vita dell'uomo 3. Concusione.
Appendici: 1. L'arte religiosa cimbra 2. Testi di preghiera come saggi della parlata cimbra dei XIII comuni veronesi 3. Traduzione della statuto base del 1287.
Odorici F. (1854) Storie Bresciane dai primi tempi sino all'età nostra narrate da Federico Odorici, 3: 274-280, Pietro di Lor. Gilberti, Brescia.-
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Perco D. (ined.) Favole e canti del Feltrino, raccolta di oltre trecento documenti (1978) a cura di Daniela Perco (Centro per la Documentazione della Cultura Popolare nel Feltrino), Discoteca di Stato, Roma.-
Perco D. (1981) Favole del Feltrino, pp. 114, Nuovi Sentieri ed., Belluno.
Introduzione 7; Le occasioni del racconto 9; Modalità e tecniche della narrazione 10; La situazione attuale del patrimonio narrativo nel Feltrino. Considerazioni sui materiali raccolti 17; Note sulla trascrizione dei Documenti narrativi 24; Melania Lasen (Carpéne) 31: Rosolina, Maio dai dent longhi, Giovanìn senza paura, Quela dei Fasoi, El Crivelet, I ovi de Macaluzo, Quela de la rana, La cagneta, Indora culi, argenta culi, El stèr e la ninèla, La mòla del Molin; Mattio Dall'Agnol (Fastro) 59: El drago da le sete teste, Pinza copa perla, In meso al mondo fabricato per arie, Marco Feraro; Maria Bazzocco (Arten) 115: Quela del drago dale sete teste, Quel che l'avea inparà un mestiér, La Catarinèla, La Regineta, I assassini, L'ors e la bolp, Quela de la zatina bianca, El pom de oro, Graspa, Brodo-de-galina, Ciapa-ela-e-va-a-dormìr; Pasqua Zanella (Parcèn) 153: Gioveni senza paura, I tre consili, La rosa.
Perco D. (1986) Credenze e leggende relative a un essere fantastico: il mazarol/salvanel, in M. Cortellazzo Guida ai dialetti Veneti, VII: 155-179, Padova.-
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Fonti orali: 4; Figure mitiche e antiche forme di culto: 7; Santi e feste che hanno sostituito divinità e feste precristiane: 49; "el filò": 95; Leggende e fiabe da "filò" (Perchè le pratoline sono spruzzate di rosa: 98; Perchè il gatto soriano ha una "M2 sulla fronte: 99; Perchè il pettirosso ha il petto rosso: 100; La volpe furba e le galline: 101; La volpe e il lupo: 102; Le tre anarette: 103; La principessa inseguita: 105; Le tre arance d'oro: 106; L'egoismo punito: 110; Le dodici verità: 111; Dal Paradiso: 113; Via, galina dal'orto!: 114; La testa de morto: 115; Lungo la feràta: 116);Le villotte: 119; Preghiere di un tempo: 127; Proverbi: 135; Modi di dire caratteristici: 163; Filastrocche: 175; Medicina empirica: 223; Antiche credenze (superstizioni): 229.
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Schweizer B. (1982) L'originedei "Cimbri", pp. 93, ed. Taucias Gareida, Giazza (Selva di Progno).-
sommario: 1. Vita ed opera di Bruno Schweizer (1897-1958) a cura di Carlo Nordera - 2. L'origine dei "Cimbri"
Schweizer B. (1982) Usanze popolari cimbre nel corso dell'anno, pp. 151,ed. Taucias Gareida, Giazza (Selva di Progno).-
sommario: 1. Presentazione - 2. Introduzione - 3. Le feste annuali - 4. Inizio di Primavera - 5. Domenica delle Palme - 6. Autunno
Schweizer B. (1983) Il ciclo della vita nelle tradizioni cimbre, pp.192, ed. Taucias Gareida, Giazza (Selva di Progno).-
sommario: 1. Origine della vita - 2. I giochi - 3. Filò - 4. L'amore - 5. Malattie - 6. Morte - 7. Tenore di vita
Schweizer B. (1984) Le credenze dei Cimbri nelle forze della natura, pp. 190, ed. Taucias Gareida, Giazza (Selva di Progno).-
sommario: 1. Il sole - 2. La luna - 3. Il firmamento - 4. Credenze sul tempo - 5. Il vento - 6. Temporali - 7. Tempeste - 8. Protezione dal cattivo tempo - 9. Madre terra - 10. Rappresentazione del mondo - 11. Computo del tempo - 12. Simbologia dell'anno - 13. Il paesaggio - 14. Tesori - 15. Credenze popolari negli animali - 16. Fuoco e luce 17. Superstizione - 18. Numeri e simboli - 19. Simboli
Schweizer B. (1987) Le credenze dei Cimbri nelle facoltà soprannaturali dell'uomo, pp. 143, ed. Taucias Gareida, Giazza (Selva di Progno).-
sommario: 1. Streghe e stregoni - 2. Vampirismo - 3. Stregonerie varie - 4. Le streghe e i loro rapporti - 5. Trasmissione dell'arte stregonesca - 6. Come si scoprono le streghe - 7. Gli stregoni - 8. Formule magiche - 9. Oltre la morte - 10. Il cadavere vivente - 11. Seelentiere e incarnazione di anime - 12. L'apparizione del morto come "spirito" - 13. Le "povere anime" e il regno dei morti negli inferi
Schweizer B. (1988) Le credenze dei Cimbri nelle figure mitiche, pp. 224, ed. Taucias Gareida, Giazza (Selva di Progno).-
sommario: 1. Figure mitiche indeterminate - 2. I giganti - 3. I nani - 4. Orc, orche, orco - 5. La tregenda e il selvaggio - 6. Il beatric - 7. Sintesi - 8. Quadro comparativo - 9. Il selvaggio - 10. La selvaggia - 11. Quadro comparativo - 12. Sintesi e nome
Schweizer B. (1989) I concetti cristiani nelle credenze dei Cimbri, pp.111, ed. Taucias Gareida, Giazza (Selva di Progno).-
sommario: 1. Il diavolo - 2. Gli angeli - 3. I santi - 4. Singole espressioni della fede cristiana nel modo di vedere popolare - 5. Varie documentazioni
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Secco G. L. (1979) I racconti de la nonna, Belumat ed., Belluno.-
Segusini G., Vecellio A. (1871) Il Castello del Covolo. Leggenda del secolo IX. Nelle faustissime nozze del nobile signore Pasquale Dal Covolo coll'esimia signora Antonietta Guarnieri. Leggenda patria dedicata all'ornatissimo signore Giovanni Guarnieri padre amorosissimo della sposa, pp. 16, Tip. Sociale P. Castaldi, Feltre.-
Sellida I. (1941) Leggende euganee, pp. 227, L. Cappelli ed., Bologna.-
Seppilli A. (1977) Sacralità dell'acqua e sacrilegio dei ponti, pp. 350, Sellerio ed., Palermo.-
Serena A. (1923) Delle antiche rovine di Ciano, poemetto inedito del sec. XVII pubblicato a cura di Augusto Serena, pp. 9-27, Stab. G. Carestiato, Treviso.
Seznec J. (1981) La sopravvivenza degli antichi dei: saggio sul ruolo della tradizione mitologica nella cultura e nell'arte occidentali, Torino.-
Silvestri G. (1924) Storie e leggende dei castelli veronesi, Verona.-
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Presentazione, la morte di Agonia, la Leggenda di Sappada, gli occhi di Azana, il dannato dell'Antelao, la Redòsola, i Pagani del Monte Faloria, l'Ongana del Larin, sabba sul Lago, il Gran Bracun delle Valli del Sole, la Salvatica di Andraz, la spada di fuoco, le rondini della Madonna, la Lumiera, i termini di Gian, il gallo di Auronzo, i cirmoli di Rudo, il velo di Merisana, vita delle leggende
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