1258 Giovanni V 1268 Fideigrazia 1277 Adamo
1293 Card. Landolfo Brancaccio 1297 Card. Leonardo Patrasso 1299 Pietro I de Turrite

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(1258-1264)  Giovanni V "l'Eletto"

 

Il titolo "eletto" assegnato al Vescovo Giovanni V, non è stata una trovata posteriore, ma un termine ritenuto opportuno dallo storico, che lo ha tramandato.

 Giovanni V dové essere affiancato a Simone - precedente Vescovo - allorché diede le dimissioni.

 E mentre restava titolare di Aversa il Simone, Giovanni V fu nominato "Amministratore".

 Soltanto in secondo tempo, forse con la creazione a Cardinale di Simone, Giovanni V fu designato Vescovo di Aversa.

Si sa di Giovanni V che fece una petizione al re Manfredi per essere confermato nei possedimenti che la Diocesi godeva.

Ciò fa capire che, da ogni nuovo principe o re, bisognava ottenere il benestare per i benefici in possesso.

Intanto lo stesso Manfredi provocò un Concilio che si tenne a Viterbo, nel 1263, a cui partecipò il Vescovo Giovanni V, essendo divenuto insopportabile l'agire di Manfredi; nel Concilio si decise che il Manfredi fosse sostituito dal re Carlo I d'Angiò.

Aversa, però, era dominata da una certa famiglia Rebursa, che difese strenuamente la casa sveva e quindi nemica di Carlo I d'Angiò. La notizia adirò tanto il re Carlo I che decise di far distruggere dalla fondamenta la città di Aversa.

E lo storico Summonte racconta che, nel 1263, Aversa fu tutta devastata dalle truppe di Carlo I d'Angiò.

Di conseguenza, fioccarono vendette, ed il Vescovo Giovanni V si vide deturpare la sua monumentale chiesa: la Cattedrale, che subì ingenti danni.

In questa occasione, anche altre cose furono distrutte: manoscritti e documenti storici che potevano tramandare ai posteri notizie più dettagliate su eventi succedutisi e sugli interventi dei vescovi diocesani.

A questo punto, nessuno poté fornire notizie del Vescovo, dopo i fatti narrati; Giovanni V sembrò piombare nel nulla.

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(1268-1276) Fideigrazia "L’Affabile" 

 

Di origine incerta: veneto per alcuni, spoletano per altri. E’ certo che Fideigrazia, prima di essere eletto Vescovo di Aversa, fu coadiutore del vescovo di Spoleto e su questa notizia tutti gli autori sono d’accordo.
Circa, poi, il nome che a noi oggi sembra strano, non faceva meraviglia all’epoca, poiché era divenuta una prassi assegnare nomi composti di origine latina.
L’influenza della lingua latina è durata - tra il popolo - diversi secoli e, se rimase lingua ufficiale della Chiesa, andò in disuso nell’uso quotidiano, sostituita da quella volgare, seguendo in ciò anche l’esempio dei nostri più grandi poeti, con a capo Dante Alighieri.
Si dice che il popolo, non riuscendo a pronunziare Fideigrazia, chiamasse il suo Vescovo semplicemente “Fidanzia”, essendo questo nome più scorrevole.
Aversa era tutta sconvolta, all’arrivo del Vescovo Fideigrazia, e a buona ragione, essendoci stata la repressione e lo sterminio da parte del re Carlo I d ‘Angiò.
Fu una fortuna, forse, l’insediamento del nuovo Vescovo: gli animi si placarono, anche per l’opera paziente e dolce del Vescovo Fideigrazia.
Intanto gli Angioini, volendosi rappacificare con i cittadini, diedero termine alle vendette ed iniziarono a costruire opere sociali, dietro suggerimento, certamente, del Vescovo.
Così Aversa vide sorgere un lebbrosario, fuori porta S. Nicola, luogo detto “Maddalena” (nel ‘500 circa divenuto Ospedale per i matti).
In quel tempo la lebbra era arrivata in Europa per mezzo dei crociati e si era estesa a macchia d’olio per numerose regioni, mietendo molte vittime.
Il re Carlo I d’Angiò volle anche donare le due campane del vecchio campanile del Duomo, allorché si ergeva elegante e snello dietro l’ambulacro, esposto ad oriente della chiesa.
Il Vescovo partecipò, invece, qualche anno prima della morte, al II Concilio di Lione, ove si discuteva sulle persone della SS. Trinità.
Di lui si sa che morì in Aversa e certamente dovette essere seppellito nel cimitero accanto alla Cattedrale.
Come Pastore non smentì il significato del suo cognome: agì con “fede” e profuse “grazia” negli amorevoli contatti umani, lasciando nei cuori affranti la sua dolcezza paterna.

 

 

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(1277-1293) Adamo "Il Francese"

 

Esplicitamente si dice che Adamo fu un Vescovo francese. Difatti, si notifica esser già Vescovo di Bing e scelto - sede vacante - dal Capitolo cattedrale aversano - contro il parere di qualche canonico, come P. Galgano.
Ma il veto contrario, specie del Galgano, a nulla valse, poiché il Capitolo era divenuto, forse, la lunga mano del re Carlo I d’Angiò, che desiderava, nella sede episcopale aversana, uno dei suoi.
Non è da dimenticare, inoltre, che, essendo gli angioini - guelfi - a disposizione dei romani pontefici, i loro desideri erano spesso esauditi.
In compenso, re Carlo I d’Angiò sostenne il Pontefice nella lotta contro i Pàtari; questi furono accostati ai càtari: una setta d’origine francese sorta nel XII secolo.
I Pàtari si dicevano umili ma seguivano l’eresia del dualismo, ossia distinzione tra spirito e materia; essi raccoglievano nelle loro fila ceti popolari che spesso insorgevano contro la Chiesa, la società e la concezione monarchica.
Il regno napoletano fu contagiato da simili eretici e chi li fronteggiò fu l’Ordine domenicano, sorto da qualche decennio; ai domenicani furono offerte delle case per poterli debellare.
E, poiché anche in Aversa arrivarono i Pàtari, il re Carlo I diede inizio alla costruzione di una chiesa dedicata a S. Ludovico, con un convento annesso per raccogliere i domenicani.
La chiesa fu completata al tempo di Carlo I ma cambiò denominazione, reintitolandola a S. Luigi IX, re di Francia (da poco era stato elevato agli onori dell’altare).
La medesima chiesa, in seguito, fu dedicata a S. Domenico (rimasta tuttora con questo titolo), perché era officiata dai domenicani, sino alla soppressione dei conventi, avvenuta nel 1870 (famosa legge De Pretis).
Il Vescovo Adamo, come si può notare, non ebbe vita facile per il diffondersi delle eresie in Diocesi!
La storia ricorda che Adamo partecipò, nel 1280, al Concilio di Ponte Ademaro, ove si discuteva la questione dell’adempimento del “precetto pasquale”: chi non lo soddisfaceva poteva essere accusato di eresia.
In un’altra occasione, si parla di Adamo quando fu consacrata la chiesa di S. Stefano in Caiazzo.
La storia del Vescovo Adamo è scarna di notizie e, poiché “straniero“, tale rimase nel cuore degli aversani, tanto che i cronisti neppur riportano ove e come abbia finiti i suoi ultimi giorni.

 

 

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(1293-1297) Card. Landolfo Brancaccio "Il Napoletano"

 

L’esistenza del Vescovo Brancaccio, poi Cardinale, nella cronologia aversana la si deve al Capaccio, vissuto tra il XV ed il XVI secolo.
Costui descrive che il Brancaccio era della città di Napoli e divenne Vescovo di Aversa.
Tutti gli altri autori che s’interessano di tale faccenda, o trascurano il nome di Brancaccio o hanno dei dubbi a riguardo.
Esiste, frattanto, un documento comunale che riporta un privilegio concesso alla città di Aversa, nel 1294, dal re Carlo II d’Angiò.
Il documento parla che il privilegio era di poter suonare le due campane apposte di nuovo al vecchio campanile della chiesa Cattedrale (ciò fa supporre l’esistenza, in quell’epoca, di un altro campanile), al tempo appunto di Brancaccio.
Non era certo il Brancaccio un uomo da sottovalutare, poiché, pur rimanendo a dirigere la Diocesi di Aversa, fu nominato Cardinale dal Papa Clemente V, nel 1294.
Difatti, la storia dice che fosse rimasto in sede aversana ancora tre anni, sino al 1297, non riportando, poi, il motivo della sua scomparsa; probabilmente dovette raggiungere Roma ed operare in questa città, oppure inviato quale ambasciatore a servizio della Santa Sede.
Intanto continua, in quest’epoca, l’aggressione indomita sia degli eretici, sia dei capi delle nascenti nazioni. E se gli eretici seminavano discordie all’interno della Chiesa, i re ed i principi spadroneggiavano, usurpando i diritti che non gli competevano.
L’azione del Brancaccio, dunque, fu adoperata forse per disbrigare complicate faccende, avendone la possibilità ed apprezzato per le sue doti, da tutti.

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(1297-1299) Card. Leonardo Patrasso "Il Privilegiato"

Forse il Vescovo Leonardo meriterebbe un altro titolo, ma, se per principio si rispetta il nome dei defunti, si ricorda altrettanto che la Chiesa dopo la lotta contro l’intromissione del potere laicale, divenne uno strumento nelle mani di poche famiglie facoltose ed influenti.
Leonardo Patrasso era imparentato con la famiglia Gaetani; anzi fu zio di Benedetto Gaetani, che divenne Papa col nome di Bonifacio VIII.
I parenti che Io avevano fatto eleggere Papa, lo spinsero a tanto da fargli acquistare il titolo di “simoniaco”.
Prima di insediarsi ad Aversa, il Leonardo era già Vescovo di Alatri e solo nel 1297 acquistò il diritto della Diocesi aversana, a seguito di trasferimento.
Sebbene nel 1299 la cronaca lo riporta come Arcivescovo di Capua, il Leonardo non lasciò Aversa, rimanendo amministratore di detta sede.
Solo quando fu creato Cardinale, nel 1301, dovendo amministrare Albano, una Diocesi suburbicaria, lasciò sia l’amministrazione di Aversa e sia il titolo di Arcivescovo di Capua.
(Le diocesi suburbicarie erano limitate sia per i territori e sia per gli abitanti, venivano affidate - per privilegio - ad alcuni Cardinali aventi la consacrazione episcopale: tale prassi è stata abbandonata soltanto qualche decennio fa).
Il Vescovo Leonardo, oltre ad ottenere privilegi per la sua persona, riuscì anche ad ottenerli per la Diocesi di Aversa.
Fece, inoltre, confermare tutti i favori ottenuti dai normanni ed altri ne ottenne, essendo divenuto amico degli Angioini.
Il Leonardo si preoccupò di dare infine ai PP. Domenicani di Aversa, strenui difensori della Chiesa contro le eresie dei Pàtari, una degna dimora, e per l’occasione consentì che si ingrandisse la chiesa (oggi detta S. Domenico) demolendo quella parrocchiale di S. Antonino, avvenuta il 7-5-1298.
Orbene, dalle notizie riportate, sembrerebbe che l’episcopato di Patrasso, come il pontificato di Bonifacio VIII, abbia navigato in tranquille acque, il sottofondo invece era sparso di mine che scoppiarono dopo qualche anno, lacerando tutta la Chiesa, lasciando visibili e profonde cicatrici.

 

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(1299-1309) Pietro I de Turrite "Il Fortunato"

 

Si sa che Pietro I era già Vescovo di Anagni e che nel 1299 fosse trasferito, dal Papa Bonifacio VIII, alla sede di Aversa.
Non si conosce, però, la sua origine e fa meraviglia che era andato in disuso il diritto, concesso ai Capitolari, di eleggersi il proprio Vescovo.
Dovettero certamente avverarsi delle novità, per cui il Pontefice fu costretto a sospendere tale facoltà: non si dimentichi l’influenza che sfociava in una imposizione del re del tempo, Filippo IV di Francia.
Fatto è che nel decreto di trasferimento di Pietro I si annota, con una voluta insistenza, che la Diocesi di Aversa è “direttamente soggetta alla S. Sede
Si valse, Pietro I, dell’opera del suo predecessore, in particolare per quanto riguardavano donazioni e conferma di privilegi.
Difatti, oltre il possesso del lago di Patria, a Pietro I furono fatte altre elargizioni, come la riscossione di alcune decime.
Alla Diocesi fu poi aggregato il comune di Grumo (1306), mentre, nel 1308, divenne proprietà della Diocesi aversana anche un castello nei tenimento di Caiazzo.
Ad onor del vero, il Vescovo, superando difficoltà, riuscì ad operare nell’interesse della Diocesi aversana, registrando la storia, a suo favore, una fondazione che alcuni individuano nel monastero Montevergine di Aversa, mentre altri in una “grancia”, dall’origine francese, che vuoi dire “granaio” per il popolo.
Probabilmente, al sorgere, la fondazione doveva essere una granaio, poi divenuto un Monastero ed affidato ai monaci benedettini, seguaci di S. Guglielmo (fondatore dell ‘Abazia di Montevergine).
Per l’origine di quest’opera non c’è una data esatta: chi propende per il 1301 e chi per il 1343.
Il monastero, soppresso nel 1807 dallo Stato, divenne una filiale del grande Ospedale Psichiatrico “Maddalena”, adibita a sezione femminile. 
Del fortunato Pietro I si sa la data della sua morte, il 1309, e con tutta sicurezza si può asserire di essere stato sepolto nel cimitero della Cattedrale.

 

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