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(1370-1378) Card.
Ponsello Ursino "il Prelato"
Il Ponsello sarà stato uno di quei Pastori che,
pur gloriandosi del bel titolo, preferiva arrivare alle pecorelle del suo
gregge attraverso l’opera di intermediari (i Vicari). Tanto più lo
permettevano i tempi, nonostante fossero duri giorni, funestati da
continue discordie. Ponsello fu un romano, ed attirandosi le simpatie
di Papa Gregorio XI, francese, ottenne la sede episcopale aversana nel
1369. Mentre finiva la serie dei papi francesi, nel 1378 (merito
soprattutto della grande Santa, Caterina da Siena), ritornando sul trono
pontificio un italiano (un napoletano), il Ponsello seppe così bene
destreggiarsi, vuoi per diplomazia, vuoi per doti proprie, da essere
creato dal nuovo Papa, Urbano VI, Cardinale e Vicario generale della
Sabina: era l’anno 1389. Un’altra carica gli fu, poi, affidata; difatti
il Ponsello fu nominato - oggi si direbbe Presidente - responsabile
dell’Ospedale S. Tommaso, sul monte Celio, in Roma. Ad un certo punto,
dovendo lasciare Aversa, sua Diocesi, fu pregato di dare le
dimissioni. Frattanto i francesi, col ritorno del Papa nella sua sede
originaria (Roma), non si rassegnavano, tanto che anteposero al legittimo
papa Urbano VI, un antipapa, col nome di Clemente VII - ancora francese
- in Avignone. Il Ponsello Ursino, assieme al Cardinale Filippo Gezza
ebbe tanto da fare, per organizzare ed affrontare il re Ladislao; il Papa
permise che, per pagare i soldati, si coniassero monete da ex-voti e vasi
sacri preziosi. L’Ursino, infine, dopo 17 anni, riebbe di nuovo la sede
vercovile di Aversa - probabilmente alla morte di Papa Urbano VI - forse
stanco di girovagare ed incontrare ostacoli, preparandosi, così,
all’ultimo incontro, dedito ad una revisione della propria vita.
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(1378) Bartolomeo II "il
Contrastato"
Non facile era la
vita dei prelati neanche a quell’epoca. Per riuscire ad ottenere una
nomina o un beneficio, i sacerdoti ed i religiosi dovevano superare varie
difficoltà. Erano le conseguenze di una continua ed aspra lotta interna
ed esterna alla Chiesa; lotta, perciò, che scaturiva non solo da calcoli e
gelosie, ma da certi soprusi da parte della laicale potestà. Il Papa
Urbano VI aveva - tra gli altri - un “legato” chiamato Gentile di Sangro,
che non perdonava facilmente i seguaci dell’antipapa Clemente VII,
perseguitandoli ovunque fossero. Era comune questionare sulla
legittimità delle nomine e sugli abusivi dei benefici. Tra i
contrastati, venne a trovarsi proprio il Vescovo Bartolomeo II, cui
alcuni storici assegnano appena un anno di episcopato aversano, mentre
altri qualcosa di più. Fatto è che Bartolomeo II dovette lottare con
un Vescovo illegittimo, chiamato Nicolò di Lucera, che usurpava il titolo
aversano. il Nicolò, forse, con forza dovette ottenere l’episcopato
aversano, ma la storia afferma che dopo poco fu mandato via, mentre di
Bartolomeo II non si sa che svolta prese. Si avveravano le alterne
vicende di uomini e cose che la cronaca registra ripetersi. Quindi il
Bartolomeo, non avendo tranquillità sicura a suo favore, né il tempo
indispensabile per operare, poco o niente operò per la Diocesi. La storia
aggiunge che per essere stato contrastato, forse, non riuscì nemmeno a
farsi ubbidire dai suoi fedeli. Il Bartolomeo, sfiduciato, si dovette
decidere solo a preparare i suoi bagagli e partire - sconosciuto - per
nuove terre.
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(1378)
Nicolò "il Deposto"
Il Nicolò, dalla storia, è
presente in Aversa quasi contemporaneo di un altro Vescovo: Bartolomeo II Del
Nicolò, si dice essere stato Vescovo di Lucera, mentre del Bartolomeo eletto
di prima nomina.
Però, se tutti e due erano
vescovi
di Aversa, per correttezza bisogna chiarire che il vero, quello cioè nominato
legalmente dal Papa Urabo VI, fu Bartolomeo, mentre il Nicolò era un intruso,
essendo stato nominato, in Aversa, dall'antipapa Clemente VII.
Anzi, il Bartolomeo doveva sostituire l'Ursino, già Vescovo di
Aversa, che, nominato Cardinale, era impegnato altrove e reggeva la Diocesi
aversana
tramite un suo rappresentante.
Confusione ed inconvenienti
simili erano di moda in quell'epoca e, se la Chiesa universale era retta da due
papi (il legittimo e l'oppositore) accadeva pure che nelle Diocesi potevano
ripetersi tali abusi, e spesso i fedeli venivano contesi e passavano da una
giurisdizione all'altra.
Per
la cronaca, in verità, si conservano i documenti che assegnano il beneficio sia
al Nicolò che al Bartolomeo, e leggendoli conviene
soltanto abbozzare un sorriso, compiangendo le miserie umane.
Certo, chi veniva lacerato era il
gregge che, invece di familiarizzare col suo Pastore, qualche volta doveva
provare abbandono e percosse.
I
due vescovi, trattati nel profilo, ciascuno con proprie
ragioni si sforzò di farsi credere legittimo, specie il Nicolò; egli, essendo
già Vescovo, dimostrava che per lui era solo un trasferimento di sede da Lucera
ad Aversa.
Non. si può accertare se i
due vescovi ressero contemporaneamente la Diocesi, emanando disposizioni avverse.
La realtà è che si parla di
Nicolò, contemporaneo di Bartolomeo, ma il tutto nel giro di pochi mesi; e,
mentre il Nicolò viene deposto, l'altro scompare, cadendo nell'oblio.
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(1381-1385) Card.
Marino del Giudice "il Torturato"
Come già accennato, da qualche tempo -
soprattutto in questo periodo - i papi avevano costituiti i “riservati”,
abolendo cioè il privilegio di elezioni vescovili concesso ai Capitoli
Cattedrali e nominando (riserva) i Vescovi direttamente. Il Cardinale
Marino fu uno di questi “riservati” che, originario di Amalfi e già
Arcivescovo di Taranto, eletto Cardinale da Urbano VI, nel 1381 ebbe in
commenda” la cattedra di Aversa. In quell’epoca (come sempre) venivano
modificate, adattandole alla realtà, le leggi disciplinari della
Chiesa. Qualcuno accusa gli stessi pontefici di aver agito contro le
prescrizioni canoniche. Ma, come il Papa poteva modificare una legge,
richiedendosi il consenso di un numero sufficiente di Cardinali? L’operato
del Papa fu solo una necessità transitoria. Aversa venne a trovarsi
nell’occasione poiché il Papa Urbano VI, servendosi delle qualità del
Cardinale Marino, lo ripagava con un beneficio nonostante fosse sede
vescovile. E’ inutile, poi, affermare che il Marino seguì le alterne
vicende di Papa Urbano VI ed ebbe anche il privilegio e l’umana
soddisfazione di poterlo ospitare nell’episcopio aversano. Difatti,
nell’aprile deI 1383, il Papa venne in Aversa ed alloggiò, solo per un
giorno, nel palazzo residenziale del Vescovo, passando così nel castello
di Casaluce, in Aversa, attiguo alla chiesa S. Pietro a Maiella (l’attuale
parrocchia SS. Filippo e Giacomo). Nel castello il Papa, invero, stette
diversi giorni e più sicuro, dovendo dirimere una contesa sorta. tra Carlo
III (a lui favorevole) e la regina Giovanna I. Le vicende che
seguirono furono svantaggiose per Urbano VI; il Papa, scappando nel Nocerino, visse un po’ di tempo in esilio, seguito sempre dal Marino, che
gli teneva compagnia. Urbano VI, chiesti aiuti al Doge di Genova,
raggiunse questa città, facendo imprigionare alcuni cardinali sospetti, e
tra questi il Marino. Si dice che i Cardinali fossero gettati in pasto
ai pesci, in mare. Scoppiò lo scisma dell’Occidente ed il Pontefice
dovette assistere impotente a tanta calamità, constatando che un generale
scompiglio aveva invaso tutta la Chiesa.
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(1386-1403) Card.
Erecco Brancaccio "il Fidato"
Nonostante che la cattività avignonese fosse terminata
(era durata 74 anni, dal 1305 al 1378) ed eletto non più un francese ma un
Papa italiano, nella persona del napoletano Bartolomeo Prignano, col nome
di Urbano VI, nell’anno 1378, continuarono i disordini nella
Chiesa. Anzi, con l’elezione di un Papa italiano iniziarono le reazioni
francesi ed il Papa, per difendere i diritti della Chiesa, doveva servirsi
unicamente di persone conosciute e fidate. Una di queste fu proprio
Erecco Brancaccio, che era - oggi diremmo - un incaricato diplomatico che
aveva svolto vari uffici, portati a termine con sagacia ed
impegno.
La storia non ci tramanda la sua origine, fatto è che
Brancaccio fu eletto Cardinale da Urbano VI e, qualche mese dopo,
nominato Vescovo di Aversa, ma con qualifica di “amministratore
perpetuo”. Il motivo, perciò, è chiaro della sua nomina in Aversa,
essendo già rappresentante papale (allora il titolo era “collettore di
spogli”) nel regno di Napoli. Sebbene il Brancaccio fosse già impegnato
altrove, trovava il tempo per potersi interessare e presenziare
avvenimenti che si succedevano nella Diocesi aversana. Così, l’Anonimo
aversano lo nomina il 22 marzo del 1403, in occasione della sistemazione,
al campanile del Duomo aversano, della grande campana detta la
“scarana”. Il lettore attento può affermare: come era possibile
nominare il Brancaccio nel 1403, se nella cronologia si dice essere stato
Vescovo in Aversa sino al 1392? Non si dimentichi che il Brancaccio,
oltre ad essere diplomatico, aveva ottenuta la sede vescovile aversana, ma
“personalmente” ed in “perpetuo”: amministratore a vita. Quindi il
Brancaccio rimaneva sempre il Vescovo di Aversa e nessuno poteva essere
eletto ad Aversa se non dopo la sua morte. Difatti, si parla in
quest’epoca, della nomina di un certo Adamo, che a breve scadenza fu
scacciato, e per un duplice motivo: l’Adamo era illegittimo, in quanto
nominato dall’antipapa Benedetto XIII e non poteva sostituire il
Brancaccio, essendo ancora in vita. Si vivevano periodi diversi e solo
qualche secolo dopo, con le decisioni del Tridentino (1545-1563) fu
ordinato il diritto della Chiesa, sradicando privilegi ed
abusi.
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(1418-1422)
Card. Rainaldo Brancaccio "l’Ambasciatore"
Il lettore che si trovasse a Napoli, entrando in
S. Domenico Maggiore,potrebbe leggere il nome Brancaccio su varie tombe
ivi esistenti. E’ merito di Rainaldo Brancaccio, Vescovo di Aversa, che
senza limiti di spese vi edificò le sepolture. Non si può dire che il
Brancaccio avesse fatto lo stesso in Diocesi; per la verità, né lapidi né
documenti storici esistono che ricordano tanta cura per il suo
gregge. Il Brancaccio fu nominato Vescovo di Aversa nel 1418, da papa
Martino V, avendo già il titolo di Cardinale e la Diocesi gli era stata
concessa solamente come premio: era un segno di gratitudine che il
Pontefice dimostrava ad un uomo che si era prodigato quale ambasciatore
della S. Sede. Il Rainaldo, della Diocesi di Aversa, non fu altro che
l’amministratore (come d’uso in quei tempi), diritto che esercitò, a suo
favore, in perpetuo. Capitò, quindi, che i fedeli raramente vedevano il
proprio Vescovo e, a volte, non lo conoscevano affatto poiché gli affari
venivano sbrigati da un Vicario (costumi del tempo, difficili oggi da
capire e giudicare). Certo è che il periodo del Brancaccio ricorda una
gran confusione che regnava ovunque, compreso nella Chiesa. Sappiamo
che all’elezione di un Papa, per ripicca o leggerezza, si nominava un
antipapa, e cosi accadeva nei vari gradi gerarchici: al legittimo scelto
si contrapponeva l’illegittimo. Orbene, il R. Brancaccio, ad onor del
vero, fu sempre fedele al legittimo Papa, quantunque ad un certo momento
il suo nome quasi scompare dalla cronaca: si dovette sospettare di lui o
dovette cadere in disgrazia. Continuò egli a lavorare per il bene e la
pace: difatti il suo comportamento fu apprezzato dall’Arcivescovo di
Milano, che fu eletto Papa anche per merito del Brancaccio, col nome di
Alessandro V. Il Cardinale R. Brancaccio mori a Roma nel marzo 1427,
ma i suoi resti mortali furono trasferiti a Napoli, a S.Angelo a Nilo,
complesso da lui fatto costruire.
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