1427 Pietro III Caracciolo 1430 Giacomo Carafa della Spina 1471 Pietro IV Brandi 
1474 Giov. Paolo Vassallo  1501 Card. Luigi d’Aragona 1515 Silvio Pandone

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(1427-1430) Pietro III Caracciolo "il Favorito" 

 

E’ accertato che Pietro Caracciolo sia stato un parente del famoso Caracciolo, consigliere della regina Giovanna II, che esercitò il suo ufficio con mano potente e decisiva.
E’ lo stesso cognome che fa dedurre la discendenza del Vescovo da una famiglia facoltosa e politica napoletana.
Per la venuta in Aversa del Caracciolo e del suo possesso, c’è una discrepanza: difatti, taluni sostengono la data 1422, mentre altri 1427.
Se si accetta l’anno 1422, la data viene raccordata con la rinuncia che fece il Cardinale Brancaccio di Aversa (fermo restando il privilegio di questi sul beneficio ricevuto a vita).
Se poi si vuole che la nomina di Pietro III sia avvenuta nel 1427, la si deve accettare con una certa arbitrarietà.
Il motivo di tale chiarifica Io si deve alla venuta in Aversa di Luigi III d’Angiò, ove si tratteneva, nel castello donato poi ai PP. Celestini, la regina Giovanna II.
Che fosse stato per quella occasione o per altri motivi, la regina Giovanna II, riporta la cronaca, volle concedere dei benefici al popolo che festosamente l’aveva accolta.
Nel periodo di Pietro III si dice ancora che la regina unì l’Ospedale di S. Eligio, di fronte all’attuale chiesa di Casaluce in Aversa, con quello dell’Annunziata.
Il merito è soprattutto del Vescovo Pietro III, perché parente del consigliere della regina suddetta e così per altre opere che si attuarono in diocesi.
Di Pietro III la cronaca non trasmette ove finì i suoi giorni, se in Aversa o in Napoli, sua città d’origine.

 

 

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(1430-1471) Giacomo Carafa della Spina "il Longevo" 

 

Viene presentato, il Vescovo Giacomo, come uomo caritatevole e pastore premuroso. Originario di Napoli, il Carafa apparteneva a famiglia gentilizia e fu eletto Vescovo di Aversa nel 1430 da Papa Martino V.
Il Carafa aveva già un fratello, di nome Filippo, creato Cardinale di Bologna nel 1378.
Egli è uno dei pochi Vescovi aversani che abbia retto la Diocesi più a lungo; a ragione merita quindi l’appellativo di “longevo”.
Certo, durante i quasi 40 anni della sua azione pastorale, il Carafa ne dovette vedere di belle e di brutte, in Diocesi ed altrove.
Si riconoscono al Carafa doti di mente e di cuore, mentre la sua permanenza in Aversa fa concludere che dové conoscere cose ed uomini, dimostrando nel tempo stesso il suo attaccamento alla sede vescovile affidatagli.
Ebbe l’occazione, il Pastore zelante, di estirpare così abusi, raddrizzare animi sviati e riordinare diverse istituzioni dell’epoca.
Mai, come in questo tempo, c’era bisogno (non solo in Aversa) di un uomo che, oltre a pensare ed agire, si consumasse per il bene spirituale e morale dei suoi fedeli.
li Pastore volle iniziare la sua opera dal Capitolo cattedrale, forse per ammonire gli altri più lontani; nel Capitolo vigevano sovrastrutture: inutili cariche e privilegi che spesso provocavano quisquiglie giuridiche che producevano solo perdita di tempo.
Il Carafa, con la sua tenace pazienza, riuscì ad ottenere ordine e ad assegnare benefici a chi veramente meritava, sia per virtù che per meriti, ed il tutto nei tempi stabiliti.
Molti furono i suoi interventi per riaccendere nei fedeli la fiaccola della speranza.
Il Vescovo dedicò le sue amorevoli cure a chi più ne aveva bisogno, specie in occasione di pubbliche calamità e disgrazie, e ciò Io attesta la cronaca dell’epoca, specie nel 1456 e nel 1457, anni in cui tremò la terra ed arrecarono diverse rovine.
Il Presule si adoperava, in queste occasioni, per sollevare gli animi aiutando a far risorgere i pubblici edifici e privati.
Un’opera che lo annovera, poi, tra i più meritevoli della storia ecclesiastica aversana è l’aver lasciato ai posteri il quadro dipinto dall’Arcucci (napoletano) nel 1468: tuttora si può ammirare il bel S. Sebastiano che emerge sulla città di Aversa.
Qualche anno dopo il Carafa moriva in Aversa (1471) ma la sua tomba, per vari motivi, scompariva ed i suoi resti mortali venivano accomunati nel cimitero, che una volta si riservava ai Capitolari in riconoscenza del servizio prestato nel Duomo.

 

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(1471-1474) Pietro IV Brandi "lo Spagnolo" 


E’ stato già detto che la sede di Aversa - un tempo - era tra quelle diocesi più appetite ed allorché bisognava nominare un nuovo Vescovo, diversi erano i motivi che affioravano a favore di chi si credeva fosse il più idoneo e quasi sempre influivano interferenze e la spuntava, a volte, chi poteva confidare sull’appoggio autorevole più determinante, sia civile che ecclesiastico.
Orbene, la nomina di Pietro IV° avvenne certamente per l’interessamento del re Ferrante, che stimava l’eletto degno di tale carica (Vescovo), essendo Pietro Il cappellano della sua corte.
Tanto è vero che si conserva in un registro regio una lettera scritta dal re medesimo ad un Segretario di Congregazione - ministeri del Vaticano - di nome Rocca, perché si adoperasse per far ottenere la sede vescovile di Aversa al Brandi succitato.
Certamente il Pietro IV doveva essere di nazionalità spagnola, probabilmente catalano.
Scarne notizie si hanno di questo Vescovo: dovette continuare la sua azione di cappellano di corte mentre esercitava il suo ufficio di Vescovo, poiché in alcuni documenti tramandati, il Pietro si firma “Vescovo e cappellano regio”.
La permanenza in Diocesi aversana di Pietro durò tre anni circa, ma dell’attività sua pastorale rimane solo un vago ricordo, non evidenziandosi opere svolte o da lui sostenute.
La morte avvenne in Aversa, poiché si afferma che fu sepolto nella Cattedrale, ma le sue ossa non si sa dove furono traslocate allorché furono eseguiti lavori di trasformazione nel Duomo aversano.

 

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(1474-1500) Giov. Paolo Vassallo "il Mecenate" 



Poche volte era capitato - sino a quest’epoca - che ad un Vescovo aversano ne sia succeduto immediatamente un altro.
Difatti, morendo il predecessore, il Vassallo sostituì subito il posto vacante della Diocesi aversana.
C’è qualche cronista che varia di qualche anno la nomina del Vassallo a Vescovo, ma ciò è dovuto ai tempi mutevoli e contrastati del momento: facilmente, poi, venivano manomessi o distrutti i documenti, prime fonti della storia.
Certamente si può affermare che il Vassallo fosse figlio di un famoso giurista e nobile napoletano, il Rainaldo Vassallo, vissuto ai tempi della regina Giovanna II.
Viene indicato anche sotto quale Papa il Vassallo sia stato nominato Vescovo di Aversa, ossia Sisto IV.
Viveva, al tempo del Vassallo, il canonico Paolo Prassiccio, aversano, fratello di Luca, accademico e amico del Pontano, che apprezzò le doti del Vescovo e gli offrì la sua protezione.
Il Vassallo operò all’epoca della scoperta dell’America e all’invenzione della stampa: questi due eventi portarono trasformazioni in campo socio-economico, senza trascurare i grandi capovolgimenti politici che ebbero un riverbero sulla religione.
Si abbatterono pure gravi calamità sulle nostre zone. Vengono di fatto registrate epidemie e malattie infettive, che decimarono, solo nelle nostre terre, 30.000 persone, e segnalati 25.000 giudei (così erano denominati i portatori di infezioni).
Il Vescovo Vassallo contribuì certo ad alleviare sofferenze e prestare aiuti.
L’opera, poi, che ha quasi immortalato il Vassallo, che tuttora appare maestosa, è il bel campanile che si erge sulla sinistra della Cattedrale, con faccia ad oriente.
Tralasciando, invero, altre occasioni di interessamento dimostrato dal Vassallo, si segnala un’altra meritevole opera - oggi scomparsa - la fondazione del Monastero di S. Girolamo in Aversa.
Il Vassallo, avviandosi a lasciare questa terra, espresse il desiderio di essere sepolto nella sua diletta Napoli.
Prima di morire, volle mettere a profitto la nuova invenzione della stampa, facendo pubblicare il primo Breviario diocesano.
I desideri del Vassallo furono eseguiti, avendo già eretto, nella chiesa di Monte Oliveto in Napoli, un magnifico sepolcro ove fu deposto, nella cappella dedicata al SS. Sacramento, si dice da lui eretta.

 

 

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(1501 -1515) Card. Luigi d’Aragona "il Vedovo" 


Alla nomina dell’Aragona, la sede vescovile di Aversa era vacante solo da qualche mese, accogliendo il nuovo deputato che già era Cardinale.
Costui, nipote di Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli, figlio di Errico, marchese di Gerace, alla morte del padre aveva ereditato anche il titolo.
A 21 anni sposò Battista Cibò, parente di Innocenzo VIII, morta dopo pochi mesi di matrimonio e senza figli.
Rimasto vedovo, Luigi d’Aragona rinunziò al marchesato e, a 22 anni, fu nominato Cardinale da Papa Alessandro VI (1496) con il titolo di “S. Maria in Aquiro”.
Molti cardinali, a quei tempi, non erano nemmeno consacrati, erano dei semplici laici che prestavano servigi alla Chiesa, venendo beneficati col titolo: non erano però né sacerdoti, né vescovi.
Tanto è vero che il d’Aragona era stato nominato cardinale diacono (la diaconia era proprio riservata, quasi sempre, ai laici).
Per tal motivo, non bisogna scandalizzarsi se un laico, nonostante avesse il titolo di Cardinale, potesse andare a combattere o partecipare a manifestazioni consone alla mentalità laica.
Orbene, il d’Aragona, scelto per la sede vescovile di Aversa, non ebbe il titolo di “Vescovo”, ma solo di amministratore, che poi rassegnò nel 1515.
Lo svolgimento delle attività del d’Aragona in Diocesi erano inerenti al suo titolo (legato della S. Sede), poiché il ministero pastorale era svolto da ‘‘vicari’’ sacerdoti.
La storia di fatto nomina il Cardinale d’Aragona nel 1497 allorché ebbe il titolo cardinalizio; nel 1948 lo addita quale amministratore di Lecce e, nel 1501, amministratore di Aversa.
Inoltre, nel 1513, continua la storia, ebbe la “commenda” della Chiesa di Cava (SA), poi di Alessano e l’Abazia di Montevergine (AV).
Come se non bastasse, viene ancora tramandato che il d’Aragona nel 1514 fu nominato commendatario dell’Abazia di S. Lorenzo in Aversa e, nel 1517, della Chiesa di Nardò (come si nota: varie cariche che svolgeva perché incaricato dal la sede apostolica).
Moriva il d’Aragona solo all’età di 44 anni, nel 1559, avendo già lasciato la nostra Diocesi, e fu sepolto a Roma, nella chiesa di S. Maria della Minerva, lodato - secondo l’épitaffio - per tanto lavoro svolto, per l’impegno dimostrato, ma con un certo disappunto di qualcuno, per essere morto nel pieno vigore delle sue forze.

 

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(1515-1519) Silvio Pandone "il Fiduciario" 


Già prima di essere eletto Vescovo, Silvio Pandone era stato “Vicario” del predecessore con pieni poteri, essendo il titolare della sede impegnato altrove.
Originario, il Pandone, forse di Venafro, allora contea tenuta da suo padre Francesco Errico. Esercitava il suo ufficio di vicario essendo già Vescovo di Boiano; si potrebbe dire che per lui fu un vero e legittimo trasferimento quello di Aversa.
Si dà l’appellativo, al Pandone, di “Pastore esimio” ed i fedeli del tempo apprezzarono certamente tale Presule, come lo attestano le lusinghiere approvazioni delle sue doti.
Bisogna riconoscere che il Pandone conosceva già l’ambiente nostrano (non facile a prima vista) e si adoperasse a risolvere i problemi inerenti al tempo.
Quantunque il Pandone non abbia lasciato opere teologiche oppure murarie, ha indirizzato tutta la sua vita ad erigere monumenti viventi, quali sono le anime, profondendo a piene mani le sue energie e doti; insomma, era un forgiatore di anime che preparava alla vita e le indirizzava ad un fine supremo.
L’elogio posto sul suo sepolcro dice che fu “fornito di ogni genere di virtù”.
Non è di tutti i giorni incontrare uomini di zelo disinteressato. Ci può essere qualcuno che non apprezza nelle giuste misure le qualità di un personaggio, ma - per fortuna - sono le virtù che favoriscono la gente depressa, stanca, umiliata ed offesa.
Da buon intenditore il Pandone esercitò la sua missione di Pastore per risollevare le sorti del popolo aversano.
Non poté Aversa custodire i suoi resti mortali, in quanto il Pandone fu tumulato nella chiesa di Boiano.
Fu l’attaccamento, forse, alla sua prima chiesa o altre ragioni che dovettero prevalere e che ai posteri sono sconosciute.

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