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(1427-1430) Pietro
III Caracciolo "il Favorito"
E’ accertato che Pietro
Caracciolo sia stato un parente del famoso Caracciolo, consigliere della
regina Giovanna II, che esercitò il suo ufficio con mano potente e
decisiva. E’ lo stesso cognome che fa dedurre la discendenza del
Vescovo da una famiglia facoltosa e politica napoletana. Per la venuta
in Aversa del Caracciolo e del suo possesso, c’è una discrepanza: difatti,
taluni sostengono la data 1422, mentre altri 1427. Se si accetta l’anno
1422, la data viene raccordata con la rinuncia che fece il Cardinale
Brancaccio di Aversa (fermo restando il privilegio di questi sul beneficio
ricevuto a vita). Se poi si vuole che la nomina di Pietro III sia
avvenuta nel 1427, la si deve accettare con una certa arbitrarietà. Il
motivo di tale chiarifica Io si deve alla venuta in Aversa di Luigi III
d’Angiò, ove si tratteneva, nel castello donato poi ai PP. Celestini, la
regina Giovanna II. Che fosse stato per quella occasione o per altri
motivi, la regina Giovanna II, riporta la cronaca, volle concedere dei
benefici al popolo che festosamente l’aveva accolta. Nel periodo di
Pietro III si dice ancora che la regina unì l’Ospedale di S. Eligio, di
fronte all’attuale chiesa di Casaluce in Aversa, con quello
dell’Annunziata. Il merito è soprattutto del Vescovo Pietro III,
perché parente del consigliere della regina suddetta e così per altre
opere che si attuarono in diocesi. Di Pietro III la cronaca non
trasmette ove finì i suoi giorni, se in Aversa o in Napoli, sua città
d’origine.
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(1430-1471)
Giacomo Carafa della Spina "il Longevo"
Viene presentato, il Vescovo Giacomo, come uomo
caritatevole e pastore premuroso. Originario di Napoli, il Carafa
apparteneva a famiglia gentilizia e fu eletto Vescovo di Aversa nel 1430
da Papa Martino V. Il Carafa aveva già un fratello, di nome Filippo,
creato Cardinale di Bologna nel 1378. Egli è uno dei pochi Vescovi
aversani che abbia retto la Diocesi più a lungo; a ragione merita quindi
l’appellativo di “longevo”. Certo, durante i quasi 40 anni della sua
azione pastorale, il Carafa ne dovette vedere di belle e di brutte, in
Diocesi ed altrove. Si riconoscono al Carafa doti di mente e di cuore,
mentre la sua permanenza in Aversa fa concludere che dové conoscere cose
ed uomini, dimostrando nel tempo stesso il suo attaccamento alla sede
vescovile affidatagli. Ebbe l’occazione, il Pastore zelante, di
estirpare così abusi, raddrizzare animi sviati e riordinare diverse
istituzioni dell’epoca. Mai, come in questo tempo, c’era bisogno (non
solo in Aversa) di un uomo che, oltre a pensare ed agire, si consumasse
per il bene spirituale e morale dei suoi fedeli. li Pastore volle
iniziare la sua opera dal Capitolo cattedrale, forse per ammonire gli
altri più lontani; nel Capitolo vigevano sovrastrutture: inutili cariche e
privilegi che spesso provocavano quisquiglie giuridiche che producevano
solo perdita di tempo. Il Carafa, con la sua tenace pazienza, riuscì ad
ottenere ordine e ad assegnare benefici a chi veramente meritava, sia per
virtù che per meriti, ed il tutto nei tempi stabiliti. Molti furono i
suoi interventi per riaccendere nei fedeli la fiaccola della
speranza. Il Vescovo dedicò le sue amorevoli cure a chi più ne aveva
bisogno, specie in occasione di pubbliche calamità e disgrazie, e ciò Io
attesta la cronaca dell’epoca, specie nel 1456 e nel 1457, anni in cui
tremò la terra ed arrecarono diverse rovine. Il Presule si adoperava,
in queste occasioni, per sollevare gli animi aiutando a far risorgere i
pubblici edifici e privati. Un’opera che lo annovera, poi, tra i più
meritevoli della storia ecclesiastica aversana è l’aver lasciato ai
posteri il quadro dipinto dall’Arcucci (napoletano) nel 1468: tuttora si
può ammirare il bel S. Sebastiano che emerge sulla città di
Aversa. Qualche anno dopo il Carafa moriva in Aversa (1471) ma la sua
tomba, per vari motivi, scompariva ed i suoi resti mortali venivano
accomunati nel cimitero, che una volta si riservava ai Capitolari in
riconoscenza del servizio prestato nel Duomo.
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(1471-1474) Pietro IV
Brandi "lo Spagnolo"
E’
stato già detto che la sede di Aversa - un tempo - era tra quelle diocesi
più appetite ed allorché bisognava nominare un nuovo Vescovo, diversi
erano i motivi che affioravano a favore di chi si credeva fosse il più
idoneo e quasi sempre influivano interferenze e la spuntava, a volte, chi
poteva confidare sull’appoggio autorevole più determinante, sia civile che
ecclesiastico. Orbene, la nomina di Pietro IV° avvenne certamente per
l’interessamento del re Ferrante, che stimava l’eletto degno di tale
carica (Vescovo), essendo Pietro Il cappellano della sua corte. Tanto è
vero che si conserva in un registro regio una lettera scritta dal re
medesimo ad un Segretario di Congregazione - ministeri del Vaticano - di
nome Rocca, perché si adoperasse per far ottenere la sede vescovile di
Aversa al Brandi succitato. Certamente il Pietro IV doveva essere di
nazionalità spagnola, probabilmente catalano. Scarne notizie si hanno
di questo Vescovo: dovette continuare la sua azione di cappellano di corte
mentre esercitava il suo ufficio di Vescovo, poiché in alcuni documenti
tramandati, il Pietro si firma “Vescovo e cappellano regio”. La
permanenza in Diocesi aversana di Pietro durò tre anni circa, ma
dell’attività sua pastorale rimane solo un vago ricordo, non
evidenziandosi opere svolte o da lui sostenute. La morte avvenne in
Aversa, poiché si afferma che fu sepolto nella Cattedrale, ma le sue ossa
non si sa dove furono traslocate allorché furono eseguiti lavori di
trasformazione nel Duomo aversano.
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(1474-1500) Giov.
Paolo Vassallo "il Mecenate"
Poche volte era capitato - sino a quest’epoca - che ad un
Vescovo aversano ne sia succeduto immediatamente un altro. Difatti,
morendo il predecessore, il Vassallo sostituì subito il posto vacante
della Diocesi aversana. C’è qualche cronista che varia di qualche anno
la nomina del Vassallo a Vescovo, ma ciò è dovuto ai tempi mutevoli e
contrastati del momento: facilmente, poi, venivano manomessi o distrutti i
documenti, prime fonti della storia. Certamente si può affermare che il
Vassallo fosse figlio di un famoso giurista e nobile napoletano, il
Rainaldo Vassallo, vissuto ai tempi della regina Giovanna II. Viene
indicato anche sotto quale Papa il Vassallo sia stato nominato Vescovo di
Aversa, ossia Sisto IV. Viveva, al tempo del Vassallo, il canonico
Paolo Prassiccio, aversano, fratello di Luca, accademico e amico del
Pontano, che apprezzò le doti del Vescovo e gli offrì la sua
protezione. Il Vassallo operò all’epoca della scoperta dell’America e
all’invenzione della stampa: questi due eventi portarono trasformazioni in
campo socio-economico, senza trascurare i grandi capovolgimenti politici
che ebbero un riverbero sulla religione. Si abbatterono pure gravi
calamità sulle nostre zone. Vengono di fatto registrate epidemie e
malattie infettive, che decimarono, solo nelle nostre terre, 30.000
persone, e segnalati 25.000 giudei (così erano denominati i portatori di
infezioni). Il Vescovo Vassallo contribuì certo ad alleviare sofferenze
e prestare aiuti. L’opera, poi, che ha quasi immortalato il Vassallo,
che tuttora appare maestosa, è il bel campanile che si erge sulla sinistra
della Cattedrale, con faccia ad oriente. Tralasciando, invero, altre
occasioni di interessamento dimostrato dal Vassallo, si segnala un’altra
meritevole opera - oggi scomparsa - la fondazione del Monastero di S.
Girolamo in Aversa. Il Vassallo, avviandosi a lasciare questa terra,
espresse il desiderio di essere sepolto nella sua diletta Napoli. Prima
di morire, volle mettere a profitto la nuova invenzione della stampa,
facendo pubblicare il primo Breviario diocesano. I desideri del
Vassallo furono eseguiti, avendo già eretto, nella chiesa di Monte Oliveto
in Napoli, un magnifico sepolcro ove fu deposto, nella cappella dedicata
al SS. Sacramento, si dice da lui eretta.
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(1501 -1515) Card.
Luigi d’Aragona "il Vedovo"
Alla nomina dell’Aragona, la sede vescovile di Aversa era
vacante solo da qualche mese, accogliendo il nuovo deputato che già era
Cardinale. Costui, nipote di Ferdinando I d’Aragona, re di Napoli,
figlio di Errico, marchese di Gerace, alla morte del padre aveva ereditato
anche il titolo. A 21 anni sposò Battista Cibò, parente di Innocenzo
VIII, morta dopo pochi mesi di matrimonio e senza figli. Rimasto
vedovo, Luigi d’Aragona rinunziò al marchesato e, a 22 anni, fu nominato
Cardinale da Papa Alessandro VI (1496) con il titolo di “S. Maria in
Aquiro”. Molti cardinali, a quei tempi, non erano nemmeno consacrati,
erano dei semplici laici che prestavano servigi alla Chiesa, venendo
beneficati col titolo: non erano però né sacerdoti, né vescovi. Tanto è
vero che il d’Aragona era stato nominato cardinale diacono (la diaconia
era proprio riservata, quasi sempre, ai laici). Per tal motivo, non
bisogna scandalizzarsi se un laico, nonostante avesse il titolo di
Cardinale, potesse andare a combattere o partecipare a manifestazioni
consone alla mentalità laica. Orbene, il d’Aragona, scelto per la sede
vescovile di Aversa, non ebbe il titolo di “Vescovo”, ma solo di
amministratore, che poi rassegnò nel 1515. Lo svolgimento delle
attività del d’Aragona in Diocesi erano inerenti al suo titolo (legato
della S. Sede), poiché il ministero pastorale era svolto da ‘‘vicari’’
sacerdoti. La storia di fatto nomina il Cardinale d’Aragona nel 1497
allorché ebbe il titolo cardinalizio; nel 1948 lo addita quale
amministratore di Lecce e, nel 1501, amministratore di Aversa. Inoltre,
nel 1513, continua la storia, ebbe la “commenda” della Chiesa di Cava
(SA), poi di Alessano e l’Abazia di Montevergine (AV). Come se non
bastasse, viene ancora tramandato che il d’Aragona nel 1514 fu nominato
commendatario dell’Abazia di S. Lorenzo in Aversa e, nel 1517, della
Chiesa di Nardò (come si nota: varie cariche che svolgeva perché
incaricato dal la sede apostolica). Moriva il d’Aragona solo all’età di
44 anni, nel 1559, avendo già lasciato la nostra Diocesi, e fu sepolto a
Roma, nella chiesa di S. Maria della Minerva, lodato - secondo l’épitaffio
- per tanto lavoro svolto, per l’impegno dimostrato, ma con un certo
disappunto di qualcuno, per essere morto nel pieno vigore delle sue
forze.
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(1515-1519) Silvio
Pandone "il Fiduciario"
Già prima di essere eletto Vescovo, Silvio Pandone era
stato “Vicario” del predecessore con pieni poteri, essendo il titolare
della sede impegnato altrove. Originario, il Pandone, forse di Venafro,
allora contea tenuta da suo padre Francesco Errico. Esercitava il suo
ufficio di vicario essendo già Vescovo di Boiano; si potrebbe dire che per
lui fu un vero e legittimo trasferimento quello di Aversa. Si dà
l’appellativo, al Pandone, di “Pastore esimio” ed i fedeli del tempo
apprezzarono certamente tale Presule, come lo attestano le lusinghiere
approvazioni delle sue doti. Bisogna riconoscere che il Pandone
conosceva già l’ambiente nostrano (non facile a prima vista) e si
adoperasse a risolvere i problemi inerenti al tempo. Quantunque il
Pandone non abbia lasciato opere teologiche oppure murarie, ha indirizzato
tutta la sua vita ad erigere monumenti viventi, quali sono le anime,
profondendo a piene mani le sue energie e doti; insomma, era un forgiatore
di anime che preparava alla vita e le indirizzava ad un fine
supremo. L’elogio posto sul suo sepolcro dice che fu “fornito di ogni
genere di virtù”. Non è di tutti i giorni incontrare uomini di zelo
disinteressato. Ci può essere qualcuno che non apprezza nelle giuste
misure le qualità di un personaggio, ma - per fortuna - sono le virtù che
favoriscono la gente depressa, stanca, umiliata ed offesa. Da buon
intenditore il Pandone esercitò la sua missione di Pastore per risollevare
le sorti del popolo aversano. Non poté Aversa custodire i suoi resti
mortali, in quanto il Pandone fu tumulato nella chiesa di Boiano. Fu
l’attaccamento, forse, alla sua prima chiesa o altre ragioni che dovettero
prevalere e che ai posteri sono sconosciute.
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