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(1687-1697) Card.
Fortunato Carafa "il Gentile"
Il
Vescovo Fortunato fu l’ultimo della serie appartenenti alla famiglia
Carafa, che occuparono la sede vescovile di Aversa per circa 80
anni. Ci si meraviglia, forse, perché durarono così a lungo i parenti
Carafa nella successione e perché la Diocesi fu retta da fratelli e
cugini. Si è accennato al tempo del “nepotismo”, che arrecò a volte
danni alla Chiesa (piaga di cui non sempre si riesce a guarire e di cui
non va esente quasi nessuno tuttoggi, nemmeno chi grida allo scandalo:
qualcuno diceva che bisognava distruggere la parentela e l’amicizia per
purificare la società di tali mali). Tra quelli che alzarono la voce ed
emanarono decreti, vi fu Papa Innocenzo XII, nel 1691, che condannava il
“nepotismo”. Per quanto riguarda la diocesi aversana, il rovescio della
medaglia arrecò dei vantaggi, perché un’opera intrapresa da un parente
veniva certamente completata da un altro, spinto, se non altro, da spirito
di emulazione e di orgoglio di famiglia. Difatti, se oggi si ammirano
in Cattedrale opere irripetibili, il tutto lo si deve alla famiglia
Carafa. Di Fortunato, invero, non si può affermare il luogo d’origine;
si può dire certo che è un discendente Carafa, nipote del Vescovo Carlo I Carafa e fratello sia del Cardinale Carafa, come del Vescovo Paolo. I
primi anni Fortunato li passò in Messina, città in cui aveva quale
Arcivescovo un suo zio, che gli fece anche da “precettore”, preparandosi e
formandosi con una volontà decisa. Fu nominato Cardinale un anno prima
di essere eletto Vescovo di Aversa, al tempo di Innocenzo XI, e nel 1687
prese possesso della Diocesi Aversana. L’ingresso in Diocesi fu solenne,
racconta la cronaca, però funestato da un terremoto: era il
5-6-1688. La cerimonia fu turbata solo per poco tempo, poiché, passato
lo spavento del terremoto, essa continuò, secondo l’attestazione
dell’Anonimo aversano. Dopo 5 anni di lavoro pastorale in Diocesi,
Fortunato fu inviato quale legato pontificio a Ravenna da Papa Innocenzo
XII. Fortunato, appena un anno dopo, se ne ritornò, forse spinto
dall’amore alla propria Diocesi, portando seco le spoglie di San Fortunato
martire, deponendole in un luogo degno, ossia nella cappella delle
Reliquie, nel Duomo. Il suo continuo ideale fu la formazione della
gioventù e, per ottenere ciò, chiese dei Padri Minori, offrendo loro la
casa “S. Anna”, ma il loro arrivo non si avverò. S’interessò, pure, delle
giovani in pericolo, assegnando ad esse la casa di “Mater Dei”. Forse
fu tra i Carafa l’uomo più stimato a motivo dei suoi atteggiamenti
garbati: è pur vero che il popolo lo amava (non è tanto facile
accattivarsi la gente). Fortunato si spense in Napoli nel 1697, ma la
sua tomba l’aveva preparata - per testamento - a fianco a quelle dei suoi
congiunti Vescovi, presso la cappella Lauretana.
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(1697-1730)
Card. Innico Caracciolo "il Pastore"
Figlio
del duca Francesco, il Caracciolo nacque in Martina (feudo di famiglia) il
9 luglio 1642. Suo padre era alle dipendenze del re Carlo Il di Spagna
ed, allorchè fece ritorno in Napoli - città forse di origine - morì ancor
giovane in duello. lnnico fu educato all’arte cavalleresca ed, appena
giovane, si trasferì in Spagna e, mentre viveva in una splendida corte,
cominciò a sentire un certo desiderio di vita diversa; volle lasciare il
mondo, iniziando a mortificarsi ed abbracciando la vita
sacerdotale. lnanto si trasferì a Roma ed entrò nella vita diplomatica.
Ben presto, apprezzato da Papa Innocenzo XI fu inviato a Malta come
inquisitore. Ma il suo animo lo induceva a dar subito prova di generosità
caritatevole, tanto che alla sua partenza lasciò rimpianti e dolci
ricordi. Il Papa Alessandro VIII, in seguito, nominò il Caracciolo
“Segretario” della Congregazione della Disciplina ed il Papa successore,
Innocenzo XII, avendo aperto a Roma un ospedale per i bisognosi, gli
affidò la presidenza, a motivo della sua carità e dello spirito di
devozione al prossimo. Essendo la sede vescovile di Aversa una delle
più importanti del Mezzogiorno, alla morte dell’ultimo Carafa, il
Caracciolo fu designato dal Papa quale degno Pastore. All’inizio il
Caracciolo rifiutò e così per la seconda volta, ma, quando il Papa glielo
impose, accettò l’episcopato aversano. Fu consacrato Vescovo il 24marzo
1697, mentre il possesso della Diocesi avveniva il 29 giugno
seguente. Il pensiero costante del Caracciolo era la Cattedrale e il
Seminario, senza tralasciare di profondere le sue energie per le anime e
per qualsiasi iniziativa che andava a beneficio della Diocesi.
E’
passato alla storia quale generoso e zelante Pastore, lasciando un
seminario che, dal lato strutturale, è tuttora ammirevole, servendosi di
artisti del tempo, forse dello stesso Vanvitelli. L’ardore che Io
infiammava per la sua chiesa gli fece affrontare immense spese con la
gioia di vedere rinnovata la Cattedrale con lavori che durarono daI
1703 al 1715, valutata poi un monumento storico. Preparava nel contempo
un’altra grande struttura, che doveva scalfire le anime: il “Sinodo”,
indicandone lo scopo. Per svariati meriti, la S. Sede neI 1715 volle
elevarlo alla dignità cardinalizia, senza turbamenti da parte
dell’interessato, che continuò a lavorare nella vigna affidatagli,
aumentando il suo zelo, inculcando nei fedeli l’amore a Gesù Eucaristia
attraverso la pratica delle “Quarantore” (tuttora sentita nella Diocesi
aversana). Ad un’età veneranda il Cardinale Caracciolo, nel settembre
del 1730, moriva a Roma, colà presente per partecipare all’elezione del
nuovo Papa, che fu Clemente XII, e le spoglie mortali furono deposte
nella chiesa della Vittoria, ove rimasero sino al 1732. In quell’anno i
resti del Cardinale furono traslocati in Aversa, avendo egli espresso il
desiderio di essere seppellito nella cappella del Santissimo nel Duomo.
Quella Cappella, che lui aveva sontuosamente abbellita e ristrutturata,
oggi accoglie un sontuoso mausoleo offertogli da un suo nipote,
apponendo un semplice scritto che per mio volere dice: “ossa del
Cardinale I. Caracciolo”. A lui,che resse la Diocesi per ben 34 anni,si
deve riconoscenza filiale e devota.
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(1730-1735)
Card. Giuseppe Firrao "lo Statista"
Il
Firrao non poté emulare, nelle opere e nel pensiero, il predecessore,
essendo di tutt’altro carattere. Inoltre, non ebbe nemmeno il tempo
disponibile per poter conoscère il suo gregge. La storia, a suo
riguardo, ci fa sapere che era discendente di nobile famiglia, un ramo del
ceppo di Rabone, condottiero normanno. Nato il 12 luglio 1670 in Luzzi
da Giuseppe, che aveva ereditato il feudo nell’ambito della Diocesi di
Bisignano, nella Marche. Il Firrao dedicò la sua vita alla carriera
ecclesiastica e quasi sempre in giro per l’Europa, quale “Nunzio”
apostolico. La prudente sua opera di statista fu di valido aiuto al
governo della Chiesa, perciò apprezzato e premiato dai diversi papi
dell’epoca. Mentre era impegnato nel 1730 in Portogallo, moriva il Papa
Benedetto XII ed il Firrao dovette rientrare a Roma. Già era stato
nominato Cardinale, avendo fatto da intermediario tra il Papa ed il re
Giovanni V, ottenendo la riappacificazione tra i due. Il Collegio
cardinalizio si riuniva per eleggere il nuovo Papa Clemente XII: era
presente pure lnnico Caracciolo, che veniva a mancare, il Firrao lo
sostituì nella Diocesi aversana. A seguito della sede vacante di Aversa,
il Firrao ne prese il possesso, ma solo per procura. Il governo della
Diocesi quindi fu affidato ad un “Vicario’ come in altri
tempi. Soltanto dopo due anni circa, nel 1732, il Firrao arrivò in
Aversa e, nonostante assillato da varie ambascerie, indisse la Visita
pastorale in quell’anno. Esperto e stimato diplomatico, sistemò
questioni giuridiche sospese, difendendo i diritti della Mensa vescovile,
avvantaggiandola anche amministrativamente. La Diocesi vedeva il suo
Vescovo a sprazzi, e la cronaca Io segnala di tanto in tanto, come quando
nel 1734 il principe Carlo III Borbone (figlio del re di Spagna),
trovandosi in Provincia di Caserta volle visitare la città di Aversa: fu
accolto, il principe, dal Firrao solennemente in Cattedrale, insieme al
Capitolo ed il popolo. Si rese conto dell’impossibilità di reggere la
Diocesi aversana e svolgere la carica di “legato” pontificio, si decise
quindi a rinunziare alla Diocesi. Prima di andar via, volle affidare ai
padri Gesuiti una missione al popolo. Come ricordo, adornò il trono
episcopale di lamine d’oro e di splendidi drappi. Lasciò la Diocesi nel
1735, vivendo alla corte pontificia sino al 1740. Trapassò in Roma nel
1 744 e fu tumulato in S. Croce di Gerusalemme, chiesa che gli era stata
affidata quando ebbe il titolo cardinalizio.
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(5
giugno-13 agosto 1735) Ercole Michele Aierbo d'Aragona "il
Fugace"
Non vi fu
interruzione tra il predecessore ed il nuovo Vescovo Ercole d’Aragona sul
trono episcopale di Aversa. La storia non tramanda di Ercole il natio
luogo, mentre registra l’origine della sua famiglia: di stirpe reale,
discendente dai principi di Cassano. Il designato ad Aversa era già
consacrato Vescovo e godeva del titolo di Panfilia; passò, poi, alla
Diocesi di Mileto (Calabria) ed infine scelto per la sede
aversana. L’Ercole, nominato in giugno del 1735, venne in Aversa nel
mese di agosto dello stesso anno; il suo pensiero dominante - corre già
per altri vescovi - fu la Cattedrale ed il seminario.
Rimanevano
ancora debiti lasciati dal Caracciolo, che in parte erano stati saldati
dal Firrao, e quasi una metà l’Ercole si adoperò a pagare con grandi
sacrifici, chiedendo aiuti a chiunque. I lavori che avevano procurati
debiti testimoniavano la bontà della spesa e questo era un giustificato
motivo, essendo stati devoluti per opere murarie degne e sacre come la
Cattedrale ed il seminario. Già ne vedeva gli effetti l’Ercole, specie per
il seminario, che accoglieva nuove vocazioni e più abbondanti. Ormai il
Vescovo si era prefisso un programma, che certamente dava i suoi
risultati, ma solo a tre mesi di distanza del suo arrivo in Aversa, lo
colse la morte prematura. Fu rimpianto, avendo dimostrato in breve
tempo la volontà di continuare sempre meglio ciò che avevano attuato i
suoi predecessori. Dispiace non conoscere se l’Ercole mori in Diocesi o
meno ed il luogo ove fu sepolto.
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(1735-1761)
Filippo Nicolo' Spinelli
"l'Affabile"
Fu di origine principesca la
nascita di Nicolò Spinelli, Appena
giovanetto perdette il padre e fu affidato, dalla madre, ad un suo zio, il
Cardinale
Francesco Pignatelli, che era Arcivescovo di Napoli.
La madre sperava che alla scuola
del Cardinale suo figlio potesse formarsi e prepararsi un buon avvenire
(è
il desiderio di tutte le mamme).
Da Napoli, il Nicolò passò a
Roma, sotto la tutela di un altro zio
materno, P. Luigi Carafa. Ed arrivato all'eta idonea frequentò in Roma la "Prelatura",
nella speranza di qualche incarico che lo portasse a raggiungere una degna
carriera.
Difatti fu inviato, quale
vicedelegato pontificio, prima a Ferrara e poi a Ravenna: in queste occasioni non gli
mancarono apprezzamenti di buon governo.
Allorché si fece vacante la sede
di Aversa, fu nominato Vescovo da Papa Clemente XII: era il settembre del
1735; dopo un mese veniva consacrato e prendeva possesso immediato del
vescovado di Aversa.
A 32 anni lo Spinelli fu accolto
Pastore e si può dire che rimanesse sempre giovane nel carattere e nei
contatti umani, tanto da attirarsi la simpatia dei fedeli per la sua
affabilità.
Nel governo della
Diocesi, però, lo Spinelli, sin dall'inizio, mostrò di avere doti
superiori all'età, fornito come era di prudenza, di rettitudine, di senno
ed amante di bellezza nell'ordine.
In verità la storia di lui dice che
fosse "uomo amorevole" con tutti, affabile soprattutto con gli indifesi e
con i poveri, di cui era il benefattore ..
Lo Spinelli viene ancora ricordato
come un gran devoto dell'Eucarestia, dando esempio di pietà, specie
mostrandosi profondamente raccolto nelle sacre funzioni e lasciando
concreti ricordi nelle varie e preziose suppellettili acquistate e donate.
In particolare, durante la Visita
pastorale, soccorreva quelle chiese più bisognose, offrendo un po'
dappertutto quelle suppellettili indispensabili per lo svolgimento della
sacre celebrazioni.
Voleva funzioni solenni e
comportamento dignitoso da parte dei sacerdoti, raccomandando compostezza
ai fedeli che assistevano ai sacri riti.
E' del suo operato se la chiesa di
S. Francesco in Aversa fu adornata di marmi policromi, tanto da essere
catalogata tra i monumenti nazionali.
Qualcuno insinuò che lo Spinelli
si attendesse il galero cardinalizio, che per la verità mai venne, e la
sua stessa morte, dopo poco avvenuta, la si attribuisce ad un
avvelenamento, essendosi sentito male il Vescovo dopo aver partecipato ad
un pranzo. Morto a Napoli, fu trasportato in Aversa e, svolti i riti
funebri - nel più grande squallore - nel 1761 fu sepolto nel cimitero
della Cattedrale.
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(1761-1765)
Giov. Battista Caracciolo "il Matematico"
Discendeva il Giovanbattista da una famiglia nobile
napoletana, duchi di S. Vito. Da giovane volle entrare nella Congregazione
dei Teatini (di questa Congregazione fu già accennato). Fu scelto a
dirigere la Direzione del suo Istituto a motivo delle sue eccelse doti,
specie in campo matematico. La cronaca afferma che il Caracciolo dové
lasciare il regno di Napoli, avendo scritto una satira contro il lusso e
la licenza delle donne napoletane. La città che poteva soddisfano per
le sue inclinazioni scientifiche era certamente Pisa, ove si recò e poté
insegnare quale professore di matematica. Scrisse poi su argomenti di
questo genere; difatti ha lasciato opere riguardanti l’algebra,
l’aritmetica e la geometria. E mentre faceva parte dell’Accademia
pisana, fu scelto Vescovo di Aversa: era il 27 gennaio del
1761. Qualche malevolo dell’epoca spargeva la voce che fosse stato
nominato Vescovo per opera del Tanucci, nativo di Pisa e reggente il
Ministero del regno napoletano. All’inizio del suo episcopato, il
Caracciolo volle subito indire la Visita Pastorale, coadiuvato da 4
stimati sacerdoti aversani, accingendosi a saldare gli ultimi debiti
contratti dal Vescovo lnnico per le monumentali opere
murarie. Scoppiò, in Aversa ed in tutto il regno napoletano, una
grave carestia e, per l’evento eccezionale, un sacerdote francescano di
Parete, Matteo Pellegrino, scrisse che nel 1 763 e 1764 mancò anche in
Aversa il grano, ambiente considerato “madre del grano”. Il Caracciolo
si trovò davanti una turba affamata, ridotta a “cibarsi d’erbe come
animali e peggio, mangiando pampane di ravanelli e cipolle puzzolenti,
stepiti di cardi”. Passata la calamità, stanco, forse, ed affaticato,
il Caracciolo affidò l’incarico della Diocesi ad un degnissimo sacerdote,
Lorenzo Potenza (divenuto poi Vescovo di Ariano) e si ritirò a
Casamarciano, vicino Nola, in un monastero benedettino. lvi moriva qualche
mese depo e sepolto nello stesso cimitero dei benedettini.
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