1687 Card. Fortunato Carafa  1697 Card. Innico Caracciolo 1730 Card. G.Firrao
1735 Ercole M. Aierbo d'Aragona 1735 Filippo Nicolo' Spinelli 1761 Giov. Battista Caracciolo

(clicca sui relativi nomi qui sopra per leggere i relativi profili)

 

 

 

 

                                                                 

 

(1687-1697) Card. Fortunato Carafa "il Gentile" 

Il Vescovo Fortunato fu l’ultimo della serie appartenenti alla famiglia Carafa, che occuparono la sede vescovile di Aversa per circa 80 anni.
Ci si meraviglia, forse, perché durarono così a lungo i parenti Carafa nella successione e perché la Diocesi fu retta da fratelli e cugini.
Si è accennato al tempo del “nepotismo”, che arrecò a volte danni alla Chiesa (piaga di cui non sempre si riesce a guarire e di cui non va esente quasi nessuno tuttoggi, nemmeno chi grida allo scandalo: qualcuno diceva che bisognava distruggere la parentela e l’amicizia per purificare la società di tali mali).
Tra quelli che alzarono la voce ed emanarono decreti, vi fu Papa Innocenzo XII, nel 1691, che condannava il “nepotismo”.
Per quanto riguarda la diocesi aversana, il rovescio della medaglia arrecò dei vantaggi, perché un’opera intrapresa da un parente veniva certamente completata da un altro, spinto, se non altro, da spirito di emulazione e di orgoglio di famiglia.
Difatti, se oggi si ammirano in Cattedrale opere irripetibili, il tutto lo si deve alla famiglia Carafa.
Di Fortunato, invero, non si può affermare il luogo d’origine; si può dire certo che è un discendente Carafa, nipote del Vescovo Carlo I Carafa e fratello sia del Cardinale Carafa, come del Vescovo Paolo.
I primi anni Fortunato li passò in Messina, città in cui aveva quale Arcivescovo un suo zio, che gli fece anche da “precettore”, preparandosi e formandosi con una volontà decisa.
Fu nominato Cardinale un anno prima di essere eletto Vescovo di Aversa, al tempo di Innocenzo XI, e nel 1687 prese possesso della Diocesi Aversana. L’ingresso in Diocesi fu solenne, racconta la cronaca, però funestato da un terremoto: era il 5-6-1688.
La cerimonia fu turbata solo per poco tempo, poiché, passato lo spavento del terremoto, essa continuò, secondo l’attestazione dell’Anonimo aversano.
Dopo 5 anni di lavoro pastorale in Diocesi, Fortunato fu inviato quale legato pontificio a Ravenna da Papa Innocenzo XII.
Fortunato, appena un anno dopo, se ne ritornò, forse spinto dall’amore alla propria Diocesi, portando seco le spoglie di San Fortunato martire, deponendole in un luogo degno, ossia nella cappella delle Reliquie, nel Duomo.
Il suo continuo ideale fu la formazione della gioventù e, per ottenere ciò, chiese dei Padri Minori, offrendo loro la casa “S. Anna”, ma il loro arrivo non si avverò. S’interessò, pure, delle giovani in pericolo, assegnando ad esse la casa di “Mater Dei”.
Forse fu tra i Carafa l’uomo più stimato a motivo dei suoi atteggiamenti garbati: è pur vero che il popolo lo amava (non è tanto facile accattivarsi la gente).
Fortunato si spense in Napoli nel 1697, ma la sua tomba l’aveva preparata - per testamento - a fianco a quelle dei suoi congiunti Vescovi, presso la cappella Lauretana.

 

 

Torna su 

 

 

 

 

 

(1697-1730) Card. Innico Caracciolo "il Pastore" 

 

Figlio del duca Francesco, il Caracciolo nacque in Martina (feudo di famiglia) il 9 luglio 1642.
Suo padre era alle dipendenze del re Carlo Il di Spagna ed, allorchè fece ritorno in Napoli - città forse di origine - morì ancor giovane in duello.
lnnico fu educato all’arte cavalleresca ed, appena giovane, si trasferì in Spagna e, mentre viveva in una splendida corte, cominciò a sentire un certo desiderio di vita diversa; volle lasciare il mondo, iniziando a mortificarsi ed abbracciando la vita sacerdotale.
lnanto si trasferì a Roma ed entrò nella vita diplomatica. Ben presto, apprezzato da Papa Innocenzo XI fu inviato a Malta come inquisitore. Ma il suo animo lo induceva a dar subito prova di generosità caritatevole, tanto che alla sua partenza lasciò rimpianti e dolci ricordi.
Il Papa Alessandro VIII, in seguito, nominò il Caracciolo “Segretario” della Congregazione della Disciplina ed il Papa successore, Innocenzo XII,
avendo aperto a Roma un ospedale per i bisognosi, gli affidò la presidenza, a motivo della sua carità e dello spirito di devozione al prossimo.
Essendo la sede vescovile di Aversa una delle più importanti del Mezzogiorno, alla morte dell’ultimo Carafa, il Caracciolo fu designato dal Papa quale degno Pastore.
All’inizio il Caracciolo rifiutò e così per la seconda volta, ma, quando il Papa glielo impose, accettò l’episcopato aversano. Fu consacrato Vescovo il 24marzo 1697, mentre il possesso della Diocesi avveniva il 29 giugno seguente.
Il pensiero costante del Caracciolo era la Cattedrale e il Seminario, senza tralasciare di profondere le sue energie per le anime e per qualsiasi iniziativa che andava a beneficio della Diocesi.

E’ passato alla storia quale generoso e zelante Pastore, lasciando un seminario che, dal lato strutturale, è tuttora ammirevole, servendosi di artisti del tempo, forse dello stesso Vanvitelli. L’ardore che Io infiammava per la sua chiesa gli fece affrontare immense spese con la gioia di vedere rinnovata la
Cattedrale con lavori che durarono daI 1703 al 1715, valutata poi un monumento storico.
Preparava nel contempo un’altra grande struttura, che doveva scalfire le anime: il “Sinodo”, indicandone lo scopo.
Per svariati meriti, la S. Sede neI 1715 volle elevarlo alla dignità cardinalizia, senza turbamenti da parte dell’interessato, che continuò a lavorare nella vigna affidatagli, aumentando il suo zelo, inculcando nei fedeli l’amore a Gesù Eucaristia attraverso la pratica delle “Quarantore” (tuttora sentita nella Diocesi aversana).
Ad un’età veneranda il Cardinale Caracciolo, nel settembre del 1730, moriva a Roma, colà presente per partecipare all’elezione del nuovo Papa, che fu Clemente XII, e le spoglie mortali furono deposte nella chiesa della Vittoria, ove rimasero sino al 1732.
In quell’anno i resti del Cardinale furono traslocati in Aversa, avendo egli espresso il desiderio di essere seppellito nella cappella del Santissimo nel Duomo. Quella Cappella, che lui aveva sontuosamente abbellita e ristrutturata, oggi accoglie un sontuoso mausoleo offertogli da un suo nipote, apponendo
un semplice scritto che per mio volere dice: “ossa del Cardinale I. Caracciolo”.
A lui,che resse la Diocesi per ben 34 anni,si deve riconoscenza filiale e devota.

 

Torna su 

 

 

 

 

(1730-1735) Card. Giuseppe Firrao "lo Statista" 

Il Firrao non poté emulare, nelle opere e nel pensiero, il predecessore, essendo di tutt’altro carattere. Inoltre, non ebbe nemmeno il tempo disponibile per poter conoscère il suo gregge.
La storia, a suo riguardo, ci fa sapere che era discendente di nobile famiglia, un ramo del ceppo di Rabone, condottiero normanno.
Nato il 12 luglio 1670 in Luzzi da Giuseppe, che aveva ereditato il feudo nell’ambito della Diocesi di Bisignano, nella Marche.
Il Firrao dedicò la sua vita alla carriera ecclesiastica e quasi sempre in giro per l’Europa, quale “Nunzio” apostolico.
La prudente sua opera di statista fu di valido aiuto al governo della Chiesa, perciò apprezzato e premiato dai diversi papi dell’epoca.
Mentre era impegnato nel 1730 in Portogallo, moriva il Papa Benedetto XII ed il Firrao dovette rientrare a Roma.
Già era stato nominato Cardinale, avendo fatto da intermediario tra il Papa ed il re Giovanni V, ottenendo la riappacificazione tra i due.
Il Collegio cardinalizio si riuniva per eleggere il nuovo Papa Clemente XII: era presente pure lnnico Caracciolo, che veniva a mancare, il Firrao lo sostituì nella Diocesi aversana. A seguito della sede vacante di Aversa, il Firrao ne prese il possesso, ma solo per procura. Il governo della Diocesi quindi fu affidato ad un “Vicario’ come in altri tempi.
Soltanto dopo due anni circa, nel 1732, il Firrao arrivò in Aversa e, nonostante assillato da varie ambascerie, indisse la Visita pastorale in quell’anno.
Esperto e stimato diplomatico, sistemò questioni giuridiche sospese, difendendo i diritti della Mensa vescovile, avvantaggiandola anche amministrativamente.
La Diocesi vedeva il suo Vescovo a sprazzi, e la cronaca Io segnala di tanto in tanto, come quando nel 1734 il principe Carlo III Borbone (figlio del re di Spagna), trovandosi in Provincia di Caserta volle visitare la città di Aversa: fu accolto, il principe, dal Firrao solennemente in Cattedrale, insieme al Capitolo ed il popolo.
Si rese conto dell’impossibilità di reggere la Diocesi aversana e svolgere la carica di “legato” pontificio, si decise quindi a rinunziare alla Diocesi. Prima di andar via, volle affidare ai padri Gesuiti una missione al popolo. Come ricordo, adornò il trono episcopale di lamine d’oro e di splendidi drappi.
Lasciò la Diocesi nel 1735, vivendo alla corte pontificia sino al 1740.
Trapassò in Roma nel 1 744 e fu tumulato in S. Croce di Gerusalemme, chiesa che gli era stata affidata quando ebbe il titolo cardinalizio.

 

Torna su 

 

 

 

 

(5 giugno-13 agosto 1735) Ercole Michele Aierbo d'Aragona "il Fugace" 

 

Non vi fu interruzione tra il predecessore ed il nuovo Vescovo Ercole d’Aragona sul trono episcopale di Aversa.
La storia non tramanda di Ercole il natio luogo, mentre registra l’origine della sua famiglia: di stirpe reale, discendente dai principi di Cassano.
Il designato ad Aversa era già consacrato Vescovo e godeva del titolo di Panfilia; passò, poi, alla Diocesi di Mileto (Calabria) ed infine scelto per la sede aversana.
L’Ercole, nominato in giugno del 1735, venne in Aversa nel mese di agosto dello stesso anno; il suo pensiero dominante - corre già per altri vescovi - fu la Cattedrale ed il seminario.

Rimanevano ancora debiti lasciati dal Caracciolo, che in parte erano stati saldati dal Firrao, e quasi una metà l’Ercole si adoperò a pagare con grandi sacrifici, chiedendo aiuti a chiunque.
I lavori che avevano procurati debiti testimoniavano la bontà della spesa e questo era un giustificato motivo, essendo stati devoluti per opere murarie degne e sacre come la Cattedrale ed il seminario. Già ne vedeva gli effetti l’Ercole, specie per il seminario, che accoglieva nuove vocazioni e più abbondanti.
Ormai il Vescovo si era prefisso un programma, che certamente dava i suoi risultati, ma solo a tre mesi di distanza del suo arrivo in Aversa, lo colse la morte prematura.
Fu rimpianto, avendo dimostrato in breve tempo la volontà di continuare sempre meglio ciò che avevano attuato i suoi predecessori.
Dispiace non conoscere se l’Ercole mori in Diocesi o meno ed il luogo ove fu sepolto.

 

Torna su 

 

 

 

 

 

 (1735-1761) Filippo Nicolo' Spinelli "l'Affabile"

 

Fu di origine principesca la nascita di Nicolò Spinelli, Appena giovanetto perdette il padre e fu affidato, dalla madre, ad un suo zio, il Cardinale Francesco Pignatelli, che era Arcivescovo di Napoli.

La madre sperava che alla scuola del Cardinale suo figlio potesse formarsi e prepararsi un buon avvenire il desiderio di tutte le mamme).

Da Napoli, il Nicolò passò a Roma, sotto la tutela di un altro zio materno, P. Luigi Carafa. Ed arrivato all'eta idonea frequentò in Roma la "Prelatura", nella speranza di qualche incarico che lo portasse a raggiungere una degna carriera.

Difatti fu inviato, quale vicedelegato pontificio, prima a Ferrara e poi a Ravenna: in queste occasioni non gli mancarono apprezzamenti di buon governo.

Allorché si fece vacante la sede di Aversa, fu nominato Vescovo da Papa Clemente XII: era il settembre del 1735; dopo un mese veniva consacrato e prendeva possesso immediato del vescovado di Aversa.

A 32 anni lo Spinelli fu accolto Pastore e si può dire che rimanesse sempre giovane nel carattere e nei contatti umani, tanto da attirarsi la simpatia dei fedeli per la sua affabilità.

Nel governo della Diocesi, però, lo Spinelli, sin dall'inizio, mostrò di avere doti superiori all'età, fornito come era di prudenza, di rettitudine, di senno ed amante di bellezza nell'ordine.

In verità la storia di lui dice che fosse "uomo amorevole" con tutti, affabile soprattutto con gli indifesi e con i poveri, di cui era il benefattore ..

Lo Spinelli viene ancora ricordato come un gran devoto dell'Eucarestia, dando esempio di pietà, specie mostrandosi profondamente raccolto nelle sacre funzioni e lasciando concreti ricordi nelle varie e preziose suppellettili acquistate e donate.

In particolare, durante la Visita pastorale, soccorreva quelle chiese più bisognose, offrendo un po' dappertutto quelle suppellettili indispensabili per lo svolgimento della sacre celebrazioni.

Voleva funzioni solenni e comportamento dignitoso da parte dei sacerdoti, raccomandando compostezza ai fedeli che assistevano ai sacri riti.

E' del suo operato se la chiesa di S. Francesco in Aversa fu adornata di marmi policromi, tanto da essere catalogata tra i monumenti nazionali.

Qualcuno insinuò che lo Spinelli si attendesse il galero cardinalizio, che per la verità mai venne, e la sua stessa morte, dopo poco avvenuta, la si attribuisce ad un avvelenamento, essendosi sentito male il Vescovo dopo aver partecipato ad un pranzo. Morto a Napoli, fu trasportato in Aversa e, svolti i riti funebri - nel più grande squallore - nel 1761 fu sepolto nel cimitero della Cattedrale.

 

 

Torna su 

 

 

 

 

 

(1761-1765) Giov. Battista Caracciolo "il Matematico" 

Discendeva il Giovanbattista da una famiglia nobile napoletana, duchi di S. Vito. Da giovane volle entrare nella Congregazione dei Teatini (di questa Congregazione fu già accennato).
Fu scelto a dirigere la Direzione del suo Istituto a motivo delle sue eccelse doti, specie in campo matematico.
La cronaca afferma che il Caracciolo dové lasciare il regno di Napoli, avendo scritto una satira contro il lusso e la licenza delle donne napoletane.
La città che poteva soddisfano per le sue inclinazioni scientifiche era certamente Pisa, ove si recò e poté insegnare quale professore di matematica.
Scrisse poi su argomenti di questo genere; difatti ha lasciato opere riguardanti l’algebra, l’aritmetica e la geometria.
E mentre faceva parte dell’Accademia pisana, fu scelto Vescovo di Aversa: era il 27 gennaio del 1761.
Qualche malevolo dell’epoca spargeva la voce che fosse stato nominato Vescovo per opera del Tanucci, nativo di Pisa e reggente il Ministero del regno napoletano.
All’inizio del suo episcopato, il Caracciolo volle subito indire la Visita Pastorale, coadiuvato da 4 stimati sacerdoti aversani, accingendosi a saldare gli ultimi debiti contratti dal Vescovo lnnico per le monumentali opere murarie. 
Scoppiò, in Aversa ed in tutto il regno napoletano, una grave carestia e, per l’evento eccezionale, un sacerdote francescano di Parete, Matteo Pellegrino, scrisse che nel 1 763 e 1764 mancò anche in Aversa il grano, ambiente considerato “madre del grano”.
Il Caracciolo si trovò davanti una turba affamata, ridotta a “cibarsi d’erbe come animali e peggio, mangiando pampane di ravanelli e cipolle puzzolenti, stepiti di cardi”.
Passata la calamità, stanco, forse, ed affaticato, il Caracciolo affidò l’incarico della Diocesi ad un degnissimo sacerdote, Lorenzo Potenza (divenuto poi Vescovo di Ariano) e si ritirò a Casamarciano, vicino Nola, in un monastero benedettino. lvi moriva qualche mese depo e sepolto nello stesso cimitero dei benedettini.

 

Torna su 

(Clicca sull'immagine per tornare all'indice dei vescovi)