1765 Niccolò Borgia 1779 Francesco del Tufo 1804 Genn. M. de Guevara Suardo
1818 Agostino Tommasi 1823 Francesco Saverio Durini  1844 Sisto Riario Sforza

(clicca sui relativi nomi qui sopra per leggere i relativi profili)

 

 

 

 

                                

                                                     

 

(1765-1779) Niccolò Borgia "l’Apostolo" 

 

Era figlio del Consigliere di Stato Domenico Borgia. Nato in Napoli il 6 maggio del 1700, visse nella città ove frequentò il collegio ecclesiastico. Fu così ordinato sacerdote e ben presto aiutò e divenne confondatore di quel Matteo Ripa che aveva istituito meritevolmente in città un collegio cinese.
Da Napoli, di fatto, partivano apostoli per portare in Cina la carità cristiana espressione del Vangelo.
li Borgia acquistò non solo tanta esperienza, ma divenne uomo caritatevole e premuroso per il bene delle anime.
Non si limitava solo a quest’opera, si adoperava in vari campi apostolici, ammirandolo specie nei mesi della citata carestia deI 1763-64. Lo si vide sollevare l’indigenza dei poveri, soccorrere i bisogni del popolo, frequentare luoghi più abietti per trarre fuori i traviati, aiutare pazientemente le donne abbandonate.
Percorreva le strade di Napoli con bisacce al collo unicamente per chiedere elemosina e passarla come aiuto ai poveri.
Faceva meraviglia a quanti soccorsi provvide, non credendo i contemporanei come potesse arrivare a tanto e non facendo sapere la provenienza dell’offerta donata.
Fondò nella città di Napoli “il ritiro di S. Vincenzo”, con cui poter ricevere e dare aiuti continui a chi effettivamente era bisognoso.
Per il suo ardente zelo e disinteressamento per sé stesso. il cardinale Spinelli, l’allora Arcivescovo, Io volle premiare nominandolo “Canonico del Duomo” di Napoli.
Nel 1751 fu nominato Vescovo di Cava (SA), da papa Benedetto XIV ed in quella sede bene operò per 14 anni.
Aversa nel 1765 era vedova del proprio Pastore ed essendo una diocesi più impegnativa, la S. Sede credette opportuno di affidarla ad un Vescovo attivo ed esperto, perciò fu scelto il Borgia, trasferito da Cava.
Due anni dopo il suo arrivo in Aversa iniziò la Visita Pastorale con l’intento di affratellare ricchi e poveri, rinfocolare la fede, soccorrere i traviati, riuscendo allo scopo tramite “Missioni” popolari.
Fece eseguire delle altre opere in Cattedrale ed al suo tempo fu rifusa la famosa campana detta “Scarana”.
NeI 1772 - ad istanza del popolo aversano - il Borgia provò la gioia, alla fine di maggio, di proclamare la B.Vergine di Casaluce quale “Patrona” della città.
Diversi contrasti sorsero tra lui ed il clero (una parte) che negli ultimi anni della vita s’ingarbugliarono tanto che Io amareggiarono.
Trovandosi in Napoli, ivi mori il 6 aprile del 1779, e sepolto colà nella chiesa dei cinesi, ove lui profuse tante energie. Ad Aversa era stato Pastore per 14 anni, dando la sua vita per le pecorelle.

 

 

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(1779-1803) Francesco del Tufo "l’Oratore" 

Aveva avuto i suoi discendenti, il Vescovo dei Tufo, nella provincia napoletana, ed esattamente nei dintorni di Noia, poiché in quelle terre la famiglia amministrava un marchesato.
Passò la sua giovinezza tra i Congregati teatini, ove ricevette un’ottima educazione e preparazione culturale, tanto da essere stimato e valorizzato per la sua arguta oratoria.
Era anche un uomo rispettoso del prossimo, dimostrando squisita delicatezza nei contatti, e ciò gli valse la stima dei Superiori, che lo nominarono, dopo poco tempo dalla sua Ordinazione sacerdotale, Abate del monastero di S.Paolo in Napoli; in seguito fu, dal re Ferdinando IV, chiamato a corte in qualità di “confessore” di sua figlia, avendo il re ammirato le sue ottime doti.
Frattanto, nel 1779, resasi vacante la sede vescovile aversana, si era diffusa la voce che il Vescovo di Caserta doveva occuparla (Nicolò Fìlomarino).
D’improvviso, arrivò invece la nuova che un brillante oratore, Francesco del Tufo, fosse stato designato per Aversa: ci dovette essere anche l’interessamente del re Ferdinando IV.
In aprile il del Tufo fu eletto ed in luglio dello stesso anno (1779) fu consacrato, prendendo possesso della Diocesi aversana il 29 settembre seguente.
L’accoglienza in Aversa fu trionfale - specie da chi lo apprezzava quale oratore - nonostante che piovesse a dirotto.
Al suo arrivo furono sparse dicerie: lo si descriveva come “rigoroso ed irremovibile, audace ed imperterrito ma i fatti che seguirono smentirono tali false affermazioni.
La storia di lui afferma “aver avuto un cuore buono soprattutto verso i poveri”; seppe pure accattivarsi l’animo delle varie Autorità. L’anno seguente al suo ingresso in Diocesi, iniziò la Visita Pastorale, riordinando quasi tutte le parrocchie.
Amò instancabilmente la sua Cattedrale, profondendovi mezzi ed energie per abbellirla.
Ristrutturò anche il palazzo vescovile con l’annesso giardino, facendovi scavare nel mezzo un pozzo (1796) per l’irrigazione del terreno.
Durante l’episcopato del pastore del Tufo la terra tre volte subì scosse che, per fortuna, non arrecarono gravi danni.
Per la formazione dei giovani seminaristi introdusse, tra le altre, la materia di lingua italiana.
Invocando sempre la protezione della Vergine Maria, specie in momenti calamitosi, il Vescovo si preparò con il popoio esultante ad incoronare per la prima volta la B. Vergine di Casaluce, affinché continuasse perennemente a proteggere Aversa e Diocesi.
Nell’aria si preannunziavano minacce ed arrivo di foschi giorni (scoppiava in quel tempo la “rivoluzione” francese) ed i cuori di molti erano in ansia per le notizie di vendette irrazionali compiute; vendette che minacciavano quasi tutta l’Europa.
Il Vescovo si vide arrivare anche in Aversa i francesi, guidati dal generale Championnet, facendo buon viso a cattivo gioco per salvare tutto e tutti.
I francesi partirono ed. il Vescovo fu denunziato quale nemico del re, dovendosi trasferire a Napoli come un esiliato, ove morì neI 1803, lontano dall’affetto del suo gregge, che lo rimpianse profondamente adoperandosi tutti acché fosse trasferito in Aversa e seppellito nel Duomo.

 

 

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(1804-1814) Gennaro M.a de Guevara Suardo "il Garante" 

Era nato, il Guevara, in Napoli il 4 maggio del 1 748, nonostante di discendenza forse spagnola.
Da giovane entrò nel monastero di Montecassino ed ivi fu ordinato sacerdote; nello stesso monastero nominato, poi, Maestro dei novizi ed infine Abate.
Nell’anno 1792 fu eletto Arcivescovo di Bari e sua principale intenzione fu di riordinare il luogo che preparava i futuri sacerdoti. In poco tempo si acquistò la simpatia di tutti, a qualsiasi ceto appartenessero, e per tutti si offri quale “garante” negli anni turbolenti che seguirono.
Gli eventi difatti precipitavano a seguito della Rivoluzione francese (1789) ed anche Bari divenne teatro di lotte e di contese.
L’Arcivescovo donò tutto se stesso per difendere il popolo; anzi, s’interpose tra i contendenti da rappacificare tutti e salvare tutti. In quell’ora il Guevara si mostrò - così farà in appresso - il vero Sacerdote, il buon Pastore, l’uomo operatore di pace.
Forse, tal faticoso lavoro (o per sconosciuti altri motivi) snerbò la fibra dell’Arcivescovo, che si decise, e l’ottenne, ad un trasferimento che avvenne alla sede di Aversa, che vacava da oltre un anno. 
Il Guevara si ripeté pastoralmente nella Diocesi aversana, non essendo ancor mutati i tempi e le necessità dei fedeli.
E, come in Bari, il suo pensiero costante fu per il Seminario, così per quello aversano sentì la responsabilità, dedicando senza riserve la sua azione a favore dei giovani aspiranti sacerdoti, coinvolgendo professori e Superiori del pio luogo per una completa e sana formazione morale ed intellettuale.
Non si curava soltanto della mente, ma ordinò pure che il vitto dei giovani fosse sano ed abbondante.
Incrementò le scuole ed, oltre quella filosofica, istituì quella teologica (scuola che ha dato frutti ubertosi sino a qualche decennio fa, con dotti ed apprezzati professori).
Al tempo del Guevara non mancarono avverarsi cataclismi e disgrazie varie; difatti, nel 1805 si registra un sisma e nel 1806 l’occupazione di Aversa da parte di truppe francesi.
Ciò che amareggiò il Guevara fu la soppressione - per legge civile - di conventi e congregazioni, specie maschili.
A lui si deve il trasferimento in Aversa della parrocchia dei SS. Filippo e Giacomo dalla parrocchiella all’attuale chiesa (colpita dal terremoto).
Tanti dispiaceri ed amarezze, certo, colpivano ed indebolivano il fisico del Vescovo, che cominciò ad accusare mancanza di forze, spiacente di non poter attendere - come per il passato - al lavoro impellente da svolgere in Diocesi.
Il medico consigliò al Vescovo di respirare aria nativa ed, a malincuore, egli in Napoli, via Foria, alloggiò provvisoriamente.
Si racconta che tutti i sabati il Vescovo era tra il suo gregge, in Aversa, per disbrigare i compiti più delicati, interessandosi di qualsiasi questione e di ciascuna persona. Durante la settimana, invece, aveva incaricato dei responsabili che lo tenevano al corrente dei fatti quotidiani della Diocesi.
A Napoli peggiorò ed il 3 agosto del 1814, colà si spense. Un suo nipote a proprie spese - ordinando sfarzosi funerali, lo trasportò in Aversa.
La cronaca notifica una gran moltitudine di popolo che seguì il feretro con rimpianto ed affetto, vedendosi particolarmente presenti i suoi beneficati, che non erano pochi.
La sepoltura avvenne presso l’altare maggiore del Duomo aversano.

 

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(1818-1821) Agostino Tommasi "la Vittima" 

Il Tommasi nacque a Napoli, iniziando gli studi letterari in città, passando poi alla scuola latinista del Campoluongo (ex allievo del seminario aversano).
Proseguì gli studi presso altri maestri, che gli insegnarono teologia, morale e diritto canonico.
Diventò Sacerdote e visse quasi appartato in Napoli, ma non fu esente da vari incarichi, sia disciplinari che amministrativi.
Pertanto era reputato un Sacerdote zelante e di ottimi costumi. Aveva un fratello, di nome Donato, che divenne Ministro di Grazia e Giustizia nel regno napoletano.
Il Tommasi, perciò, fece le sue amicizie, oltre che nel buon napoletano, pure presso la corte austriaca e romana, tramite quindi suo fratello. Forse, la stessa autorità del fratello gli giovò per essere nominato Vescovo di Aversa, nel giugno deI 1818, raggiungendo la sede solo dopo pochi giorni (il 7 giugno).
Sin dal suo possesso, si notò quali erano le inclinazioni: sfarzo, autorità, severità ed assertore del diritto e del protocollo.
E’ passata alla storia la frase del Tommasi: “io ho il braccio lungo”, volendo convincere delle sue diverse amicizie con la sicurezza di arrivare ovunque.
Queste disposizioni del Tommasi servirono però ad affermare in Diocesi il diritto vescovile (specie in quei tempi inficiato), poiché, servendosi delle sue amicizie, riacquistò per la Mensa vescovile il lago di Patria, usurpato da altri.
Si dice essere stato troppo rigoroso ed esigente col clero, mentre coi seminaristi fosse stato troppo blando ed accondiscendente.
Giova ricordare che operava all’epoca una società segreta, la famosa Carboneria, ed il Tommasi, Iigio e fedele interprete delle leggi ecclesiastiche, non cedette e neanche tentennò alle minacce della “setta segreta”.
L’epoca permetteva limitati spazi per libertà di pensiero e per l’azione, perciò spesso si manifestavano rivoluzioni.
Avverandosi mutamenti politici nel 1820, il Donato - fratello del Vescovo - fu allontanato dal Ministero: la proclamazione della “Costituzione” cacciava i monarchici. Il reame napoletano era in mano ai rivoltosi sobillati dalla Carboneria, e così avvenne in Aversa.
Nella notte, di fatto, tra il 7 e l’8 luglio deI 1820 Aversa era quasi assediata da armati che aizzavano la folla scriteriata.
Si era deciso di mettere in prigione il Tommasi, ma, non potendolo fare, si chiedeva l’assenso del giudice; nel frattempo il Vescovo si allontanava da Aversa rifugiandosi a Napoli, presso la casa dei Verginisti (figli di San Vincenzo dei Paoli, quartiere verso la Sanità).
La Diocesi aversana, nel contempo, era retta dal canonico Pelliccia, Vicario vescovile, mentre il clero era diviso in due fazioni: quelli che erano per la Costituzione e quelli che erano contro.
Fu designato, per dirimere la contesa, un altro canonico, il Mormile. Ma i monarchici si prepararono alla riscossa ed ebbero la meglio; così il Vescovo, nel 1821, dopo che il re era tornato, fece di nuovo il suo ingresso in Diocesi e, per insinuazioni e per motivo di prestivgio, colpì i sacerdoti ribelli, e diversi
persero il beneficio, tra questi il Mormile.
Costui viveva con due nipoti , che lo accudivano e nel tempo stesso sbarcavano il lunario; allorché il Tommasi privò del beneficio lo zio, una dei due nipoti affrontò sulle scale dell’episcopio il Vescovo, esponendo lo stato miserevole in cui si trovavano, ma - dice la cronaca - non fu ascoltata. Nel tornare a casa, il fratello, secondo nipote del Mormile, venuto a conoscenza della risposta negativa del Vescovo, designò di ucciderlo e subito.
Era il 9 settembre del 1821, ed il giovane, saputo che il Vescovo doveva rientrare in episcopio, lo appostò con un archibugio diverso tempo, in via Umberto I (Seggio), nelle vicinanze della chiesa di S. Antonio; arrivando il Tommasi già a tarda ora, in carrozza, si accostò al cavallo ed intimò al cocchiere di
fermare, sparando con precisione sulla carrozza alcuni colpi, che arrivarono al Vescovo sulla faccia e al collo, freddandolo quasi all’istante.
Si disse che tale triste evento sia stata opera della Carboneria, c’è invece chi accetta lo sdegno del giovane - costretto alla miseria - per punire un uomo di carattere duro.
Dopo i funerali, che tanto fecero parlare i contemporanei, il Vescovo Tommasi fu sepolto nel luogo riservato ai Presuli del Duomo.

 

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(1823-1844) Francesco Saverio Durini "il Filantropo" 

lI 3 dicembre 1 759 il Durini nasceva a Chieti e battezzato in Cattedrale dal parroco Nicola Mattei.
All’età di 15 anni entrò studente nel Collegio dei monaci celestini (Ordine fondato da Papa Celestino, originario della provincia di Isernia, che aveva dato ai suoi primi seguaci il nome di “Fratelli dello Spirito Santo”).
Ordinato Sacerdote, il Durini, oltre ad essere versatile in geografia e matematica, si specializzò in materie filosofiche e teologiche.
Insegnò in vari conventi celestini delle Puglie, dell’Abruzzo e del Napoletano, e tre anni anche in quel convento esistente allora in Aversa.
La stima e la seria preparazione servirono al Durini per essere nominato Superiore dell’Ordine. Diede prova, infatti, di possedere qualità, oltre che intellettuali, anche morali ed umane, tanto che il suo nome fu conosciuto anche fuori dell’Ordine, così da essere designato Vescovo di Marsi nel 1818, ove rimase per 5 anni, fino a che venne trasferito ad Aversa.

A prima vista si sarebbe detto che il Durini fosse vissuto solo pochi anni, essendo già avanzato negli anni, ed invece resse la Diocesi di Aversa per ben 21 anni. Egli ha lasciato orme indelebili per le varie sue attività, che ancor oggi permangono, a testimoniare la paziente e continua tenacia. Non si era prefisso né un programma, né disegnati progetti, né aveva a sua disposizione un ingegnere che seguisse le varie opere murarie, gli bastò unicamente l’esperienza di un ottimo capomastro - suo concittadino - per ristrutturare e rafforzare ciò che era fatiscente. Così, per il palazzo vescovile - rovinato dal tempo - che anno per anno rimise a nuovo, arredandolo di varie suppellettili nei vasti saloni. Aveva fatto disegnare, nel secondo salone, un anemometro (direzione dei venti) rimasto sino a pochi anni or sono, fatto scomparire da un suo successore intellettualmente opposto, in occasione di lavori in episcopio. Una cappellina, per il Vescovo ed i familiari (tuttora funzionante) sorse con dei piccoli vani attigui per uso sacrestia.
In uno di questi locali si può ancora ammirare una Madonna col Bambino, affresco del 1300.
La cronaca, oltre a descrivere i lavori che il Durini eseguì in episcopio ed in Cattedrale, riporta i lavori a fine sociale che furono attuati nella zona del lago Patria (dipendente dal vescovado) come costruzione di argini, case coloniche e di sostegno.
Durante l’episcopato del Durini si lavorò 9 anni nel monastero di San Francesco di Aversa (dal 1830 al 1839) e, ad imperituro ricordo, volle il Pastore innalzare un ardito e maestoso pontre tra due parti dell’edificio, che rimane sempre ammirevole all’occhio del passante.
La città di Aversa beneficò del suo ingegno ed interessamento per lavori indispensabili di fognature ed acquedotti.
Le parrocchie, in Diocesi ed in città, aumentarono: sono del suo tempo quelle aversane di Costantinopoli e di Santo Spirito (anno 1826).
Per il Seminario diocesano perparò un nuovo e grande refettorio (divenuto oggi una piazza) che non vide completato.
Progettava, il Vescovo, di aprire nella Cattedrale cappelle simmetriche (lato destro), ma non poté attuare l’opera per la morte giunta.
Se le fabbriche assorbivano a lui del tempo, non gli impedivano - da buon psicologo - di calmare gli animi a volte agitati dei fedeli, sedare i turbolenti, incoraggiare e riabilitare i depressi.
Uno dei beneficiati fu il canonico Mormile (già brevemente si è ricordata la storia) che di nuovo ottenne il beneficio e ritornò tra i colleghi canonici, uomo di nuovo stimato e valutato.
Pare che il programma del Durini fosse di sedare guerre e riportare pace.
Il Vescovo ormai aveva conquistato i cuori dei suoi diocesani e lo si provò nel 1844, il 15 gennaio, spegnendosi per l’eternità. Vi fu un lutto cittadino spontaneo e sul volto di tanti si vedevano scorrere lagrime di profondo dolore.
Tutta la Diocesi pianse il suo Vescovo ed i funerali furono un trionfo di popolo partecipante vivamente alla dipartita di un “padre” che lascia i figli profondamente addolorati per la ferale notizia.

 

 

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(1844-1845) Sisto Riario Sforza "il Santo"

Nato a Napoli il 5 novembre del 1810, morendo nella stessa sua città il 29 settembre deI 1877.
Compì i suoi studi eccelsiastici in Napoli ed esercitò il suo ministero pastorale dall’età di 33 anni, allorché fu nominato, da Papa Gregorio XIV, Vescovo di Aversa.
Svolse il suo lavoro in Diocesi per soli cinque mesi, per la designazione a Cardinale con trasferimento a Napoli.
La cronaca aversana ben poco dice di lui, affermando però di essere stato “zelantissimo Pastore, di severi costumi”. Lo Sforza resse la Diocesi con mano assai ferma, mirando soprattutto alla disciplina e all’integrità di vita del suo clero.
Circa i suoi contatti politici si mostrò altrettanto “fermo” nelle sue convinzioni e fu di assoluta fedeltà verso la dinastia napoletana.
Del suo trasferimento si è giustificato la necessità, per Napoli, di avere, per quei tempi, un tal santo Vescovo.
Si può dire, leggendo la vita dello Sforza, che si prodigò molto per il popolo, specie nei momenti calamitosi, come quando scoppiò il colera del 1865.
Per l’occasione Napoli vide nell’Arcivescovo un altro S. Carlo che si aggirava tra gli appestati con i suoi sacerdoti, provvedendo e soccorrendo i suoi fedeli nei bisogni spirituali e temporali.
Per quanto fece in Napoli basterà leggere la sua biografia; testimoniò eroicamente le sue virtù fino ad essere venerato (ancora vivente) ed avviato alla morte la causa di beatificazione.
Il suo spirito aleggi benedicente su Aversa, suo primo gregge affidatogli.

 

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