1845  Antonio de Luca 1855 Domenico Zelo 1886 Carlo Caputo
1897 Francesco Vento 1911 Settimio Caracciolo 1931 Carmine Cesarano

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(1845-1854) Antonio de Luca "lo Storico" 

La madrepatria del De Luca fu la Sicilia. Purtroppo non ci sono pervenuti esattamente né la stirpe, né il luogo della sua origine.
Nemmeno nulla si sa dei suoi anni giovanili e degli studi compiuti. Da alcuni incarichi affidati al de Luca, si può desumere che fosse rimasto in Diocesi soltanto 9 anni; ha lasciato una “raccolta” di documenti preziosi (riguardanti avvenimenti nel tempo avvenuti in terra nostra) che lo reputano degno di essere annoverato quale “storico”.
Si deve a lui la conoscenza minuziosa ed originaria dei luoghi, dei confini, degli abitanti, degli Istituti, delle Associazioni, dei vari Enti, dei benefici, delle costruzioni, delle suppellettili sacre, dei sacri ministri e dello stato d ‘anime di tutta la Diocesi aversana.
Tutto ciò è dovuto alla irripetibile volontà del Vescovo di conoscere uomini e cose, emanando, il 2 febbraio 1848, un Editto con cui indiceva la Visita Pastorale.
E’ vero che diversi Vescovi, sino a qualche anno prima (vedi operato di Durini come esempio) avevano impegnato forze e tempi, ma il de Luca non si è accontentato di vedere, visitare, constatando di persona, ha fatto sì che il lavoro non andasse perduto ed il tutto fosse registrato minuziosamente.
Nell’Archivio vescovile si conservano ancora gelosamente i suoi tre volumi di quanto è stato detto, fornendo allo studioso una miniera di notizie.
Tali notizie hanno spinto Io storico Parente - un sincero aversano - a raccogliere e presentare al pubblico del secolo scorso, assieme anche ad altre notizie, quali fossero le vicende ecclesiastiche e quali meriti la chiesa aversana abbia tesoreggiati.
Il de Luca, invocando la protezione della Vergina Immacolata Maria e quella del Santo protettore S. Paolo, inviando al clero l’editto della Visita,
accluse delle istruzioni, affermando: “costi quel che costi, non si deve badare a sacrifici ad imitazione del Buon Pastore, ricordando ai sacerdoti essere pieni di meriti, mentre i fedeli affidati alle loro cure risentire di una zona fiorente ed ubertosa, come una vigna non ingrata, né sterile”.
La S. Visita non fu l’unica opera del de Luca, poiché lasciò opere meritevoli, quali il Convitto Vescovile, iniziato già, ma da lui completato.
Pigliò a cuore altre opere, come il “Monte dei poveri infermi”, il “Monte de pegni’ il sacro cenobio  di S. Lorenzo, essendo andati via i benedettini nel 1806.
Regolò alcune questioni giuridiche con gli Amministratori deIl’A.G.P. di Aversa, mentre chiese per la Collegiata di Giugliano alcuni privilegi.
Non si deve trascurare di enumerare un altro suo capolavoro, quasi a corona della sua attività storica: il “Regolamento sui cimiteri”.
Essendo stata vietata, qualche decennio prima, da Napoleone la sepoltura nelle chiese, si descrive in 11 articoli minuziosamente le norme utili per il personale addetto e per le opere murarie.
Nominato Arcivescovo di Tarso, il de Luca dové lasciare la Diocesi aversana. Parti per la Baviera e poi per Vienna, lasciando Aversa priva di un degno Pastore, che merita ancor lodevole ricordo.

 

 

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(1855-1885) Domenico Zelo "il Mansueto" 

Il 1803 in Napoli nasceva Domenico Zelo, discendente da una stimata famiglia.
Appena giunto all’età della giovinezza, sentì il desiderio di frequentare le scuole del Seminario, consenziente i suoi genitori.
All’età di 23 anni circa divenne Sacerdote e, quantunque avesse tutti i requisiti per scegliere la carriera ecclesiastica, preferì rimanere in città, svolgendo il sacro ministero, offrendosi per svariate attività sacerdotali.
Dopo alcuni anni fu promosso parroco di S. Maria in Cosmedin, passando, in seguito, nel Duomo di Napoli, prima con il titolo di parroco, indi canonico della Cattedrale.
Fu apprezzato il suo zelo (facendo onore al cognome) e fu sacerdore secondo il volere di Dio, plasmatore di anime, modello esemplare, additato da tutti, specie dai Superiori, tanto da essere segnalato alla S. Sede per la promozione ad un imminente servizio episcopale.
Tale evento non tardò ad avverarsi, poiché essendo vacante la Diocesi aversana già da alcuni mesi, fu scelto lo Zelo a tale sede.
All’inizio dell’aprile del 1855 faceva il suo ingresso in Diocesi, esponendo il suo programma con la sua dolce presenza, tanto da fare subito buona impressione ai presenti.
La “mansuetudine” fu una delle sue doti particolari, che lo contraddistinse per tutto il periodo episcopale, avendo a cuore unicamente la gloria di Dio ed il bene delle anime.
Come gli altri Presu li, diede subito mano al Seminario, passando, poi, alla Cattedrale, restaurandone sontuosamente il “Coro” ed altre parti del Presbiterio.
Istituì nel Duomo una nuova Associazione di Sacerdoti, ai quali incombeva il dovere di collaborare per il buon svolgimento delle sacre funzioni, il cosiddetto “Corpo dei Partecipanti” che si estinse gradualmente tra il 1955 e il 1960, per il diminuito numero dei sacerdoti.
Il Vescovo Zelo desiderava che i fedeli partccipassero ai sacri riti, specie alla Messa, con decoro e dignità, coinvolgendo il clero a questo fine.
Fu travisato, però, l’operato del Vescovo, ed in certi momenti fu tacciato di “bigottismo”.
E’ certo che il mansueto Pastore resse la Diocesi per ben 30 anni e profuse per essa tutte le sue energie di mente e di cuore, senza soste e tentennam enti.
Negli ultimi anni, essendo quasi ottuagenario, chiese ed ottenne dal Vaticano un Vescovo Ausiliare nella presona di Mons. Caracciolo Ludovico, originario di Castagneta (TE), che coadiuvò sino alla morte dello Zelo.
Il mansueto Pastore non venne sepolto in Aversa, poiché, trovandosi a Portici momentaneamente, morì ivi con un attacco di cuore e sepolto: era l’11 ottobre del 1885.

 

 

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(1886-1897) Carlo Caputo "il Distaccato"

Alla cattedra di Aversa fu designato un altro napoletano, Carlo Caputo, nato il 4 novembre del 1843.
Dopo gli studi classici, il Caputo era passato a Roma per quelli teologici, pre conseguirne la laurea, essendo di una intelligenza acuta.
Appena laureatosi, ebbe vari incarichi nella Segreteria di Stato, passando poi Nunzio, acquistandosi, soprattutto in Austria, stima e rispetto dall’imperatore Francesco Giuseppe.
All’età di 40 anni, fu inviato a Monopoli (BA) quale Vescovo, lasciando in quella sede l’incancel labile ricordo di Pastore caritatevole e zelante.
Fu trasferito, dopo 3 anni, alla Diocesi aversana (1886), prendendo il possesso della sede il 12 settembre.
Se continuò la sua opera, seguendo la via tracciata dai predecessori - riguardo il Seminario e la Cattedrale - dedicò il miglior tempo dell’attività pastorale a favore dei poveri, assistendoli premurosamente.
Creando un secondo Seminario in Aversa, il Caputo voleva che accogliesse specie i giovani bisognosi (i figli del popolo) poiché, arrivando al sacerdozio, essi potessero essere più vicini ai loro simili.
Difatti, al tempo del Caputo e col secondo Seminario, ci fu un rifiorire di vocazioni e, qualche anno dopo, un incremento di sacerdoti, che nel tempo hanno recato gran vantaggio alle anime soddisfacendone i mutevoli bisogni.
Il Caputo si espose in prima persona allorché dovette attuare il suo principio in difesa dei poveri. Poiché dei benefattori avevano ideato un edificio per accogliere i vecchi bisognosi ed abbandonati, egli accolse e incrementò tale iniziativa. Tra i benefattori ricordiamo il Sagliano, che fece testamento a favore della Casa in oggetto.
Alla morte del Sagliano, si dice che fosse contestata la donazione, ed il Vescovo affrontò sacrifici, ingaggiando una lotta contro le insidiose e cavigliose pretese, riuscendo ad ottenere vittoria (a motivo della sua fine intelligenza), ma pagandola a caro prezzo, rimettendoci il suo prestigio personale.
Continuarono gli strali contro il Caputo, che ben altra gratitudine provò, tanto che, stanco ed amareggiato, decise di lasciare la Diocesi.
Il Caputo, difatti, rinunziò alla sede aversana, rimanendo ancora qualche mese come Amministratore, in attesa che Roma provvedesse alla sostituzione con un ecclesiastico meritevole di tale incarico.
A questo punto si ritirò a vita privata (forse per stare lontano dagli intrighi e pettegolezzi), però la Santa Sede lo nominava Canonico della Basilica di S. Maria Maggiore in Roma ed in seguito Prelato nullius della Chiesa Acquaviva delle Fonti e di Altamura.
La stima per il Vescovo Caputo non era scemata, poiché la cronistoria lo segnala, qualche anno dopo, Nunzio Apostolico in Baviera, lodando le sue doti di uomo retto e diplomatico.
Di lui si dovrebbe apprezzare il distacco che ebbe delle cose e meditare la povertà in cui morì.
Fu seppellito a Napoli il 25 settembre del 1908, compianto forse anche da quelli che lo avevano lottato, con mezzi non sempre legali.

 

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(1897-1910) Francesco Vento "L’Oratore"

Nasceva il 24 febbraio 1849, a Napoli, un infante che con la sua parola cristallina, suadente, ammaliatrice doveva essere la guida spirituale - eletto Pastore - della Diocesi di Aversa: Francesco Vento.
I primi studi, sino a quelli classici, li segui nelle scuole pubbliche ed all’età di 17 anni entrò nel seminario napoletano.
Appena consacrato Sacerdote fu, dal Cardinale di Napoli, scelto come insegnante di Lettere in Seminario, indi formatore di menti sacerdotali in qualità di professore di Teologia.
Una delle doti che Vento sfruttava in modo particolare nel compiere il suo ministero fu la forbita ed erudita parola, tanto da essere richiesto in diversi luoghi ed occasioni.
I pulpiti di chiese Cattedrali o rinomate altre chiese furono calcati dalla presenza di Francesco, che continuamente spostandosi tra il sud e centro Italia, ammanniva discorsi che soggiogavano le masse e, al dire di uno storico aversano, “inebriavano l’uditorio”.
L’eco della suadente parola di Vento era ormai giunta a Roma, essendo Papa Leone XIII (buon intenditore) che designò di nominarlo Vescovo alla prima occasione.
Avendo il Vescovo Caputo rassegnato le dimissioni della Diocesi aversana, giunse il momento di affidare a lui l’incarico, ritenendolo idoneo a così alta carica, che avrebbe espletata - pur tra difficoltà per l’ambiente - prestigiosamente.
Il nuovo eletto si mise a disposizione della sua diletta Diocesi, usando il suo particolare ingegno, le sue eccelse qualità, ma soprattutto rubando gli animi con la sua vena oratoria, creando quasi una scuola di valenti predicatori, Il tutto lo espletò con animo mite e paterno, tanto che la sua attività apostolica
gli valse la riappacificazione degli animi e la devozione dei suoi figli spirituali.
Per la città di Aversa ebbe un occhio particolare e, quando il popolo per il 1900 espresse il desiderio di una seconda incoronazione della Vergine di Casaluce, il Vescovo, d’intesa con la Commissione, fece preparare un vasto programma, dando quasi alla manifestazione l’aspetto di un “giubileo popolare”, secondo l’espressione dello storico Vitale.
Le feste si svolsero veramente solenni, specie in Cattedrale, abbellita per l’occasione con magnifici arazzi, trasportando il trono della Vergine di Casaluce nel Duomo, ove sostò 10 giorni; davanti al trono sostarono folle di popolo aversano e della Diocesi.
Alterne vicende seguirono ed il fisico del Vescovo - per stress ed anche per dispiaceri - si ammalò indebolendosi.
In pochi giorni si aggravò e, consigliato dal medico a respirare aria pura verso S. Giorgio a Cremano, ivi morì dopo poco, a 61 anni, il 27 settembre del 1910.

 

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(1911-1930) Settimio Caracciolo "Il Sinodale" 

Un altro napoletano fu designato alla sede vescovile di Aversa: Settimio Caracciolo, di nobile famiglia, nato il 17settembre 1862.
Fu educato nella stessa Napoli e presso il Seminario passò i suoi ultimi anni di preparazione al sacerdozio.
Continuò gli studi, laureandosi in Teologia a Roma ed inoltre in Diritto Canonico. Non ritornò a Napoli, poiché passò all’Accademia Ecclesiastica, entrando nel Corpo Diplomatico, occupando cariche presso la 5. Sede, al tempo di Leone XIII, dal quale il Caracciolo ottenne titoli onorifici, nominato, poi, nel 1895, Canonico deIl’Arcibasilica di S. Giovanni Laterana. 
Ormai progrediva nella carriera ecclesiastica, ma d’improvviso si seppe della sua designazione a Vescovo residenziale di Alife (CE).
Soltanto due anni risiedette ad Alife, essendo già valutato per il ministero pastorale. Ma dal nuovo eletto Papa Pio X, veniva designato “Visitatore” per le Diocesi meridionali.
E sia per il delicato lavoro scolto e sia per la competenza manifestata, il Caracciolo, forse per premio, lo si volle di nuovo a capo di una Diocesi, e questa volta fu scelta Aversa.
Così, nell’aprile del 1911, Mons. Caracciolo raggiungeva la sede di Aversa, dando subito prova di senno e di oculata esperienza.
Quantunque nella veste di Vescovo, il suddetto non cambiò le sue abitudini e nè mostrò diverso umore: aveva nel sangue l’animo napoletano schietto che si manifestava attraverso un carattere gioviale, come ancora lo ricorda qualche superstite, che si attirava subito la simpatia del popolo con cui dialogava, usando nei rapporti umani lo stesso dialetto per facilitare i rapporti, specie in alcuni momenti particolari.
Nel visitare le chiese della Diocesi, spesso chiedeva ai parroci di che avessero bisogno, regalando arredi sacri e suppellettili.
lstitui tre nuove parrocchie: una a Casal di Principe e due a Fratta. Richiamò in Aversa i Padri Conventuali ed i Padri Agostiniani.
Oltre ad assicurare un dignitoso aspetto alla Cattedrale e al Seminario, rivolse la sua assistenza ad opere pie, come la Casa di Riposo Sagliano, di cui fu uno dei benefattori insigni.
Codificò la Diocesi, infine, affrontando un immane lavoro indicendo il “Sinodo”, che in Diocesi non si teneva da 220 anni: esso fu come il “canto del cigno”.
Comparivano intanto per il Vescovo i primi acciacchi, che man mano aumentarono fino a trascinarlo in un’inerzia fastidiosa, che lo portò alla tomba nel 23 novembre deI 1930.
Per testamento, il Caracciolo offrì tutti i suoi averi parte alla Cattedrale, parte al Seminario, parte ai poveri ed ultima parte alla S. Sede. Morto in Aversa, fu seppellito per 5 anni al cimitero e riesumati i suoi resti mortali, furono deposti in un monumentino marmoreo in Cattedrale, esposto ancora oggi al devoto visitatore.

 

 

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(1931-1935) Carmine Cesarano "Il Padre" 

Pagani, in provincia di Salerno, diede i natali a Mons. Cesarano il 24 ottobre 1869.
Entrò da giovinetto nel Seminario vescovile di Nocera-Pagani, compiendo gli studi sino al Sacerdozio e presso quello di Napoli, poi, conseguì la laurea in Teologia.
Iniziò ad esercitare il ministero sacerdotale, essendo prete secolare,ma dopo qualche anno fu attratto dai “Figli di 5. Alfonso” ed ammesso alla Congregazione dei Redentoristi nel 1897.
Si distinse subito tra i membri dell’istituto per lo zelo e la carità: era per tutti un “Padre”.
Per le sue ottime qualità, fu inviato Superiore in una Casa del Catanzarese e poi eletto Provinciale.
Nel 1915, in aprile, fu eletto Vescovo di Ozieri (Sardegna), profondendo senza riserve conforto e sostentamento ai suoi figli spirituaii, provati dalla miseria a causa del primo conflitto mondiale, a cui partecipò come belligerante la nostra Italia.
Nel 1918 fu trasferito all’Archidiocesi di Conza e resse da Amministratore la Diocesi di Campagna. Quivi lasciò le sue sante orme, con l’apertura di due seminari (urbano ed estivo), indicendo il primo Congresso Diocesano Eucaristico, nel luglio 1925 ed il Sinodo Diocesano nel settembre del 1927.
Poiché la sede aversana vacava già da parecchi mesi, il Cesarano fu trasferito da Conza ad Aversa nel dicembre del 1931.
Nella nuova Diocesi affidatagli inizia un nuovo capitolo della sua vita benefica e, se pur breve, densa di opere.

Il Vitale, degno ed ammirevole Canonico che l’ebbe Vescovo, lo definisce “Presule dall’anima di fuoco e dalla pietà ammirevole, sempre accessibile, sempre paterno”.
Un altro teste ripeteva spesso: “Mons. Cesarano aveva conquistato il cuore dei fedeli, sapendo bene che la gente è di chi la comprende”.
Se la diffusione del Vangelo ha bisogno di apostoli, il Vescovo si preoccupa di formarne, e perciò istituì “l’Associazione diocesana per le Vocazioni ecclesiastiche”.
Riordinò la Vicaria curata di S. Maria a Piazza, in Aversa, creandola parrocchia.

La Cattedrale da lui ricevé un altro tocco indispensabile ma maestoso; parte dal pavimento di marmo ed arriva al tetto, che era stato scollato a seguito del terremoto del 1930.
Il Presbiterio del Duomo è tutto un cantiere, facendo spostare il Trono episcopale dalla vicinanze dell’Altare maggiore all’imbocco del presbiterio medesimo, mentre venivano eseguiti altri lavori, e così l’ambulacro scrostato da inutile intonaco che “nascondeva e deturpava la sua bellezza e grandiosità”.
Il tutto in vista di un Congresso Eucaristico diocesano che fu celebrato dal 24 al 29 settembre del 1935. La conclusione si svolse in piazza G. Marconi, gremita all’inverosimile, riservando un posto di onore ai fanciulli biancovestiti, mentre partecipavano alla cerimonia sacra molti Vescovi ed Arcivescovi, presieduti da 2 Cardinali, l’Ascalesi di Napoli ed il Verde condiocesano. 
Appena 2 anni dopo il Cesarano si spense nella pace del Signore: era il 22 novembre del 1935.
La salma fu temporaneamente sepolta nel cimitero di Aversa, per passare nel 1939 in Cattedrale in un monumento semplice, a testimonianza della sua vita vissuta tra i semplici.
sieduti da 2 Cardinali, l’Ascalesi di Napoli ed il Verde condiocesano.
Appena 2 anni dopo il Cesarano si spense nella pace del Signore: era il 22 novembre del 1935.
La salma fu temporaneamente sepolta nel cimitero di Aversa, per passare nel 1939 in Cattedrale in un monumento semplice, a testimonianza della sua vita vissuta tra i semplici.

 

 

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