L'attivita fisica femminile nell'antica Roma

 

Il diritto romano arcaico privava la donna di qualsiasi forma di indipendenza. Ella doveva essere “in manu”, cioè “sottoposta” alla tutela legale del padre, del marito o, se nubile o orfana, al più stretto parente tra i maschi della famiglia. Rispetto alla donna greca la donna romana, viveva in una situazione migliore, in quanto possedeva maggiori considerazioni socio-culturali, ma la sua esistenza si svolgeva tutta in funzione del matrimonio e della famiglia, all’interno della quale aveva il compito di occuparsi dell’educazione dei figli. Anche molto giovane, la donna sposava un uomo che il padre aveva scelto per lei, ed al quale l’aveva promessa già fin da bambina. Il matrimonio si perfezionava con il trasferimento della donna dalla famiglia paterna a quella del marito. A Roma l’adulterio, cioè la violazione dell’obbligo coniugale, era considerato solo se veniva commesso dalla donna, e veniva punito dal “pater familias” anche con la pena di morte. Una limitazione alla libertà delle donne romane fu rappresentata dalle restrizioni che le venivano dalla repressione del lusso che caratterizzarono la politica romana fra la II guerra punica ed il periodo Sillano. Nel 169 a. C.,  per esempio, una legge stabiliva che nessuna donna poteva essere erede di un patrimonio superiore a 50.000 denari, perché si riteneva che le donne divenute titolari di grandi matrimoni avessero tendenza ad indulgere nel lusso. La condizione delle donne andò comunque progressivamente cambiando, giungendo al punto che, pur essendo escluse dalla vita pubblica, riuscivano ad avere un’influenza sempre maggiore negli affari politici. Inoltre nell’ultimo periodo, quello Repubblicano, nelle classi molto elevate, il divorzio divenne molto comune, mentre divenne sempre meno comune il matrimonio che metteva la moglie sotto la piena podestà del marito. Nei primi anni dell’Impero Romano, 470 a. C. circa, a Roma la classe sociale più bassa era costituita da schiavi, prostitute e contadini. Giunti alla morte essi non erano ritenuti neanche meritevoli di una sepoltura in cimitero; questo comportava che essi fossero sepolti in campi senza ricevere nemmeno il rito funebre. Gli unici ritenuti liberi da classificazioni sociali erano i gladiatori e, successivamente, le gladiatrici. Esse nacquero combattendo nelle arene, in lotta tra schiavi per ribellarsi alle costrizioni imposte dalla società. Nel 70 a. C. i combattimenti si estesero in Inghilterra, dove i gladiatori rappresentavano teatralmente episodi storici verificatisi in passato; le donne cominciarono a combattere nelle arene come novità per divertire maggiormente il pubblico; contro di esse venivano aizzate belve feroci, con cui dovevano combattere e che successivamente dovevano uccidere, dimostrando “virtus”, cioè “coraggio”. Le gladiatrici entravano in arena per combattere, solo due o tre volte l’anno, per il resto si allenavano nelle scuole per gladiatrici. Alla loro morte venivano cremate, e le loro tombe erano sature di incenso per coprire il fetore del sangue. Il rituale di morte di una gladiatrice doveva essere importante perché, combattendo in arena, ella era ritenuta un'eroina. Resti di una  gladiatrice sono stati recentemente scoperti durante gli scavi compiuti da un gruppo di archeologi in un anfiteatro di epoca romana a Southwark, nella parte d meridionale di Londra. Si pensa che la donna, che indossava ancora i finimenti tipici della gladiatrice, avesse un’età intorno ai venti anni, ma di costituzione fisica robusta. Dal corredo funebre si evince ancora che deve essere stata una seguace di Iside. 

 

  LAURA  CASTELBUONO,  ANGELA DI GREGORIO,  ALESSANDRA FAVA