LA VITA TRA MORTE E NUOVA NASCITA E I RAPPORTI TRA I VIVENTI E I DEFUNTI SECONDO LA SCIENZA DELLO SPIRITO

Anna Maria Cugurullo

 

C'è una frase che ricorre spesso negli scritti e nelle conferenze di Rudolf Steiner e che suona a un dipresso così: "L'uomo deve conquistarsi qui, sulla Terra, tutto ciò che concerne la sua vera natura, le Gerarchie spirituali, i mondi spirituali, tutto ciò, insomma, che concerne la scienza dello spirito". E' della massima importanza per l'uomo portare con sè questo bagaglio di conoscenze quando varca la soglia della morte. Potrà così irradiare di luce il suo cammino e comprendere il succedersi delle esperienze animiche alle quali andrà incontro. Inoltre, solo conoscendo le profonde trasformazioni che l'anima sperimenta nel post mortem, egli riuscirà ad aiutare le persone care che lo hanno preceduto nel varcare la soglia ed a creare con loro un vivo rapporto, sebbene vivano ormai in due sfere di esistenza differenti.
Inizierò quindi con il tratteggiare il cammino dell'anima tra morte e nuova nascita, per poi parlare dei rapporti che, con l'aiuto della Scienza dello spirito, è possibile instaurare tra i vivi e i morti.
La morte può essere terrificante per noi finché siamo sulla Terra, perché la viviamo come una fine, come uno sprofondare nel nulla o nell'ignoto. Ma dall'altra parte, nel mondo spirituale, la morte ci appare come la vittoria dello spirito che si svincola dal corpo fisico. L'anima del defunto si rivolge sempre a questo evento come al momento sublime della sua vita nel Cosmo. In relazione a questo evento si accende ciò che dopo la morte è la nostra coscienza dell'io.
La vita dopo la morte consiste in un lungo viaggio, ascendente dalla Terra ai mondi spirituali, discendente dai mondi spirituali alla Terra. In questo percorso, che dura secoli, l'anima sperimenta una continua metamorfosi dei suoi stati di coscienza ed alterna fasi di consapevolezza a fasi di spegnimento della coscienza, così come nella vita terrena allo stato di veglia subentra lo stato di sonno.
Va detto però che la condizione dell'anima nei mondi spirituali non è sempre stata la stessa. Nel susseguirsi delle epoche di civiltà postatlantica, l'uomo è andato sempre più congiungendosi con il piano fisico, con la materia, ma nel contempo il mondo spirituale gli è diventato estraneo sia nella vita sulla Terra che nel post mortem.
Il periodo di massimo oscuramento si è verificato nell'epoca greco-romana; allora le anime che entravano nel regno dei defunti avevano la sensazione di trovarsi in un luogo vuoto, buio e freddo. Nell'Odissea Omero fa dire ad Achille: "Meglio essere un mendicante sulla Terra che un re nel regno delle ombre".
Se la solitudine dell'anima dei defunti fosse rimasta quale era allora, amore e fratellanza sarebbero scomparsi dalla Terra: reincarnandosi l'uomo avrebbe portato in sé la tendenza all'isolamento. L'impulso del Cristo, che inserì sulla Terra le fondamenta per la fratellanza e l'amore, pose fine a questo periodo di massima oscurità.
Quando si compì il mistero del Golgota, il Cristo apparve alle anime che vivevano tra morte e nuova nascita nel mondo spirituale, e questo mondo fu irradiato da una luce potente.
Rudolf Steiner dice ripetutamente che quanto più l'uomo conosce e sperimenta il Cristo qui, nella vita terrena, in modo che l'impulso del Cristo si insedi possentemente nella sua anima, tanto più luminosa sarà per lui la vita nei mondi spirituali, e tanto più facile la comprensione e la fusione con gli altri esseri.
Quando l'uomo, al momento della morte depone il corpo fisico, la sua entità continua a vivere nel corpo eterico, nel corpo astrale e nell'io. Le sostanze del corpo fisico ricadono totalmente sotto le leggi delle forze terrestri e vengono distrutte. Qualcosa del corpo fisico però non viene distrutta, ed è la forma del corpo fisico umano, che Rudolf Steiner chiama fantoma. Il suo germe fu posto dai Troni sull'antico Saturno e su esso hanno ulteriormente lavorato altri esseri delle gerarchie.
Deposto il corpo fisico, l'uomo è sommerso dalle tenebre. Ma a poco a poco, sullo sfondo, scorge una luce che diventa sempre più intensa, fino ad apparire come una stella luminosissima dalla quale si espande saggezza cosmica radiante.
Su questo sfondo si proietta la visione panoramica di tutta la vita, in forma di immagini. Questo è il momento in cui il corpo eterico comincia a sciogliersi dal corpo fisico e ad effondersi nell'oceano eterico universale. L'anima del defunto si concentra ora sul quadro sempre più distinto dei fatti della vita trascorsa, su questa visione che non è legata ad una successione temporale, ma si presenta come un insieme di ricordi sovrapposti di grande vivezza. Questo panorama viene sentito in modo oggettivo, mentre di norma i fatti della vita fisica sono accompagnati da sentimenti soggettivi di gioia o di dolore. Nel quadro-ricordo è compreso tutto quanto l'uomo si è conquistato nell'ultima vita terrena e dà l'impulso al nascere della coscienza nel post mortem.
Il defunto resta immerso in questa contemplazione per circa tre giorni, sino a quando l'io e il corpo astrale mantengono i legami che li uniscono al corpo eterico. Un estratto del corpo eterico rimane unito all'entità umana e gli permetterà di ricordare la vita passata.
Ora l'uomo entra nella sfera della Luna anche se, più che di un luogo, bisogna parlare di uno stato di coscienza. Egli si trova nel kamaloca detto anche mondo delle brame o purgatorio, e lo percorre in un tempo pari a circa un terzo della durata della sua vita terrena. Il kamaloca viene chiamato anche regione delle brame, perché in esso l'uomo deve purificarsi da tutti i desideri, da tutte le brame, dalle più grossolane alle più sottili, connesse con il corpo fisico.
Il godimento è legato anche al corpo astrale, e pertanto, l'uomo non si libera subito dalle sue brame, che peraltro non può soddisfare perché privo del corpo fisico. Il processo di purificazione è abbastanza lungo, ma varia da anima ad anima: è più breve per le anime degli uomini i cui interessi terreni erano prevalentemente di natura spirituale, artistica; è più lungo per coloro che coltivarono interessi prevalentemente materialistici o egoistici. L'anima è ancora fortemente legata alle forze della Terra e a tutto ciò che la unisce alla vita terrena.
Nella sfera della Luna l'uomo incontra gli antichi maestri dell'umanità, incontra gli Angeli, in particolare il proprio angelo, e tutte le persone con le quali era stato in relazione sulla Terra, rivivendo con loro le esperienze che ebbero in comune.
In questa fase del lungo cammino dell'anima nei mondi spirituali si verifica uno dei grandi rovesciamenti dello stato di coscienza del post mortem: tutto ciò che abbiamo fatto, detto o anche solo pensato, relazionandoci con altri uomini, viene rivissuto attraverso le sensazioni che il nostro agire operò nell'altra persona. Se le abbiamo fatto del bene, se l'abbiamo aiutata nella sua evoluzione, dalla sua anima ci viene incontro un riflesso di quel bene, pervadendoci di gioia. Se le abbiamo fatto del male, ci viene incontro un riflesso della sua sofferenza, della sua paura, o della sua umiliazione, suscitando in noi un grande dolore. Tutto ciò viene sperimentato con la massima intensità. Si sente: "Tu hai contribuito al progresso di quell'anima, oppure, tu l'hai danneggiata". Si percepiscono anche i sacrifici che parenti, amici, maestri hanno fatto per noi, di cui magari non ci eravamo neppure resi conto in vita. Questa conoscenza diventa un germe di gratitudine per l'avvenire.
L'anima ora comprende che le sue passioni di ordine inferiore, le sue azioni malvagie, il suo egoismo hanno danneggiato altri uomini, se stessi, i regni della natura, il Cosmo. Allora, dal suo intimo, sorge potente l'impulso a rimediare a tutto ciò nella prossima vita terrena. Questa decisione è presa nella più completa libertà, e costituisce il nucleo del karma futuro.
Si esce dalla sfera della Luna portando con sé solo quello che abbiamo compiuto di buono nell'ultima esistenza terrena. Fino alla Luna perdura la vera e propria sfera del kamaloca ­ la parte sgradevole del kamaloca. Poi iniziano le più trasparenti regioni del mondo animico.
Le entità lunari, che un tempo furono i nostri maestri, esprimono un severo giudizio sul valore che hanno le nostre buone e cattive azioni per l'intero universo.
Nelle sfere successive, Mercurio e Venere, sono determinanti l'amore, la compassione, la socievolezza che l'uomo ha saputo sviluppare durante la vita terrena; su Venere inoltre, e in forma più ampia nel Sole, è importante l'attitudine al senso religioso.
Chi non ha coltivato queste qualità vive in solitudine. Rudolf Steiner ci dice che non c'è dolore più grande del sentirsi chiusi in se stessi come in una prigione. L'anima che ha coltivato le qualità positive suddette, diventa portatrice di benedizioni.
Su Mercurio l'uomo si libera dalle tracce che le malattie avevano lasciato nella sua anima e che, nella prossima incarnazione, ritroverà trasformate in forze di volontà.
Nella sfera di Mercurio operano prevalentemente gli Arcangeli, in quella di Venere le Arcai.
L'anima abbandona ora il corpo astrale, che si espande nelle sfere cosmiche. Anche del corpo astrale si conserva qualcosa, e cioè quella parte che è stata purificata dalle forze dell'io e che è formata dalle conquiste realizzate in ogni campo durante la vita terrena.
Ormai l'io si è liberato dai legami con la Terra, entra nella sfera del Sole e vive, sentendosi veramente libero, come essere spirituale: spirito tra spiriti.
Nello spazio solare si incontrano le entità della seconda gerarchia: Exusiai, Dynamis, Kyriotetes.
Nel mondo devachanico l'uomo vive nella sua vera patria. Anche quando è incarnato, gli echi di questa patria risuonano in lui nelle melodie e nelle armonie del mondo fisico.
La vita, nel devachan, è concepita come un tutto unitario. Si è di fronte a tutto quanto è fluito nel divenire dell'umanità dai fondatori delle religioni. Si contempla, in grandiose immagini, ciò che unisce gli uomini.
Si è detto dell'importanza del senso religioso nella sfera di Venere. Nella sfera del Sole occorre ancora dell'altro all'anima che la attraversa: per poter comprendere ciò che si svolge intorno a lei, per poter collaborare con le Gerarchie spirituali, per non dover soccombere molto presto all'oscuramento della coscienza, l'anima deve aver imparato a comprendere, sulla Terra, tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla confessione religiosa di appartenenza.
Questo è il significato del congiungersi all'impulso del Cristo, poiché il Cristo è disceso sulla Terra per tutti gli uomini.
Il cristianesimo, rettamente inteso, è nato per unificare, non per dividere, esaltando quell'elemento universalmente umano presente in ogni uomo.
Nel devachan l'entità umana deve dedicarsi alla preparazione della sua futura incarnazione e a tutto ciò che ad essa è cosmicamente c ollegato. Si verifica ora un altro grande rivolgimento, l'uomo contempla il proprio corpo fisico, lo contempla fuori da se stesso e dice: "Questo sei tu". Da questo momento comincia a lavorare, collaborando con gli esseri delle Gerarchie spirituali che lo guidano, allapreparazione della sua futura corporeità.
Egli prova un'immensa beatitudine in questo processo creativo, nel dare forma al corpo umano: il tempio degli dei.
Si tratta di un archetipo spirituale i cui organi serviranno da formatori ­ da architetti ­ per la costruzione del corpo fisico nella successiva incarnazione.
Mentre nella sfera spirituale si svolge questa grandiosa opera creativa, nella sfera terrena si va preparando, per generazioni, la linea genealogica fisica.
Procedendo oltre il Sole si penetra nella sfera di Marte, dove operano prevalentemente i Troni, quindi in quella di Giove e di Saturno, sede dell'attività dei Cherubini e dei Serafini. Qui, ovunque, l'uomo è immerso nella sfera religiosa.
Dal momento in cui accede alla sfera solare, l'anima comincia a percepire la musica delle sfere che le viene incontro da ogni parte del Cosmo.
L'armonia o musica delle sfere è il riecheggiare, in una musica spirituale, della cooperazione degli esseri delle Gerarchie.
Inoltrandosi nella sfera di Marte, l'uomo non soltanto ode la musica delle sfere, inizia a comprendere il linguaggio creativo degli dei da cui nascono tutte le cose: il Logos. Questi suoni rivelano l'armonia che ha presieduto alla creazione dell'intero universo.
Per gli uomini meno progrediti è impossibile mantenere a lungo una coscienza desta nel devachan e pertanto non possono neppure collaborare con gli dei alla preparazione della propria futura corporeità.
Superate le regioni di Giove e di Saturno, l'uomo penetra nella zona delle stelle fisse, nello Zodiaco, e vive con gli esseri che appartengono alle stelle stesse. Lo percorre punto per punto e da ciascun punto trae il germe spirituale del suo futuro corpo fisico. Ad esempio, nella costellazione dell'Ariete, collabora con le gerarchie dell'Ariete alla formazione del capo.
Quando l'anima ha raggiunto il punto culminante del suo lungo viaggio ­ ciò avviene dopo secoli per chi muore in età adulta ­ e si trova ad uguale distanza tra la morte e una nuova nascita, penetra nella zona della grande calma, nella mezzanotte cosmica, che percorre in uno stato di sonno.
Superata la mezzanotte cosmica, l'anima sente una grande nostalgia per la Terra e incomincia la sua discesa verso la reincarnazione, percorrendo a ritroso il cammino.
Per potersi reincarnare, l'uomo si circonda di sostanzialità astrale, in modo conforme all'archetipo elaborato nel devachan. Le entità spirituali guidano l'uomo verso la coppia dei genitori e incorporano in lui il corpo eterico, grazie al quale può attuarsi il massimo adattamento possibile con il corpo fisico.
Avviene quindi qualcosa di polare rispetto alla morte. Dopo la morte l'uomo depone prima il corpo fisico, poi l'eterico ed infine l'astrale. Al momento della ridiscesa sulla Terra, egli si aggrega prima il corpo astrale, poi l'eterico e per ultimo il corpo fisico.

I RAPPORTI TRA I VIVENTI E I DEFUNTI
Da alcuni secoli, nella cultura dominante ­ la cultura del ricco e materialista mondo occidentale ­ trionfano pensieri e tendenze che hanno creato una profonda frattura tra i vivi e morti. Il sentimento di un vivo e reale rapporto con i defunti si è fortemente affievolito, anche in chi è credente.
Per i credenti, il legame con i defunti spesso si limita alle preghiere di suffragio, o alle pratiche di culto.
Il culto dei morti è importante, ma per essere efficace deve essere così profondamente sentito da diventare una vera forza, una luce che le anime dei viventi dirigono verso le anime dei defunti.
Per i materialisti e per gli atei, per coloro che credono soltanto nell'esistenza terrena, il problema non si pone: poiché non credono nella sopravvivenza dell'anima dopo la morte, la possibilità di conservare un reale rapporto con i defunti non sussiste.
La solitudine di chi ha varcato la soglia, soprattutto nella fase iniziale del post mortem e nel kamaloca, si è fatta più intensa e dolorosa. I defunti hanno bisogno dell'aiuto dei viventi; essi attendono un nutrimento spirituale che non ricevono. A loro volta, non possono inviare sulla Terra il loro patrimonio di saggezza, i loro impulsi che potrebbero aiutare l'umanità nella sua evoluzione, soprattutto in momenti drammatici come quelli in cui oggi viviamo.
Uno dei compiti dell'antroposofia è quello di ricostruire un ponte tra i vivi e i morti, adeguato al grado di evoluzione dell'uomo odierno.
Ai primordi dell'umanità, la convivenza con i defunti era naturale. Si avvertiva la loro presenza, ci si rivolgeva verso di loro per consigli ed aiuto; non era necessario provare alcunché.
Senza inoltrarsi in tempi così remoti, è sufficiente soffermarsi sul medioevo, per trovare nel cristiano che pregava per i suoi defunti sentimenti così intensi che raggiungevano facilmente le anime dei trapassati.
Come ho detto in precedenza, oggi più che mai dobbiamo trovare la forza e la via per ristabilire un vivo rapporto con i morti, coltivando in noi pensieri di contenuto spirituale.
Per entrare in contatto con un defunto, si dovrà prima di tutto rendere silenziosa la propria anima, liberarsi dalle preoccupazioni personali, rendersi aperti e provare devozione per l'essere più intimo del defunto.
Si può ad esempio rievocare il suo modo di parlare, di muoversi, di gestire e poi, pian piano, rivivere esperienze del destino che, quando era vivo, abbiamo condiviso. Questo ricordo-immagine deve diventare molto vivo, in modo che le esperienze coinvolgano non solo il pensiero ma anche il sentimento.
Se il defunto al quale ci si vuole rivolgere è morto in età infantile, si può realizzare un senso di comunione immaginando di giocare con lui, immedesimandosi totalmente nel gioco come fanno i bambini.
Occorre ancora dell'altro: il ricordo, lo spazio animico che si crea, deve essere circondato da un'atmosfera di gratitudine per quello che il defunto è stato per noi quando era in vita.
Si crea così una sorta di irradiazione che parte dall'anima di chi cerca e raggiunge, nella sfera dei defunti, l'anima alla quale si rivolge.
Un incontro di questo genere, quando si compie, non comporta alcunché di sensazionale, avverte Rudolf Steiner. E' qualcosa di intimo, ci si sente, per così dire, "sotto lo sguardo del defunto". E' uno sguardo d'anima che ci avvolge da tutte le parti. Momenti importanti per il rapporto con chi vive nel mondo spirituale sono quelli dell'addormentarsi e del risveglio; più precisamente: il momento in cui ci si addormenta per porre delle domande ad un defunto; il momento del risveglio per ricevere delle risposte, anche se queste possono affiorare alla nostra anima, sotto forma di una ispirazione, in qualunque momento della giornata.
Le persone giovani che sono passate attraverso la porta della morte, rimangono a lungo vicino agli esseri che hanno amato e che sono rimasti sulla Terra.
Le anime di persone morte in età avanzata, non perdono le anime che hanno lasciato sulla Terra, portano con sé ciò che vogliono avere da noi. Esse non ci perdono.
Dobbiamo sempre tener presente che i morti avvertono i nostri pensieri, le nostre emozioni, i nostri sentimenti positivi o negativi. L'odio e l'antipatia dei viventi nei confronti dei morti, costituiscono un ostacolo ai loro buoni propositi circa uno sviluppo spirituale. E' giusto evitare le critiche negative quando si pensa a loro o si parla di loro, ma è altrettanto importante non pronunciare lodi immeritate neanche quando un defunto viene ricordato in occasione di una commemorazione. Occorre offrire all'anima alla quale ci si rivolge, uno specchio fedele nella quale essa si possa riconoscere ed accettare.
Rudolf Steiner ci indica il giusto modo di aiutare i nostri cari nel momento della morte: si devono evitare manifestazioni di disperazione, anche se è giusto e comprensibile provare dolore. E' bene accompagnare l'anima del defunto con parole di pace, d'amore per fargli sentire che vive sempre in noi, anche nella sua nuova forma di esistenza.
Per chi conosce le tappe del cammino dell'anima nei mondi spirituali, questo è il momento di aiutarla a trovare la strada.
Un servizio straordinario può essere reso alle anime dei trapassati leggendo per loro pagine di libri che trattano argomenti spirituali. E' possibile rivolgere questa lettura solo alle persone che si sono conosciute bene mentre erano in vita, o con le quali si sia condivisa qualche esperienza significativa.
L'affetto che ci legava fa sì che, in un certo modo, portiamo in noi qualcosa dell'essere del defunto.
Si procede così: si rivolgano i propri pensieri al morto, si cerchi di visualizzarlo così come lo si ricorda da vivo, in piedi o seduto davanti a noi.
Non si legge a voce alta, bensì si seguono attentamente i pensieri che devono diventare pensieri viventi. Il morto ci sta dinanzi. Bisogna considerare ciò che si legge parola per parola, come se lo recitassimo nel nostro intimo: allora i morti leggono in noi.
Oltre che leggere, si possono rielaborare nella propria mente conoscenze spirituali ed offrirle all'anima del defunto, seguendo il medesimo procedimento.
E' stato chiesto a Rudolf Steiner se si può sapere se il morto ci ascolta. Steiner ha risposto che dal modo in cui i pensieri letti al morto vivono nell'anima di chi legge, dopo qualche tempo si avverte la sua presenza. Ha aggiunto che questa sensazione può essere provata solo da persone dotate di fine capacità di osservazione.
Suggerisce comunque di non preoccuparsene, di offrire questo grande servizio ai propri cari defunti senza aspettarsi delle prove, mossi dal desiderio di dar loro quelle conoscenze spirituali che si possono acquisire solo sulla Terra.
Vorrei adesso parlare al valore del perdono nella vita dopo la morte. Quello che qui posso solo accennare è spiegato diffusamente nel testo di Sergej Prokofieff: Il significato occulto del perdonare.
Supponiamo che in un conflitto fra due persone una di questa compia un'azione ingiusta o cattiva, mentre l'altra, quella che l'ha subita, decida di perdonare.
Ciò determina un rafforzamento dell'io superiore in chi perdona. L'atto del perdonare, il vero perdono, avrà una grandissima importanza per la vita dopo la morte di chi è stato perdonato, indipendentemente dal fatto che quest'ultimo lo sappia o non nella sua coscienza ordinaria.
Perdonare è molto difficile, ma quando si verifica, un essere umano comincia a farsi carico del karma di un altro, di colui che ha ottenuto il suo perdono. Dopo la morte, nel kamaloca, il primo diventa per l'altro una luminosa stella che lo guida, perché il campo visivo spirituale di quest'ultimo è oscurato dalle sue colpe. Se quest'ultimo, per di più, non è disposto a riconoscere le proprie colpe e ad iniziare un processo di autoconoscenza, attira su di sé la massima sofferenza che deriva dalla sua disarmonia con il cosmo.
L'anima che aveva perdonato all'altra, le si accosta, quale messaggera del Cristo, e l'aiuta nella giusta valutazione delle azioni compiute sulla Terra, e quindi ad alleggerire la sua pena.
E così, un essere umano già molto avanti nel suo cammino evolutivo, può aiutare due volte un proprio simile, una volta sulla Terra e una volta nei mondi spirituali.
Concludo leggendovi un brano di Rudolf Steiner tratto dall'Essenza della musica, che parla dell'importanza della musica nel post mortem.
Amo molto la musica, e mi è sembrato il miglior modo di concludere questo nostro incontro.
" L'elemento musicale vive particolarmente nel corpo astrale dell'uomo. Dopo la morte l'uomo porta con sé ancora per un periodo il suo corpo astrale. Per tutto il tempo che egli lo porta con sé, fino a che lo depone completamente, è sempre ancora presente nell'uomo, dopo la morte, una specie di reminiscenza della musica terrestre.
Da questo deriva che ciò che l'uomo accoglie nella vita come musica, agisce dopo la morte come un ricordo musicale ancora a lungo, fino a che egli ha deposto il suo corpo astrale. In seguito la musica terrestre si trasforma, nella vita dopo la morte, in musica delle sfere, e rimane come musica delle sfere fino a qualche tempo prima della nuova nascita.
[] Tutto quanto l'uomo accoglie di musica qui sulla Terra ha una funzione importantissima nella configurazione del suo organismo animico dopo la morte: questo viene configurato, plasmato, durante tale periodo. Ciò costituisce nello stesso tempo il vantaggio del periodo del kamaloca.
[] Si introduce una possibilità che l'uomo, nella prossima vita, sia meglio conformato, se egli, nel periodo del kamaloca, quando ha ancora il corpo astrale, può avere molti ricordi musicali.
Se noi non avessimo la musica, sorgerebbero nell'uomo delle forze veramente spaventose.
[] Fui sempre colpito in modo straordinariamente profondo dalle parole di Shakespeare*: "Se c'è qualcuno che non abbia ombra di musica in sé, né lo commuova una concordia di suoni soavi, colui è pronto al tradimento, alla perfidia, all'assassinio di un tale uomo non fidatevi mai"
Nelle antiche scuole misteriosofiche veniva infatti insegnato che la musica è il mezzo difensivo contro le forze luciferiche sorgenti nell'intimo dell'uomo: tradimento, perfidia, assassinio. Noi abbiamo tutti, in noi, tradimento, assassinio, perfidia e non senza una buona ragione il mondo ha in sé l'elemento musicale-verbale (a parte il fatto che esso dà gioia all'uomo). Lo ha proprio per fare dell'uomo un uomo".

* W. Shakespeare: Il mercante di Venezia, atto V°, scena I.


Milano, Società Antroposofica 2002

 

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