IL KARMA

dall'India all'Occidente

Marcello Girone Daloli


 
In questa breve presentazione dell'idea di karma ho ritenuto più giusto far parlare coloro che hanno attinto direttamente dal mondo spirituale i concetti che ci permettono di comprendere il profondo significato del karma. Le parole a volte possono imprimersi nell'anima di chi le ascolte, e le loro hanno sicuramente un peso superiore a quello che potrebbe avere una mia rielaborazione.
Per quanto riguarda l'aspetto storico mi sono rifatto da una conferenza che Gabriele Burrini tenne a Milano il 14 aprile 1997 sulla Storia dell'idea di reincarnazione.
 
L'idea di karma si è manifestata all'interno di tutti popoli che dal periodo di civiltà paleo-indiano hanno accompagnato il cammino dell'umanità sino ad oggi.
Cercheremo, sempre con l'ausilio dei grandi maestri d'Oriente e d'Occidente, di percorrerne la storia e lo sviluppo, partendo dalle sue origini, quindi dall'India, per poi vedere come tale idea si sia evoluta nel pensiero Occidentale moderno.
Il karma è la legge di causa ed effetto che regola la vita umana. Come in natura ogni effetto deriva da una causa, così tutti gli eventi della vita umana, anche quelli che si è tentati di attribuire al caso, in realtà sono: o effetti di cause prodotte con le azioni compiute in precedenza, o cause che produrranno effetti futuri in base a come sono affrontate nel presente.
La prima grande voce che espresse la legge del karma furono i Veda, la cui collocazione storica, abbiamo visto nei precedenti incontri, risale al 1500 a.C. Nelle Upanishad sarà poi così enunciata: "L'anima individuale si determina secondo particolari condizioni, nelle forme che sono conseguenza del suo precedente agire, secondo il proprio grado".
Ma se la "ruota del karma" terminasse di girare quando il corpo muore, resterebbero troppe cause che non hanno prodotto i rispettivi effetti; in una singola vita non tutto il karma viene pareggiato. Quindi l'antico testo quando parla di "precedente agire" si riferisce alle vite passate in cui si sono poste le cause, si sono compiute le azioni, che determinano gli effetti che viviamo nella presente incarnazione, ognuno "secondo il proprio grado", ovvero secondo il livello evolutivo conseguito.
Gabriele Burrini nella suddetta conferenza definì il karma "una legge automatica in cui nulla si perde. Il karma segue l'uomo e lo trova sempre, dicono i testi in una bellissima espressione letteraria, «come il vitello trova la madre in una mandria di mille vacche». E al-trove: «Noi siamo ciò che abbiamo fatto e saremo ciò che facciamo», nel senso che, se in una vita l'uomo sconta, o pareggia, il karma accumulato nell'esistenza precedente, resta pur sempre un resi-duo, a meno che l'uomo non raggiunga la liberazione (il moksha), che determina la condizione precisa in cui l'essere verrà a incarnarsi. Ecco che "ognuno di noi, è giardiniere di se stesso".
L'uomo può essere "giardiniere di se stesso" solo secondo la teoria del karma e della reincarnazione, altrimenti è costretto a imporre dogmaticamente un'entità esterna che giudichi le sue azioni. Nel cattolicesimo e nell'Islam è "Dio il giardiniere dell'uomo", non è più l'uomo che miete e raccoglie le proprie azioni. <<Ricordati, dice Papa Giovanni Paolo II, che alla fine ti presenterai davanti a Dio con tutta la tua vita, che davanti al Suo tribunale porterai la responsabilità per tutti i tuoi atti, che sarai giudicato non soltanto sui tuoi atti e sulle tue parole, ma anche sui pensieri, persino i più segreti>> (P.). Lo stesso concetto lo troviamo ripetuto di sovente nel Corano, dove si legge: <<Dio è bene informato di quello che fate>> (S.II, 271-S.II, 96- S.II,140...)
 
Swami Vivekananda apre il saggio intitolato Karma Yoga così: "La parola karman (o karma nell'uso comune occidentale dove la desinenza sanscrita "n" finale non è pronunciata), deriva dal verbo sanscrito kr che vuol dire "fare": ogni azione è karma Tutto ciò che facciamo, fisicamente o mentalmente, è karma, e lascia su di noi le sue tracce... Quale è il karma, tale è la manifestazione della volontà". E' molto importante comprendere questo concetto che rimette alla volontà, quindi al libero arbitrio di ogni uomo, il suo destino. L'uomo è "giardiniere di se stesso" in quanto, come scrive Massimo Scaligero nella sua opera Karma e Reincarnazione: "la corrente della Volontà opera come il veicolo naturale del karma".
<<Nei Veda (rubo ancora un po' dalla conferenza di Gabriele) indicava l'a-zione per eccel-lenza, il sacrificio rituale, l'azione sacra intesa come facoltà di conoscenza, quindi l'azione più nobile che si potesse compiere. Nel successivo indui-smo e nel bud-dhismo, come vedremo, dal momento che la ritualità si era lentamente svuotata del suo contenuto sacro, il termine karman passò invece a indicare l'azione morale, l'azione buona o cattiva che, in quanto attende una retribuzione, in indiano che ha «sete del frutto», rientra nella legge di causa ed effetto, che è appunto la legge del karma.
Il karma inteso come debito compare nelle Upanishad, solo qui assume una connotazione etica.
Da allora, dal VI sec. a.C. la riflessione degli asceti indiani si indirizzò sempre più verso questa dottrina fino a farne uno dei dogmi più importanti dell'indui-smo. L'uomo indiano dunque «riscoprì» la teoria del karma per un bisogno di liberazione che era inattingibile dalle liturgie, dai riti e dalle norme sacrificali della religione ufficiale, di origine vedica. Reincarnazione e Sé superiore, karman e atman, da allora divennero i pilastri della nuova corrente spirituale del pensiero indiano post-Upani-sha>>.
I quattro pilastri su cui poggia il pensiero della civiltà indiana sono: l'immensa "ruota del karma"; la mayà, il mondo illusorio, il dolore; lo Yoga, la disciplina volta a superare la mayà e il moksha, o samadhi, la liberazione dell'atman (il Sé) dalla ruota delle incarnazioni, quindi l'uscita dal karma.
 
Karma e Reincarnazione
L'idea di karma è inscindibile dall'idea di reincarnazione. Secondo la concezione orientale dell'evoluzione, l'uomo continua a reincarnarsi sulla terra fin quando non si è purificato, ovvero ha estinto il suo debito karmico accumulato nel corso delle vite precedenti.
Come vedremo oltre all'Induismo, il buddismo, l'esoterismo cristiano e molte altre scuole di pensiero ci insegnano che tutte le azioni di questa vita determinano il destino delle vite future, come quelle delle vite passate hanno determinato il presente. Una catena che unisce tutte le esistenze terrene e che ci offre un concetto di vita non più limitato alla singola esistenza fisica, bensì esteso alla vita dell'anima.
Nella Bhagavad Gita, il canto del Beato, comunemente ritenu-ta il "vangelo dell'induismo", si legge: «Come un uomo getta gli abiti logori per indossarne di nuovi, così l'anima incarnata abbandona i vecchi corpi e ne riveste di nuovi»(II,22).
La legge del karma è ciò che comunemente chiamiamo destino, ma non lasciato al caso, bensì regolato della legge di causa ed effetto che governa l'intero universo, per cui la singola vita nella totalità delle sue azioni, diventa la causa determinante degli avvenimenti della prossima incarnazione e così via. Steiner definisce appunto il karma: "l'attività divenuta destino".
In uno dei suoi scritti fondamentali, Teosofia, leggiamo: "Il corpo soggiace alla legge dell'ereditarietà; l'anima al destino che si è creato tale destino si chiama karma Il nesso tra corpo, anima e spirito può quindi venir espresso anche così: imperituro è lo spirito; nascita e morte dominano nella corporeità conformemente alle leggi del mondo fisico; la vita dell'anima, sottoposta al destino, congiunge il corpo e lo spirito durante il corso di una vita terrena".
Nell'articolo "Come agisce il karma" riportato nel volume italiano Reincarnazione e karma ribadisce il concetto, e riguardo all'anima scrive: "essa conserva gli effetti delle mie azioni compiute in vite precedenti; si deve ad essa che lo spirito appaia in una nuova incarnazione come il risultato dell'azione di precedenti vite sullo spirito stesso. Questo è il nesso esistente tra corpo, anima e spirito. Lo spirito è eterno; la corporeità è dominata da nascita e morte, secondo le leggi del mondo fisico".
L'anima è quella che agisce, il suo "risultato dell'azione di precedenti vite", s'imprime "sullo spirito stesso". L'anima, l'astrale si reincarna e porta con sé lo spirito. L'Io, lo spirito, riveste gli involucri umani (astrale, eterico e fisico).
L'anima è il ponte tra il perituro e l'imperituro, tra fisico e spirito. "Questi due elementi vengono sempre di nuovo ricongiunti dall'anima, in quanto essa con le azioni compiute intesse il destino conserva gli effetti delle mie azioni compiute in vite precedenti".
Quindi, leggiamo nel Glossario teosofico della Blavatski, la fondatrice della Società Teosofica: "Karma in senso fisico significa Azione e in senso metafisico Legge di retribuzione, la legge di causa ed effetto".
Krishna, il Beato Signore, Dio, rivelò: "Come l'anima incarnata nel corpo passa attraverso l'infanzia, la gioventù e la vecchiaia, allo stesso modo passa in un altro corpo. I saggi non sono turbati da questo" (II,13).
 
Le origini
Dalla conferenza di Gabriele Burrini sulla Storia dell'idea di reincarnazione: <<Lo storico greco  Erodoto (Storie 2,123), sosteneva che il primo popolo ad aver fede nella reincarnazione fosse stato il popolo egizio. Gli egittologi hanno però smentito Erodoto, dimostrando che gli Egizi non hanno mai creduto all'idea della reincarnazione. Se-condo le ultime ricerche e i ritrovamenti del dopoguerra, apparterrebbe al patrimo-nio delle civiltà indomediter-ranee, che soprattutto in Oriente hanno avuto come centro le due grandi città: Mohenjo-Daro e Harappa, geograficamente locate nell'attuale Pakistan la prima e a nord dell'India la seconda. Questi due grandi siti archeologici appartengono alla civiltà "Pre-aria" (pre-ariana) del III e II millennio a.C.
L'idea della reincarnazione va dun-que a perdersi oltre l'alba della civiltà, entra nel campo della protostoria.
Il primo do-cumento scritto sull'idea di reincarnazione lo si trova in una pagina della Brhad-ara-nyaka-upanishad (III,2,13), una delle più antiche Upanishad (VIII-VI secolo a.C.).
Si trattava di una dottrina segreta, gelosamente custo-dita dalla casta brahmanica (sacerdotale).
La personalità futura dell'essere umano, viene deter-minata dal tipo di vita morale che si è vissuta nella vita precedente, "da come ci si è attenuti al Dharma, al codice d'onore della casta di appartenenza".
Una tappa successiva nella riflessione indiana riguardante il karma è rappre-sentata da un libro molto conosciuto, il Codice di Manu, la cui redazione appartiene all'epoca post-cristiana del I-II sec. d.C., ma dai contenuti chiaramente molto antichi. Il codice di Manu in effetti è un trattato giuridico leggendariamente attribuito a Manu, il progenitore della razza umana.
Il dodicesimo libro di questo codice esemplifica appunto la legge del karma attraverso una scrupolosa casistica dei frutti karmici. Per esempio vi si dice che chi abbia ucciso un  brahmano è condannato a nu-merose trasmi-grazioni animali. Per gli antichi indiani questo era l'unico caso in cui si poteva veramente perdere il diritto all'umanità: uccidere una persona che aveva una dignità spirituale, la più alta dignità spirituale.
Successivamente al Codice di Manu, altri testi e altre scuole studia-rono la teoria del karma: tra queste la grande scuola idealistica del Vedanta del X secolo d.C., nella quale si legge Shankara, il grande filosofo dell'induismo e la scuola scivaita tantrica dello Shaiva-siddhanta del XIII secolo d.C., stabilire, tra l'altro, una ricca casistica delle re-tribuzioni karmiche, delle rinascite.
Dal momento che ogni azione porta il suo frutto, il vero superamento del samsâra, il ciclo continuo di vita-morte-rinascita, sostiene il Vedanta, consiste nella rinuncia a creare nuovo karma, cioè nell'arre-stare impulsi e passioni che ci legano alla terra e ci portano a desiderare e quindi a formare un nuovo karma. Questa «rinuncia», questa capacità di vincere impulsi e passioni ci porta nel cuore dello yoga, secondo cui il «liberato» è colui che si è svincolato dal karma da lui stesso accumulato in passato, perfino dal karma «latente», che cioè non ha ancora dato i suoi frutti. Il liberato è colui che ha superato il karma e se qualcosa gli resta nella vita ancora da superare, dice la letteratura mistica indiana, è come la ruota del vasaio che continua a girare ma senza nessuno che la giri, quindi il "liberato in vita" vive il resto dei suoi giorni terreni senza creare karma perché la vita va avanti per inerzia, è qui soltanto perché la ruota continua a girare".
Secondo la tradizione dei Veda le anime "più giovani", le jiva, appena entrate nella compagine terrena dovranno naturalmente partire dallo stato di coscienza più basso, dal manas, ovvero da una coscienza esclusivamente senziente, dominata dagli istinti, da cui via via, evolvendosi in milioni di vite, lentamente si svincoleranno. Nel corso di ogni loro vita terrena le jiva accumulano nuove esperienze che consentono loro di approdare a stati di coscienza sempre superiori sino alla completa purificazione (moksha). Termina così la vita individuale di un'anima che si è evoluta, reincarnandosi in milioni di corpi, fino a realizzare se stessa, la sua vera natura divina (Jivatman) pronta quindi a rientrare nella Luce originaria.
Questo processo permette all'anima umana di evolversi continuamente, reincarnandosi a un livello sempre superiore sino a ricongiungersi con la sua essenza originaria (salvo i rari casi di involuzione o di stasi, che comunque, nell'economia del ciclo delle rinascite, sono ininfluenti).
Nell'Autobiografia di uno Yogi, Paramahansa Yogananda racconta che il grande maestro fu inviato su un altro pianeta, non fisico, bensì astrale, come lui stesso gli rivela dopo la sua resurrezione. Sri Yukteswar risorse fisicamente e, stretto tra le braccia del suo discepolo Paramahansa Yogananda, pronunciò le seguenti parole: "Come i profeti vengono inviati sulla terra per aiutare gli uomini a liberarsi dal loro karma nel mondo fisico, così io fui mandato da Dio a servire su un pianeta astrale... Là aiuto gli esseri progrediti a liberarsi dal loro karma astrale e a giungere così alla liberazione da nuove rinascite astrali". Ciò significa che una volta purificato il nostro karma fisico ci toccherà purificare gli altri corpi.
"La creazione, rivela quindi Sri Yukteswar, non ha in effetti una vera esistenza, ma è solo un gioco di idee in seno alla Sostanza Eterna, Dio Padre".
Sri Ramana Maharishi rispondendo alla domanda: "Il karma avrà mai fine?" disse: "I karma portano in loro stessi i semi della propria distruzione".
 
Nel buddhismo
Sempre dalla conferenza di Gabriele Burrini sulla Storia dell'idea di reincarnazione: <<E adesso veniamo al buddhismo. Il linguaggio qui è un po' diverso in quanto il buddhismo è una religione filosofica quindi usa delle categorie filosofiche, evoca il pensiero umano perchè l'uomo si liberi, crede nel karma ma gli da una particolare coloritura.
Il Buddha in uno dei suoi discorsi ha recitato: «La trasmigrazione degli esseri non ha né principio né fine. Principio non si vede, a partire dal quale gli esseri, of-fuscati dall'ignoranza, vin-co-lati dalla brama, errano di vita in vita, di migrazione in mi-grazione. E' difficile tro-vare un essere che, nel corso del lungo cammino della trasmigrazione, non abbia pianto e versato più lacrime di quante gocce d'acqua ci siano nel grande oceano; è difficile trovare un essere che non sia stato vostro pa-dre, vostro fratello, vostra sorella o vostro figlio».
Quest'ultimo verso è molto enfatizzato dall'attuale buddhismo tibetano che puntualmente lo richiama per spiegare l'idea del karma e per invitare l'essere umano alla compassione reciproca.
Il Mahakarmavibhanga, "la classificazione degli atti", è un testo di grande importanza in quanto chiarisce la meccanica delle retribuzioni karmiche. La stessa cosa che fece poi Steiner quando nelle sue conferenze sui nessi karmici spiegò le modalità delle retribuzioni karmiche. Ebbene questo testo offre degli esempi su cui noi tutti dovremmo meditare; il testo dice che avrà una vita corta chi in un'esistenza precedente ha nociuto alla vita, che rinascerà malato chi avrà fatto soffrire gli altri, dando loro sostanze nocive. Chi è stato avvezzo alla menzogna rinascerà con malattie alla bocca, ai denti, con alito cattivo. A una rinascita animale condurrà l'oltraggio a un santo (ritorna la legge enunciata nel Codice di Manu).
Rinasce povero chi, da ricco, ha donato con rammarico. Rinasce ricco chi, da povero, ha donato con entusiasmo.
Si legge nel Dhammapada, "l'orma della disciplina" buddhista: "Coloro che parlano con asprezza, soffriranno dolorose conseguenze" (X,133).
Il buddhismo antico o Hinayana, l'originale messaggio del Buddha Shakyamuni, ha guardato al karma come qualcosa da cui liberarsi, come un legame da troncare. Ma sappiamo che il buddhismo del Grande Veicolo o Mahayana ha contemplato con nuovi occhi il carico karmico del destino umano. Il Bodhisattva ­ potenzialmente tutti siamo dei Bodhisattva ­ non rifiuta il karma, ma cerca di cogliere in esso un'oc-casione di Illuminazione: prende ogni volta su di sé l'altrui fardello karmico per condurre ogni uomo allo spirito, sceglie di rinascere nei più difficili destini.
Quindi per il Mahayana il karma è sì un peso da cui l'uomo si deve liberare, ma può essere anche una condizione in cui l'uomo entra di proposito per portarvi il pensiero dell'illuminazione, una possibilità data all'uomo per evolversi>>.
 
I filosofi Greci
Nella Grecia antica e nella Magna Grecia la credenza nella reincarnazione si rifà agli Orfici e ai Pitagorici, di cui ci è pervenuto molto poco, a causa della loro estrema riservatezza. La chiamavano metempsicosi, o trasmigrazione delle anime. Platone nella dottrina dell'anamnesi, della reminiscenza, sostiene che l'anima conosce in quanto ricorda il mondo in cui dimorava prima di incarnarsi, ovvero accede al mondo delle idee, quali stereotipi di tutte le cose. La reincarnazione, che il filosofo ateniese chiama ensomàtosis, incorporazione, sta alla base dell'intero corpus di insegnamenti platonici; nel Menone Platone fa dire a Socrate: "L'anima, dunque, poiché immortale e più volte rinata, avendo veduto il mondo di qua e quello dell'Ade, in una parola tutte quante le cose, non c'è nulla che non abbia appreso. Non v'è dunque da stupirsi se può fare riemergere alla mente ciò che prima conosceva della virtù e di tutto il resto nulla impedisce che l'anima, ricordando (ricordo che gli uomini chiamano apprendimento) una sola cosa, trovi da sé tutte le altre, quando uno sia coraggioso e infaticabile nella ricerca". Anche per Socrate coraggio e costanza sono requisiti indispensabili alla ricerca del Sé.
Ma la teoria della metempsicosi, fu sostenuta, secondo gli studiosi, fuori della reli-gione ufficiale o religione olimpica; Platone ne parla chiaramente, ma sempre per una ristretta cerchia di eletti.
A proposito della rinascita in un corpo animale Platone nel Fedone scrive: «Quelli che furono dediti alla ghiottoneria, all'impu-dici-zia, all'ubria-chezza rivestiranno corpi di asini o di altre be-stie simi-li E quanti ama-rono ingiustizie, tirannidi e rapine, in corpi di lupi, di spar-vieri».
Anche per Platone "il corpo è una tomba", in accordo con l'interpretazione negativa del karma indù e buddista, ovvero che vede il karma come il peso da cui liberarsi.
 
I tre karma
Torniamo ora alla tradizione indiana per definire i diversi aspetti, o meglio, le diverse manifestazione del karma.
In India si parla di tre tipi di karma:
1) Il Sanchita karma, o karma dormiente, sanchita indica il deposito dove sono immagazzinate le cause poste nelle vite precedenti. Il sito astrale di tale deposito è la Sushumna, il canale che attraversa i chakra di cui ho scritto nel testo relativo il nostro incontro precedente sullo Yoga (vedi sito: www.orienteoccidente.has.it). Queste cause dormienti, queste azioni accumulate diverranno attive, ovvero daranno luogo ai loro effetti, solo quando le condizioni diverranno mature.
2) Il Prarabdha karma, o karma di rientro, "ciò che ha già cominciato a portare frutto" dice Sri Ramana Maharishi è il karma vissuto nel presente, gli effetti delle azioni passate che divengono il nostro attuale destino. A questo punto l'evoluzione dell'individuo dipende da come lo affronta.
3) Il Kryamana karma, o karma dell'azione potenziale, è il karma che sto generando, le nuove cause che produrranno effetti futuri. Sono queste le azioni dettate dal libero arbitrio, è il karma che prende in mano il destino.
 
Innanzi tutto l'uomo deve accettare il suo Prarabdha karma. Abbiamo visto che l'accettazione, in sanscrito aparigraha, è una delle regole fondamentali del cammino yogico.
Ma l'accettazione del proprio karma può essere attiva, e in tal caso consente l'evoluzione dell'individuo, o passiva, che si limita a una rassegnazione statica dinnanzi agli eventi.
Le vie indicate dall'India che consentono tale estinzione/purificazione sono le diverse discipline yogiche di cui abbiamo parlato nel precedente incontro.
Tali discipline consentono non solo di affrontare attivamente il Prarabdha karma, ossia il destino attuale, ma anche di impedire che vengano a maturazione i semi karmici del Sanchita karma, ossia il destino dormiente. Da qui l'espressione icastica: "arrostire il seme".
 
Il Karma Yoga
Abbiamo detto nel precedente incontro che lo Yoga è la via che conduce il sadhaka (discepolo) all'autorealizzazione. Abbiamo anche accennato ai quattro principali tipi di Yoga: Raja Yoga (la via regale), Bakti Yoga (la via della devozione), Jnana Yoga (la via della conoscenza) e il Karma Yoga (la via dell'azione).
Vediamo quindi che il Karma può essere anche un veicolo, una disciplina, uno Yoga appunto. Il Karma Yoga è lo Yoga dell'azione, del lavoro (abbiamo fatto l'esempio dei missionari). Swami Vivekananda nel saggio Karma Yoga dopo aver definito il significato di karma scrive: "Ma nel Karma Yoga noi intenderemo la parola karma nel senso di 'opera', 'lavoro'". Un lavoro che non cerca ricompense o gratificazioni, un lavoro offerto gratuitamente. "E' la cosa più difficile di questo mondo lavorare e non curarsi del risultato", dice lo Swami.
Il Karma Yoga è una via adatta al credente come all'ateo: "Il karma-yogi, spiega il discepolo di Ramakrishna, non ha bisogno di credere in alcuna dottrina. Può anche non credere in Dio, può non chiedersi che cos'è la sua anima, e neppure pensare a speculazioni metafisiche. Ha avuto nella realizzazione dell'altruismo il suo speciale scopo, e lo deve raggiungere da se stesso".
Il terzo capitolo della Bhagavad-Gita è dedicato proprio al Karma Yoga.
"L'uomo è legato dalla sua propria azione eccetto quando è compiuta come sacrificio (rito religioso). Quindi, Arjuna, compi il tuo dovere, libero da attaccamento, solo allo scopo di offrirlo"(III,9).
Vediamo che Krishna invita il suo discepolo ad agire secondo il suo Dharma, ovvero il suo giusto dovere, secondo l'Io, non per soddisfare i desideri dell'ego, e senza creare attaccamento all'azione, ma come obolo sacrificale.
"Nessuno raggiunge lo stato dell'inazione evitando di compiere azioni. Nessuno raggiunge la perfezione rinunciando semplicemente all'azione"(III,4). Vivekananda ribadisce la Gita e aggiunge: "l'uomo dev'essere attivo per superare l'attività e raggiungere la calma perfetta". Calma che apre le porte dei mondi spirituali.
L'agire secondo il dharma espresso nella Gita, è la connotazione positiva dell'azione che si è persa per molti secoli.
Il Karma Yoga è lo Yoga dell'azione altruistica, devota, scaturita da quella forza dell'Io che il Cristo chiamerà "carità". E' lo Yoga della carità.
La dottrina del non attaccamento, o del distacco, è la soluzione che la Gita propone al discepolo del Yoga. Krishna ripropone in molti versetti il fondamentale non attaccamento all'azione e la ricerca dell'azione dettata dall'Io, non dall'ego appagato dal piacere sensibile. L'azione dell'Io è l'azione divina, l'azione del "Cristo in noi", la via che conduce all'autorealizzazione, all'unione con Dio. "Non io, ma il Cristo in me", diceva Paolo di Tarso, ovvero "non il mio ego, ma l'Io superiore, il Cristo in me".
Rinunciare ai frutti significa annientare l'ego: "Colui che compie una buona azione anche allo scopo di andare in paradiso, si sottopone al giogo". La crescita interiore è individuale, ma non egoistica; poggia sull'Io, non sull'ego. "Colui che aiuta deve farlo ignorare a colui che viene aiutato" scrive Scaligero.
"Il non attaccamento è la base di tutti gli Yoga". Ma attenzione perché è facile ingannarsi. Continua Swami Vivekananda: "L'uomo che rinuncia a vivere in case (confortevoli), a indossare bei vestiti, e mangiare buoni cibi, e va nel deserto, può essere la persona più attaccata. Il suo solo possesso, il suo corpo, può diventare tutto per lui, e finche vivrà lotterà per il suo corpo. Il non attaccamento non ha nulla a che vedere con ciò che possiamo in relazione al nostro corpo esterno, è solo nella mente".
"L'uomo ideale, scrive sempre lo Swami, è colui il quale, nel più grande silenzio e solitudine, trova la più intensa attività, e nella più attenta attività trova il silenzio e la solitudine del deserto. Egli ha imparato il segreto del controllo di se stesso; va per le strade di una città piena di traffico, ed il suo spirito è calmo come se fosse in una caverna dove nessun suono lo può raggiungere; eppure non cessa mai di lavorare intensamente. Questo è l'ideale del Karma Yoga; se lo avete raggiunto, avete scoperto veramente la segreta essenza del lavoro".
Dal Dhammapada buddhista: "Non in aria, non in mezzo all'acqua, non entrando negli anfratti dei monti, chi fugge il male compiuto non trova luogo al mondo ove poter sostare"(IX,127).
"Per mezzo del solo lavoro, gli uomini possono arrivare dove Buddha è ampiamente arrivato per mezzo della meditazione o Cristo per mezzo della preghiera". Ma come abbiamo detto la volta scorsa le quattro vie, i quattro Yoga s'intersecano tra loro. Le vie del Cristo come quella del Buddha erano tanto Bakti (devozionali), quanto Karma (dell'azione).
 
Secondo l'antica concezione indiana chi ha trasceso il karma è un "liberato in vita" e non dovrà più incarnarsi. Eppure come abbiamo detto nell'incontro sullo Yoga i maestri autorealizzati scelgono di tornare per aiutare gli altri. "Per essi, scrive Massimo Scaligero in Karma e Reincarnazione, v'è una tenebra ancora da superare, rappresentata dalla situazione spirituale di coloro che sono rimasti indietro". Quale miglior esempio di Karma Yoga?!
 
Nell'antroposofia
Vediamo ora come Rudolf Steiner presenti le idee di Karma e Reincarnazione nella sua Scienza dello Spirito.
In una delle sue opere fondamentali, L'iniziazione, Steiner ha presentato, peraltro in splendida forma narrativa, il primo incontro sovrasensibile vero e proprio del discepolo della Scienza dello Spirito con quell'entità vivente facente parte di noi stessi, ma che i sensi comunemente sviluppati ignorano. Essendo il primo incontro di questo tipo, non può che avvenire con la nostra stessa essenza spirituale più grossolana, con "il piccolo guardiano della soglia", come lo chiama Steiner, figura "tratta dal libro del dare e avere" che è in noi, o del Karma.
Il "guardiano della soglia" è lo specchio su cui si imprimono tutte le nostre azioni. "Il corpo di questo essere è costituito dalle conseguenze delle azioni, dei sentimenti e dei pensieri. Ma queste forze invisibili sono divenute le cause del suo destino e del suo carattere. L'uomo ora si rende conto come nel passato egli stesso abbia posto le basi del suo presente"(S.I.). Steiner qui spiega un passaggio obbligato per un discepolo che abbia intrapreso la via dell'iniziazione; non essendo questa la sede dove addentrarsi nello studio di tale "Scienza Occulta", ci limitiamo a dire che questo passaggio obbligato coincide, secondo l'Antroposofia, con l'incontro eterico che l'anima fa dopo la morte fisica.
Nell'articolo "Come agisce il karma" riportato nel volume italiano Reincarnazione e karma Steiner dice: "Il sonno è stato spesso denominato il fratello minore della morte". Quando la notte il nostro corpo astrale si stacca dai corpi eterico-vitale e fisico, per poi rientrarvi dopo poche ore, esso vive nella totalità del mondo astrale dove si ricarica per affrontare il nuovo giorno nel quale vivrà una sola frazione del creato; il medesimo processo avviene con la morte fisica, quando però anche il corpo eterico-vitale abbandona quello fisico. Come durante il sonno ci prepariamo per il giorno successivo, così dopo la morte ci prepariamo per la vita successiva. "Nelle mie azioni di ieri, scrive Steiner, si trovano le premesse per quanto ho da fare oggi... le mie azioni di ieri sono il mio destino per quest'oggi. Sono stato io stesso l'artefice delle cause alle quali devo ora aggiungere gli effetti; a queste cause io mi ritrovo di fronte, dopo essermene ritirato per un certo tempo". La memoria del "mio agire di ieri" mi consente di operare oggi nel medesimo corpo fisico di ieri. "L'abitudine, per esempio, è una specie di memoria incosciente".
 
Il Karma è dunque la legge della retribuzione, o legge di causa ed effetto che né punisce né premia, ma semplicemente fa sì che a ogni azione, o causa, corrisponda il suo effetto. Il Buddhismo insegna che "Karma è quell'essenza morale che sola sopravvive alla morte e continua nella reincarnazione successiva". Gli effetti inespressi delle cause che sono già state poste.
L'anima si porta appresso la memoria di ieri, come delle vite precedenti; "essa, continua Steiner, ha per risultato che lo spirito, in una nuova incarnazione, si presenta come il medesimo che è stato influenzato dalle vite precedenti... Esso porta con sé i risultati delle esperienze fatte nelle vite passate, divenuti qualità del suo essere... In tal modo, il pellegrinaggio attraverso le incarnazioni diviene un'evoluzione ascendente... Ciò lo rende sempre più padrone del suo destino... Ma lo spirito che determina da sé la propria sorte è lo spirito libero... nel suo stato attuale l'uomo non è libero né non libero, ma si trova sulla via che conduce alla libertà... Non è il destino che agisce, ma siamo noi che agiamo in conformità alle leggi di questo destino. Se io accendo un fiammifero, il fuoco se ne sprigiona in base a leggi ben determinate, ma sono io a mettere in azione tali leggi, e per mezzo della mia azione si crea nuovo Karma, come il fuoco continua ad agire secondo leggi naturali determinate, dopo che io l'ho acceso". Quindi "la mia azione è libera, ma il suo effetto è assolutamente soggetto a leggi fisse. É un'azione libera quella del commerciante che conclude un affare; ma il risultato di questo compare nel suo bilancio, conforme alle normali logiche conseguenze".
 
Conseguentemente a quanto letto, può sorgere nelle nostre menti il dubbio: "Ma allora aiutare il nostro prossimo in realtà a lui non può giovare, visto che siamo comunque preda di un destino, se pur da noi stessi, prestabilito!" É la perplessità che affligge anche molti credenti di fronte al concetto di onnipotenza di Dio. Rettifica Steiner: "Senza dubbio io non sono in grado di annullare gli effetti del destino che uno spirito umano si è venuto creando in precedenti incarnazioni. Ma quel che importa è il modo in cui esso saprà prendere posizione nei riguardi di tale destino, quale nuovo destino saprà  crearsi sotto l'influsso di quello passato. Se io lo aiuto, posso contribuire a che riesca a volgere in maniera favorevole il proprio destino; se ometto di aiutarlo, contribuisco forse al contrario. Naturalmente molto dipenderà dalla qualità del mio aiuto, e cioè se sarà ispirato da saggezza o meno". Quindi, oltre a creare buone cause per il nostro karma, diveniamo uno strumento di comprensione per il nostro prossimo affinché possa agire di conseguenza, creandosi egli stesso delle buone cause per i futuri effetti.
Alla domanda: "Possiamo noi far del bene al mondo? Swami Vivekananda risponde: "In senso assoluto no; in senso relativo si".
 
"Nulla rimane senza compensazione karmica, ribadisce Steiner. Nella vita di ciascun uomo si presentano avvenimenti che non hanno nessun rapporto con i suoi meriti o con le sue colpe del tempo passato. Questi avvenimenti trovano la loro compensazione karmica nel futuro". E' il Kryamana karma di cui parlano gli indiani.
La legge del karma spiega "perché il buono debba spesso soffrire e il malvagio possa essere felice. Questa apparente disarmonia della singola vita sparisce quando lo sguardo si estende alle molte vite".
Il fondatore dell'Antroposofia ha dedicato molte conferenze al tema dei nessi karmici, in italiano raccolte in sei volumi intitolati Considerazioni esoteriche sui nessi karmici.
In una conferenza del 1920, raccolta nel libro Microcosmo e macrocosmo il Dottore disse che osservando il viso di una persona si possono scorgere le tracce della precedente incarnazione, mentre nei movimenti (gesticolare, camminare) quelle della vita successiva.
 
Un'interpretazione, a mio parere molto materiale, della teoria del karma la troviamo in quelle scuole di pensiero contrarie all'intervento della medicina per risolvere problemi fisici che in realtà hanno radici tutt'altro che fisiche.
L'uomo comune però tende all'estremo opposto, al morboso attaccamento alla vita, alla carne. "Il concetto di salute diventa l'unica grande malattia da cui non si guarisce", scrive il filosofo contemporaneo Manlio Sgalambro.
Pur condividendo l'opinione che la tendenza a ricercare a tutti i costi il benessere psicofisico sia decisamente fuorviante, non credo l'uomo comune abbia il potere di mutare gli effetti karmici se non pareggiandoli, scontandoli. Quindi se una cura del corpo ottenuta dall'evoluzione in campo medico, o il prolungamento della vita stessa è possibile, è anche questo parte del karma, del karma collettivo.
 
Si è detto che l'uomo è in grado di spezzare la reciprocità delle azioni, ovvero di andare oltre il karma grazie all'intervento dell'Io, grazie all'Impulso del Cristo in noi. Poniamo che nella vita passata ho ucciso un uomo, ed ora mi trovo davanti ad un uomo con l'impulso di uccidermi; la sua azione estinguerebbe il mio debito karmico, ma lo creerebbe a lui che a sua volta dovrà essere ucciso e chi lo avrà ucciso dovrà essere a sua volta ucciso e così via sino a quando uno, grazie ad una libera decisione fondata su una solida impalcatura morale, deciderà di interrompere. Questa sua azione contribuirà all'evoluzione dell'umanità verso la via dell'Amore. Nell'esoterismo cristiano tale azione è definita un'azione cristica, ovvero libera dal peso karmico, giacché stimolata dall'Impulso del Cristo in noi. E' una decisione dell'Io superiore. Il Cristo, non solo era libero dal karma, ma donò all'umanità intera, ad ogni uomo, la possibilità, sino allora riservata agli adepti delle scuole iniziatiche, di liberarsi dal vincolo karmico agendo secondo la volontà del proprio Io. Per questo Steiner parla del Cristo, come il "Signore del karma" perché è oltre il karma, è dominatore del karma, e ciò rende tutti noi potenzialmente liberi dal karma.
 
Massimo Scaligero in Reincarnazione e karma scrive: "Il termine karma significa varie cose, ma specialmente correlazione causale congiungente tra loro gli eventi delle diverse vite terrene dell'uomo: una correlazione, perciò, trascendente". Ma "non esiste karma individuale che non sia contessuto con il karma della collettività: in tal senso è importante che un karma individuale abbia il potere di inserirsi come germe eccezionalmente dinamico nel karma collettivo".
Scaligero parla di due tipi di karma che se pur connessi tra loro soddisfano differenti esigenze storiche: quello individuale e quello degli eventi collettivi.
Al centro del cammino karmico vi è il Logos, la cui realizzazione lo rende l'elemento trasformatore del karma stesso. Le forze del Cristo hanno aggiunto la possibilità di cambiare il karma secondo la libera crescita spirituale e morale dell'individuo, secondo l'Io. "L'anima dipende dal karma, non l'Io, che ha il compito di ridestare nell'anima le forze originarie sopite".
"Le lotte e le guerre nel mondo non cesseranno, scrive sempre Scaligero in Manuale pratico della meditazione, finché la legge del karma dominerà totalmente l'uomo incapace di affermarsi con il Principio interiore della Libertà, e quindi di superare la ferrea meccanica "dell'occhio per occhio, dente per dente".
La legge del karma dev'essere trascesa. Il compito dell'uomo contemporaneo è divenire cosciente del proprio Io.
L'anima umana tende ad assopirsi nelle forze del sentire e quindi a rimettersi esclusivamente alla divina provvidenza, eppure, già da due millenni, ha in sé le forze necessarie per diventare realmente "giardiniere di se stessa", sono le forze dell'Io, sospinte dal pensare. L'uomo deve rimettersi all'Io, questo solo è il senso della vita terrena. "L'essere liberi dal karma è divenire possessori dell'insegnamento che esso dà personalmente mediante le circostanze e gli eventi quotidiani, soprattutto quelli spiacevoli... La conoscenza della legge del karma è la forza trasformatrice della società futura". Inizialmente si accetta il karma in modo senziente (grazie alle forze del sentire), poi lo si assimila razionalmente, ma la vera comprensione spetta all'anima cosciente. Il karma è necessario in quanto non siamo ancora in grado di correggerci da soli, scrive Scaligero: "la sua evoluzione sarebbe paralizzata dalla serie quotidiana degli errori di ogni vita".
Colui che ha compreso il significato del karma è realmente grato alla dure prove che la vita ci offre. Ama chi lo ostacola perché vede in lui un aiuto evolutivo. In pratica chi ha realizzato il concetto di karma ha capito tutto!
Comprendere il karma e accettarlo senza reagire all'illusione dell'ego di ingiustizia subita, senza additare altri, senza giudicare è il compito a cui siamo chiamati nella disciplina interiore. Si legge nel Dhammapada: "Se sotto l'offesa tu resti fermo come bronzo, raggiungi l'estinzione, ma se ti rivolti mai questa conoscerai"(X,134).
"Secondo la dottrina del karma, scrive sempre Scaligero, l'uomo evolve nella misura in cui è capace di distogliere l'accusa della responsabilità dei propri mali dagli altri".
Soffrire per quello che appare "il male nel mondo" non ha quindi senso per chi ha realizzato il concetto di karma. Per questo la sofferenza è sempre causata dall'ignoranza. Soffre colui che ignora il karma.
"Con il senso del possesso viene l'egoismo, scrive Vivekananda, e l'egoismo porta con sé la sofferenza Tutto questo che vedete, i dolori e le sofferenze, dice Vivekananda, non sono che le condizioni necessarie di questo mondo; povertà e ricchezza e felicità non sono che momentanee; non dipendono affatto dalla nostra reale natura
Siate grati che vi sia il pover'uomo, così che offrendogli un dono, siete in grado di aiutare voi stessi. Non è chi riceve che è beato, ma chi dà". Del resto "gli avete dato ciò che gli spettava; è il suo karma che glielo ha procurato; il vostro karma ha fatto sì che foste il corriere".
Scrive Scaligero: "E' un esercizio importante di collegamento con il proprio Io superiore, l'avvertire dietro i diversi avvenimenti dolorosi della vita una direzione univoca, tendente alla sua precisa realizzazione".
"Ogni vero atto di libertà, è in sostanza un atto di volontà indipendente dal karma". E' un "atto sacrificale", dove è l'ego ad essere sacrificato, è un atto che "crea il karma dell'avvenire, la natura futura, il destino della riascesa umana".
 
L'uomo nel corso della sua evoluzione arriverà a conoscere sempre più se stesso sino a liberare il suo Io dal karma, come dice Scaligero, "per amore e per virtù del sacrificio di sé: che è il messaggio del Cristo".
"Per questo vi dico: tutto ciò che voi domandate nella preghiera, credete che l'otterrete e l'avrete" (Mc.11,24). Chiaro e diretto il messaggio di Gesù: l'onnipotenza della fede nel Cristo in noi, nell'Io, diviene il ponte con il sovrasensibile, non a caso questo versetto è tratto nel più cosmico dei Vangeli.
"Nell'Io libero, scrive Scaligero, è presente la forza del Logos: il Logos è la sua essenza".
 
Preghiera e karma
Molto si è parlato di preghiera in seno al cristianesimo: preghiera di richiesta di perdono, di ringraziamento o di lode e di petizione. Quest'ultima ahimè è la più comune. Dico ahimè poiché è spesso mossa dall'ego e, come scrive Scaligero: "La preghiera vincolata all'ego non ha forza alcuna". La preghiera di petizione è un veicolo potentissimo esclusivamente se diretta ad altri.
"La preghiera più efficace è quella senza oggetto, in realtà operante per il Divino e di conseguenza per la comunità umana. La preghiera è la mediazione umana per il karma collettivo".
Scaligero in riferimento alla preghiera profonda utilizzata dall'asceta guaritore afferma: "La potenza della preghiera, deriva dal fatto che essa sorge dall'anima dell'asceta come il culmine della massima impersonalità", quindi come richiesta rivolta al mondo spirituale non per noi stessi, ma per altri, o addirittura senza richiesta alcuna. É la preghiera puramente devozionale che realmente consente al divino di intervenire sul destino dell'uomo.
Essa, continua Scaligero, "implica la connessione con il Principio Solare, o con il Cristo, detto in linguaggio rosicruciano "Signore del karma". Perciò la preghiera intensa, senza oggetto, è il tipo più possente di preghiera".
Così come conoscere le forze del Cristo in noi è il primo passo per cominciare ad andarGli incontro, la preghiera è il trampolino di lancio per attuare i cambiamenti.
 
L'indagine scientifico spirituale di Rudolf Steiner ci mostra una legge del karma che obbedisce a un progetto dell'Io prima di incarnarsi in cui taluni eventi della vita successiva sono destinati a costituire delle opportunità per evolvere ulteriormente. Non si tratta più di un karma subito, ma deciso da noi stessi, dalla nostra essenza prima.
Per esempio se vengo investito da un'auto e finisco sulla sedia a rotelle potrebbe essere l'effetto di un'azione precedente, ad esempio l'aver io stesso investito un'altra persona, ma potrebbe anche trattarsi di uno strumento grazie al quale posso evolvermi ulteriormente in base a come affronterò la prova.
Un evento karmico non è quindi necessariamente un'espiazione di colpe passate, ma può anche essere un sacrificio ("un rendere sacro"), deciso dall'Io prima di incarnarsi, di un progetto dell'Io disincarnato per l'Io incarnato.
Steiner chiama Devachan il luogo dove l'Io progetta gli eventi della sua prossima incarnazione. In questo luogo l'Io è sorretto dall'azione delle Gerarchie spirituali che operano in armonia con il Logos. La scelta del luogo, dei genitori, delle condizioni, anche corporee, sono prese dall'Io in accordo con le Gerarchie.
Questa moderna concezione del karma non vede più l'uomo come oggetto passivo della rigorosa legge di causa-effetto, ma pone l'Io come soggetto spirituale in grado di intessere un nuovo rapporto con il mondo.
Ciò ci deve dissuadere dall'interpretare con strumenti terreni azioni che dipendono dal mondo spirituale. Come dice Steiner: "Le leggi del karma appartengono assolutamente a mondi superiori, a "piani superiori", come si suol dire. Se pertanto si vorrà concepire ogni evento karmicamente determinato alla stregua, poniamo, di una giustizia terrena, si dovrà di necessità cadere in contraddizione".
 
Conclusioni
L'antica concezione indiana vede lo spirito imprigionato nella carne. Da qui l'dea della reincarnazione come necessità di purificazione nel corso delle ripetute vite terrene. Ma abbiamo visto che i grandi maestri dello spirito della nostra epoca parlano anche di un karma non da scontare, ma come strumento che stabilisce prove terrene che diverranno cause di effetti futuri.
Massimo Scaligero in Karma e Reincarnazione sostiene che l'Oriente, "è andato gradualmente smarrendo nei secoli la visione sovrasensibile del reale, e perciò anche la dottrina della reincarnazione, non possiede più questa organica conoscenza e ispirazione di vita, anche se i suoi ultimi grandi asceti, come Ramakrishna, Vivekananda, Ramana Maharishi, Aurobindo ­ specialmente quest'ultimo ­ hanno restituito vitalità o organicità alla dottrina. In realtà il loro messaggio è stato afferrato con profitto soprattutto da ricercatori occidentali".
Abbiamo detto che liberarsi dal karma significa purificarsi totalmente dal debito, detto appunto, karmico.  "Mediante la coscienza di sé, scrive Scaligero, l'Io può realizzare l'indipendenza dal karma".
Non mi stanco di ripetere che il Logos, il Cristo Sole, ha donato all'uomo questa immensa possibilità. Ed è meraviglioso assaporarNe l'impulso nei grandi maestri che hanno accompagnato l'umanità negli ultimi due millenni.
 
Vi è un'ultima questione che vorrei affrontare, a mio avviso di vitale importanza, relativa all'iscrizione delle nostre azioni nel libro del karma.
Nel precedente incontro abbiamo letto Steiner dire che se ad esempio la banca in cui noi abbiamo depositato il nostro denaro specula immoralmente a nostra insaputa noi siamo ugualmente responsabili e "il fatto si addebita al nostro karma". Ciò significa che l'ignoranza non giustifica l'azione negativa.
Ho letto nel Corano: "...il tuo Signore non distrugge le città per l'iniquità ivi commessa, se la loro gente n'è inconsapevole"(S.VI,131). Questo versetto associa il peccato alla consapevolezza, quindi colui che pecca perché ignora non è soggetto a punizione, ovvero non crea un debito karmico. Se una persona mi persuade a fargli un prestito dicendomi che ne ha bisogno per curare un suo familiare e poi utilizza il denaro per comperare un'arma, la mia azione caritatevole non grava sul mio karma in quanto ho subito un inganno. La legge del karma non può prevedere ripercussioni per azioni generate dall'ignoranza. Eppure tutta la concezione indiana del karma si basa sull'avidyà, ovvero sull'ignoranza come causa del karma. Se compiamo indirettamente un'azione che causerà sofferenza per nostra negligenza, quindi ignoranza, come il non informarci sull'utilizzo che la banca fa del nostro denaro, questa inevitabilmente si ripercuoterà sul nostro karma.
Metré Philippe di Lione diceva che anche chi ha scelto i caratteri tipografici di una rivista che propaganda la violenza sconterà il debito contratto.
Anche Scaligero, in riferimento a eventi che danneggiano il prossimo, scrive: "Sono karmicamente responsabili anche coloro che cooperano all'evento, non convinti o non consapevoli".
Nel Dhammapada, l'orma della disciplina buddista si legge : "Lo stolto, non sa di compiere cattive azioni: ignaro è rovinato dalle sue azione, come consunto da fuoco"(X,136).
Insomma pare proprio che siano tutti d'accordo: l'ignoranza non giustifica, quindi non ci resta che andare a fondo il più possibile prima di esprimere giudizi, esternare opinioni e agire di conseguenza. Pensiero, parola e azione devono essere ponderati dalle tre qualità che Steiner indica come esercizi fondamentali per l'evoluzione spirituale: positività, equanimità e spregiudicatezza.
 
Ma la legge del karma non è una legge meccanica e di conseguenza i nessi karmici che accomunano le persone possono avere migliaia di sfumature. Non possiamo ridurre il karma ad una comprensione razionale e schematica.
Venne fatta a Steiner la seguente domanda: "Quale nesso karmico accomuna cinquecento persone che muoiono contemporaneamente nell'incendio di un teatro?" Steiner ipotizza tre possibili casi:
1) "Le condizioni karmiche di ognuna delle cinquecento persone possono essere del tutto indipendenti da quelle di ognuna delle altre".
2) "E' possibile che l'esperienza comune alle cinquecento persone non abbia nulla a che fare con il loro passato karmico, ma che proprio tale esperienza comune sia invece la preparazione di un nesso karmico futuro".
3) "Il caso considerato può essere realmente l'effetto di passate colpe, comuni alle persone in questione.
Ma sussistono anche innumerevoli altre possibilità: per esempio le tre possibilità fin qui descritte possono variamente combinarsi fra loro".
Scaligero a proposito spiega che le catastrofi collettive sono un aiuto per coloro che altrimenti non sarebbero in grado di superare prove che il destino (karma) richiede.
 
Iniziare a comprendere le leggi che governano la nostra esistenza è il primo gradino verso la libertà, farle proprie e riconoscerne gli effetti nel quotidiano, sviluppa in noi le forze necessarie che a un certo livello ci permetteranno di conoscerle direttamente. Iniziamo quindi a prendere parte coscientemente all'evoluzione della nostra specie, quindi a cercare il contatto con il nostro Io. Il Suo lento penetrare nell'anima per mezzo della disciplina interiore ci renderà sempre più indipendenti dal karma.
"In realtà, scrive Scaligero, la crisi della presente epoca attende come forza risolutrice la Conoscenza sovrasensibile, la dottrina verace del divenire umano, l'idea del karma". Nel Manuale pratico della meditazione ribadisce che "la conoscenza della legge del karma è la forza trasformatrice della società futura". Il karma è rappresentato dal passato, e conoscerne la storia agevola il presente, ma "nell'individuo agisce una corrente che va verso l'avvenire: è la corrente dell'Io, attiva nel pensiero puro, indipendente dagli impulsi del sentire e del volere radicati nella natura, nel sangue, nella razza, esprimenti appunto la direzione del karma, il passato. Dall'incontro e dal combinarsi delle due correnti nasce il destino. Colui che operi interiormente movendo dall'Io indipendente dal karma, modifica il proprio destino".
 
Milano, Soc. Antroposofica, 5 novembre 2002
 
 
 
Per chi desiderasse approfondire eccovi l'elenco dei testi da cui sono state tratte le citazioni. Opere del calibro di Karma Yoga di Swami Vivekananda, o Karma e Reincarnazione di Massimo Scaligero, sono una tale importanza che andrebbero lette per intero. Avendo tratto gran parte delle citazioni da questi due saggi non ho ribadito in ogni occasione la provenienza.
 
Testi citati
·Rudolf Steiner: Teosofia (1904), Editrice Antroposofica
·Rudolf Steiner: L'iniziazione (1904/5), Editrice Antroposofica
·Rudolf Steiner Reincarnazione e Karma, Editrice Antroposofica
·Rudolf Steiner Le manifestazioni del Karma, Editrice Antroposofica
·Swami Vivekananda The complete Works of, Advata Ashrama edition
·Swami Vivekananda Yoga Pratici (tra cui Karma Yoga), Ubaldini Editore
·Discorsi con Sri Ramana Maharishi, Edizioni Vidyananda
·Massimo Scaligero: Manuale pratico della meditazione (1973), Edizione Teseo
·Massimo Scaligero Karma e Reincarnazione, Edizione Tilopa
·Swami Sri Yukteswar: La Scienza sacra (1894), Edizione Astrolabio
·Swami Paramhansa Yogananda: Autobiografia di uno Yogi (1951), Edizioni Astrolabio
·Papa Giovanni Paolo II: Varcare la soglia della speranza (1994), Edizioni Mondadori
·H. P. Blavatsky: "Raja Yoga o Occultismo" (Articoli scritti tra il 1886 e il 1993), Edizione Astrolabio
·Manlio Sgalambro: Dell'indifferenza in materia di società (1994), Edizioni Adelphi

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