DIARIO DI UN PELLEGRINO

sul cammino di Santiago de Compostela nel terzo millennio


di Marcello Girone Daloli

Premessa

 

Arrivato a trentatré anni, nell'anno 2000, mi è stato offerto un dono particolarmente prezioso che sento il dovere di condividere.

Nell'ultimo settennio, vissuto con l'attenzione rivolta alla ricerca interiore, ho via via compreso l'importanza di questa massima: "Un passo sulla via della conoscenza, tre su quella della morale". Lo stimolo ricevuto si è rivelato fondamentale per preparare il terreno, per predispormi interiormente ad accogliere ciò che la vita aveva da offrirmi.

Ho spesso letto che il sette è un numero sacro, particolarmente simbolico, ma la teoria, per quanto utile, fintanto che non è confermata dalla vita vissuta... rimane teoria. Ora, la mia vita è chiaramente scandita in cicli di sette: sette anni nel mondo del marketing e della pubblicità tra Milano, Barcellona e New York; poi la svolta, la necessità di approfondire valori che sentivo scaturire da dentro, di scoprire orizzonti nuovi, di liberarmi di ciò che sentivo non appartenere più alla mia vita, e la partenza per un mondo lontano e diverso. Approdo alle pendici dei monti himalayani, dove resto per sette mesi.

Come un pendolo che oscilla da un’estremità all’altra, sono sprofondato prima nella materia poi nello "spirito".

Tornato in Italia ho cercato di riordinare le idee, di trovare il centro, e, con l'ausilio dei testi di alcuni dei grandi maestri che ci hanno insegnato come osservare ho cercato di scavare sempre più in profondità. Dopo altri sette anni di approfondimento nella ricerca interiore e di studio delle scuole di pensiero d'Oriente e d'Occidente, approdo sul Cammino di Santiago de Compostela.

Il Camino è stato l'esperienza diretta, la conferma empirica di molte delle meravigliose teorie che hanno colorito le mie giornate di questi anni intensi; si è trattato di un’altra svolta, del fiorire di quanto seminato e curato con amore e dedizione.

Grazie!

 



Introduzione

 

Negli ultimi decenni in Occidente si sta verificando un fenomeno rilevante per l'evoluzione spirituale dell'umanità: le verità di tipo esoterico sono rese sempre più accessibili all'uomo comune, insegnamenti rimasti per secoli esclusivo bagaglio delle scuole iniziatiche, oggi sono a disposizione di chi cerca risposte più profonde, non dogmatiche, alle domande riguardanti la nostra vita interiore e il nostro mondo di pensiero. Credo che, sull'onda di tale processo di rivelazione dell'esoterico, questo pellegrino del terzo millennio sia stato spinto a rendere pubblici i suoi intimi pensieri, il suo diario del Cammino verso Finisterre.

Non è facile parlare o scrivere di un viaggio che per intensità ha profondamente segnato la propria vita. Sette anni or sono, tornato da un'esperienza vissuta sulle pendici dei monti himalayani dovetti affrontare tale necessità e ricordo essersi rivelata un'impresa alquanto ardua, sia perché non si può ricordare tutto a posteriori sia perché, nell'inevitabile sintesi, non si vuol rischiare di sminuire eventi, incontri o anche solo sensazioni che sono parte integrante dell’esperienza vissuta. Questa volta però il Camino si è raccontato da solo, in diretta, attraverso il diario.

Ma chi è oggi un pellegrino? E’ chiunque intraprenda per libera scelta un cammino interiore. Tutti abbiamo il nostro cammino interiore, ma spesso non lo viviamo con la dovuta presenza di spirito, vi dedichiamo poco spazio, distratti come siamo dalla superficie. L'impulso che spinge l'anima a decidere di scendere in profondità e ad intraprenderlo è spesso sconosciuto alla stessa coscienza razionale. Sento di poter affermare che, a parte coloro che iniziano un pellegrinaggio per particolari ragioni di penitenza o di ringraziamento, l'impulso è tanto più autentico quanto più è sconosciuto. Il pellegrino è spinto a mettersi in marcia, a iniziare un viaggio fuori e dentro di sé senza neppure domandarsi il perché. Semplicemente sa, è certo che deve incamminarsi, ma quanto al perché… forse verrà dopo.

Essere presenti nel cammino interiore significa ambire ad accedere coscientemente alla realtà del proprio Io, di quell'Io superiore, di quell’essenza prima cui non è dato conoscere nella vita ordinaria. Il "conosci te stesso" infisso sul tempio di Delfi è l'obiettivo che l'uomo si pone per intraprendere un percorso spirituale: il movente primo, la sete di verità.

Il cammino interiore è la via iniziatica che s’ispira direttamente al mondo spirituale e che può essere supportata da discipline, ma che in realtà ognuno vive in base al proprio livello evolutivo. Sta a noi accrescere tale livello, rispondendo concretamente agli impulsi che ci vengono offerti. Credo che la via del perfezionamento morale, dell'apertura verso gli altri, della solidarietà animica e fisica siano i presupposti per tale crescita.

La ricerca interiore prende le mosse dall'intima domanda che ci chiede di cogliere il senso della vita. La vita stessa è una via iniziatica che ci permette di ascendere alle realtà superiori, anziché limitarci alla sua fisicità. Certo, bisogna riconoscerne il potenziale, quindi restare focalizzati sul suo valore ascetico.

La consapevolezza che la nostra vita è un cammino interiore è la chiave di volta per intraprenderlo coscientemente. La conoscenza stimola la volontà. E’ fondamentale quindi prestare attenzione, cogliere gli impulsi. Inizialmente non ci è concesso comprenderli, però riconoscerli come autentici sì: è la nostra coscienza che ci offre tale certezza.

Nel mio caso oggi, terminato il pellegrinaggio da un giorno, sento di poter affermare che tutta la mia vita è stata una preparazione a questo viaggio nei meandri dell'Essere. Del resto ciò che precede prepara ciò che segue: pensieri, azioni, stati d'animo. In particolar modo determinate esperienze che acquisiscono chiaramente un maggior peso nell'economia della nostra vita si rivelano punti chiave, momenti di svolta, prove che imprimeranno un'impronta ancor più incisiva sul futuro. Tali esperienze sono a loro volta effetti di cause create da comportamenti, sentimenti, azioni passate.

Il Camino di Santiago de Compostela per molti pellegrini è un momento di svolta: si scopre di fare un viaggio dentro noi stessi, dove è richiesta grande presenza di spirito per poter cogliere ciò che giunge dalle profondità dell'Essere, della nostra vera essenza, che quanto più si schiude allo sguardo interiore tanto più si rivela impersonale, universale, unità di cui tutti siamo parte.

Ho cercato di rintracciare le cause che hanno preparato il terreno al mio pellegrinaggio e, nelle pagine manoscritte che precedono il racconto del Camino, quando ancora non ne avevo il presentimento, ho letto: «Le ferite si rimarginano con l'attenzione diretta alle realtà dello spirito, alle uniche realtà. Anzi scompaiono perché è svelata la loro inconsistenza. Solcano l'anima distratta, ma nello spirito non vi è traccia, perché lì ogni realtà terrena trova la sua spiegazione e le ferite non sono altro che la non conoscenza, la mancanza di consapevolezza, l'ignoranza.

Non vi è dolore dove irraggia la luce della verità.

Attento uomo, stai attento, resta in attenzione e nulla potrà negarti la gioia di condividere il bello con chi come te lo saprà accogliere.

Giorni di chiarezza inaugurano l'ultima stagione di questo millennio. La morte della natura, lo spegnersi dei colori, l'attenuarsi delle giornate coincidono con una rinascita interiore.

Lo spirituale mi offre frutti inaspettati, primizie per il poco lavoro svolto, incentivi che non lascerò svanire nei meandri oscuri della pigrizia, dell'abitudine, della comodità.

La campana annuncia il crepuscolo, la piramide dell'abete amico mi protegge dalla civiltà poco lontana. Eppure è là che dovrò operare, è alla grande sfida quotidiana che mi devo preparare, è l'umanità che devo servire.

Accumulare silenzio e portarlo nel caos. Contemplare il bello per donarlo al brutto. Spremere l'attimo e inciderlo nel tempo».

 

El Camino de Santiago de Compostela chiama ogni giorno decine di pellegrini, ognuno con una storia che lo ha condotto sin lì, ognuno con una propria capacità di comprendere e accogliere gli inestimabili doni che gli vengono offerti lungo via.

Il Camino è un viaggio interiore, ma è anche un meraviglioso viaggio attraverso boschi, campi, vallate, colline, monti, città, paesi, borghi, che man mano diventano le chiavi d'accesso allo spirito insieme con gli incontri, le avventure, le gioie e i dolori che si affrontano. Incredibile la strabiliante quantità di ricchezza elargita in così poco tempo.

Da undici secoli, con alti e bassi, il pellegrinaggio sulla via di Santiago si è mantenuto vivo nelle diverse stagioni dell'anno, partendo da diversi luoghi e attraverso differenti itinerari. Un reticolo di percorsi europei porta a Roncisvalle. Ormai però il Camino viene identificato con l'ultimo tratto, che va appunto da Roncisvalle a Santiago de Compostela, forse per una sorta di necessità di tracciare una via definita, visto l'incremento dell'afflusso d’anime chiamate ad intraprenderlo.

Dal 1987 il Consiglio d'Europa ha ufficialmente riconosciuto il Camino come "primo itinerario culturale europeo" e l'Unesco lo classifica fra i "patrimoni mondiali dell'umanità". Riconoscimenti che non giungono da interessi economici; come vedremo, il pellegrino è un "pessimo turista", in realtà è come se la potenza dello Spirito, da cui prende le mosse il Camino, venisse riconosciuta anche dalle istituzioni non religiose.

Il Camino, come percorso, si è preservato quasi tutto, e dove è cambiato è avvenuto spontaneamente: grazie ai mecenati del Camino, che sono i singoli sacerdoti, i Comuni, le Province, lo Stato spagnolo, le piccole associazioni e le singole case gestite da abitanti del luogo o da ex pellegrini.

Secondo la tradizione celtica questa via iniziatica giungeva sino a Finis terrae, alla "fine della terra", della terra allora conosciuta, all'estremo Occidente, ovvero ai limiti delle potenzialità umane dove il pellegrino doveva poi affrontare le acque, "il battesimo cosmico della rinascita nello spirito". Come si percepirà nel corso del viaggio, una collocazione spazio-temporale ha però ben poco valore quando s’intraprende un cammino interiore. Il concetto stesso di tempo sfuma via via che ci s’immerge nel reale senso del cammino, lo spazio si integra, muta con il susseguirsi delle avventure dell'anima.

E’ come se la vita svelasse la sua vera motivazione, il reale si schiude allo sguardo interiore tanto negli incontri quanto nei paesaggi. L'esteriore e l'interiore si compenetrano l'un l'altro.

 

Il diario è stato scritto sul campo: le mancanze stilistiche, le incertezze che ne scaturiscono sono espressione delle emozioni, dei sentimenti e, perché no, dell'entusiasmo che hanno reso vera quella che può apparire una "leggenda dell'anima". La sua autenticità scaturisce dal vissuto.

Spero che ciò consenta di entrare nell'anima del pellegrino, nell'anima del Camino, anche se, mentre scrivevo, non mi preoccupavo di spiegare processi psicologici a me familiari. Del resto, come ho scritto, «Ciò che scrivo è perché lo sento, lo vivo, non ho un pubblico da soddisfare, e se un giorno qualcuno leggerà questi pensieri, perché dovrebbe essere tradito dal falso romanticismo che sovente viene usato per conquistare i sentimenti dei lettori?

Io scrivo per me e perché un’esigenza dal profondo me lo impone. Forse mi aiuta a vivere con maggior intensità le meraviglie che il mio viaggio mi offre in continuazione».

Sono sempre stato infastidito dall'aspetto commerciale che ha inquinato ogni forma d’arte, e dall'utilizzo delle strategie di marketing per vendere ciò che non dovrebbe nascere per essere venduto.

I passi del diario che sprigionano una palese vena romantica sono frutto di ciò che stavo vivendo: ometterli sarebbe stato un delitto.

Tutte le traduzioni dei brani in spagnolo e in inglese sono letterali, quindi spesso perdono la musicalità espressa nella lingua originale. Ho preferito non interpretarli, perché, trattandosi di brevi poesie od orazioni, non ho voluto modificare ciò che considero diretta espressione di un'anima ispirata, ovvero, arte.

A lato del diario, durante il viaggio, redigevo un sintetico "taccuino" dove inizialmente riportavo descrizioni e sensazioni, che dopo poco ho ridotto alle mere percorrenze della giornata.

Mi auguro che questa mia testimonianza offra la possibilità a chi legge di percorrere, anche se solo con l'immaginazione, questo straordinario cammino.

 

 


I segni che preludono al Camino

 

Realizzo solo adesso che tutto il lavoro interiore degli ultimi anni è stato il vero preliminare del Camino. Fanno fede le pagine del mio diario che "inaugurano l'ultima stagione del millennio" scritte a San Maurizio dei Monti, sulla collina di Rapallo: «Eh sì, le primizie donatemi tra gli ulivi erano veramente indispensabili. Dovevo rinforzare la corazza di consapevolezza di cui ha assoluto bisogno il discepolo dello spirito quando intraprende passaggi importanti del suo cammino. E’ facile inciampare, il terreno su cui ci si muove è estremamente friabile. Le forze ostacolatrici incrementano la loro attività, l'anima è costantemente bersagliata, la psiche barcolla, il fisico cede.

Mai avrei immaginato tanta prepotenza in un'area così sottile del mio essere.

Mi sto riparando come posso, chiuso a riccio incasso colpi spesso micidiali, ma non vado al tappeto. Non riesco ancora a difendermi a sufficienza e sono cosciente che gli ostacoli non si esauriranno mai, ma la lotta è lunga e, se riesco a non cedere, svilupperò sempre più le forze necessarie per potermene un giorno liberare. Solo io posso decidere di gettare la spugna e, fintanto che la convinzione di potercela fare vive in me, resterò in piedi.

Del resto quante più anime lottano contro il loro ego terrestre per far emergere l'amore innato, tanto più tale moto divino potrà compenetrare l'umanità intera, così che anche le anime più fragili acquisiscano forza e coraggio.

Le forze del sentimento sono le prime vittime dell'ego, gli ostacoli vi s’insinuano facendo sì che invadano la sede della ragione, affinché generino dolore e quindi instabilità. Solo mantenendosi attenti alla realtà spirituale possiamo rinforzare in noi gli anticorpi necessari, altrimenti l'illusione s’impadronirà della nostra mente e la lacerazione psicofisica graverà sull'anima indifesa.

Obiettività e talvolta distacco sono necessari per sopravvivere nel tumulto sempre generato dall'illusorietà dell'ego.

Io non so se e quanto resisterò a questa flagellazione, ma anche se fallissi voglio gridare che mai mi sono sentito così vero come durante questa guerra senza pietà e così fiero di essere uomo».

L'estenuante lotta contro i nostri stessi limiti è la crescita interiore che ci rende protagonisti dell'evoluzione, la nostra emancipazione che si riflette sul mondo. La volontà di perfezionamento è però contrastata da "forze ostacolatrici" che operano in noi, invitandoci costantemente ad invertire la rotta, tentandoci affinché restiamo vincolati il più possibile al mondo illusorio, fuorviandoci dalla via intrapresa. Sono forze che si contrappongono ai dettami della nostra coscienza: dobbiamo essere in grado di riconoscerle e di combatterle.

Con la stagione fredda, la stagione utile al pensare, al comprendere:

«Fiocchi leggeri fluttuano nell'aria senza pausa, in balia del vento che li getta da una parte all'altra senza tregua fino a dissolverli, annullando la loro forma.

Qualche fiocco resiste e, aggrappato alla sua dignità di neve, giunge a destinazione. Lì la terra forte del suo calore lo ingoierà in un solo boccone, ma ne cadranno altri e altri ancora sino a quando anch'essa non potrà più assorbirli e dovrà loro concedere la superficie del suo possente manto.

Una lenta conquista che lascia molte vittime sul campo, ma che inesorabilmente premia la tenacia del volere. Una lenta purificazione che impone il bianco al nero, la luce alle tenebre, l'amore all'odio».

Furono tali pensieri, fu questa lenta preparazione a condurmi sul Camino. Sopravvivere nell'arena mi donò l'impulso. Sono stati questi per me i primi veri passi.

Quanto è difficile descrivere ciò che induce un individuo a prendere una decisione che ha poco a che vedere con la razionalità! Un pellegrinaggio di oltre 900 chilometri a piedi attraverso il nord della Spagna può apparire un gran bel trekking, in cui si attraversano luoghi meravigliosi, si fanno molti incontri, magari si vive qualche avventura, ma non è certamente questo che spinge il pellegrino. In verità, nel momento in cui l'impulso è divenuto una necessità, si è già pellegrini a tutti gli effetti: il dono ci è già stato fatto. Ora "la meta non è arrivare bensì partire", seguire l'impulso senza permettere che venga represso dalle forze avverse.

Ho patito freni psicologici di varia natura: gli impegni di routine, l'incertezza, la paura. Quanto più la decisione di partire si faceva strada tanto più il dubbio s’insinuava prendendosi gioco di me. Ma una volta superato l'ostacolo interiore è stato come se tutto intorno a me si predisponesse per la partenza.

Ho sentito parlare per la prima volta del Camino da Rita sugli scogli; il vento profumava di mirto quel primo messaggio e io nel subconscio già ne assaporavo il gusto. Tornata nel tran tran quotidiano della città, l'amica non si dimenticò della mia richiesta e mi fece avere una mappa del Camino. Per mesi quella fotocopia dovette attendere tra fogli e libri impilati sul tavolo, e solo alla fine di un severo inverno riemerse. Richiamai Rita che prontamente mi fece avere un opuscolo de "La Boscaglia", un'organizzazione che tra i vari trekking organizza ogni anno anche quello a Santiago de Compostela sulla via dei pellegrini. Parlai al telefono con la guida Maurizio Baldini ed ebbi subito la sensazione di conversare con una di quelle persone che sanno cogliere. Gli dissi che chiamavo solo per avere informazioni, perché non intendevo fare il trekking, bensì il pellegrinaggio. La sua voce anziché perdere d'interesse si  fece più motivata, più incisiva; mi rivolse diverse domande come per carpire il mio impulso. Il suo tono mostrava il rispetto, la dedizione, la devozione di chi conosce lo spessore dello spirito del Camino. Non ho mai più parlato con lui, ma quella telefonata ha contato.

Fu lui a fornirmi il numero di telefono del Centro Studi Compostelani di Perugia a cui avrei dovuto rivolgermi per richiedere la Credenziale, o Charta Peregrini, che consente l'accesso alle case del pellegrino lungo il Camino.

Riuscii a parlare con il direttore, Paolo Caucci von Saucken, e l'immersione fu ancor più diretta: ebbi immediatamente la sensazione di parlare con una persona in sintonia con quell'indescrivibile impulso che mi aveva spinto a chiamarlo. Non tanto perché me ne parlasse, anzi non mi disse nulla, quanto per come me ne chiedesse. Cercava di capire se l'impulso già viveva in me, se ero o meno nel Camino. Naturalmente le singole associazioni degli amici del Camino nei vari Paesi devono cautelarsi circa la reale serietà dell'impulso, altrimenti si rischia che molti turisti, approfittando dell'ospitalità dei rifugi, vi alloggino togliendo posti ai pellegrini. Ad un certo momento della conversazione Caucci mi disse che mi avrebbe spedito la Credenziale, come se in quell'istante avesse colto la genuinità della mia intenzione: gliene fui grato.

Parlai delle emozioni che turbinavano in me al mio amico Gabriele e scoprii che poco tempo prima aveva scritto un articolo di singolare interesse sul Camino. Gabriele mi disse che nel 1972 con due amici aveva percorso in macchina alcuni tratti, sostando in tenda nei luoghi più rappresentativi del pellegrinaggio sino a Finisterre, e mi confidò che per lui anche così aveva rappresentato una tappa importante del suo cammino interiore. Inoltre vicino a Finisterre aveva conosciuto un certo Paolo Caucci von Saucken, un italiano che aveva dedicato la sua vita al Camino e agli studi compostelani, con cui instaurò una buona amicizia. Piccolo il mondo!

Tornato in città dalle vacanze di Pasqua, trovai tra la posta la Carta del Pellegrino, il documento che attendevo per poter informare parenti e amici della mia imminente partenza.

Il primo fu mio padre: gli feci leggere l'articolo di Gabriele e, mentre cercavo di trasmettergli il poco che sapevo riguardo al Camino e soprattutto quel che sentivo, arrivò un messaggio sul mio cellulare. Lo lessi: "Camino de Santiago: 820 km da Roncisvalle a Santiago. A buon passo 45 giorni. Quando vuoi farlo? A presto, Guido". E’ stato il primo messaggio scritto che Guido mi ha inviato sul cellulare nella storia della nostra lunga amicizia: in quel preciso momento mi scrisse da Barcellona queste informazioni, ricordandosi che l'estate precedente gli avevo espresso il mio interesse per il Camino. Mio padre ed io restammo esterrefatti dalla coincidenza.

Da quel momento sono iniziate una serie di coincidenze, segni, messaggi che diventavano stupore e accrescevano la mia determinazione.

Vorrei aggiungere solo un altro prezioso aneddoto ai tanti segni che hanno preceduto la partenza. In un assolato mezzogiorno di maggio, durante un concerto jazz in piazzetta San Fedele, a Milano; chiacchierando tra un brano e l'altro con Ivan, che non vedevo da anni, gli accennai del mio imminente viaggio. Notai che ne restò particolarmente colpito, ma la musica mi rapì, e poi via nel tran tran cittadino. Senza apparente motivo, mentre ero già in motorino per strada, decisi di tornare nella piazzetta per ascoltare ancora un po' i giovani artisti della Scuola civica di jazz. Ivan  era ancora lì, e con spontanea devozione estrasse dal portafoglio uno splendido librettino a fisarmonica, ingiallito dal tempo, con inciso in copertina "Santiago de Compostela".  Era un insieme di piccole fotografie del capoluogo gallego che Ivan aveva visitato molti anni prima, rimanendone profondamente colpito: "Ne avevo colto un che di magico", mi disse. Anni dopo, Santiago lo chiamò nuovamente a sé, in un mercatino, dove chissà da quanto tempo il libricino lo attendeva. Ne chiese il prezzo al gestore della bancarella e questi glielo regalò. Ivan ne rimase colpito, così come delle sue piccole fotografie senza tempo erano stati colpiti tutti coloro  cui Ivan negli anni aveva mostrato il suo inseparabile amuleto.

In quella piazzetta, accompagnati dai giovani jazzisti, Ivan mi diede il suo gioiello chiedendomi di portarlo con me nel Camino. Spero che il pellegrinaggio abbia impresso anche in quelle foto la forza, lo splendore e l'amore che ha offerto a questo pellegrino.

Altri segni mi confermarono l'autenticità dell'impulso, perché lo spirito si rispecchia nella materia, i fatti da dentro si riversano fuori in maniera tanto più evidente quanto più intensa è la nostra spinta interiore. Osservare questo fenomeno suscitava in me grande sicurezza e fiducia in ciò che mi attendeva.

 

Pochi giorni prima di partire, sul diario destinato a riportare la fantastica esperienza, scrivevo: «Solo, vuoto, nudo, nel buio della notte, nel silenzio del nulla. Il lume di una candela, il profumo di un incenso, il bisogno di purezza urge in me.

Non calcolare più, non programmare più, non prevedere più, voglio assaggiare il frutto dell'albero della vita. Non temo la morte, non più, da anni ormai, non bramo potere o denaro, non più, da anni ormai, cerco di aderire il meno possibile agli schemi, eppure è ancora lunga la via che conduce alla libertà.

L'accorcerei lontano dall'Occidente? Se la mia via fosse solo mia forse sì, ma così non è! Eppure qui sembro regredire, poi un balzo in avanti e di nuovo lentamente indietro, oppure lentamente in avanti e un balzo indietro.

Sento la forza in me che mi consente di crescere, ma sento pure le forze della materia avere ancora tanto potere sulla mia anima, sul mio agire, sul mio volere.

Il mondo è un ring da cui non puoi che uscirne malconcio, ma non sempre perdente.

Bisogna allenarsi nella solitudine, non temere l'avversario per quanto più forte di noi, salire sul ring coscienti di potercela fare e, quando se n’esce sconfitti, coscienti di poter vincere la prossima volta.

Su quel ring non c'è solo il grande avversario, c'è pure la solidarietà di tutti quelli che da fuori tifano per te, di tutti gli uomini che come te combattono ogni giorno, di tutti quelli che credono veramente che l'amore alla fine vincerà».

Lascio ora la parola al diario, buen camino.

 

 


Tra il mondo e il Camino

 

Non più persone conosciute, non più telefono, non più musica, non più macchine, non più casa. Forse l'arduo obiettivo di questo pellegrinaggio è "non più desideri effimeri, non più distrazioni, non più illusioni". Voglio essere vero, voglio cogliere il reale sempre più, passo dopo passo.

In questo viaggio devo ascoltare la voce dell'anima, devo vivere in funzione sua. Devo saper discernere come non mai, devo amare, solo amare.

Dal cielo una delicata infiorescenza di stami primaverili, dopo chissà quale viaggio, si posa leggera sulla pagina su cui scrivo, un augurio da Rapallo, da questa stazione che spesso mi ha visto solo, pensoso e soddisfatto. Leggero, come questo delizioso concentrato di vita e di morte, ovvero di vita eterna, mi accingo alla partenza.

Ieri ho perso il treno a Genova, così mi sono fermato la notte e tutto oggi con il più giovane nucleo famigliare della mia grande famiglia. Osservare l’innocente stupore, l'emozione del piccolo Leonardo al sopraggiungere delle onde, giocare con lui in riva al mare, sul cannone, trasmettergli affetto e ricevere ben di più dal suo vivere genuino e spontaneo, mi ha arricchito profondamente. Nella purezza dell'espressione degli occhi che colgo nell'agire dei bambini intravedo le radici della creatività. Nell'osservare come il confine tra i due diversi livelli di coscienza sia sottile in loro, come siano ancora così immersi nella vita interiore se pur sempre più proiettati verso il mondo esteriore, vedo l'origine di tutte le arti, il presupposto alla libertà.

Scrivevo pochi mesi or sono: «Qual è l’espressione più diretta della spiritualità nell’uomo? La creatività, l’arte di lasciar fluire da dentro ciò a cui noi dobbiamo dare forma. L’arte è spontanea, è ingenua sul piano fisico, proprio perché è pura espressione dello spirituale. Quale maggior spontaneità del comportamento ingenuo di un bambino?».

Si è trattato di una sosta necessaria. Sento essere di buon auspicio questa giornata trascorsa con Sebastiano, Patrizia e soprattutto con Leonardo. La meraviglia che suscita in me il bambino ispira l'anima che tenta di immergersi nella sua essenza divina.

Osservo la Cartha peregrini e un mondo ignoto si presenta alla mia fantasia.

 

Dal taccuino: «Con un giorno di ritardo, ma dopo un bel bagno nel mosso Mediterraneo di Zoagli, una cena da O Bansin, un semifreddo al marron glacé da Frigidarium e una scorta di focaccia bella unta dalle zitelle mi metto in treno per Ventimiglia.

Arnica in pomata a volontà sul secondo dito del piede destro: il bagno di sassate nel mare di Zoagli potrebbe costarmi caro lungo i crinali. Non conosco i Pirenei, ma confido su una via del pellegrinaggio assai più semplice di quanto non sperassi fino a ieri mattina».

 

Le trofie al pesto, la serie di semifreddi (rigorosamente al marron glacé) e la focaccia straunta non mi hanno permesso sonni tranquilli, ma non dispero. A parte il leggero sentore di nausea causato dall'aria condizionata posso dire d’essere pronto per la partenza. Della serie: meglio autoconvincersi vista la situazione in cui mi sono cacciato. Insomma tra abboffate varie e sassate in mare parto con appesantimento, nausea e microfrattura al secondo dito del piede destro.

 

Lourdes è di per sé un paese delizioso, immerso nel verde, attraversato da un fiume, con i monti innevati che gli fanno da cornice. La Madonna è apparsa qui e qui continua ad accogliere e a guarire i suoi devoti. Osservando dal finestrino del treno mi sono domandato: "Com'è possibile che la Madonna abbia deciso di apparire in un luogo tanto idilliaco e non, per esempio, nelle favelas di Caracas, o in un quartiere malfamato di una qualsiasi città del mondo?". Non mi mettete subito al rogo, non è mia intenzione iniziare il Camino con pensieri blasfemi. Ho poi saputo che l'apparizione è avvenuta a Massabielle, l'immondezzaio di Lourdes.

Fra poco più di un'ora sarò a Bayonne, a pochi chilometri dall'oceano che dovrò attendere la fine del pellegrinaggio per poter assaporare.

Le colline francesi sono deliziose, i Pirenei mi aspettano. Mi duole il dito del piede, mi creerà qualche problema in salita, ma tanto il cammino è interiore..., inutile dare troppo peso alle condizioni esteriori. Lo stretching, la preparazione, la sto applicando ai pensieri, al dominio dei moti del pensiero, unico vero ostacolo lungo la via. Mi tranquillizza sapere di essere di sana costituzione. Come potrei altrimenti affrontare gli impedimenti mentali? Il cammino sarà tanto più impegnativo quanto più saprò restare attento ai moti dell'anima, ovvero quanto meno mi lascerò illudere dall'apparente. Il mio non è un pellegrinaggio di fede nei Santi, ma ugualmente chiedo a Loro, a san Giacomo, di darmi una mano affinché anch'io possa un giorno offrire il mio contributo alla causa divina.

La piacevole sinfonia del treno in corsa fa scorrere nella mia immaginazione tutti i miei cari, i loro volti, il loro affetto, il loro perenne appoggio in tutte le mie esperienze. Grande gratitudine sgorga dal mio cuore e poi apro la busta consegnatami prima di partire. E’ di Piero: «Ti penso. Il mio pensiero vaga nell'immaginazione e non riesco a valutare quante esperienze questo cammino porti alla tua anima. Intuisco un gran senso di pace, di cose belle da sentire, d’immagini indelebili da scoprire, da ricordare. Sono consapevole che la frenetica velocità dei nostri tempi oscura la vista del viandante e acceca il suo amore per la natura e lo priva del suo tempo. Ma tu oggi inizi il tuo cammino impregnato di mistero alla scoperta del nuovo, del bello e dell'eterno. Portami con te nel tuo cuore in quest'avventura, ferma il tuo tempo e frena le mie ruote, passo dopo passo raccogli il frutto dell'origine e scandisci il tempo».

Poche righe che rappresentano un primo successo: il mio amico è in sintonia con la mia anima quanto lo sono io. Altro che soli! Nel Camino l'anima non è mai sola.

Mi auguro che le frasi e i sentimenti di Piero, espressi con delicata spontaneità e bellezza, s’imprimano nel mio pellegrinaggio come si sono già impressi nel mio cuore.

Gli risponde subito, nella prima lettera del Camino: «In quale miglior auspicio potevo sperare? Sai, anche il mio pensiero vaga nell'immaginario senza che io possa valutare, e anch'io sento un senso di pace. In pochi hanno colto l'importanza di questo impulso, ma a quei pochi esso appartiene quanto a me. Lo spirito è pronto per affrontare quello che inevitabilmente sarà un cammino più impegnativo di quello orientale sostenuto agli albori della mia scelta di vita volta allo spirito».

 

Arrivo a Bayonne alle 10.10 del mattino e sino alle tre non vi sono coincidenze per St. Jean-Pied-de-Port, luogo di partenza; significa non poter iniziare a camminare oggi stesso, in quanto la prima tappa che prevede il valico dei Pirenei sino a Roncisvalle è di ventisette chilometri.

M’incammino saggiando il dito dolorante del piede, in attesa che qualche buon'anima mi dia un passaggio.

Un paio d'ore di cammino intervallate da due brevissimi passaggi, poi si ferma una station-wagon con a bordo una famiglia composta da mamma, papà e tre bambini tra i due e i sette anni. Sono baschi francesi. Dico loro, o meglio cerco di far loro capire a gesti, di non preoccuparsi, che tanto passano molte auto con una sola persona a bordo (E’ vero! Peccato che queste ultime non mi degnino neppure di uno sguardo). La giovane famiglia insiste a tal punto che la mamma sale dietro e si prende in braccio un bambino, per di più febbricitante, per lasciarmi il sedile anteriore. Sorridenti, benevoli, molto gentili, i due s’interessano al mio imminente cammino, e tra il basco di lui, il mio spagnolo e l'inglese pressoché nullo di lei riusciamo a trasmetterci quello che conta. Allungano di parecchio rispetto alla loro destinazione e mi portano fino a St. Jean-Pied-de-Port. Lì mi dirigo subito al rifugio del pellegrino. Porto con piacere il portachiavi donatomi dalla deliziosa famiglia cui devo la possibilità di iniziare oggi stesso il pellegrinaggio.

 

 

21 maggio, primo giorno: da St. Jean-Pied-de-Port a Roncisvalle

 

Dal taccuino: «Tutto per il meglio. Sul contapassi regalatomi da Piero, Maurizio e Raffaele prima di partire leggo che sono solo al 7857esimo passo della prima tappa e già avrei tanto da raccontare. Innanzi tutto i Pirenei: che splendore! Colline alte o bassi monti verdeggianti con torrenti limpidi e rigogliosi e paesini dalla classica architettura medievale francese.

La giornata è nuvolosa, ideale per camminare. Alla prima casa del pellegrino sono stato accolto con calore da una signora Svizzera che parlicchiava italiano e oltre a timbrare la Charta peregrini, o credenziale, e registrare il mio passaggio sul quadernone del rifugio, mi ha dato una mappa del primo pezzo e un elenco di tutti gli ostelli fino a Santiago.

Sciolti gli ormeggi, da quel momento la nave (il corpo) è salpata, il timone (la psiche) saldo e sicuro, il timoniere (lo spirito) pronto per dirigere la grande impresa.

Ora sono a circa due chilometri da lì, sosta pranzo, cambio indumenti, arnica sul piede dolorante, dove, sull’alluce, si è formata una ridondante vescica».

 

Uscito dalla casa del pellegrino di St. Jean-Pied-de-Port un senso di fierezza, fermezza interiore, forza fisica mi pervade fin nei punti più reconditi del corpo e della psiche.

Con passo deciso e busto eretto intraprendo l'antica route de Napoléon del paese come un condottiero che parte per la sua conquista. L'augurio di buon viaggio di alcuni, il canto vivace e imponente del coro della chiesetta accompagnano i miei primi passi.

Lungo la prima salita un suono di tamburi lontani svanisce passo dopo passo. Galline, pecore e lo sguardo fisso di una mucca bianca circondata dai vitellini. Ora sento solo le cicale e un belare lontano, le nubi sono fitte, ma abbastanza alte da lasciarmi un'ampia visuale sull'ondeggiare del verde.

Un campetto di margherite decora il mio pranzo, ma adesso il fresco si fa sentire, è ora di rimettersi in marcia.

Guardando tutte quelle galline felici ho pensato alla mia mamma che prima di partire mi ha rimpinzato d’uova nonché rifilato tre uova già bollite pensando che non ne avrei più mangiate sino al ritorno. La mia dieta contempla, infatti, solo uova di “gallina felice”.

Controllo il contapassi: ho percorso solo due chilometri di salita, ma sono gasato come non mai, un po' di stretching e via per non permettere al freddo di insinuarsi nel sudore della prima salita.

 

Dal taccuino: «Lungo i crinali francesi, mentre ero immerso nelle nubi che mi consentivano non più di una decina di metri di visibilità, a un certo punto sbuca dal nulla, a lato del sentiero, uno scheletro umano, con tutte le ossa ma privo del teschio. Stranamente non mi ha per nulla urtato, certo che se tutto il cammino è cosparso di simili scherzetti…».

Avevo sottovalutato il percorso, forse non avevo idea di cosa sono venticinque chilometri di salita; avrei dovuto chiedere la proporzione fra salita e discesa dei ventisette chilometri che dividono St. Jean-Pied-de-Port da Roncisvalle. La signora Svizzera aveva accennato alla possibilità di fermarsi a dormire al primo ostello, ma io  non l'ho presa neppure lontanamente in considerazione la “vile ipotesi”. Certo, ora che sono praticamente giunto a Roncisvalle sono soddisfatto, ma era il caso di spaccarmi di fatica già il primo giorno?

Ho decisamente sopravvalutato le mie forze, non ho tenuto conto della totale mancanza d’allenamento e dell'incognita tempo che, tutto sommato, mi ha risparmiato. A parte qualche raffica lungo i crinali, la pioggia è stata ed è costante, ma leggera, fine. Insomma sono seriamente provato, sudato fradicio e con una vescica a un dito del piede la cui entità mi è ancora sconosciuta. In compenso tutto il percorso è stato in totale solitudine, giusto gli sguardi stupiti di un branco di cavalli liberi e di quattro maiali “randagi” hanno interrotto il mio distacco. Circa cinque ore immerso nella nebbia su per i crinali mi hanno in ogni modo catapultato in un'altra dimensione, in un'atmosfera di sogno. Questo è il terzo bosco che attraverso, qui mi sento a casa, protetto dagli alberi, in dirittura d'arrivo.

Ora riprendo la discesa spaccaginocchia, dovrei averne per mezz'ora ancora.

Mi piacerebbe fermarmi per descrivere la conquista della vetta, i passaggi nei boschetti, il lungo crinale, i passi, il silenzio, ma non posso farlo sudato e bagnato come sono.

Scrivo nella lettera a Piero: «Un giorno che difficilmente dimenticherò. Non ero fisicamente allenato per cinque ore di salita, per di più guardando il contapassi mi sembrava di andare lentissimo, due chilometri all'ora secondo la taratura completamente errata. Ciò psicologicamente ha influito non poco, mi preoccupavo, ho temuto di non farcela, in realtà facevo cinque chilometri all'ora. Non puoi capire il sollievo quando l'ho realizzato».

 

Dal taccuino: «Passo 37305. Ce l'ho fatta! Devo tarare di nuovo il contapassi perché risultano quindici chilometri, mentre ne ho fatti ventisette. Riguardo alle ventitremila calorie bruciate non ho dubbi. E’ stata più dura del previsto, ma non ho mai mollato il passo. Sono soddisfatto, ho capito che si tratta, sì, di un viaggio dentro noi stessi, che in ogni caso richiede forza fisica e stabilità psichica. La prova è dura sotto ambedue gli aspetti. Forse ho superato il tratto più duro fisicamente e in parte anche psicologicamente, soprattutto a causa delle condizioni climatiche e del contapassi che mi faceva credere di percorrere la metà dei chilometri che in realtà percorrevo».

 

Provato dalla stanchezza ho un leggero cedimento psicologico, quasi decido di fermarmi quando – come scrivo a Piero – «ad un certo punto su uno dei tanti crinali in salita, dopo circa quindici chilometri dentro le nubi e ormai fradicio di sudore e d’acqua della fine pioggerella, ho sentito, o forse ho solo immaginato, due voci amiche che mi spingevano su con la forza delle loro anime. Mi sono sentito leggero, rinvigorito.  La preoccupazione, la vescica sull'alluce, l'umidità non mi sfioravano più, e così  è stato per lungo tempo. Un tempo diverso, immerso in quel nulla, i circa venti metri visibili che mi circondavano erano d’erba fine, d'alta montagna. La solitudine dominava gli spazi, ma le due anime amiche spingevano. Chissà, forse mi stavate pensando, tu e Maurizio, o forse non n’eravate consci, ma c'eravate».

Welcome pellegrino, welcome sul Camino, nei meandri dell'anima.

 

Dal taccuino: «Arrivo a Roncisvalle intorno alle otto di sera sotto l'acqua. Un paesino completamente vuoto, solo un ragazzo alto e biondino, chiaramente americano, a cui chiedere dov’è il rifugio.

E' mai possibile che, immerso nella mia interiorità dopo ore di cammino in quest'atmosfera fatata, in un paesino così ricco di storia e leggenda, mi imbatto in uno yankee? Devo dire che dall'espressione dolce e stanca, anche lui deve avere i miei stessi chilometri nelle gambe».

Accoglienza calorosa qui al rifugio. Sono l'ultimo, tutti i pellegrini sono arrivati da tempo. Una doccia calda, una cena in compagnia di storie simili alla mia, di segni del destino che fa confluire sul Camino ogni giorno decine e decine di pellegrini. Il tempo inizia già a perdere il suo effimero significato: ho la sensazione che questa dimensione atemporale sarà un comune denominatore lungo tutto il Camino.

Sono stanco e infreddolito, ma la cena in uno dei due ristorantini del paese mi rimette in sesto. Seduto al mio fianco della tavola rotonda ci sono Ivan e Maria da un lato, una coppia di brasiliani sui trentacinque anni, che si sono conosciuti in aereo venendo in Spagna, e un signore canadese sui sessanta dall'altro. Lui ha già ottocento chilometri nelle gambe, nella mente e nel cuore. E’ partito da non ricordo dove in Francia. Mi dà consigli e mi parla di alcuni aspetti simbolici del Camino, dei sassi che alcuni pellegrini appoggiano sulle colonnine di pietra con impressa la conchiglia, poste per indicare la via, mi racconta del rito del fuoco a Finisterre, dove il pellegrino brucia le sue vesti in segno di abbandono del passato e di inizio di una nuova vita, spinto verso l'alto dal fuoco purificatore. A fianco del mio tavolo noto una giovane coppia, ci si sorride.

Torno nel dormitorio, vado a controllare se gli indumenti stesi accennano ad asciugarsi e vengo invitato da due giovani spagnoli a bere un tè che stanno scaldando con un fornelletto su una panca. All'invito di Hermas e Alfonso aderiscono anche Marcos, un brasiliano della mia età che non parla spagnolo e Sarah, una giovane americana che invece lo parla perfettamente. L'emozione per ciò che ci attende, l'incognita, e l'entusiasmo sprigionano dai nostri giovani occhi.

Il destino, il karma che in quest'umida serata inaugurale ci unisce non vuole spiegazioni intellettuali.

Scrivo a mia madre: «Reduce dalla giornata, oso sperare, più dura del cammino, mi accingo alla seconda tappa con spirito forte e sereno, psicologicamente carico dopo l'impresa di oggi anche se fisicamente stanco e malconcio».

 

 

              22 maggio, secondo giorno: da Roncisvalle a Trinidad de Arre

 

Dal taccuino: «Ahimè non mi sono addormentato sino a tardi per il freddo, il sacco è troppo leggero e le coperte erano finite».

L'umidità è tale che i panni stesi sono nelle stesse condizioni di quando li ho messi ad asciugare ieri sera. Come scrivo a Piero, "ho ripensato all'India e al Nepal e mi sono addormentato rannicchiato, senza lamentarmi".

La notte è stata dura, ma ora un coro di voci femminili in stile medievale apre con immensa dolcezza il nuovo giorno.

Ancora dal taccuino: «Sono qui, solo, e questa splendida armonia mi frena, o forse sono ancora un po' scottato da ieri. Sono già partiti tutti da tempo e io ho potuto ritagliarmi un'oretta per scrivere accompagnato dal meraviglioso coro de "Las voces del cielo – el misterio de las voces Bulgaras". Un capolavoro.

Ahi, i primi passi che dolore: muscoli, botte varie, vesciche. Ma non importa, non esiste il tempo nel Camino, non c'è fretta, non c'è nulla e c'è tutto, perché tutto è in me».

 

Affascinato dal pueblo [paese] Auritz Burguette pochi chilometri dopo Roncisvalle ho perso la via, così devo farmi ben due chilometri e mezzo di statale prima di poter riprendere il Camino marcato.

Scrivo a mia madre: «Ho sbagliato strada: mi sono fermato su questa leggera altura da dove posso dare un ultimo saluto a quei Pirenei che ieri mi hanno tanto provato ancora coperti dalle nubi, ma addolciti dal profilo delle colline che degradano. Finalmente il sole riscalda i corpi dei viandanti ancora umidi dal giorno prima, accende i colori, esalta i profumi dei campi bagnati».

Ho fatto fuori l'ultimo uovo sodo (anche se non ricordo di aver mai visto tante galline felici in vita mia), la focaccia delle “zitelle” di Rapallo è un po' dura, ma sempre bella unta, la voglia di camminare tanta.

 

Dopo una decina di chilometri solitari, entrato in un fitto bosco, raggiungo Hermas, Alfonso e Marcos e decido di proseguire con loro. Marcos resta indietro e io, con i due Spagnoli rispettivamente di venticinque e trent'anni, arrivo in un paesino attraversato da un fiume. Secondo la guida di Hermas, la tradizione vuole che per scongiurare la malattia della rabbia i pellegrini facciano tre giri intorno alla colonna portante del ponte. Così al ponte gotico di Zubiri con Alfonso ed Hermas faccio tre giri della colonna nel rio [fiume], e la rabbia è scongiurata per sempre. La guida non specificava di farli nell'acqua, ma è stato divertente, oltre che rigenerante per le gambe.

Tolti i tre giri sono al 32.436esimo passo della giornata, equivalente a 19,4 chilometri secondo la nuova taratura. Il Camino è stato molto gradevole, le ultime ore in compagnia dei due amici ancor di più, anche perché in fondo sono anche loro dei solitari. Molta discesa a scapito delle ginocchia, ma i paesaggi sono incantevoli.

All'ingresso di Zubiri mi è sembrato di rivivere l'arrivo nell'isola greca nel film Mediterraneo, il deserto assoluto e noi tre con gli zaini in spalla a passo stanco al centro delle calles [vie].

Seduto su un muretto in un borgo di non più di dieci case mentre scrivo in attesa degli altri, passa un contadino e mi dà la notizia che ho passato Larrasoaña da un chilometro e mezzo e che al prossimo rifugio ne mancano nove. Oggi sono partito per ultimo, ma sono arrivato veramente lontano, non per competere, né per provare la mia resistenza, ma semplicemente perché al ventisettesimo chilometro ero talmente fuso che non ho visto l'indicazione che svoltava verso Larrasoaña, dove avrei dovuto pernottare, e quando ho realizzato che ero andato oltre mi trovavo in un borgo medievale popolato solo da due cani che m’invitavano a proseguire. Ma sì, ormai... che faccio, torno indietro?

Hermas e Alfonso, che hanno camminato con me sino a poco fa, li ho distanziati poiché hanno rallentato per l'aggregarsi al gruppo del rumoroso Alberto, argentino con la moglie brasiliana, da noi raggiunti lungo il Camino. Non avendo ritenuto opportuno ridurre il buon ritmo conseguito per chiacchierare, ho proseguito.

Poco dopo essere ripartito dal borgo m’imbatto in Sarah e Jacob (Jack per gli amici), nonché il mio primo incontro sul Camino, e la sorella con cui ho preso il tè ieri sera. Due buoni camminatori, belli carichi. I tre pellegrini adesso camminano insieme, incominciano a conoscersi, e realizzano come tutto nel Camino sembra essere accelerato, il tempo perde il senso comune, un'ora sembra un mese, tanto che dopo poco tutti e tre abbiamo la sensazione di conoscerci da tanto.

Ad un certo punto un bel cagnone vispo, giovane e socievole, dall'aria avventuriera, si aggrega al gruppo e solo quando giungiamo sulla carretera [strada], dopo aver rischiato più volte di essere investito dalle auto a lui chiaramente poco familiari, si decide a tornare indietro per continuare il suo Camino altrove. Quell'amico dell'uomo mi ha trasmesso un gustoso senso di libertà che di rado si riscontra nei nostri cani.

I nove chilometri ancora  da percorrere sono stati interminabili. Sono arrivato ad avere cali di pressione mai sofferti prima e se non fossimo stati in tre forse sarei crollato su un prato giurando che non mi sarei alzato mai più. I fratelli di Chicago sono nelle mie stesse condizioni nonostante la giovane età.

Ho colto i tre livelli su cui si svolge il pellegrinaggio: quello fisico, di resistenza, quello psichico, di forza d’animo e quello spirituale, di fermezza interiore. I tre vanno vissuti con la maggior consapevolezza possibile! Ecco che già il secondo giorno il Camino forgia il suo percorso di conoscenza, mostrando interiormente al pellegrino l'esperienza vissuta lungo il percorso esteriore.

 

Dal taccuino: «Altra esagerazione, ma questa volta non la dimentico più por la vida [per tutta la vita]: 51.147 passi equivalenti a 30,6 chilometri secondo il contapassi, in realtà trentotto con due sole soste di mezz'ora. Significa dieci ore di cammino continuato. Una follia che mi ha reso uno zombie».

 

Io, Sarah e Jack siamo arrivati a Trinidad de Arre. Sarah si fa trascinare dal responsabile della casa del pellegrino in una conversazione che prevede la ricostruzione dell'albero genealogico di tutta la sua famiglia, nonostante il leggero disappunto mio e di Jack, moribondi. Decido allora di andare a fare la spesa nel negozietto lì vicino prima che chiuda.

Ahimè, la risalita fino ai bisnonni della famiglia Degner mi è costata un bel due chilometri per raggiungere con le ginocchia in gola il supermercato, più altri due per tornare al rifugio, dato che il negozietto ha appena chiuso. Entro, e da come mi guarda la gente, nonostante non abbia lo zaino, quindi non sia in tenuta da pellegrino, anche se forse me lo si legge in volto, devo veramente sembrare più di là che di qua. Praticamente sdraiato sul carrello, affamato come non mai, faccio una spesa da rimpinzare un esercito. Alla cassa, vedendo passare tutto quel ben di dio, gli occhi mi brillano e già m’immagino sdraiato a mo' di Lucullo, pronto alla grande abbuffata. Peccato che con me abbia solo il resto delle mille pesetas date all'albergo del pellegrino, ovvero cinquecento pesetas, poco più di cinquemila lire.

Lascio giù quasi tutto e, sconsolato, e ancor più affamato torno semisconfitto dalla mia missione. Jack è sdraiato in catalessi, Sarah in bagno, per ore, mi lascio cadere sul letto e ciao.

Dopo poco la fame prende il sopravvento sulla stanchezza e io e il mio fratellino di marcia ci riprendiamo. Sarah esce dal bagno fresca come una rosa. La guardiamo come fosse un’extraterrestre.

Mi lancio in una spaghettata al sugo, visto che i due fratelli nei loro rispettivi diciotto chili di zaino, oltre a due tende, diciassette rullini, registratore, mazzi di carte omaggio with love from Chicago, beauty-case, libri, guide eccetera, avevano anche un pacco di mezzo chilo di pasta e una confezione di sugo.

Ora, dopo la cena con i miei due nuovi compagni di viaggio e un gruppo di Baschi, mi sento decisamente meglio. Bisogna dire che questo albergo nel convento di Trinidad de Arre è veramente ospitale; siamo pochi e ci si sente in famiglia.

I paesaggi di oggi sono stati molto variegati: dolci colline, borghi medioevali, campi verdeggianti. Certo negli ultimi tre chilometri non riuscivo ad apprezzare più nulla, solo la forza d'inerzia mi trascinava. Arnica ormai ovunque: sulle ginocchia, sui piedi, su tutti i muscoli delle gambe. Sono tutto un dolore.

Sempre a mia madre, scrivo: «Viaggio solo, ma è impossibile non fare conoscenze, si è compagni di viaggio per qualche chilometro per poi perdersi e ritrovarsi chissà dove. E’ parte del Camino de Santiago, è insito nel concetto stesso di pellegrinaggio. Ho deciso di camminare senza simboli, senza mappa. Se dev'essere el Camino de l'alma [il cammino dell'anima], che lo sia!». Non il bastone, non la conchiglia, non il cappello, non la mantella, nessuno dei classici simboli del pellegrino. Preferisco essere svincolato da suggestioni.

E’ lunedì sera: alle dieci e mezza ho l’appuntamento interiore con gli amici di Milano. Mentre scrivo, in attesa dall'incontro “a distanza”, Sarah, seduta vicino a me, cuce, imbastisce dei fiorellini di filo colorato, scrive e legge in silenzio. Immersi nei nostri pensieri, ci lasciamo trasportare dal movimento del Camino interiore cercando di cogliere il germe di ciò che passo dopo passo germoglia in noi.

 

 


23 maggio, terzo giorno: da Trinidad de Arre a Puente la Reina

 

Ore sette e trenta e siamo gli ultimi. Qui non si scherza: è meglio incamminarsi di buon'ora, anche se leggermente in catalessi.

E’ un'altra giornata di sole. Il ginocchio sinistro mi ha disturbato tutta la notte, del resto per quanto ho infierito ieri è già un miracolo poter ripartire. In ogni caso oggi ho intenzione di fermarmi a leggere, voglio visitare Pamplona e assolutamente non strafare. E poi: "Devo stare più dentro che fuori!".

 

Ho dovuto subito togliermi gli scarponcini e indossare i sandali perché nonostante gli spessori di carta igienica interposti tra il tendine d'Achille e la scarpa non riuscivo a camminare dal dolore.

Pamplona è a sei chilometri da Trinidad de Arre, così entriamo in città ancora belli freschi. Ben presto ci rendiamo conto di essere già lontani dai comuni concetti di spazio e tempo. Chiediamo un'indicazione ad un passante e ci sentiamo dire: "Giù per quella via, poi dovete attraversare il parco dove c'è l'Università e..., ma guardate che è molto lontano".

La visita di Pamplona è posticipata a un prossimo viaggio perché con assoluta spontaneità, già lontani dal rumore, l'abbiamo attraversata evitandola, rapiti dal senso del Camino, camminando per le strade, chiacchierando avvolti in un silenzio tutto nostro e seguendo le frecce gialle che indicano la direzione del Camino. Senza neppure rendercene conto ce ne siamo andati.

 

Dal taccuino: «Al 23.031esimo passo della giornata sotto il sole cocente, di cui più della metà a Pamplona, troviamo un delizioso laghetto racchiuso tra le colline. Un tuffo ci ha rigenerato».

Sarah per pudore non si è tuffata, mentre io e Jack non ci siamo fatti troppi scrupoli a restare in mutande e a buttarci in quell'acqua che blocca la circolazione e spezza le bracciate, preparando il piacere del dopo quando il sole interviene sulla pelle tonificata. Un momento delizioso, un quadro bucolico. Jacob è in procinto di iniziare biologia all'University of Illinois e lavora presso il Field Museum of Natural History, per il quale, finito il Camino, andrà in Africa come ricercatore: è un amante degli uccelli. Sarah parla perfettamente spagnolo, studiato un anno a Barcelona, lo insegna a New York e studia letteratura spagnola presso la Columbia University.

Lei ha ventitré anni e lui diciassette, e per me questa è una strana coincidenza. Circa un mese fa ho offerto a mio fratello come regalo per il suo diciottesimo compleanno un viaggio a sua scelta, così come avevo fatto cinque anni prima con mia sorella, ora ventitreenne. Non avendo lei ancora usufruito del “buono-viaggio” prima della mia partenza per il Camino, i due mi avevano espresso il loro desiderio di fare un viaggio insieme: i tre fratelli per la prima volta in viaggio da soli. E guarda un po' in che situazione parallela mi ritrovo ora! Sa d’anticipazione.

Dimenticavo: i "miei" due americani sono figli del pastore luterano della confraternita di Chicago.

Il sentiero sale lungo un'ampia collina sul cui crinale ruotano i giganti del vento, enormi mulini bianchi che generano energia elettrica. Si valica al picco “Alto del Perdón” dove domina un’imponente scultura in ferro battuto che rappresenta una carovana di pellegrini. Ci godiamo il paesaggio, Sarah scatta qualche foto, il ginocchio è a posto, ma ora ci attende la discesa.

Pochi metri più giù trovo una giacca e un maglione in perfetto stato appoggiati su un cespuglio, li prendo in memoria del freddo patito a Roncisvalle. Quante risate ci siamo fatti immaginando che dietro il cespuglio avrebbe potuto esserci una persona appartata che, sbucata fuori, avrebbe cortesemente chiesto indietro i suoi indumenti.

Non ci fermiamo a Urtega, un grazioso pueblo della Navarra con un altrettanto gradevole alberghetto del pellegrino. Dieci ore di cammino, ventitré chilometri e mezzo non bastano alla cica [ragazza] americana, e ormai il destino mi vede unito a loro.

 

Dal taccuino: «Giuro: domani ridimensiono la tabella di marcia; anche oggi ho sofferto assai negli ultimi cinque chilometri. Too much! [troppo!]. Mi dispiace, ma domani viaggio solo e con calma. I fratellini americani li rivedrò altrove. Devo salvaguardare il ginocchio se voglio arrivare a Santiago per lo meno salvo, visto che sano sarà impossibile».

Oggi altri trenta chilometri paesaggisticamente meravigliosi, la primavera offre a piene mani. Verdi colline con ampi campi coltivati e qualche borgo medievale qua e là.

Infine Don Gervasio, il prete che l'anno scorso ha festeggiato le nozze d'oro con il sacerdozio: vive a Puente la Reina e predica in due pueblos, di cui uno, San Esteban de Muruzabal, con una deliziosa chiesa del XIV secolo. Qui non ho la benché minima intenzione di proseguire. Il ginocchio mi fa zoppicare già da diversi chilometri e sono molto provato. Jack è restato indietro con me mentre la sorella, sempre in forma smagliante, ci anticipava per trovare sistemazione e comperare viveri. Purtroppo non trovo alcun rifugio per la notte, ma la pausa nella chiesa con Jack e il timbro di voce del parroco, che con pacata efficienza ci ha mostrato la sua amata chiesetta, indubbiamente mi hanno tirato su il morale.

Don Gervasio si è anche offerto di portarmi in auto a Puente la Reina, ma in quella chiesa mi sono sentito rigenerare. La cortesia del prete, la sacralità di quelle mura, la pace del luogo hanno contribuito a coltivare in me un terreno in realtà già fertile; è stato il primo vero contatto con una casa di Dio nel Camino.

Arrivo con Jack a Puente la Reina veramente a denti stretti. Sarah non ha trovato posto nella casa del pellegrino, così abbiamo alloggiato nel dormitorio di un albergo vicino, dove abbiamo goduto della cortesia del personale della cucina che non solo ci ha cucinato la pasta con il sugo comperati in un negozio, ma ci ha addirittura offerto una ricca insalata come secondo.

 

 

              24 maggio, quarto giorno: da Puente la Reina a Estella

 

Scrivo a mio padre: «Sono al quarto giorno e lentamente il mio corpo si sta adattando a qualcosa d’insolito, di precario, di particolarmente duro. La psiche lo segue come un'ombra. Un senso di solidità, di forza d’animo, di fermezza interiore pervade tutto il mio essere. E’ lo spirito che detta le sue leggi, finalmente. In altre occasioni ho assaporato il predominio dello spirito sulla carne: in India, e in situazioni di cui è difficile parlare. Sì, perché le parole descrivono il corporeo, non l'animico; i limiti della parola sono pesanti quando si accede all'interiorità. E’ in tale contesto che si pone il pellegrino: colui che viaggia prima di tutto per lo spirito che condiziona la psiche, che a sua volta dirige il corpo. Ecco i tre livelli su cui poggia il pellegrinaggio; non l'ho studiato, non ci sono arrivato per logica, l'ho sentito e lo stò vivendo passo dopo passo. Questa è la prima realtà che mi compenetra interiormente. Certo, non ho ancora risposte, non conosco il perché di questo lungo viaggio, ma sono felice di essere qui.

Riguardo agli incontri, ai paesaggi, alla fatica, agli acciacchi... potrai leggere il diario al mio ritorno se vorrai, qui ora ci tenevo a scriverti gli aspetti più importanti e a ricordarti che a volte si è più vicini quando si è fisicamente lontani che quando si è immersi nella frenesia quotidiana e non si comprendono appieno i valori, i sentimenti, le emozioni che la vita ci offre».

Probabilmente ho solo bisogno di prendere il ritmo giusto. Non m’illudo però che il problema al ginocchio sinistro sia miracolosamente scomparso, ma oggi è andata meglio del previsto.

Sono le tre del pomeriggio e già ho già fatto la doccia: per il resto della giornata voglio dedicarmi alla lettura, a scrivere e a riflettere. Ne sento il bisogno. Nonostante i letti siano già quasi tutti occupati (circa settanta pellegrini, tenuto conto dei materassi per terra) nella casa del pellegrino qui a Estella regna il silenzio.

In genere il pellegrino moderno è una persona cordiale, tranquilla, non sempre con ambizioni di tipo spirituale. E dire che per secoli migliaia di anime sono state spinte su questa via da un impulso che, se pur inconscio, in realtà manifesta una grande ambizione spirituale, l'anelito dell'anima verso la sua massima espressione.

I paesaggi della Navarra continuano ad incantare il mio sguardo: sarà la stagione, saranno le magnifiche giornate... è tutto così intenso... sarà il Camino.

Come tra i motociclisti, i naviganti, i ciclisti, come tra i viaggiatori in generale, così tra i pellegrini si crea una forma di solidarietà che si manifesta in svariate manifestazioni d’affetto. Un impulso accomuna, e tale impulso crea un legame che unisce così come idealmente dovrebbe unire tutti gli uomini. Anche i rapporti qui sono come amplificati e rappresentano uno dei fondamentali aspetti del pellegrinaggio. Francesi, Spagnoli, Tedeschi, Belgi, Brasiliani, tanti Brasiliani, Canadesi, Americani e, per ora, nessun Italiano.

Visitiamo una splendida chiesa del XIV secolo e probabilmente ne cercheremo altre qui a Estella. In esse ci si sente a casa: le chiese si confanno alla vita del pellegrino. Ho sempre gradito frequentare le chiese, mi ci sento a mio agio, ma nel Camino lo vivo con più confidenza, come chi sente di aver guadagniato con il sacrificio la casa del Signore.

Mi accorgo che quanto più l'aspetto fisico lascia spazio a quello psicologico e a quello spirituale, tanto più i luoghi sacri diventano preziosi.

 

Estella ci riserva la prima forte esperienza a livello emotivo e sentimentale, la prima immersione nel vero spirito del Camino. Mio Dio! Estella resterà per sempre nel mio cuore, non conservo molti ricordi come questo. La potenza dell'Amore, dell'unione, della fratellanza qui si è svelata in tutto il suo splendore. E dire che siamo in tanti...

Jack, Sarah e io diventiamo sempre più intimi. I due Spagnoli incontrati a Trinidad de Arre e altri pellegrini sembrano anche loro parte della mia famiglia da sempre, assieme a Carlos, il responsabile di questa casa del pellegrino, un fratello spirituale che sa toccarti l'anima.

Ieri sera ho cucinato, con l'aiuto di Jack, un risotto ai funghi per circa venti persone, ovvero tutti quelli che erano qui intorno alle sette. E’ stato bellissimo. Poi la messa, mio Dio che messa, che forza, che intensità, conclusa con l'orazione per il pellegrino e il canto di tutti noi nella chiesa gotica di San Pedro de la Rúa, poco distante dal rifugio.

La gente del paese sembra essere così cordiale, così ben disposta nei nostri confronti che ci si sente veramente a casa. Nei negozi, al bar, dove ho visto la finale della Champions League, per le strade la gente di Estella esprime sempre una speciale accoglienza. E’ un paese magico!

Poi conosciamo Luigi, il pellegrino dei pellegrini, che arriva da Roma a piedi e che l'anno scorso da Roma è andato a Gerusalemme. Un Romano verace, un po' buffo, genuino, che dice aver dedicato la sua vita al Signore.

Infine il discorso di Carlos a noi quattro ieri sera, al buio, a voce bassa per non disturbare i pellegrini già tutti a letto. L'intensità, la carica emotiva, l'energia che sprigiona ci compenetrano fin nel profondo del cuore.

Dovrei approfondire di più, ma i temi che mi invadono l'anima sono troppi e troppo intensi: gli incontri per le strade, la cena con i pellegrini, le cure mediche da parte di tutti a tutti (massaggiare, incidere, disinfettare, bendare; infiammazioni, vesciche, lividi, unghie incarnite...), la figura di Luigi, i discorsi di Carlos con me, Sarah e i due Spagnoli, la messa... ma non ho tempo e non sto nella pelle: devo raccontare subito di questa mattina.

 

 

                  


                   25 maggio, quinto giorno: da Estella a Torres del Rio

 

La luce dell'alba delinea i crinali delle colline che racchiudono il paese di Estella, come fosse l'espressione distesa di un volto dormiente. Le pietre delle case d'un tempo nella stradina medievale assorbono ancora i tenui raggi giallognoli delle antiche lampade in ferro battuto. I pellegrini dormono, ignari di quell'incanto, ignari del fatto che di lì a poco si consumerà un grande sentimento di Amore tra tanti uomini, tra tanti fratelli che non si sono mai visti prima, tra paesani e pellegrini.

Alle sei meno dieci i nostri sensi si schiudono meravigliati: ci sveglia una dolce melodia, ci affacciamo ai balconi, tutti, stretti l'uno all'altro nello stupore. Ne scrivo a Marzia: «Nella stradina di sampietrini ancora buia un'antica lampada dispensa i suoi raggi sui volti gentili di un folto gruppo di paesani giunti a quell'ora per cantare e suonare per noi, per augurarci un Buon Cammino». Prima della luce del sole sono loro ad inaugurare il nuovo giorno, una trentina di Estelliani, giovani e vecchi, con tanto di strumenti musicali intonano un delizioso canto sotto i nostri balconi. In cerchio intorno alla lampada appoggiata a terra, tra le mura di questi palazzi che conservano il fascino naturale di un luogo a cui tanti devoti dello spirito per secoli e secoli hanno offerto i loro passi, i loro pensieri. Noi, ammutoliti e commossi, abbiamo accolto il loro dono.

Come porsi dinanzi alla loro devozione espressa nel più dolce, nel più potente dei modi al nostro sacrificio, al sacrificio di milioni di pellegrini per la libertà dello spirito, per il regno di Dio, se non con spontanea gratitudine per quel sentimento d'Amore scaturito dal soave canto del coro e dalla preghiera? Gente che a quell'ora, prima di recarsi al lavoro, viene ad augurare Buen Camino al pellegrino, anime che da generazioni e generazioni accolgono il nostro flusso con sensibilità e devozione. Anime che sentono.

Il canto termina con una preghiera, con “la” preghiera: con il Padre nostro.

Abbiamo tutti le lacrime agli occhi... le ho ancora. Questo è il pellegrinaggio di Santiago de Compostela! Ora devo andare, i miei Americani mi chiamano, ma quante altre emozioni da raccontare...

Dal taccuino: «Estella è stato ad oggi il luogo più... non so come definirlo: caloroso, profondo, accogliente, spiritualmente intenso, magnifico... di quest’inizio di pellegrinaggio. Per di più ieri è stato il giorno meno duro finora; nonostante i 39662 passi, equivalenti a 25,7 chilometri (sempre secondo il contapassi la cui taratura ormai dovrebbe essere pressoché fedele), non sono stanco. Mi sembra di essere nel Camino da tanto tempo».

 

Sarà che siamo partiti presto e arrivati nel primo pomeriggio come si dovrebbe, sarà che ci stiamo conformando fisicamente al Camino, ma ormai sembra tutto più facile.

Il ginocchio, una volta che i muscoli sono caldi, non mi dà problemi, ma la notte vedo le stelle appena lo muovo; spero non si tratti del menisco. Una nuova vescica di dimensioni abnormi ricopre completamente il mignolo del piede sinistro, ma è la pianta del destro che mi fa più male. La Navarra continua a elargire bellezza, l'anima impara ad ascoltare il corpo che lentamente si adatta alla innaturale condizione di moto perpetuo. Non fai in tempo a salutare una valle che ne incontri subito un'altra. Verde, verde ovunque, in tutte le possibili tonalità.

 

Dal taccuino: «Abbiamo appena passato Azqueta dove siamo stati fermati alla prima vivienda [casa] del pueblo da un certo Pablito che ci ha fatto dono del bardón por el Camino, il bastone del pellegrino.

Non ho portato con me la racchetta telescopica regalatami da Piero, Maurizio e Raffaele, non ho comperato il classico bastone del pellegrino a Roncisvalle, ma ora ho il mio bastone donatomi da quel Pablito che da anni si dedica a questo compito sul Camino. God bless Pablito [Dio benedica Pablito]».

Mi portavo addosso da Milano, dal giorno precedente la partenza, un leggero senso di colpa per aver deciso di non portare con me il regalo comperatomi appositamente per il pellegrinaggio dai tre amici. Ora, con il dono di Pablito, tutto si è spiegato: se pur con un peso in più, mi sento assai più leggero.

 

A la Fuente medioeval de los Moros del XIII secolo scendiamo le scale, immergiamo i piedi nella fresca acqua e ci riposiamo in silenzio di fronte ad un armonioso paesaggio di verdi colline navarre. Passano diversi gruppi di pellegrini, in prevalenza brasiliani. Noi tre siamo ormai in totale sintonia: teniamo lo stesso passo, prendiamo tutto ciò che ci capita nel miglior dei modi e... cantiamo Redemption Song. Sì, la “canzone di redenzione”, di libertà diviene per noi un momento intimo, caratteristico, allegro e profondo al tempo stesso. Bob Marley offrì in musica il suo messaggio d'amore cantando la parola del Signore.

E’ curioso che neppure un mesetto fa mio fratello mi abbia insegnato a suonare le prime incantevoli note di Redemption Song e io mi ci sono cimentato con morbosa costanza, tanto che a Zoagli, la sera prima di partire, trovata una chitarra, mi ero messo a provare e riprovare il pezzetto come se avessi dovuto imprimerlo nel cuore.

Dopo la breve melodia evocativa, le parole immergono i tre pellegrini nel profondo significato del Camino:

 

“Old pirates yes they rob I,

sold I to the merchant ships

minutes after they took I

from the bottom less pit.

But my hand was made strong

by the hand of the Almighty.

We forward in this generation triumphantly.

Won't you help to sing, these songs of freedom?

Cause all I ever had is redemption songs,

songs of freedom.

Emancipate yourself from mental slavery,

none but ourselves can free our minds.

Have no fear for atomic energy cause

none a’ them can stop the time.

How long shell they kill our prophets

while we stand aside and look?

Some say it's just a part of it

we've got to fulfill the book.

Won't you help to sing,

 these songs of freedom?

Cause all I ever had

is redemption songs,

songs of freedom”.

 

[ Antichi pirati, sì, mi rapirono

Mi vendettero alle navi dei mercanti

minuti dopo avermi preso

dall'abisso senza fondo.

Ma la mia mano è stata resa forte

dalla mano dell'Onnipotente.

Noi proseguiamo trionfalmente in questa generazione.

Non ci aiuterai a cantare

queste canzoni di libertà?

Perché tutto ciò che ho avuto sono canzoni di redenzione,

canzoni di libertà.

Emáncipati dalla schiavitù mentale,

nessuno all'infuori di noi può liberare le nostre menti.

Non aver paura dell'energia nucleare

perché nessuno di loro può fermare il tempo.

Per quanto tempo ancora sopprimeranno i nostri profeti

mentre stiamo in disparte a guardare?

Qualcuno dice che è solo una parte

del libro che noi dobbiamo riempire.

Non ci aiuterai a cantare

queste canzoni di libertà?

Perché tutto ciò che ho mai avuto

sono canzoni di redenzione,

canzoni di libertà.]

 

Bob Marley non cantava solo per la lotta contro l'ingiustizia, per l'indipendenza dei popoli Africani oppressi, ma anche per l'emancipazione del singolo individuo. Ecco perché era un vero rivoluzionario. Purtroppo si è creata di lui un'immagine meno religiosa di quel che in realtà non fosse. Spesso tendiamo a limitare la nostra attenzione all'apparenza, cogliendo l'aspetto più superficiale delle persone e delle situazioni. E’ più facile, ma nel Camino mi sembra che la tendenza s’inverta: si è spinti ad entrare in profondità, a cogliere il reale, per questo Redemption Song assume qui il suo vero significato di inno alla Redenzione.

 

Finalmente una tappa di sola natura, niente strade, paesi, case, niente di costruito, solo verdi vallate, campi di granturco, balle di fieno, vigneti e altre piantagioni che non so identificare.

La giornata è nuvolosa, kind of God blessing for pilgrims [una sorta di benedizione divina per i pellegrini]: il sole a picco alla lunga spezza.

Qualche goccia mi ha fatto indossare la mantella che, dopo tre giorni dalla salita per Roncisvalle è ancora bagnata.

Tutto ciò che porto con me mi lega a qualche persona cara che mi ha foraggiato con: la mantella di Rino, le scarpe da trekking regalatemi dalla mamma, che assieme allo zaino, ai pantaloni imbottiti e ai calzettoni mi hanno permesso le avventure himalayane; i sandali da trekking dal papà, il pile da Domenico e Lucia, il contapassi dai tre amici, i taralli da zio Alfredo, questo diario da Daniel ed Elvira, il Trattato del pensiero vivente di Massimo Scaligero dai Corti, i pantaloni da Ione, le goleador da Anna, i compit – i magici cerotti antivescica –, da Guido...

Eh sì, la presenza nel cuore e nei pensieri dei tanti amici che arricchiscono la mia vita è una costante nel Camino. Qui, buttato nell'erba alta con i miei due nuovi amici, ringrazio tutti e vi dedico questo paesaggio puro e incontaminato.

Ora lancio un'altra Redemption Song, e via che si va.

Oggi è dura! Credo si tratti del tendine che congiunge il muscolo tibiale al piede, dolore fisso. L'adattamento delle gambe richiede tempo e fede. Per il resto sto benissimo, non sono neppure stanco, sarà che oggi abbiamo fatto circa ventiquattro chilometri in nove ore, ovvero… molte soste nei prati.

Ora Jacob sta esplorando la zona lungo il torrente alla ricerca di uccelli, Sarah riposa, io scrivo, a chi?, non so, ma scrivo, forse per un bisogno in me innato.

A Los Arcos fortunatamente, l'albergo del pellegrino è pieno, e temo sarà così fino a Santiago. Dico “fortunatamente” perché non c’è piaciuto all'istante, così ci siamo avventurati per altri otto chilometri, che possono sembrare bruscolini, ma che, dopo aver camminato per ore e ore, non lo sono affatto. Dovrebbero mancarne solo quattro, ma dopo questa breve sosta cerco di convincermi che saranno meno pesanti.

Oggi a Villamajor una comunità olandese di amici del Camino che gestisce una casa del pellegrino ci ha fatto dono di due libretti: uno contenente Nuevo Testamento, Salmos y Proverbios, l'altro l'Evangelio segun san Juan. E dire che mi ero appena proposto di entrare nella prima chiesa che avessi incontrato per rileggermi il Prologo di quest'ultimo.

Il cinguettio di diversi uccelli, il canto di un ruscello, il venticello leggero ci trattengono qui più del dovuto. Forse anche un po' la stanchezza... eppure camminare non ci pesa. Scrivo, infatti, a mio cugino: «Ti lasci trasportare come dal vento lungo una via fisicamente dura, emotivamente intensa, paesaggisticamente meravigliosa».

 

Di lì a poco arriviamo a Torres del Rio, al "rifugio italiano", così detto perché gestito da Gerolamo e sua moglie Carmen, italiana. A differenza della maggior parte degli ostelli legati all'organizzazione che invia i volontari, gli hospitaleros, a gestire le case per brevi periodi, il rifugio di Torres del Rio è uno dei pochi retti da privati che hanno deciso di dedicare la loro vita al Camino nel più nobile dei modi: offrendo ospitalità e supporto, soprattutto interiore, al pellegrino.

A Torres del Rio non trovo il tempo per scrivere.  Ancora una volta troppe emozioni, tutto a ritmo accelerato.

Destino vuole che dimentichi i miei occhiali sotto l'albero dell'ultima sosta e Gerolamo si offre, viste le mie precarie condizioni fisiche, di riaccompagnarmi in auto. Dico "destino vuole" perché Gerolamo è una delle prime persone che mi ha offerto la possibilità di discutere sui profondi significati del Camino: cosa che non avviene spesso tra noi pellegrini novelli, poiché siamo costantemente rapiti dall'esperienza diretta. Non ce ne sarebbe bisogno, però anche l'intelletto vuole la sua parte. Le sue parole, come quelle di Carlos a Estella, le parole di un vero devoto del Camino, confermano che tutti i pellegrini vivono la magia del Camino, condivisa la sera con i racconti nei diversi accenti, ma con la medesima forza, racconti sbalorditivi che per quantità e intensità ci procurano un forte fremito. Mio Dio, ma chi siamo, chi sono questi pellegrini?

Al ritorno da quella calorosa conversazione Gerolamo mi fa dono di un trattamento reiki al ginocchio dove avverte subito grande infiammazione; ne traggo immediato beneficio e spero anche lui, visto il forte interscambio animico creatosi. Anch'io mi ero adoperato ad offrirgli propizi pensieri silenti.

Con Sarah andiamo nel negozietto del villaggio a comperare ceci, banane e cioccolato; si chiacchiera un po' con la signora che, presa in simpatia la coppia italoamericana, ci regala una scatoletta di sugo di pomodoro che di lì a poco, scaldato con i ceci, si  rivela squisito.

Dal taccuino: «Cena da veri pellegrini con tanto di fornelletto per scaldare i ceci al tramonto». Jack si lecca ancora i baffi (!). Seduti sulla panca nella piazzetta silenziosa di fronte all'ostello è la volta di Luigi, il pellegrino romano che ci racconta alcune sue esperienze di vita, di rapporti con la gente, di libertà: avventure e aneddoti particolarmente toccanti soprattutto per la decisa convinzione che tutto è garantito dalla Provvidenza.

Lo sappiamo, la chiave di volta è l'Amore assoluto, invincibile, l'agape dei Vangeli, quello che ci unisce tutti, ma troppo di rado lo mettiamo in pratica senza il benché minimo freno. Eppure qui sembra sorgere spontaneamente senza che sia richiesto il benché minimo sforzo intellettuale. «Abbandona tutto e la Provvidenza ti guiderà». E’ proprio così! Lo sto provando costantemente sulla mia pelle.

Esistono diversi pellegrini a tempo pieno come Luigi; mi sembra abbia detto che siano dodici, anche se mi pare che il numero faccia parte dell'aspetto leggendario che hanno assunto. Dodici saranno forse quelli conosciuti, che percorrono i classici itinerari cristiani in Occidente. L'Oriente ne è pieno.

Scrivo a mio cugino: «Sono solo all'inizio e mi sembra di essere un pellegrino da sempre. L'adattamento a otto-dieci ore di cammino serrato al giorno richiede costanza e forza di volontà; ma a ciò provvede lo spirito del pellegrino che sento scorrere nelle vene.

Il sole sta per tramontare, le antiche mura di questo pueblo medievale s’infiammano prima di spegnersi, i corpi stanchi si apprestano alla cena e al riposo, gli animi infuocati colgono lo splendore di tutto questo.

Caro Seba, auguro a chiunque una simile esperienza, tutti la meritano!».

Anche Torres del Rio ha lasciato il segno. La pressione emotiva del Camino sembra aumentare, sento il desiderio di condividere tutto quest'amore col mondo, come ho scritto a Sebastiano: «tutti lo meritano!». Ne sono convinto, come pure sono convinto del fatto che prima o poi a tutti viene offerto l'Impulso, che può assumere chissà quale forma: certo, questa del Camino compostelano è meravigliosa, ma chissà quante altre ve ne sono... sta a noi accogliere tale Impulso e non tacitarlo per ciò che ci appare "più comodo".

Scopro in pratica, non più solo sul piano teorico, che tutto ciò che percepisco a livello di sensazioni e che mi porta a prendere qualsiasi decisione durante il Camino corrisponde sempre esattamente alla cosa migliore da fare. Per esempio se ci fossimo fermati a Los Arcos...

Dal taccuino: «Come ieri: 39.550 passi, equivalenti a 24,5 chilometri, in realtà 29,5 secondo le guide. Devo tarare di nuovo il contapassi».

 

 

                                26 maggio, sesto giorno: da Torres del Rio a La Grajera

 

Dal taccuino: «Anche qui a Torres del Rio abbiamo ricevuto un'accoglienza più che calorosa, per non parlare della serata trascorsa a sentire i racconti di Luigi. Ora si parte. Penso proprio che stiamo prendendo il giusto ritmo.».

Credo sia stata una delle giornate più lunghe della mia vita. Ma partiamo dall'inizio. Una luce soffusa traccia i contorni della chiesetta sul colle di fronte alla finestrella vicina ai nostri letti. Sarah ci sveglia, come al solito, e con la sua tipica dolcezza ci mostra il quadro. Poco dopo salutiamo Gerolamo, Carmen e il Brasiliano che dà loro una mano per qualche giorno e via... verso Santiago.

Luigi ci sorpassa assieme alla pellegrina giornalista Olandese con passo costante e veloce. Lo stupido, nella fattispecie io, decide di tentare il ritmo coinvolgendo i due compañeros [compagni], così per una decina di chilometri il gruppo di fuga è formato da noi cinque.

Ma il Camino de Santiago è un pellegrinaggio, e come tale prevede innanzi tutto la via spirituale e, se un pellegrino perde la via con la testa e si lascia trasportare da impulsi diversi, un angelo lassù, forse un emissario di san Giacomo, interagisce affinché il pellegrino torni sulla retta via, nel mio caso depistata dallo spirito competitivo, dal temperamento focoso, dal voler dimostrare. Ma così non è se lassù non è gradito, e prontamente il ginocchio sinistro e il tendine all'altezza del tibiale destro iniziano a dolermi sino a non poter quasi più neppure zoppicare. I ragazzi mi stanno vicino, si offrono addirittura di portarmi a spalla, ma io non mollo e lentamente arrivo a Viana.

10,9 chilometri zoppicando sotto il sole mi donano un altro momento prezioso: nella piazza di fronte alla cattedrale di Viana ci ritroviamo in una trentina di pellegrini e... beh ci si conosceva già un po' tutti di vista, ma per l'occasione si socializza, si mostrano "le ferite", alcuni abbandonano e finisce con la foto di gruppo di fronte alla fontana. Io, senz'ombra di dubbio il più malconcio, anziché fermarmi decido che posso tentare l'impresa verso Logroño, altri 9,4 chilometri, visto che anche nei giorni precedenti il dolore non è riuscito a fermarmi.

E’ parte fondamentale del Camino: ogni decisione è dettata dalla certezza interiore che quanto mi accingo a fare è esattamente ciò che va fatto. La decisione presa a Viana di proseguire, come tante altre, non è stata dettata da spirito competitivo o prova di forza - ho appena concentrato la mia attenzione proprio su quel limite -, né dalla necessità di bruciare i tempi, non avendo alcuna data prestabilita per il ritorno, né dal voler restare con i miei due amici. Jack ha una data da rispettare molto ravvicinata, perciò dovranno proseguire senza di me.

Intanto un medico "casualmente" incrociato per strada all'uscita da Viana, mentre parcheggia l'auto, mi dice che per me l'unica cosa da fare è "prendere un treno e tornare a casa". Ma so che tutte le decisioni prese sinora, anche le più avventate, come in questo caso, si sono rivelate indispensabili, nonostante io ne comprenda il significato sempre a posteriori, ringraziando il cielo per averle prese.

Perché proprio ora che inizio ad assaporare l'aspetto interiore del Camino, questa dura prova fisica?

Solo sul cammino, tra mille pensieri e considerazioni oggi vivo un momento molto importante della vita del pellegrino, un aspetto considerato dai più un tasto dolente, legato all'antica via medievale-cattolica di mortificazione del corpo, ovvero di sofferenza fisica, purificatrice, non comprensibile razionalmente. Non si tratta di masochismo né di penitenza, ma di purificazione sì.

Lo spirito patisce così tanto a causa del corpo che se per un po' s'invertono le parti non può che rivelarsi un effetto equilibratore. Ahimè, l'ago della bilancia pende sempre più da un lato. La fatica fisica per uno scopo spirituale però va al di là dell'effetto pendolo tra la materia e lo spirito in quanto è una decisione data da un impulso volitivo e autonomo dell'Io, un atto di libertà, un privilegio.

 

Non mi riferisco a coloro che, in passato, decidevano di infliggersi una pena in nome di Dio, ma a coloro che s’impegnano a restare attenti a ciò che  giunge loro da dentro e, una volta riconosciuto l'impulso, ad adoperarsi per seguirlo in tutto e per tutto, senza farsi intimorire dagli inevitabili ostacoli. Si tratta di cogliere l'attimo e buttarvisi dentro senza permettere alla mente di interferire. Del resto, l'impulso interiore è una necessità, non una proposta o un'idea. Proprio per il suo carattere intimo non lo si può valutare dall'esterno.

Mi rendo conto che il tema del sacrificio fisico per fini spirituali si presta a speculazioni filosofiche che non sono lo scopo della mia riflessione. Che ognuno elabori la sua propria idea e il proprio sentimento al riguardo, ma prima di esprimersi abbia l'umiltà di vivere quello che si manifesta come vero e proprio moto dell'anima.

Solo sul cammino ho ricevuto il dono di comprendere e di vivere questa realtà misteriosa. Ne vado debitore al mondo spirituale, che continuamente aiuta, mette alla prova, ma non distrugge. Così appena fuori da Viana, colto da un netto peggioramento della tendinite alla gamba destra e ormai seriamente preoccupato per il menisco sinistro, decido di sganciarmi dai miei due compagni che proseguiranno per il loro Camino. Dopo molta resistenza, un caloroso abbraccio, qualche lacrima, e li osservo allontanarsi con passo deciso.

Ormai zoppo da ambedue le gambe, barcollo per un altro chilometro e mi fermo di nuovo. Le parole del medico mi rimbombano nella mente per molti passi: è come in alta montagna, bisogna avere l'umiltà di rinunciare, la pazienza di attendere le condizioni adatte prima di attaccare la vetta.

Nel dolore mi si schiarisce la mente, strano no?, eppure capisco perfettamente che anche questo è un dono divino: devo superare la grande prova dell'umiltà, è un conto aperto da troppo tempo ormai, non posso giungere a Santiago con un debito karmico così forte, devo smorzarlo e questa è l'occasione.

Decido così di raggiungere, passettino dopo paessettino, l'ospedale di Logroño e di fermarmi. Sono pronto a tutto, anche all'artroscopia. Fortuna che ho il bastone di Pablito con me, ora sì che mi serve.

Con i miei due amici: non potevamo certo immaginare come quei tre pezzi di legno ci sarebbero stati utili; non riuscivamo a prendere il ritmo e dopo qualche chilometro, tentati di liberarcene al più presto, sono sorte le prime imprecazioni contro il povero Pablito che ce li aveva rifilati con una solennità tale che non avevamo avuto il coraggio poi di disfarcene. Ma tutto questo risale solo a ieri...

Penso a Jacob, a Sarah, a Luigi, forse non li rivedrò più lungo il Camino, ma in fondo siamo sempre insieme nella stessa realtà. Solo nell'illusione sensoriale, nella mâyâ, come la chiamano gli Indiani, si è divisi.

Due gruppetti di pellegrini mi raggiungono, mi esprimono la loro sincera solidarietà, mi offrono i loro pensieri, sento i loro cuori nell'augurarmi di rimettermi in fretta, nel benedire il mio Camino.

Finalmente arrivo alla vecchia casetta di Felicia, la novantatreenne che saluta i pellegrini offrendo loro acqua fresca e fichi. La figlia le fa quasi da interprete e ancor prima di arrivare, ad una ventina di passi da loro, mi sento chiamare per nome da quelle due anime semplici.

I fichi non sono ancora maturi, ma lo è il sentimento d'amore che bagna i miei occhi alla lettura del messaggio che i miei due ragazzi mi hanno lasciato poco prima, alla vista dei fiorellini imbastiti con il filo da Sarah, alle parole di Jacob «... you became like a brother for me...  [sei diventato come un fratello per me]». I love that guy! [amo quel ragazzo!].

"Higos, agua e amor" [fichi, acqua e amore] è scritto sul timbro di Felicia.

Sul foglietto Sarah ha trascritto anche la preghiera del mattino, il cui messaggio di non attaccamento al conoscere, di forza e di coraggio incondizionati al servizio dell'Amore Supremo è divenuto già per me parte integrante del Camino:

«Lord God, you have called your servant to ventures of which we cannot see the ending, by path as yet untrodden, through perils unknown.

Give us strenght to go out with good courage, not knowing where we go but only that Your hand is guiding us and Your love supporting us.

Through Jesus Christ, Our Lord,

Amen».

[Signore Dio, hai chiamato i tuoi servi ad avventure di cui non possiamo vedere la fine, per sentieri ancora inesplorati, attraverso pericoli sconosciuti.

Dacci la forza di procedere con coraggio, non sapendo dove andiamo ma solo che la Tua mano ci guida e il Tuo amore ci sostiene.

Per Gesú Cristo, Nostro Signore,

Amen.]

 

Finalmente raggiungo l'ospedale. Che strana sensazione entrare in una grande città, in un luogo pubblico, dove tutti osservano il pellegrino, alcuni chiedono, altri semplicemente augurano "Buen Camino".

La ragazza di turno al pronto soccorso è cortese ed esperta. Mi tranquillizza subito riguardo al menisco e mi conferma la diagnosi più logica di ambedue i problemi: sovraccarico sul ginocchio e sul muscolo tibiale che non è quasi mai allenato. Prescrizione: riposo assoluto! La guardo negli occhi, lei capisce, conosce lo spirito del pellegrino, mi consiglia almeno un giorno di sosta e una ripresa lenta, al massimo dieci chilometri al giorno. Mi applica una nuova fasciatura al ginocchio e mi rifila sei bustine di antinfiammatorio.

Felice di poter proseguire presto, raggiungo l'ostello della città dove vengo accolto da un caloroso applauso generale. Mi ha caricato quanto la diagnosi del medico. Circa venti pellegrini aspettavano che l'albergo aprisse in quanto gli alberghi del pellegrino generalmente chiudono verso le dieci del mattino per permettere agli hospitaleros e ai pellegrini volontari che decidono di fermarsi più di una notte di fare le pulizie in tranquillità. Riaprono intorno alle tre del pomeriggio anche perché altrimenti gli hospitaleros, tra le registrazioni dei pellegrini, i timbri e l'assistenza, non avrebbero mai un minuto per sé. Purtroppo ciò innesca un processo un po' misero da parte di gruppi di pellegrini, che fanno a gara per arrivare prima negli alberghi dove intendono trascorrere la notte per paura di non trovare posto.

Un comportamento indubbiamente poco consono all'impulso che ci spinge, nonché alla filosofia stessa del pellegrino: «Se non vi è posto troverò altrove, busserò ad una porta e mi sarà aperto, e se così non avverrà continuerò a bussare finché non mi verrà offerta una soluzione che in ogni caso verrà».

Sta di fatto che nonostante l'accoglienza e il dolore fisico, il luogo e la situazione non mi hanno affatto invogliato a sostare li. Prima di prendere la decisione che già sentivo chiara, per quanto folle, decido di ritargliarmi uno spazio di solitudine: a lato della via trovo una chiesa stranamente aperta, vista l'ora. Entro. Sono solo. Il silenzio delle colonne gotiche e dell’enorme struttura barocca mi consente una lunga meditazione. Rileggo la preghiera del mattino lasciatami da Sarah... è bellissima. Rimango nella chiesa almeno un'ora e quando, arrancando, esco, chi mi viene incontro sulla stradina? Loro, i miei due ragazzi. Ma è mai possibile che il destino ci imponga così la sua ferrea volontà? Due minuti prima non mi avrebbero trovato. Sarah e Jacob sono rimasti molto tempo a Logroño, perché hanno visitato la città con un ex professore di Sarah che vi risiede. Erano già sulla via del Camino, all'uscita della città, quando Sarah è voluta tornare all'albergo, convinta che mi avrebbe trovato lì. Se solo fossi uscito dalla chiesa due minuti dopo... Difficile abituarsi a questo tipo di "coincidenze".

Certo, viste le mie condizioni, non si tratta che di posticipare l'addio. Devo mangiare per prendere l'antinfiammatorio, mi accompagnano quindi in un ristorante cinese e, mente Sarah è in bagno, entro ancor più in profondità con Jacob. Ci sentiamo proprio come fratelli, è come se ci amassimo da sempre.

Mi sparo la bomba, the painkiller [l'antidolorifico] e poco dopo decido di avviarmi con loro verso Navarrete. Altri tredici chilometri. Una sciocchezza, ma sento di doverlo fare. So infatti dalle guide e dai passanti che lungo la via non s’incontrano case abitate e che non potrei mai arrivare a Navarrete in quelle condizioni. Ma avverto ormai spontaneamente la Provvidenza come una realtà del Camino che opera elargendo doni neppure lontanamente immaginabili.

Naturalmente dopo un paio di chilometri sono a pezzi, zoppico come uno storpio, insisto nel dividerci. I due non ne vogliono sapere. Finalmente sembrano convinti, altro saluto, ma dopo cento metri li trovo seduti in un sottopassaggio ad aspettarmi.

Inizia a piovigginare e propongo di fermarci lì. No, il posto è troppo squallido, con la statale sulla testa, no, non è di nostro gradimento. Il pellegrino non è un barbone o un vagabondo, il pellegrino sa dove si deve fermare! Decidiamo  di rimetterci in cammino, certi che troveremo qualcosa di meglio. Il cielo si schiarisce, il sole è ormai di fronte a noi, là verso occidente, verso Santiago.

Un altro chilometro a passo di tartaruga e i due mi convincono a consentire ad un gesto di grande umiltà nei confronti di me stesso. Mi costa, ma capisco che anche questo è parte del Camino, è giusto! Così infilano nei loro bastoni il mio zaino e se lo caricano sulle spalle (a mo' di prigioniero dei pellerossa nei film western).

Andiamo lentissimi, tutti e tre in silenzio. Dubitiamo di poter raggiungere Navarrete: mancano circa sei chilometri, le nubi scure avanzano verso di noi, non una casa, non un riparo. Ma ecco, come per magia, un lago meraviglioso, grandicello, immerso nel verde, contornato dalle ampie colline de La Rioja. Un paesaggio ancor più dolce della Navarra, più basso, ma altrettanto verde. I due mi precedono di parecchio, io sono praticamente fermo, avanzo a passettini aggrappato al mio bastone.

Il muscolo tibiale è molto gonfio, butta fuori, sotto forma di palline, piccoli ematomi interni. Ho azzardato troppo, questa volta sono nei guai.

Bisogna toccare il fondo per risorgere leggero come una piuma: la fatica è sempre premiata, soprattutto se imposta dall'alto.

L’atletica Sarah corre libera come una gazzella verso di me gridando: «You won't believe it, you won't believe it, it's just wonderful!» [Non ci crederai, non ci crederai, è meraviglioso!] E lo è.  Se non ci fossero stati loro avrei pensato ad un miraggio. Perché nessuno dei viandanti mi aveva accennato ad un simile paradiso?

Un bar che guarda il lago, sotto un'enorme tettoia: panini, bibite e gelati. Seduti, di fronte al meraviglioso paesaggio, si ride, quanto si ride: i nostri cuori sono ormai spalancati, senza confini, siamo uniti per sempre. Le nuvole oscurano il tramonto e le parole fluiscono leggere come le ondicelle nel lago.

Il mio inglese è sempre un disastro, ma non importa, anche se mi piacerebbe imbastire un discorso in modo più consono agli argomenti.

Alle dieci il bar cierra [chiude] e si spengono le luci, ci creiamo un letto per tre con dei cartoni aperti in un angolo protetto dal vento. Sta iniziando a piovere sul serio. Il profumo, il suono della pioggia m’immergono sempre in uno stato di grande benessere interiore. Ma qui c'è ben di più nell'aria. Non scriverò dell’indimenticabile notte a La Grajera: le parole hanno un limite difficilmente superabile; dirò solo che il profumo di queste acque resterà impresso per sempre nel mio cuore.

 

 

27 maggio, settimo giorno: da La Grajera a Navarrete

 

Dal taccuino: «La giornata di ieri è stata la più intensa: 27 chilometri e mezzo sino a qui, a La Grajera, a quasi cinque chilometri da Navarrete, 32.000 passi circa. Questo luogo ha qualcosa di speciale dopo questa notte».

Jack stamani è impazzito con tutti questi uccelli. E’ però giunto il momento di salutarci davvero: loro devono proseguire in fretta, affinché Jack possa raggiungere Santiago entro il 16 giugno. Sarah cries again [piange di nuovo], e anch'io non appena hanno voltato l'angolo del bar.

Buen Camino amici miei, che il Signore sia sempre con voi!

Dal taccuino: «E’ stata dura salutarli, ma fa parte del Camino... è tutto sempre così intenso. Questo luogo, il canto degli uccelli, ed ora la saggezza di Carlos, un pellegrino spagnolo incontrato la sera a Trinidad de Arre e che ha poi cenato con noi a Estella, è apparso qui e ha voluto farmi una foto ricordo, proprio lui, il basco sessantenne apparentemente così duro e schivo. Invece quanto calore mi ha trasmesso! Credo abbia colto l'amore che aleggia intorno a me, qui con la gamba stesa e il diario nelle mani, dinanzi al lago più bello del mondo».

 

Con calma mi rimetto in moto a passo vigile e lento;, dopo poco più di un chilometro mi fermo ad una fonte, ormai la sosta obbligata a Navarrete è vicina e non devo assolutamente forzare. Un senso di leggerezza interiore accentua ancor di più la carica emotiva che ormai da giorni avvolge il mio essere. Il mondo del sentire è al centro dell'attenzione, forte pilastro della psiche, fondamentale anche per le ripercussioni sul fisico notevolmente debilitato.

Un chilometro e stop, non credo basterà un giorno di riposo, il ginocchio è molto gonfio, il muscolo sembra voler esplodere. Eppure ora che il corpo è tanto pesante, lo spirito vola leggero lungo il Camino.

Attraverso una pineta ascoltando i passi millenari dei pellegrini, orgoglioso di essere uno di loro, mi commuovo per il profumo dei fiori di una pianta, o forse al pensiero dei miei due amici, ringrazio il Signore perché mi vizia nello spirito. Cos'altro potrei desiderare di più nella vita?

Un altro gruppo di pellegrini è giunto qui alla fontana, per lo più tedeschi e francesi: devo averli già incontrati perché mi riconoscono.

Qualche centinaio di metri e ci sono, ma come non sostare nell'Hospital del peregrino del 1185, come non riposarsi su queste pietre che hanno sorretto milioni di pellegrini sofferenti come me?!

Ho come un flash back: ripenso al giorno in cui a Los Angeles, in un gran negozio di articoli sportivi, comprai questo zaino e i pantaloncini. Ma è veramente tutto già scritto negli astri? Allora cosa sta preparando la mia anima per il futuro?

Credo che determinati segni  prefigurino gli eventi futuri che ogni singolo individuo dovrà affrontare secondo il suo livello di consapevolezza. Quanto più siamo attenti a ciò che ci accade nel presente tanto più saremo in grado di operare in direzione evolutiva nel nostro futuro. Sul Camino però tutto è amplificato, come se vivessimo la vita in essenza, e questo ci offre la possibilità di cogliere con maggior evidenza il reale.

Alla domanda se quel che ci succederà è prestabilito rispondo: sembra proprio di sì, però il "come succederà" dipende sempre e solo da noi.

Pensavo poco fa agli abitanti delle case che incontriamo sul Camino, alla loro storia legata al Camino, al loro rispetto per i pellegrini, alla loro cordialità. Credo che per nascere in una di queste famiglie qualche passo verso la carità professata dal Cristo l'anima deve già averlo fatto in precedenza. Questa è senza ombra di dubbio una via sacra.

 

Durante questa sosta obbligata a Navarrete ho tempo per scrivere, ma mi rendo conto che provo un certo imbarazzo nel tentativo di raccontare a chi amo, ma che è là fuori, nel mondo, ciò che il Camino mi sta offrendo. Ci provo nella lettera ad Anna:

«E’ difficile trovare le parole adatte per descrivere emozioni così forti, impulsi tanto potenti. Eppure è questo il Camino, è di questo che è fatta una via interiore. Potrei scriverti tante pagine quanti sono i chilometri che sto percorrendo, pagine di incontri, paesaggi, tappe faticose, ma è ciò che avviene nell'anima che è sconcertante. Mai, neppure in India ho goduto di privilegi tanto elevati. Passo dopo passo, colle dopo colle, pensiero dopo pensiero, la mia essenza muta, riceve tanto da gioire profondamente per il profumo di un fiore».

Potrà sembrare strano, ma tale emotività persino scardinante, è un fenomeno comune a tanti, per non dire a tutti i pellegrini, perché non siamo abituati a tanto amore. A livello emotivo il Camino è a dir poco pericoloso...

Sono trascorsi sei giorni, sei giorni fisicamente impegnativi, ma l'intensità a livello interiore supera il disagio. Ho vissuto e vivo il sacrificio fisico come indispensabile, parallelo alla crescita interiore, parte del Camino. Tutto quest’afflato spirituale ha un prezzo a livello fisico. E’ impossibile spiegare perché un sacrificio, una sofferenza, un dolore possano spingerti tanto oltre la carne. Forse perché si diviene consapevoli della sua vacuità. Che ci siano stati imposti dal karma o che li affrontiamo per libera scelta di rinuncia, tanto più lo spirito è forte quanto meno la carne ha valore. Non cito le nobili scritture, questa è la mia esperienza conoscitiva scaturita dalla vita vissuta, non dalla fede.

Ci riprovo nella lettera a mio padre: «Camminando, camminando, camminando fino a non sentire più il corpo, si entra in una dimensione atemporale, idilliaca. Può apparire strano, ma il dolore, la fatica fisica sono un ottimo veicolo. Oggi l'uomo può accedere allo spirituale per vie meno gravose di un tempo fisicamente parlando, ma dev'essere in ogni caso pronto a rinunciare a tutto per l'evoluzione spirituale dell'umanità».

Per la prima volta vivo direttamente realtà interiori di grande intensità con una preparazione teorica alla base che credo mi permetta di comprendere, mentre le vivo, gran parte del senso di tali esperienze. Sull'Himalaya ero stupito, incantato; le forze del sentire, corroborate dalla volontà, dalle forze del volere, mi offrivano grandi certezze, ma mancava la comprensione razionale, mancava il pensare.

La forza di volontà mi aveva portato alla decisione di abbandonare tutto ciò in cui non credevo più per seguire l'impulso genuino dello spirito; le esperienze mi avevano offerto sentimenti indimenticabili, ma mancava ancora la coscienza razionale, la conoscenza delle ragioni di tali eventi, mancava la "scienza dello spirito". La conoscenza, se non la si limita a fredda cultura ma la si pone a fianco della pratica, della quotidianità, se non diviene quindi una "droga", è fondamentale per il ricercatore spirituale. Negarla, accontentandosi di una via di fede, è più facile, ma preclude la libertà.

Ora vivo direttamente alcune grandi teorie che ho "scoperto" negli ultimi sette anni della mia vita e quindi sono in grado di comprenderle.

Per questo motivo l'attenzione che presto ai due grossi problemi fisici, alle vesciche, al dolore al tallone sinistro causato dallo sfregamento dello scarponcino e alla microfrattura del dito del piede destro, non può essere primaria. E’ ormai chiara la gerarchia dei tre livelli su cui si distribuisce il Camino.

 

Sul letto della cameretta vuota del rifugio dove consumo la mia degenza continuo la lettera ad Anna: «Come puoi immaginare sono partito con l'idea del pellegrinaggio solitario, e così probabilmente sarà in seguito, anche perché l'energia che si è sprigionata tra noi tre non credo potrò trovarla facilmente. Oggi sono riuscito a convincerli a proseguire...». La loro mancanza comincia a stringermi il cuore.

Sono da poco entrate in camera due Olandesi, hanno l'aria provata, come tutti del resto, la grassottella, povera, si sgroppa uno zaino assurdo, l'altra è tutto l'opposto.

Poi arrivano due Spagnole, due Tedesche e un’Inglese. Insomma stanotte riposo beato tra le donne.

 

 

28 maggio, ottavo giorno: sosta a Navarrete

 

Ieri sera mi sono addormentato alle sei e mezza con il libro aperto sul petto e così sono rimasto fino a mezzanotte. Con passo vellutato sono sceso in cucina, mi sono cacciato giù a forza un dolcetto sin huevos [senza uova] prima del pastiglione. Del resto il medico è stato chiaro: se voglio sperare di proseguire devo assolutamente disinfiammare.

Dovevo riempire lo stomaco e avevo solo una merendina sin huevos, poiché le uova delle "galline infelici" provenienti da allevamenti in batteria non sono contemplate nella mia dieta.

E’ difficile pensare a una via di libertà opprimendo altri esseri.

Scrivo nella lettera a mio padre: «Ho scritto queste poche righe a fianco di un canarino in gabbia. Credo che l'uomo non possa diventare libero finché non rispetta la libertà dei suoi simili e degli animali. Ma sembra che al nostro livello evolutivo ciò sia ancora accettato. L'amore universale, la libertà, non sono teorie o meglio lo sono per chi non vede in essi altro che un'utopia».

Dal taccuino: «Dimenticavo le informazioni tecniche del taccuino di ieri: 4,6 chilometri, 7.080 passi di dolore vero, gonfiore in netto peggioramento, denti sigillati per almeno un chilometro».

 

Sono le otto e venti e devo lasciare qui zaino e biancheria stesa ad asciugare. Il tibiale fa ancora male, ma è meno gonfio, continuo a spalmare pomata antinfiammatoria e a massaggiarlo, spero domani... Certo un po' di lettura, qualche lettera, una ripulita generale allo zaino e, perché no, un po' di riposo ci volevano.

Oggi è nuvoloso, altra giornata perfetta per continuare il Camino. E’ incredibile: piove la notte, rinfresca, e poi il giorno niente. Sarà presto per dirlo, ma finora è andata così.

Un'ora fa ho dovuto lasciare la casa del pellegrino non per riprendere il cammino ma per le pulizie. Così sono venuto in chiesa proprio qualche minuto prima dell'inizio della messa. E’ domenica, non lo sapevo. Come sempre il sacerdote ha benedetto il nostro Camino dopo una profonda liturgia sull'Amore, unica fonte di salvezza per l'uomo.

Credo di essere l'unico pellegrino ad assistervi, fiero del mio ruolo, sereno in quest'ambiente ormai familiare. Non posso negare l'aspetto mistico del Camino, lo sento forte, e le chiese sono spesso il luogo dove il già assiduo contatto con l'aldilà si accentua ulteriormente.

Dal taccuino: «Hanno appena spento le luci che illuminano il gigantesco retablo [la pala dell’altare] de la Eglesia de la Assuncion de Navarrete».

Dopo la messa in questa chiesa per me magica, m’incammino per le antiche stradine di Navarrete in cerca di un angolino tranquillo per scrivere.

Prima però devo spedire una lettera e mi avvicino a una donna che sta uscendo da un portone per chiedere dove posso trovare un buson, ovvero la buca delle lettere. La donna, gentile, mi fa cenno di seguirla. Ha un vistoso handicap nella deambulazione. Così barcollando io e barcollando lei arriviamo in una piazza piena di gente. Io, che le cammino dietro, cerco di zoppicare il meno possibile per evitare di dar l'impressione di voler schernire la povera disabile.

Penso ai "miei" due ragazzi, sicuro che saremo uniti nel Camino sino in fondo, sino a dove ci sarà consentito arrivare. Sento già l'esigenza di scrivere a Sarah: «Cammino con voi, prego con voi, canto con voi due, piccoli vagabondi che mi avete fatto dormire su un cartone, mangiare nei campi, bagnarmi in un laghetto infido... Cosa potevo fare per liberarmi di voi se non iniziare a zoppicare simulando dolori lancinanti e andare in ospedale? Ma neppure questo è bastato. Così la mia ultima chance era zoppicare dietro a voi due che mi portavate lo zaino. Beh ha funzionato, finalmente posso dormire sino a mezzogiorno… Bene, adesso basta con i sentimentalismi!

Appena arrivato qui sono entrato nell'enorme chiesa, ero solo, il tocco deciso del Pablito's stick [bastone di Pablito] sul pavimento di legno rimbombava lungo tutte quelle pareti gotiche. Ho letto ad alta voce la nostra preghiera e... ho pianto. Penso che il Camino mi stia portando troppo lontano a livello emotivo.

Sono tornato più tardi all’eglesia de la Assuncion e l'ho trovata piena di gente. Stava giusto per iniziare per la messa».

Qualche goccia mi spinge nei pressi della casa del pellegrino, dove c'è un portico che mi ripara, e da lì osservo e colgo la vita comune di tutti i giorni: la musica da un appartamento, le automobili, la gente che passeggia e qualche pellegrino che passa a piedi o in bici. Mi sto sempre più immergendo nel pellegrinaggio, fuori dal mondo. Le auto, la musica, la vita comune è sempre ovunque intorno a me, ma è come se io non fossi lì. Ne prendo coscienza. Sarà un male? Non credo, visto che il Camino ci sta continuamente abituando al bene.

Questo cammino verso il quale, se pur inconsciamente, tutti quelli che vi approdano sono spinti da un impulso spirituale. Forse non si tratterà per tutti di una consapevole ricerca interiore, ma in ogni caso di necessità interiore. Quindi che importa come?! Anche chi ha intrapreso questo viaggio con spirito turistico, con tanto di cellulare e notebook, ha un legame karmico con il Camino che prima o poi riconoscerà nel profondo del suo cuore.

Ecco che arriva una pellegrina a cavallo, gran bel cavallo, anzi sono in due, ecco lui con un altro splendido esemplare bianco. Sostano qui. Mi do un'altra spalmata di antinfiammatorio e riprendo la lettera in compagnia dei due mansueti amici dell'uomo.

Dal taccuino: «Ho calcolato che sino ad oggi ho percorso 177 chilometri: significa che il percorso dovrebbe essere fattibile in un mese, se tutto va liscio».

Devo essere proprio fuso, o comunque in preda ad un attacco di ottimismo incondizionato. Come posso calcolare che tutto vada liscio quando sono in queste condizioni? E’ chiaro che la voglia di continuare è tanta. Il muscolo però si è sgonfiato, ma è lungi dall'essere guarito. Rimetto a domani la decisione sul da farsi.

 

Eccomi ad un nuovo incontro. Dopo un buon piatto di lenticchie, una tortilla de queso [frittata di formaggio] e una cervecita sin alcool [birretta analcolica], guardando una gara entusiasmante del motomondiale tra Capirossi, Rossi e Biagi (che al pellegrino sembrano ancora più veloci) arriva Carlos, un pellegrino Belga intorno ai sessanta, spirito avventuriero, attento a ciò che il Camino gli può offrire. Carlos è da soli due giorni in viaggio ed è diretto a Burgos. Lo fa a tappe, come molti dei pellegrini che incontro. Un pezzetto di Camino alla volta, secondo le proprie possibilità. Anche lui a Estella ha pianto esattamente come ho pianto io quella mattina. Stessa situazione, probabilmente stesse anime nobili che cantavano e suonavano in cerchio intorno alla lampada con gli ombrelli sotto la pioggia. Mio Dio quelle persone lo fanno spesso, per non dire sempre. E’ meraviglioso!

“Gentilmente offerto dall’ente del turismo spagnolo” direbbe un mio amico che considera il Camino una gran bell'operazione di marketing iniziata mille anni or sono. Io dico che il Camino non è un bel niente per chi non lo intraprende con spirito di sacrificio e devozione. Devozione a se stessi, all’impulso di libertà che scorre nel nostro sangue e che non va mai d'accordo con il comfort e il benessere psicofisico che vanno invece a carico dello spirito. La libertà è solo nello spirito! Che urla dentro il pellegrino: sento che devo rimettermi in marcia.

Scrivo, leggo, scrivo, leggo e “arnico”, non posso andare avanti molto così: I need to walk, I'm a pilgrim and I need to walk! [ho bisogno di camminare, sono un pellegrino e ho bisogno di camminare!].

Sii paziente, Marcello, frena il desiderio e ascolta, molto ti manca a Santiago.

Spesso due entità in me si confrontano, si compensano, si consultano, s’insultano durante il Camino, come durante la vita. Ma anche questo conflitto qui è esasperato. Scrivo a Sarah: « E’ strano fermarsi così tanto, ma va bene, ho tempo per scrivere e leggere, mi mancava. Ma ora cantiamo una Redemption Song».(!)

 

Ho cenato con Carlos e Arm, un signore Olandese. Si è parlato del Camino, naturally, si è parlato dei Templari e dei Rosacroce, che hanno una grossa confraternita in Olanda, poi da buon malato sono tornato a letto. Sale l'hospitalera e mi dice che hanno chiamato “i miei amici americani”, sono fermi a Burgos perché lui deve sostare per un paio di giorni per problemi ad una gamba.

Mi dispiace per Jack, ma non vedo l'ora di riunirmi a loro. Ormai sono pronto a tutto, so di essere in balìa del destino, come sempre nella vita, solo che ora ne sono più cosciente che mai.

 

 


29 maggio, nono giorno: da Navarrete ad Azofra

 

Dal taccuino: «Sono pronto per questi sedici chilometri. Del resto se penso che ieri qui in convalescenza ho fatto 1.112 passi, equivalenti a settecento metri...».

Il cimitero dell'XI secolo con la porta romanica, appena fuori Navarrete, è il luogo dove questo pellegrino invoca il Signore e pronuncia la sua preghiera del mattino.

Di fronte alle anime che hanno lasciato il corpo per riprendere la via dei cieli il pellegrino si ferma e porta rispetto, prega per loro e dedica loro i suoi passi.

I vigneti de La Rioja, le sue colline sempre più basse, sono quasi un piano ondulato. Un contadino accarezza le sue viti, estirpa un ramo avvizzito che non dà frutto, ne cura un altro affinché lo dia buono. Il simbolismo della vite, tanto caro al Cristo, qui si ripropone al pellegrino che passo dopo passo lo assimila, lo medita, lo fa suo.

Ho appena valicato un colle ed ecco un'ampia vallata aprirsi dinanzi al mio cuore. Il vento soffia deciso, le nubi cariche di pioggia sono sempre più vicine, ma i fiori continuano ad incantare lo sguardo, il cinguettio degli uccelli a trasportare l'ascolto al di là del conosciuto. Una breve salita bordata da piccole piramidi di sassi erette dai fedeli di Santiago mi riporta nella comunità del pellegrino. Sì, siamo così vicini nei nostri passi solitari che ad ogni cenno di saluto siamo pronti a condividere tutto con questi fratelli viandanti come noi.

Ho camminato per un po' con Sebastian, un simpatico signore sui settanta abbondanti di Mursia a cui, dieci anni or sono, doveva essere amputata una gamba. La gamba di Sebastian stava andando inesorabilmente, a detta dei medici, in cancrena, quando all'allora sessantenne fu donato l'Impulso, la chiamata, la certezza che avrebbe dovuto intraprendere il Camino. Se i dubbi hanno assalito me riguardo alla partenza, figuriamoci Sebastian in quelle condizioni. Sebastian intraprese l'ardua impresa e la portò a termine. La gamba guarì e da allora ogni anno ripete il Camino. L'anno scorso ha addirittura percorso l'andata e il ritorno, si trattava del suo decimo Camino.

Molti racconti di miracoli si sentono lungo il Camino e devo dire che sulla base dell'esperienza personale si è sicuramente portati a credervi. In ogni modo le sue parole mi hanno riempito di energia, di quell'energia particolare, unica che sostiene il pellegrino.

Molte sensazioni non trovano riscontro nelle parole, così restano sospese, accessibili solo per via interiore, adialettica. Ormai posso dire che  sto facendo l'abitudine alle esperienze e agli aneddoti straordinari sul Camino, ma la storia di Sebastian, se non fossi qui, stenterei a crederla. Del resto, quanto di ciò che vedo e sento sul Camino non ha del miracoloso?!

Nei Vangeli spesso si legge il Cristo dire a coloro che venivano guariti: «Va', la tua fede ti ha salvato». Sebastian ha avuto fede in quell'impulso irrazionale, ha risposto con coraggio alla chiamata, ha saputo ascoltarsi e la voce del suo Io forse era la voce del "Cristo in noi", da lì proviene l'Impulso. Vincendo il dubbio e la paura, Sebastian ha compiuto il suo miracolo, così noi!

Ma riecco Carlos e Sebastian, continuo con loro.

Scrivo a mio zio Alfredo: «L'esperienza che sto vivendo durante questo lungo cammino è difficilmente descrivibile in una lettera, le parole si limitano all'esteriore, ma ciò che più conta è il fremito del cuore, l'impulso dello spirito». Le parole non sono che l'ombra dell'esperienza interiore.

 

Le gambe tengono bene, soprattutto a caldo, ovvero dopo i primi chilometri, ciò mi consente di camminare con gli altri o di staccare se voglio restare un po' solo.

Arriviamo insieme alle porte di Nájera, dove su una parete bianca questa poesia riporta il pellegrino sul suo cammino interiore. Sebastian, Carlos, Hurst ed io leggiamo e contempliamo riposandoci un poco.

 

Polvo, barro, sol y lluvia

es el Camino de Santiago

millares de peregrinos

y más de un millar de años.

 

Peregrino ¿Quien te llama?

¿Que fuerza oculta te atrae?

Ni el Campo de las estrellas

ni las grandes catedrales.

 

No es la bravura navarra,

ni el vino de los Riojanos

ni los mariscos gallegos

ni los campos castellanos.

 

Peregrino ¿quien te llama?

¿que fuerza oculta te atrae?

Ni las gentes del Camino

ni las costumbres rurales.

 

No es la historia y la cultura,

ni el gallo de la Calzada

ni el palacio di Gaudí,

ni el castillo Ponferrada.

 

Todo lo veo al pasar

y es un gozo verlo todo,

mas la voz que a mi me llama

la siento mucho más hondo.

 

La fuerza que a mi me empuja,

la fuerza que a mi me atrae,

no se explicarla ni yo

!Solo el de Arriba lo sabe!

 

(Eugenio Garibay Banos)

 

[Polvere, fango, sole e pioggia

è il Cammino di Santiago

Migliaia di pellegrini

e più di un migliaio di anni.

 

Pellegrino chi ti chiama?

Quale forza occulta ti attira?

Non il Campo delle stelle

né le grandi cattedrali.

 

Non è il valore navarro,

né il vino dei Riojani

né i frutti di mare galleghi,

né i campi castigliani.

 

Pellegrino chi ti chiama?

Quale forza occulta ti attira?

Non la gente del Cammino

né i costumi rurali.

 

Non è la storia e la cultura,

né il gallo della Calzada *

né il palazzo di Gaudí,

né il castello di Ponferrada.

 

Tutto ciò lo vedo al passare,

ed è un piacere vederlo tutto,

ma la voce che mi chiama

la sento molto più profonda.

 

La forza che mi spinge

la forza che mi attira,

non so spiegarla neppure io

Solo Colui che sta lassù lo sa!]

 

(*Dalla leggenda del gallo che a Santo Domingo della Calzada dopo essere stato cucinato ha cantato).

 

Alla conquista di Nájera. Mi sento come Lawrence d'Arabia alla conquista di Aqaba. Del resto, il nome di questa città ha una chiara origine araba.

Un piccolo bar, la slot machine, la musica e la televisione ci riportano nel mondo dell'illusione. La giornalista Sandra Rodriguez e il fotografo rapiscono Sebastian: «Non più di tre minuti» ci dicono.

Carlos è appena entrato con un gran casco di bananine delle Canarie. Le stiamo mangiando tutte, sono il mio dessert dopo due peschenoci, tre albicocche e un'arancia. Natural sugar: that's what I need! [Zuccheri naturali: di questo ho bisogno!].

 

Carlos ha espresso una massima fiamminga: «Parla solo se ciò accresce la qualità del silenzio». E’ forse il silenzio, "la grande rivelazione" secondo Lao Tze, che qui ad Azofra ha offerto un'altra perla alla mia coscienza?

Ne scrivo allo zio: «Ciò che mi sta succedendo porta alla luce un chiaro aspetto della mia crescita: la necessità di aprirmi al mondo intero e di restituire ciò che mi è stato donato. Mi si prospetta chiara questa fondamentale legge spirituale: tutto il patrimonio culturale nonché materiale dell'uomo deve essere disponibile a chiunque lo chieda. Non si può possedere, tutto appartiene a tutti, e se l'uomo contemporaneo non ha ancora fatta sua questa verità non significa che noi non dobbiamo essere precursori di un futuro certo. Come vedi, la via interiore si esteriorizza, la coscienza del singolo lentamente si espande e si manifesta nel suo operare. L'Amore che i grandi maestri dell'umanità professano da sempre è il solo strumento sicuro di cui disponiamo».

La decisione con cui ho affermato la futura realizzazione di questo fondamentale concetto cristiano, quindi la sua messa in pratica, potrà apparire alquanto entusiastica, ma così è sorto da dentro e così lo espongo, senza freni, come tutto ciò che sorge in me nel Camino. Perlomeno è di buon auspicio.

 

Azofra, che meraviglia! Il bello del pellegrino è che può decidere dove fermarsi in base alle sensazioni che riceve nel vedere un pueblo o una cittadina da lontano o entrandovi. Così oggi a Nájera ho deciso di proseguire per altri sei chilometri, e nonostante il dolore sono stato premiato. Ancora il canto degli uccelli accompagna i pensieri, le viuzze deserte, la chiesa che spicca al centro del paesello. Questi sono i luoghi dove fermarsi.

I quattro viandanti si trovano in armonia tra loro: Carlos è il più estroverso anche se Sebastian non scherza. Hust ed io partecipiamo con maggior compostezza.

La semplicità dello Spagnolo, la cultura e la stravaganza del Belga si compensano perfettamente. Hust ha l'aria interessante, solo che parla poco inglese e niente spagnolo: è di Berlino, ha cinquant'anni e ha deciso di dedicare il suo anno sabbatico al pellegrinaggio che ha iniziato a Norimberga, saltando qua e là qualche tratto in treno. Carlos, il bizzarro ingegnere Belga, è innamorato di sua moglie da una trentina d'anni, il trucco è "cambiare personalità ogni due anni" dice.

Sandra, la periodista [giornalista] di Nájera, ci ha voluto intervistare tutti; è graziosa, ma qualsiasi ragazza incontri mi ricorda che il mio cuore è altrove, poco lontano da qui.

Dal taccuino: «Azofra, a 31.609 passi da Navarrete, 22 chilometri, ho esagerato, ma n’è valsa la pena. L'Albergue del peregrino è adiacente alla chiesa, i monti lontani proteggono la vallata di cui questa collina è il centro. Le nubi fitte ci hanno risparmiato l'acqua, anzi qualche raggio di sole asciuga la biancheria».

 

Pomate, antinfiammatori, omeopatici a volontà, non ricordo di essermi mai bombardato tanto, ma io questo Camino lo devo continuare. Ora Sebastian mi ha dato una nuova pomata, e via che si spalma sin piedad.

Risplende il sole del tardo pomeriggio ed io qui, costretto ancora a letto, viaggio con gli eroi della leggenda del Santo Graal. Anche la convalescenza, se pur brevissima, del resto in sintonia con il corso accelerato della vita sul Camino, ha i suoi lati positivi: posso darmi alla lettura e giustificare il peso dei libri che mi porto sulle spalle e che da quando sono partito non ho mai aperto, a parte un po' a Navarrete. Jacob e Sarah sono a non più di due giorni di cammino. Spero che Jack si rimetta in fretta anche se non posso negare il desiderio di rivedere soprattutto Sarah. Rapito dal sentimento che avvolge i sensi: il tocco di lei, sfiorarle la pelle, le dita tra i capelli, gli sguardi interminabili, i baci, l'amarsi come se fosse la prima volta. E’ l'espressione più potente che sinora abbia sperimentato dell'amore. Sono tuttavia convinto che la nascita di un figlio non abbia nulla da invidiare a tale amore e che l'Amore assoluto, divino, l'Agape universale, per tutti gli esseri, sia superiore ad ambedue. Ma il cuore scalpita nonostante io cerchi di tenerlo a freno. La verità è che Sarah è presente ad ogni mio passo. Naturalmente cerco di non costruire castelli di carta, ma siamo ai limiti dell'impossibile. Quanti dissidi interiori, quanto più dure le prove psicologiche rispetto a quelle fisiche che forse inizio a gestire! L'avvilimento della sosta non è stato che un assaggio.

Scrivo a Sarah: « E’ dura saperti così vicina e non poterti raggiungere, è dura essere un pellegrino inchiodato nel letto, ma questa è la prova, devo essere forte e controllare i miei desideri: tu e il Camino». Per quanto nobili devo imparare a dominarli, ma sento che questa sarà una prova molto, molto lunga e dolorosa.

La lunga lettera a Sarah sta diventando una sorta di diario parallelo in cui esprimo il mio rapporto interiore con lei e che, come tutto sul Camino, si sta rivelando una specie di fiaba, vissuta in prima persona, che mi coinvolge nel profondo dell'anima.

Così qui lascio fluire liberi i sentimenti più intimi, i dissidi e le incertezze della mente. E’ un essenziale strumento di sfogo in questa dura prova sentimentale e psicologica, visti i moti interiori che la scatenano.

 

Ceno magnificamente, per di più Carlos mi dà una lezione riguardo alla vita di coppia di cui necessitavo da anni. E chi l'avrebbe mai detto di riceverla proprio nel Camino? Domani mi fermerò di nuovo: il muscolo tibiale è troppo gonfio, non posso rischiare ancora, potrei veramente compromettere tutto. E’ opprimente per un pellegrino stare a letto, ma è parte della prova, anzi è parte integrante della prova!

Scrivo al mio amico Daniel: «Prestando attenzione a ciò che il destino mi offre, scorgo sempre lezioni di vita, che più comprendo più mi arricchiscono. E’ ciò che avviene ogni qual volta non ci lasciamo distrarre dalla fretta del mondo, per questo qui nel Camino guadagniamo molto, perché perdiamo il senso del tempo; ciò che conta è solo l'Amore per tutti quelli che incontri, a cui pensi, che vivono vicino e lontano o che non vivono più. La Sua forza, spesso latente, è come se nel Camino fosse stata risvegliata di colpo».

 

 

30 maggio, decimo giorno: Da Azofra a Santo Domingo de la Calzada

 

Daniel, l'hospitalero della casa di Azofra, mi ha convinto che è meglio continuare. Brevi tappe, andando piano, per non permettere al corpo di adagiarsi di nuovo: altrimenti rischio che il periodo di adattamento al Camino si prolunghi troppo per le continue soste. Scorbutico, ma buen tio [un buon tipo]. Daniel, come tutti i volontari che ho incontrato sino ad oggi, ha fatto il Camino e... ora è qui a lavorare gratuitamente per noi. Che Santiago lo ricompensi e lo sostenga nel suo cammino.

Dal taccuino: «Carlos has gone [Carlos se n'è andato]. E’ partito di buon'ora tra una scoreggia e l'altra. Me lo ricorderò anche solo per la sua magica relazione coniugale».

Anche oggi Santiago mi ha offerto i suoi doni. Sempre inaspettati, originali, sorprendenti.

Ho lasciato Sebastian e Hust ad Azofra per guadagnare chilometri. Daniel aveva ragione, senza pensarci, affascinato dagli arcobaleni che i getti d'acqua delle irrigazioni creano sopra i campi, ho ripreso un buon ritmo, tanto che poco dopo  raggiungo Carlos, anche lui immerso in quei meravigliosi giochi di colore.

La prima frase che gli ho detto è stata: “Non posso farci niente, devo camminare!" Poi non so perché gli ho detto: “ovunque tu sia, qualsiasi cosa tu faccia nella vita, devi pensare che da qualche parte, probabilmente non troppo lontano da te, c'è sempre un pellegrino, uno che cammina per la libertà”.

Qualche passo in silenzio e poi via con Sofocle ed Eraclito, Buddha e Lao Tze. La teoria degli opposti, l'unità dell'essere, la verità dell'anima, le assaporiamo tra queste colline di campi di grano, tra questi muti borghi medioevali, tra le case del pellegrino, tra noi. «Chi vede diviene cieco, il ricco diviene povero, cercando la sua via attraverso il paese sconosciuto». La traduzione greco-fiammingo-inglese-italiano ha sicuramente perso la poesia, ma il concetto di Sofocle ci è chiaro, perché ora vive nei nostri cuori. Carlos è una persona molto appassionante e profonda, oltre che simpatica.

Scrivo allo zio: «Ogni giorno nuovi incontri, nuovi paesaggi meravigliosi, nuove esperienze interiori ed esteriori fanno del pellegrino un cittadino del mondo in cerca della propria libertà, passo dopo passo».

Dal taccuino: 18.869 passi veramente interessanti, 15,5 chilometri all'insegna della filosofia greca e delle verdeggianti valli della Larioja. Carlos è ancora con me, we have got closer and closer [ci siamo sempre più avvicinati].

 

La verità è che dovrei scrivere mentre cammino o forse non dovrei scrivere del tutto. Chi vorrà leggermi si dovrà accontentare del poco che ricordo rispetto all’abbondanza di ciò che vedo e provo durante il Camino. Sta prendendo forma in me il desiderio di condividere quest’esperienza. A volte, camminando, immagino al mio ritorno discussioni, chiarimenti, impressioni riguardo il "senso del Camino", riguardo il senso di questa esperienza.

 

L'ingresso nelle cittadine è un'altra esperienza ben poco comune, perché non siamo soliti entrare a piedi in una città. Per esempio, entrando qui a Santo Domingo de la Calzada, ci ha accolto un gradevole profumo di legna appena tagliata accatastata di fronte a una segheria.

Il pellegrino passa, osserva e si porta appresso ciò che più lo ha colpito: questa è la sua filosofia.

Per questo il diario di un pellegrino non può erudire: esso  può solo indicare come prestare attenzione a ciò che il mondo ci offre senza fretta, senza interesse materiale, ma per conoscere noi stessi attraverso il mondo.

E’ nelle pause che si produce quanto di migliore riusciamo a offrire al mondo: nelle pause abbiamo accesso alla creatività repressa dal correre dietro al tempo. Sì, il pellegrino ferma il tempo e frena le ruote: Piero nella sua lettera mi ha anticipato uno dei più grandi doni del Camino. Le energie che da secoli e secoli continuamente operano in questi luoghi è come se negassero l'accesso alle forze ostacolatrici, rendendo l'uomo più libero di osservare la realtà vera del mondo che lo circonda.

 

Da Sofocle passiamo alla mitologia greca, poi a Jung, senza mai cadere nell'esibizione dialettica, nell'intellettualismo. Manteniamo spontaneamente lo spirito del pellegrino e osserviamo la teoria degli opposti così come le verdeggianti valli che lentamente attraversiamo.

Il tibiale non è troppo gonfio, il ginocchio però mi duole, ma è l'una e la giornata di cammino è terminata, ho tutto il tempo per riposare.

Questo albergue de peregrinos è un rifugio storico, non so per quale motivo, ma ne colgo l'atmosfera. Innanzi tutto è gestito da suore, anzi è proprio all'interno di un antico convento ed è gratuito, mentre negli altri è richiesta un'offerta che varia dalle trecento alle cinquecento pesetas; poi prevede una mensa.

Una suora mi consegna un messaggio di Sarah, che dice: «Marcello, il tuo nome è mare e cielo, ma tu sei terra e montagna...». Non ho mai pensato a questa curiosa variante etimologica del mio nome, certo è che mi sento molto “terra e montagna”.

Qui dalle suore si mangia tanto e bene, il convento è fresco e in una giornata come questa è un fattore di rilievo.

Nella mensa, essenziale come si conviene ad un convento, ma accogliente, scherzo e rido con Carlos e Hust: Carlos traduce in tedesco il mio inglese per Hust, e gli argomenti, pur andando dal ludico al filosofico, sono sempre stimolanti. Del resto, durante il Camino ho già avuto modo di conoscere lo spessore dei due nuovi amici.

Alle mie spalle a un tavolo con due Spagnoli siedono due donne che dall'interesse dei miei due commensali devono esprimere un non so che. Mi volto, sono chiaramente madre e figlia: la prima dal volto duro, quasi scavato, sofferente, la seconda meno, ma solo per la formidabile bellezza.

Carlos commenta subito e si apre un dibattito che va dritto all'anima. Dai loro occhi e dai loro movimenti  intuiamo la presenza di un grande dolore, soprattutto nella madre, ammesso che sia la madre, perché la figlia sorridendo avrebbe potuto stendere un frate gay. Hust è convinto che soffrano, io sono d’accordo e a un certo punto azzardo l'ipotesi della morte del marito/padre, poi quasi imbarazzati per tanta indiscezione lasciamo che Carlos ci porti altrove con i suoi mille argomenti. Il pranzo finisce e non ci si pensa più, ma quell'ipotetico dolore ci ha toccato.

 

La giornata scorre tra i pensieri, in solitudine tra cartoline e una visita in un ambulatorio dove mi hanno dato del Voltaren da prendere sera e mattina prima di incamminarmi.

Mi tornano in mente incontri, situazioni, brevi emozioni non riportate sul diario, come la prima cena a Roncisvalle, dove un Canadese in viaggio da oltre un mese mi ha parlato del suo impulso, del suo lungo pellegrinaggio, della prima fase di adattamento, degli aspetti simbolici della sua fede. Ogni volta che vedo una piccola piramide di pietre su una colonnina con la conchiglia del Camino penso a lui che la innalza per salutare i pellegrini che passeranno di lì. Poi penso all'importanza di arrivare là dove finiscono le terre, là dove si sarà forse uomini nuovi, là dove inizia un nuovo cammino, là dove si darà fuoco alle vesti dell'uomo antico, dove si ripartirà da zero con un corpo sano, una mente libera e lo spirito più forte che mai.

Penso ai due amici Spagnoli, Alfonso e Hermas: con loro ho scongiurato la rabbia girando intorno alla colonna nel fiume, ho assaporato un tè caldo per la prima volta assieme a Sarah, ho camminato, ho condiviso. Li ho lasciati lungo il Camino, ma in fondo li porto ancora con me.

Mi sembra siano passati anni dagli incontri della settimana scorsa. E’ una caratteristica del Camino: il tempo rallenta perché, essendo tutto così intenso, non basta. L'idea stessa di tempo non si confà più alla realtà degli eventi.

 

Santo Domingo de la Calzada si presenta come una cittadina felice e cordiale, sarà per il flusso dei pellegrini, sarà perché è piena di bambini. Il Camino è parte integrante della realtà del paese, chissà i suoi abitanti come lo sentono. Dalla gentilezza si direbbe che queste anime, che da secoli vedono passare pellegrini sotto le loro finestre, provino ammirazione nei nostri confronti.

Già si vedono i pullman con le comitive dei “pellegrini” motorizzati che hanno ben poco a che vedere con i volti rilassati, sereni e stanchi dei pellegrini dal passo lento e generalmente un po' acciaccato. Ma è anche bello che tutti possano cogliere la forza di questi luoghi così ricchi di storia e di vita fluita dal nostro passaggio.

Ognuno di noi lascia una piccola parte di sé nel Camino, e la somma di queste crea una sorta di grande energia offerta a chiunque sia disposto ad accoglierla.

Riguardo poi i distinguo per me è pellegrino colui che non solo è spinto da un autentico impulso interiore, ma che si sacrifica per seguire tale impulso. Non contano le distanze o la durata: un malato che giunge in pullman in un luogo, facendo uno sforzo comunque pari ai nostri chilometri a piedi, è tanto pellegrino quanto noi. Può trattarsi anche del superamento di un blocco psicologico o di un limite sentimentale; è l'impulso che conta, l'impulso e il sacrificio che si è disposti ad affrontare per mantenersi fedeli alla voce interiore!

Anche la cena è squisita dalle suore, in compagnia di Hust e di due ciclisti Valenciani. Due persone per bene, colte, con cui si è conversato d’arte, di politica, ahimè di calcio, ma, come immaginavo, lontani dal pellegrinaggio. Sia Hust, pur capendo pochissimo lo spagnolo, che io percepiamo chiaramente la differenza del loro viaggio, la diversa velocità che evidenzia ancor di più la nostra lontananza dal mondo.

La presenza di numerosi Brasiliani si potrebbe spiegare con il libro di grande successo scritto da Paulo Coelho, ma, avendo avuto modo di conoscere molti di loro, non mi sento di poter ridurre la loro spinta verso il Camino ad un libro; forse per alcuni è stato uno strumento di primo  contatto, ma l'impulso giunge sempre da dentro.

Ora lascio spazio ai sogni, nei quali un cammino parallelo continua ad arricchire la mia anima.

 

 


31 maggio, undicesimo giorno: Da Santo Domingo de la Calzada a Villafranca Montes de Oca

 

Il sole sorge alle tue spalle e da dietro ti spinge, pellegrino, perché la direzione è sempre quella, verso Santiago, verso Ovest. Santo Domingo è laggiù che si sveglia: alle sette e mezza le sue vie sono vuote e silenziose, mentre i bimbi si destano, gli uccelli salutano in coro il pellegrino che si mette in marcia. Ecco ancora i campi di grano, le basse colline che come onde cavalchiamo verso l'estremo occidente.

Tra un ricordo e l'altro, tra l’augurio di un buon risveglio a un amico lontano, tra una preghiera per chi soffre e gli auguri di buon compleanno a papà, qualche pausa mentale per ascoltare il corpo, calibrarne i pesi, comprenderne il dolore.

Passano due pellegrini, credo Tedeschi, in ogni caso nordici, ci salutiamo, mi rivolgo alla croce sotto la quale sono seduto e auguro loro un Buen Camino.

Lontane macchie bianche di neve mi ricordano casa, ma il bastone mi chiama, è ora di riprendere la via.

 

Sono seduto sui gradini di San Pedro a Castel Delgado, una chiesetta che probabilmente non si fila nessuno, come il resto del borgo. Passano i ciclisti con cui ho cenato ieri sera e passa pure il poveretto che ha dormito in stanza con me e che ha passato una notte insonne a causa del concerto di un pellegrino nel letto a castello sopra di me. Come ha russato quell’uomo sta notte... nessuno mai! Ad un certo punto io e Hust siamo scoppiati a ridere quando la Norvegese sotto di lui ha imbandito una sorta di duetto con il fenomeno sopra di me; il povero ciclista non rideva affatto, anzi, ormai quasi all'alba, si è trasferito con il materasso in mensa. Stamani ho proposto alle suore di riservare una stanza ai roncadores [russatori], con tanto di cartello, per il bene di tutti.

Ero sicuro che a Grañon avrei ricevuto un messaggio, così ho allungato per passare alla casa del pellegrino, e infatti era lì che mi aspettava da tre giorni. News su Luigi, il pellegrino perpetuo. Mi scrive Sarah: «Luigi ha causato dei problemi: ha derubato Rosa (l'Olandese) ed è stato cacciato da due rifugi. La Guardia Civil ha scoperto che è ricercato in Italia per crimini... Rosa ha pure detto che lui ha provato a violentarla». Devo dire che non mi sorprende più di tanto, Luigi non mi aveva convinto del tutto, però, non essendo in vena di diffidenze, gli avevo creduto. Peccato: era incantevole la sua leggenda. Ma che dico: "Lo è ancor di più adesso che è completa!".

Il lato "incantevole" del Camino è legato al valore supremo della realtà, che spesso è meno romantica, ma ben più "incantevole" delle, pur seducenti, menzogne: nel presentarci l'aspetto dualistico della vita, il positivo e il negativo, la realtà ci educa. Del resto il Camino non è un mondo a sé. E’ vero che gli “ostacolatori” hanno vita dura con tutto l'amore che ci pervade lungo la via, ma ognuno si porta ugualmente appresso le proprie pochezze, le proprie ipocrisie. Lo smascheramento degli aspetti oscuri della leggenda di Luigi è di estrema utilità proprio perché ci conferma che stiamo vivendo il reale, che non stiamo sognando. Spesso se ne sente il bisogno.

A una notizia poco gradevole segue una simpatica nota di colore: Felicia, la novantenne analfabeta che mi ha dato il primo messaggio di Sarah e Jacob, getta una pietra in un secchio per ogni pellegrino che passa e, a fine giornata, le conta. L'anno scorso sono passati di lì ben sedicimila pellegrini.

Oggi il sole picchia, lo spirito spingerà pure, ma il corpo patisce. Siamo nel comune di Burgos, il paesaggio è sempre splendido, ma presto cambierà. Pausa spuntino a Viloria, altro pueblo totalmente vuoto, dove solo gli uccelli sembrano parlare. Ma ecco un camion che strombazza e si ferma, donne e anziani sbucano all’unisono dalle viuzze per approvvigionarsi di pane e altri beni di prima necessità.

Altri pellegrini attraversano il villaggio. Ehi, guarda chi si vede, è Circus, la Norvegese che questa notte accompagnava il tenore.

Dopo aver rimpinzato per  bene Circus, riparto come un treno per Belorado. Un tratto di otto chilometri decisamente monotono, a fianco della carretera nacional, però senza sbavature, perfetto per il ginocchio.

Giunto al rifugio, un po' perché  è tutto pieno, un po' perché, nonostante i ventidue chilometri, mi sento in formissima e un bel po' per la presenza della bella fanciulla Spagnola con la madre dagli occhi tristi incontrata a Santo Domingo, decido di proseguire. La bellezza della ragazza la sento come un rischio di distrazione che voglio assolutamente evitare.

Saluto Hust e Sebastian, che decidono di fermarsi sui materassi per terra insieme con la meraviglia iberica, e riprendo il Camino felice e fiero di me.

Appena fuori della cittadella cambia il paesaggio e anche la musica del mio ginocchio. Il sentiero si fa ben più irregolare e... sono dolori. Supero la coppia di giovani inglesi incontrati a Navarrete che sostano all'ombra, mentre i loro due cavalli pascolano. Un'immagine bucolica. Poco dopo mi sdraio anch'io sotto un cipresso a riposare, mi mancano un decina di chilometri al massimo a Villafranca Montes de Oca: il sole picchia, ma il vento smorza il calore. Se non mi addormento qui, intorno alle sei dovrei essere sotto la doccia.

Dal taccuino: «Impresa eroica: trentacinque chilometri, circa 50.000 passi. Non riesco più a muovermi, ma sono felice di essere qui».

Villafranca è un paesino tra le colline, isolato, spento, dove nessuno si ferma: sbuca fuori dai campi di grano e rimane nascosto tra gli alberi. Il rifugio è vuoto. Capisco perché alcune case del pellegrino sono semiabbandonate rispetto ad altre: a differenza delle località che in base alle tappe indicate sulle guide sono segnalate come punti d'arrivo, altre risultano soltanto come luoghi di passaggio – dove si può dormire – e di conseguenza vengono solitamente saltati.

Ti sei mai soffermato a contemplare il delicato movimento delle spighe al soffiare del vento? Ti sei mai perso in quella soffice danza primaverile immaginando di scivolarci sopra come un delfino sulle onde? Mio Dio, che sensazione meravigliosa, che gloria dell'anima.

Lì mi è sembrato di essere al centro, fermo, senza più oscillazioni, sicuro, certo.

Ripenso al mio passato: l'agenzia di pubblicità a New York, il "monastero" a Rishikesh, sulle rive del Gange, i due opposti. Sarà il Camino l'ago della bilancia? Sarà Santiago il suo centro? Sprofondato prima nella materia, poi nello spirito, dall'Occidente all'Oriente, dall'esterno all'interno; finalmente il mio cammino mi ha portato qui dove avverto il centro, l'equilibrio dei due princìpi che devo far coesistere.

 

Questo più che un albergue del peregrino è una scuola abbandonata dove sono stati aggiunti un boiler nuovo e vecchie brande da caserma a mo' di campo profughi. E’ in assoluto il peggior rifugio che abbia incontrato, ma in questo momento va benissimo.

Ripenso ai miei amici Carlos, Hust, Sebastian, a Luigi, al Canadese, a due ragazzi di San Sebastian che non ho citato, a Carlos il gestore del rifugio di Estella, a Gerolamo di Torres del Rio. Quanti incontri, quante storie, tutte differenti tra loro; che esperienza fantastica! E quanti ne ometto! Come posso scrivere tutto? Devo anche viverlo il Camino. Per di più voglio scrivere agli amici, cercare di trasmettere per quanto possibile. Nelle lettere m’immergo nella totale realtà del Camino non solo delle ultime ore, come sul diario: è come se la rivivessi in sintesi. Scrivo a Maya: «”Interminati spazi di là da quella...”, vallate che si susseguono come un mare leggermente mosso, soffici campi di grano dove il vento modella immagini divine... Cara Maya, il mio cuore è provato da tanta meraviglia. L'esperienza esteriore si riversa all'interno e viceversa, è una danza divina che ti vede protagonista».

Decido di fare lo sforzo di andare a comperarmi qualcosa da mangiare nell'unico negozietto del pueblo e, dal taccuino: «Per fare la spesa e andare alla cabina del telefono per fare gli auguri a Papà ho aggiunto 3.221 passi equivalenti a 2,2 chilometri extra. In ogni modo il dolore rimane, ma sempre meno intenso, speriamo...».

Quella sera il Camino mi ha messo nuovamente alla prova: dopo aver fatto la doccia ed essermi messo a letto a pezzi, chi ti vedo arrivare in quel rifugio snobbato dal mondo? La mamma triste con la sua mirabile figlia. Ma come, non si erano fermate a Belorado?

Cala la notte: la Sirena resta a parlare con un signore anziano, io scrivo solitario sulla branda alta dell'ultimo letto a castello, il più lontano possibile.

 

 

1 giugno, dodicesimo giorno: Da Villafranca Monte de Oca a Burgos

 

Terra rossa, infuocata, da poco smossa dall'aratro, da poco incendiata dal sole.

Anche stamani Santiago, o chi per lui, ha deciso di farmi l'ennesimo regalo; così, contrariamente al mio solito, sono uscito per primo dal rifugio e dopo pochi minuti il sole è dolcemente emerso dalle morbide colline che circondano Villafranca. Subito una salita decisa sul colle opposto, verso occidente, di quelle che piacciono a me, ed eccomi sul crinale, in contemplazione. Una leggera foschia allontana le terre vicine, conferisce loro un che di misterioso, ma il pellegrino conosce bene quei luoghi perché li ha amati passo dopo passo, così ora li osserva dall'alto con affetto e devozione. Sono le sette, ormai il mio Signore illumina ogni cosa: auguro un buon risveglio a tutti i pellegrini, che anche questa giornata di cammino possa nutrire le vostre anime così vicine alla mia.

Inizio una lettera “inutile”, perché ho la sensazione che l'anima a cui è indirizzata sappia già: «Che senso ha scrivere a te? Cosa posso raccontarti che la tua anima già non sappia? Ma questa sosta poco dopo la partenza non te l'aspettavi, questo rompere il passo non appena riscaldati i muscoli, questo cambiamento psichico, emozionale al sorgere del sole, questo impulso spirituale a portare per la prima volta sul piano fisico il nostro cammino non era previsto...». Su questo colle fatato si apre una nuova giornata del Camino: avverto la presenza delle anime a me più care, il sentimento di fratellanza verso il mondo intero predomina su tutto.

L'obiettivo è la famiglia universale, ovvero la realtà, la libertà dai vincoli dell'ego, l'amore supremo. Il canto degli uccelli accompagna il lento accendersi del giorno: spazi infiniti, vallate, colline, campi di grano, passo dopo passo divengono parte di me. Il tempo tende a perdere ogni significato, le vibrazioni del cuore a prendere il sopravvento. Ora mi disseto a questa fonte e riprendo il lungo cammino, senza aspettative, so già che anche questa giornata mi vizierà con i suoi doni. Non posso spiegare la forza che mi spinge, il sole che m'illumina, l'Io che mi conduce deciso e sicuro sulla via più affascinante che abbia mai percorso.

Le nuvole galleggiano, come tante mongolfiere sospese nel cielo, si muovono lentamente, sembrano contenere i nostri pensieri, ci osservano. E’ probabilmente un fenomeno comune a tutti i luoghi con questa luce, ma ora il blu intenso le rende ancor più leggere, soavi. E i prati, con esplosioni di colori, di tutti i colori. Che ricchezza! Mi sento di dedicarla a tutte le donne del mondo.

Cammino solo, attento, immerso nel tutto, colgo i colori, i profumi, le voci, li condivido con tutti, il sentimento in questo momento d’apertura non ha limiti. Quanto più mi sprofondo nel Camino, tanto più lo stupore e la meraviglia e i luoghi s’imprimono nella memoria con sorprendente chiarezza sin nei minimi dettagli, come avviene per i momenti che contano. Le pietre, i fiori, i cespugli, i fossati, gli alberi, i singoli alberi; è tutto qui, dentro di me.

 

Non ricordo di aver mai visto un altopiano tanto lungo. Da quando ho raggiunto la cima del monte non sono mai sceso, circa dieci chilometri.

Dal punto di vista paesaggistico è monotono, ma interiormente stimolante. Ci vuole un po' di uniformità ogni tanto, stimola l'immersione! E’ facile perdersi in pensieri inutili. Bisogna comunque vigilare continuamente sulla propria mente.

Tre ore fa, mentre scrivevo al sorgere del sole, è passata una ragazza Brasiliana, e solo quando l’ho superata sul lungo altopiano mi sono reso conto dell'elevata andatura che stavo sostenendo. Sono le dieci ed ho già percorso un terzo della tappa che mi sono proposto per oggi: quattro chilometri all'ora è il massimo.

Il dolore al tibiale fa ormai parte dell'andatura, mentre il ginocchio, nonostante io cerchi sempre di camminare con la gamba leggermente in contropendenza (inclinandola all'interno mi duole meno), mi impone un passo doloroso – a volte per chilometri – così mi sono abituato a zoppicare velocemente.

Penso quasi sempre in inglese, o in spagnolo, e questo alla lunga mi crea qualche problema nello scrivere in italiano.

La bella Spagnola non è Spagnola, ma è Canadese, di genitori Spagnoli ed è molto cordiale oltre che essere una gran camminatrice. Nonostante la mia fuga, le due donne mi hanno raggiunto alla fine dell'altopiano presso il santuario. Essendo soli, non ho potuto non rivolgere loro la parola, anche se ho prontamente deviato sulla madre: non posso permettermi scivolate pressoché inevitabili, soprattutto perché una parte di me inizia a mettere in dubbio, a razionalizzare la meravigliosa fiaba che sto vivendo nel mio cuore con Sarah. Il diavoletto che è in ognuno di noi non ha chance in questo magico contesto, ma ciò non significa che lui molli il colpo, anzi s’insinua con argomentazioni veramente logiche e razionali. Il Camino va però oltre tutto ciò e ormai questo lo so bene.

Entro nel Santuario di San Juan de Ortega, dove mi attende la nostra preghiera del mattino.

 

La provincia di Burgos è completamente diversa da La Rioja e ancor di più dalla Navarra. L'altopiano è a novecento metri con punte di mille; fuori dal bosco è tutta erba bassa con arietta di montagna. Faccio una pausa pasto ad Agés, forse neppure a Burgos tutti sanno dell'esistenza di questo minuscolo borgo. Passa una pellegrina, sorride, si ferma, non ho ancora visto un pellegrino snobbare l'acqua. E’ tutto per il viandante.

Terminato lo spuntino vengo raggiunto dalle due Canadesi, riparto subito, ma al successivo pueblo, anzi alla fonte successiva, ci ritroviamo. Iniziamo a parlare e c’incamminiamo insieme giacché teniamo la stessa andatura. La madre, Maite, donna colta e di classe dai cui occhi, meno sofferenti che al primo incontro a Santo Domingo de la Calzada, scaturisce ugualmente un dolore profondo, è una donna matura e interessante. La figlia, Olivia, intorno ai venticinque anni, affascinante, soprattutto per la bellezza.

 

Parlando e camminando siamo arrivati a Olmo de Atapuerca. Non ho potuto sottrarmi per il pranzo nel piccolo bar-ristorante del luogo. Si parla ancora e si entra sempre più in intimità; del resto tra pellegrini è difficile imbastire discorsi superficiali e inutili. Non mi fermo con loro, continuo per Burgos, anche se questo pueblecito [paesino] con la sua chiesetta romanica invita alla sosta. Il pellegrino sa quando e dove fermarsi e io devo essere a Burgos oggi.

Prima di riprendere il Camino, passo al rifugio e lascio due fiori sui loro letti. Olivia, non so per quale motivo, dev'essere andata subito dopo a prendere qualcosa nella stanza e, vedendoli, mi è corsa dietro per ringraziarmi. Fortunatamente sono già avanti sulla via e così mi ha ringraziato da lontano. Continuo a temere la sua bellezza.

L'aver fatto compagnia alle Canadesi mi è costato caro. Non faccio in tempo a lasciare il pueblecito che mi si scatena addosso un vero e proprio uragano con tanto di grandine e bufera. Neppure il tempo di mettermi in assetto da pioggia che sono già fradicio, completamente fradicio!

Trovo riparo in  un grosso cantiere: polvere ovunque, rumore di ferraglia, operai gentili... questo è il Camino.

Spero che smetta o almeno diminuisca un po', perché ho ancora 16 chilometri da fare e i piedi sono inzuppati perché non ho avuto il tempo di mettermi i pantaloni quando sono stato colto dal nubifragio e l'acqua è scivolata a fiumi dalle gambe nelle scarpe. Ho tentato di togliermele per asciugarle, ma niente da fare: le scarpe ormai sono fradice dentro. Forse, vista l'ora, è meglio che mi rimetta in cammino e speri nella tenuta della mantella. Non faccio in tempo a pensarlo che una violenta scarica d'acqua si riversa sul tetto in lamiera che mi protegge.

Comunque durante la sosta nel cantiere ho imbastito una gradevole conversazione con un operaio, a cui ben presto se ne sono aggregati altri. Sotto la sinfonia della pioggia ci siamo scambiati racconti e opinioni su diversi temi. Sentivo che avevamo molto in comune, coglievo l'unione, mi sentivo a mio agio con loro, avrei potuto fermarmi lì per ore.

 

Dal taccuino: «Oggi il più duro: 55.063 passi, 38 chilometri, 3.092 calorie più un sacco di sentimenti. Tutto per Burgos»

Questo tratto è stato massacrante, sinora il più duro in assoluto. E dire che ha smesso di piovere quasi subito, così mi sono immesso velocemente sulla nazionale per Madrid. A parte le docce dei Tir che mi sfilano a circa trenta centimetri, a parte le scarpe zuppe che poco dopo ho la fortunata idea di appendere allo zaino, è la statale in sé che distrugge.

Poi arriva la periferia, quella dei capannoni, delle concessionarie e dalle colorite insegne pubblicitarie.

Un termometro segna trentacinque gradi, le gambe vanno da sole, il polpaccio destro dà qualche segno di  cedimento. Sono distrutto, ma non posso rischiare la sosta: se poi succede come oggi che viaggiavo come un treno e dopo il ghiacciolo con le Canadesi sembravo uno storpio?. Così continuo fino alla fontana della eglesia Real Antigua de... non so che.

Devo ancora attraversare la città però ci sono: anche oggi l'obiettivo è stato raggiunto.

 

Le ultime parole famose: l'albergo del pellegrino è all'estremo opposto della città, mancano ancora cinque chilometri.

Tutti ti osservano. Con quel bastone e l'aria stravolta non puoi che essere un pellegrino, si sente rispetto e ammirazione.

A un certo punto, mentre cammino sul ciglio della strada tra un'auto parcheggiata e il marciapiede, una carta da gioco, coperta. La scopro, è un due di denari delle carte napoletane: nel burraco è come un jolly, decido di conservarla. Ecco il vialone alberato prima dell'arco che conduce alla piazza della cattedrale, come un eroe che va a ricevere la sua onorificenza. Il pellegrino la riceve in silenzio, dinanzi al Signore, dentro di sé.

Nell'immensa cattedrale, la più grande del mondo, le belle vetrate sono ancor più maestose di quelle del Duomo di Milano.

Uscito dalla chiesa mi sento chiamare per nome: è un gruppo di brasiliani, devo averli conosciuti a Roncisvalle o giù di lì, perché nonostante la stanchezza mi sembra di riconoscerli.

Ho mangiato un gelato "italiano" e ho assaporato l'essere pellegrino in città.

Poco dopo riecco Hermas e poi Carlos, arrivato in autobus. Insomma ritrovo un po' tutti qui a Burgos, fuorché Sarah e Jacob: ho di loro un messaggio che mi rattrista perché in fondo avevo sperato di incontrarli qui. Leggo che hanno dovuto prendere un autobus per 34 chilometri e immagino come si possano sentire, ma una frase di Sarah mi deprime in particolar modo: «Spero di incontrarti qui, o a Barcelona, o in Italia, se vorrai». Quel "se vorrai" mi lascia intendere la sua insicurezza nei miei confronti.

Nella magica favola che dentro di me si rivela sempre più realtà, mi rianimano di fiducia le due poesie, rispettivamente di Yeats e di Dylan Thomas, che Sarah mi trascrive.

Ma i fogli sono tre: assieme a questo messaggio c'è quello del giorno precedente in cui Sarah, proprio a Villafranca Montes de Oca due giorni prima del mio arrivo mi ha trascritto due sublimi letture sacre.

Spesso ci si nega il nettare degli inni sacri o delle preghiere solo perché fanno scattare un meccanico nesso con la cultura cattolica oggi tanto messa in discussione, oppure perché non si accetta ideologicamente l'esistenza di Dio o la figura di un maestro spirituale.

Per non perdere la possibilità di attingere al ricco banchetto di chi ha espresso il suo più nobile sentimento, accetto l'invito a mettere da parte i pregiudizi e a leggere il seguente inno come rivolto a ciò che più amo, perché è da tale ardore che è scaturito. Se per chi l'ha composto era “il Signore”, per altri può essere l'amore universale, l'essenza della vita, l'Io superiore, il mondo delle idee o un'altra divinità. L'importante è immergersi con tutti noi stessi, con la devozione dovuta a ciò che abbiamo di più caro e che ci può donare la forza, la verità, la vita.

Il Salmo 146, o "Inno al Dio che soccorre", dice:

«Anima mia, loda il Signore.

Io loderò il Signore, finché avrò vita,

canterò inni al mio Dio finché esisto.

Non riponete la fiducia nei príncipi,

nei figli degli uomini, nei quali non è salvezza.

Esalato lo spirito, ritornano nella loro polvere;

in quel giorno svaniscono tutti i loro disegni.

Beato chi ha per protettore il Dio di Giacobbe,

e ripone la sua speranza nel Signore Dio suo,

che fece il cielo e la terra,

il mare e tutto quello che essi contengono,

che rimane fedele in eterno,

rende ragione a chi soffre ingiurie,

dà da mangiare agli affamati,

il Signore scioglie gli incatenati,

il Signore illumina i ciechi,

il Signore rialza gli abbattuti,

il Signore ama i giusti.

Il Signore protegge gli stranieri,

è sostegno dell'orfano e della vedova,

ma rovina delle vie degli empi.

Il Signore regnerà in eterno,

Il tuo Dio, o Sion, (regnerà) per tutte le generazioni».

La provvidenza divina espressa nel Salmo è realtà, è parte integrante della vita interiore del pellegrino.

La seconda è la Oración de la noche che Sarah ha trovato scritta sulla porta del dormitorio del rifugio. Per tenerezza e importanza dei contenuti si rivela a mio avviso un esercizio di grande utilità: “Si inizia con un momento di silenzio per fare una rivisitazione della giornata, un percorso di tutto ciò che si è vissuto durante il giorno, valorizzando i successi e gli errori. Si termina con una piccola orazione di petizione, di perdono e di rendimento di grazia”.

«Como el niño que no sabe dormirse

sin cojerse a la mano de su madre,

así mi corazón viene a ponerse

sobre tus manos al caer la tarde.


Como el niño que sabe que alguien vel

a su sueño de inocencia y esperanza,

así descansará mi alma segura

sabiendo que eres Tú quien nos aguarda.

 

Tú endulzarás mi ultima amargura,

Ttú aliviarás el último cansancio

Tú cuidarás los sueños de la noche

Tú borrarás las huellas de mi llanto.

 

Tú nos darás mañana nuevamente

la antorcha de la luz y la alegría,

y, por las horas que Te traigo muertas,Tú me darás una mañana viva.

 

Amén»

 

[Come il bimbo non sa addormentarsi

senza stringersi alla mano della madre,

così il mio cuore viene a posarsi

sulle tue mani al cader della sera.

 

Come il bimbo che sa che qualcuno protegge

i suoi sogni di innocenza e speranza,

così riposerà la mia anima sicura,

sapendo che sei Tu che ci attendi.

 

Tu addolcirai la mia ultima amarezza,

Tu allevierai il mio ultimo struggimento,

Tu accudirai i miei sogni della notte,

Tu spazzerai le tracce del mio pianto.

 

Tu ci darai domani nuovamente

la torcia della luce e dell'allegria,

e per le ore morte che Ti porto

Tu mi darai una mattina viva

 

Amen.]

A parte la musicalità che si è persa nella traduzione, considero questa "Orazione della notte" di rara intensità.

 

«Non posso crederci – scrivo a Sarah, – mi sono ammazzato per raggiungerti, sto danneggiando il mio corpo con quei fottuti antidolorifici per poter continuare a camminare, ho fatto settantaquattro chilometri in due giorni, lottando contro il tempo e le distanze per due tra i più nobili ideali nella vita, sentendomi come un cavaliere della Tavola Rotonda, e cosa dice il tuo messaggio? Abbiamo preso un autobus e poi "se vorrai" c’incontreremo ancora? Mio Dio dov'è la poesia? Tutto ciò che mi è successo in questi ultimi giorni, tutti quei meravigliosi pensieri, le forze spese, per cosa? "Se vorrai"? Mi sento così stupido...».

Iniziano i guai veri, quelli che ti chiudono lo stomaco, quelli che intaccano il cuore. L'incertezza della condivisione del sentimento, la paura di farsi male s’insinuano nella mia mente: sono i grandi avversari del Camino in questa fase che posso sempre più definire psicologica. Inizia lo stillicidio della grande disputa interiore. Esattamente come nella vita di tutti i giorni, però nel Camino è una disputa concentrata, esasperata. Il timore del futuro si contrappone al Camino.

Così sempre in questa sorta di "diario parallelo" scrivo a Sarah: «Dovrei aver imparato che la vita non è un sogno... Non mi hai nemmeno scritto dove vai, che farai nel Camino». Frasi dettate da quel diavoletto che opera in continuazione, che nel Camino sembra avere ben poca voce in capitolo, ma non riguardo a un tasto tanto delicato. Nel giro di poche righe fortunatamente sono rientrato nella consapevolezza che "tutto va come deve andare" e ho così concluso: «Ci sono, questo è il Camino!».

 

Cena a pane vecchio e insalata senza condimento perché il negozio più vicino all'ostello è a due chilometri, e non ho la minima intenzione di tornare indietro. Un gruppo di pellegrini mi invita a partecipare al loro barbecue di carne, ma non sono nel mood adatto. Fortuna che i Brasiliani amici di Marcos – tra cui Ronaldo e Dulce che hanno camminato assieme a Hermas da Roncisvalle – mi offrono queste foglie. Dovevo essere proprio a pezzi quando sono arrivato, per non aver riconosciuto Marcos tra i brasiliani nella piazza della cattedrale.

Mi raccontano un po' delle loro avventure, ma io non sono molto in vena di parlare, sono triste e stanco, ma contento di averli incontrati di nuovo.

 

 

2 giugno, tredicesimo giorno: Da Burgos a Hontanas

 

Altra giornata di sole. Hermas, Marcos and I ci siamo incamminati con calma verso... ovest. Qui a Tardajas io e il mio coetaneo brasiliano ci siamo imbattuti in Maria Eugenia Melgosa Pampliega, una simpatica giovane panettiera che ha assolutamente voluto fare una foto con noi due. Vuole che le spediamo una cartolina.

Hermas sta facendo un pacco da spedire con un po' di materiale superfluo, o comunque evitabile, mentre io e Marcos assaporiamo la squisita focaccia (pan con aceite) di Maria Eugenia, la panettiera estroversa. Oggi niente antinfiammatorio, perlomeno ci provo.

Questa mattina di buon ora Carlos è partito per il Belgio: la tratta che si era proposto quest'anno è terminata. Non è il primo che decide di suddividere il Camino negli anni. Anche qui nuovi racconti, nuovi incontri, nuovo Camino.

Un gruppo di operai ci saluta all'uscita della città: il ponticello su cui attraversiamo il piccolo canale, pieno di alghe lunghissime, diviene un luogo di conversazione fra i tre pellegrini e un viandante molto trasandato che porta sulle spalle una pesante sacca, i cui manici gli solcano la pelle nonostante gli stracci usati come protezione.

Sono stato tentato di fargli dono del mio zaino che, come si suol dire, gli avrebbe cambiato la vita. Avrei potuto comperarne un altro, forse non nei prossimi pueblos, stando a quanto dice Hermas, ma sarei potuto tornare a Burgos, eppure non l'ho fatto e me ne pento. Ho sprecato una chance: ho accolto l'impulso con sufficienza e, forse solo per pigrizia, non l'ho seguito. Non so quanti treni ho perduto durante il Camino per negligenza, questo sicuramente sì.

Hornillos del Camino è un villaggio delizioso con un'unica via costeggiata da case in pietra, desolato, silenzioso, assolato. Sono le dodici e quaranta, il sole spacca le pietre, gli ultimi dieci chilometri sono stati una sauna. Credo che dovrò abituarmici.

Ecco di nuovo Sebastian, il superstite del gruppo degli ultimi giorni: non molla, ormai si è fatto le ossa, l'anno scorso ha percorso due volte l'intero Camino, andata e ritorno no stop.

Un soffice venticello assopisce il corpo stanco steso all'ombra, la psiche lo segue e se non fosse per la solita ciurma di francesi, che fortunatamente vivono separati, ci si potrebbe pure appisolare. Ma è ora di rimettersi gli scarponcini e riprendere la via prima che la pigrizia della mente, contagi anche il corpo.

La provincia di Burgos è un interminabile altopiano. Si sale per 600-700 metri e poi si resta in piano per chilometri e chilometri. Qui è tutto grano, più basso di quello dei campi in La Rioja: più si sale più è basso. Un gruppo di nubi mi ripara da qualche tempo, sembrano la mano di Santiago.

Ho guadagnato circa un chilometro su Hermas e Marcos, il mio passo è più rapido e poi camminare solo è spesso una necessità, anche se Hermas è già come un fratello e Marcos è una persona molto gradevole, mi piace il suo modo di fare, e m’incuriosisce il suo essere papà di un ragazzino di tredici anni.

Una farfalla blu si appoggia sullo zaino, sbircia all'interno, se ne va’. Anche ieri e l'altro ieri sono stato accompagnato per un bel tratto da una farfalla che sembrava non volermi lasciare in pace. E' bello poter notare queste "delizie" della natura, perché non farlo sempre? Perché no?

 

E’ stata dura: l'altopiano non finiva mai. Ho nuovamente lasciato il gruppo ormai troppo folto e mi sono lanciato nei soliti voli pindarici della mente. Scrivo a Sarah: <<Oggi è stata dura, un lunga, lunga via in mezzo ai campi. Molti pensieri, molti voli. Poi un enorme campo di papaveri, te l'ho dedicato... immagina noi due avvinghiati l'uno all'altro rotolarvi in mezzo con i cuori al di là del cielo>>. Siamo in totale sintonia: poco dopo trovo un messaggio con una poesia scritta da Sarah in spagnolo durante un temporale, il titolo è Amapolas, "Papaveri".

“Opio del descanso que brotra por las piedras del Camino de Castilla,
que derrama el bálsamo de la juventud,

entre oraciones y pensamientos silenciosos…

Espero que la sangre que surge del talón y de las clavículas sea para vosotros - amapolas hermosas, hermanas - la vida del sueño y la paz del olvido”.

[Oppio del riposo che germoglia tra le pietre del Camino della Castiglia,

che diffonde il balsamo della gioventù,

tra orazioni e pensieri silenziosi...

Spero che il sangue che sgorga dal tallone e dalle clavicole sia per voi - papaveri belli, fratelli - la vita del sogno e la pace dell'oblio.]

(Anche Sarah risente del Camino, ha problemi al tallone e alle clavicole, a causa dello zaino).

Nel messaggio Sarah mi scrive anche di una località chiamata San Bol, <<dove il tempo si ferma del tutto. Avrei potuto stare qui per mille anni e viverli come fossero un solo giorno>>. Scrive di una sorgente dove bagnarsi... quanti luoghi incantati sul Camino! In fondo capisco coloro che lo hanno ripetuto più volte e mi hanno confessato che non era mai lo stesso, non solo a livello interiore, ma anche paesaggistico.

 

Così, pensando, sognando e immaginando,  poco dopo raggiungo di buon passo Sebastian, il vecchio pellegrino che, non avendomi riconosciuto da lontano, aveva iniziato a tirare per evitare che un gruppo lo raggiungesse. Una salitina è bastata per seminare il gruppo e agguantarlo rapidamente. E’ incredibile come in salita io renda più che in piano, per non parlare della discesa che mi distrugge.

E’ felice di vedermi e di concludere insieme quest'ultimo tratto sino a Hontanas tra i campi di grano, di papaveri e di lenticchie.

Anche lui, come Luigi, mi esprime il suo disappunto per la corsa agli alberghi da parte di certi “pellegrini"; per di più alcuni imbrogliano perché saltano i tratti più duri prendendo autobus o auto. Alcuni suoi amici viaggiano così e lui se ne vergogna. L'aspetto triste della faccenda è che spesso i veri pellegrini che arrivano per ultimi non trovano posto negli alberghi. Poi ci sono i ciclisti che in fondo sono sportivi e vivono emozioni differenti.

Insomma i pellegrini sono pochi, dopo un po' si conoscono tra loro e si guadagnano il rispetto degli altri. Come già molti mi hanno detto di aver sentito parlare di me in qualche racconto serale, così a me è successo per altri. Del resto non è poco quel che ci accomuna. Il Camino è un'impresa che si vive in solitudine con se stessi, ma che non è individuale, in verità si è parte di un tutto.

 

Dal taccuino: <<Oggi è stata dura, ma bello; ho deciso di fermarmi in questo meraviglioso albergo del pellegrino a Hontanas a 30 chilometri da Burgos. 40000 passi sotto il sole, altro che 2300 calorie. Ho incontrato nuovamente i vecchi compagni di Roncisvalle: Hermas, Marcos, Ivan e altri Brasiliani. Ora riposo>>.

Il rifugio è di gran lunga il più bello che abbia visto sinora, un'antica casa in pietra completamente ristrutturata con tanto di pavimenti di vetro per mostrare gli antichi resti sottostanti. Anche il pueblo è delizioso, sarà che quando io e Sebastian l'abbiamo visto abbiamo gridato insieme: "Terra!", dopo ore di navigazione in quell'immenso mare verde.

Hermas, arrivato dopo un po', vuole proseguire sino a Castrojeriz, ma io suggerisco di aspettare che i nuvoloni in arrivo scarichino il grosso. Per di più devo far riposare la gamba destra: il problema non è affatto risolto.

Hermas prosegue e in effetti non piove sino a tardi, ma fermarmi in questo posticino delizioso mi consente il riposo necessario.

Arriva anche Marcos che però, avendo trovando il rifugio al completo, va in una dépendance insieme al gruppo brasileiro.

 

Tre unghie dei piedi nere per il sangue coagulato! Inutile illudersi: se non è il ginocchio è il tibiale, se non è un polpaccio è una vescica, un'irritazione da sfregamento o una botta.

La campana ha dato nove rintocchi e io sono già a letto. Devo far riposare la gamba, con il dolore fisico non si scherza, soprattutto se si crede di poter tirare avanti in queste condizioni per altri cinquecento e più chilometri.

La cena con un gruppo di vecchi Baschi dal passo rapido e con Rosa & Laureci, le due ragazze di Paraná in Brasile, che avevo già conosciuto ma non ricordo dove, è stata gradevole. Figuratevi una giovane brasiliana che canta i classici del folclore napoletano nonché Giuseppe Verdi. Il Camino de Santiago non finisce mai di sorprendere. Oggi abbiamo incrociato un ragazzo di queste parti che due giorni fa si è messo in viaggio in bicicletta, con la sua chitarra sporgente sul portapacchi a mo' di coda, in direzione opposta, destinazione Roma. Tipo per nulla sportivo, ma entusiasta del lungo viaggio che lo attendeva, il pellegrino novello, dopo aver canticchiato un po' di classici italiani per me e di bossanova per Marcos, ci ha chiesto di abbracciare Santiago anche per lui.

Ora mi rileggo le poesie di Thomas e Yeats lasciatemi da Sarah e cerco di addormentarmi presto. Fortuna che ho incontrato Rosa & Laureci perché, a parte i Baschi che però fanno gruppo a sé, il clima in questa casa del pellegrino non è dei più calorosi, a dimostrare che non bastano le pietre antiche a dare calore ai rifugi.

Scrivo a Marzia: <<Oggi è stata dura, ma mai quanto ieri. Il corpo arranca nonostante diversi acciacchi, la psiche lo tiene in pugno, lo spirito lo rende leggero come il soffio del vento sui campi di grano>>.

 

 


3 giugno, quattordicesimo giorno: Da Hontanas a Poblacion de Campos

 

Castrojeriz è incantevole, con le galline che scorrazzano per le stradine vuote, vecchie come le case abbandonate. Due belle chiese romaniche ahimè chiuse, una gran vista sulle valli di fronte. Sono venuto fin qui con Sebastian. Parla molto, così ogni tanto gli do quei cinquanta metri che non lo umiliano, ma allo stesso tempo mi consentono di stare solo. Per di più lui si mette a cantare, il che è molto gradevole.

Tra i vari aneddoti dei suoi dieci pellegrinaggi in nove anni, racconta di un giovane sportivo che ha fatto il nostro stesso cammino in sedici giorni.

Questo pan con aceite [focaccia] di ieri mette a dura prova la mia mandibola, ma sono quasi le dieci e ho solo nove chilometri nelle gambe. Non è il caso che mi fermi a comperare viveri per la colazione.

 

Rio Pasuerga, il confine, addio Burgos, è stato bello, dura, ma bello. E ora una piccola parte della provincia di Palencia che sembra proseguire in piano.

Dopo Castrojeriz, una bella salita lunga almeno un chilometro conduce sul crinale del colle che divide il paese da una splendida valle verde. Ora capisco perché questa zona era chiamata "il granaio d'Europa".

Sulla cima incontro Ivan, il brasiliano solitario. In silenzio osserviamo l'immensa vallata attraversata il giorno prima e i nostri occhi si congratulano a vicenda. Pensieri romantici mi riportano alle leggende dei cavalieri della Tavola rotonda e tra un pensiero e l'altro il ritmo si fa costante e sicuro.

 

Dalle verdi vallate ecco sorgere nella mia immaginazione una favola dolcissima che recito per un lungo tratto, tutta in inglese. In realtà negli ultimi giorni lo spagnolo è stato la lingua predominante, ma quando sono solo - non so com'è - l'inglese mi è più spontaneo.

Arrivato a destinazione la trascrivo nella lettera-diario a Sarah: <<Dopo l’incantevole notte il pellegrino saluta il suo angelo guardandolo negli occhi. Le stelle, il sole, i fiori, tutto era lì: erano la cosa più bella che avesse mai visto. Così quando poi si guardò intorno, privo del loro riflesso, vide tutto spento, morto.

Iniziò a camminare zoppicando in direzione di lei e dopo pochi passi vide ai suoi piedi un pezzo di stoffa nera. Lo osservò, pensò, poi lo raccolse e se ne bendò gli occhi. Sì, aveva compreso che nulla poteva più apparirgli con la luce di prima senza gli occhi di lei, nulla valeva la pena di essere visto.

Guidato dal suo bastone il pellegrino camminò per molto, molto tempo e a chi gli chiedeva della sua cecità lui rispondeva: "Non posso vedere nulla di più bello di ciò che vede la mia mente".

Il pellegrino continuò a camminare e camminare attraverso terre meravigliose che non poteva vedere: aveva un solo ricordo.

Un giorno, un giorno di sole, scendendo una collina aggrappato al suo Pablito's,  sentì un'insolita brezza nell'aria e alla domanda degli altri pellegrini rispose: "Non vi preoccupate, guardate anche per me, presto mi racconterete tutte le bellezze che avete visto e io vi racconterò le mie".

Dopo aver pronunciato queste parole il suo cuore iniziò a spingere sulle gambe e divenne così veloce che poco dopo era già lontano.

Il sole tramontava, il vento soffiava gentile sulla pelle, un profumo di fiori iniziò ad avvolgere il suo corpo stanco, assorbendo la sua anima come non era mai accaduto prima. Lei è lì!

Il nostro pellegrino le passò a fianco, sentì i profumi di tutta la natura, vide le stelle, il sole e i fiori come in quel giorno lontano. Lei era immobile, senza parole.

Incredulo, sentì la sua luce penetrargli l'anima, si fermò pochi passi oltre, s’inginocchiò da cavaliere con un ginocchio a terra e il bastone stretto nella mano destra, e un silenzio di pace s’impossessò di lui.

Una voce sommessa gli domandò: "Dove vai così rapido, mio pellegrino?".

La voce gli era tanto familiare che il nostro pellegrino capì subito il significato di quelle parole.

I suoi occhi bendati piansero pieni di devozione e disse: "Santiago, tu mi hai guidato alla metà, lascia ora che queste due metà divengano uno".

Lei non poteva sentire quelle parole interiori, ma il suo cuore pure era straripante d’amore. Si piegò di fronte a lui, così vicino al suo viso che l'energia del mondo intero fluì nel cuore provato del nostro pellegrino.

Il delicato tocco delle sue dita tra i capelli dello stremato cavaliere, il calore della sua vicinanza e le sue mani che lentamente rimossero la benda schiarendo l’oscurità nei suoi occhi ancora chiusi. Li racchiuse con i suoi tra le mani creando un tunnel tra loro e… l'intero universo vi fluiva.

Il pellegrino lentamente aprì gli occhi e gli sguardi erano di nuovo uniti. Li videro sul Camino tenersi per mano>>.

Le parole uscivano spontanee nel silenzio che mi circondava, tutte d'un fiato, ne rimasi stupito, incuriosito, sentivo che scaturiva da... dal Camino.

 

Gran mazzata questi ultimi sei chilometri. Campi di grano a perdita d'occhio, sole a picco e non un soffio di vento. Non ho visto la fontana di Itero del Castillo, dove mi ero proposto di rinfrescarmi e rifocillarmi, così ho dovuto sgropparmi fino a qui le due pesche e la banana che avevo comperato in un negozietto sulla via.

Quando si raggiungono i primi alberi e si vede la fonte si è pervasi da un senso di sollievo che, dopo le ultime forze spese per far ruotare la grande ruota che pompa l'acqua dal pozzo, sfocia in una vera e propria rinascita al veder sgorgare il fresco nettare. La coppia di madrileni arriva stringendo i denti, lei zoppica vistosamente, lui le porta lo zaino.

In questo tratto ho sentito la mancanza dell'acqua, però resto dell'avviso che un chilo di borraccia sia superfluo, mentre sicuramente opportuno si rivela il cambio di calzini a metà giornata, una panacea per i piedi che ogni tanto mi trovo a considerare con riconoscenza e mi domando come facciano a reggere così a lungo senza pause. Un nuovo felice accorgimento è l'utilizzo del bastone appoggiato dietro la schiena, all'altezza dei reni per sostenere lo zaino: riposano un po' le spalle e lavorano i tricipiti, certo per poco, ma allenandoli si può migliorare.

Dopo i Madrileni arriva anche Hermas, stremato. Stamane è salito al castello abbandonato di Castrojeriz e dice di aver visto una stanza all'interno in cui si può dormire alla grande. La vista da lì dev'essere fantastica.

Mi soffermo a considerare quanti braccianti saranno occupati in queste infinite distese di trigo [grano] per la mietitura. Oggi probabilmente sarà tutto meccanizzato, ma un tempo devono essere stati in molti. Di quanta fatica e di quanto sudore è impregnata questa terra!

Spesso durante il Camino mi capita di pensare alla fatica di coloro che in altri tempi hanno lavorato duramente nei campi o alla costruzione delle cattedrali, dei conventi, dei monasteri o delle opere pubbliche. Un giorno ne ho parlato con Hermas e Marcos e, al loro giustificato sdegno nei confronti dello stato di schiavitù in cui erano costretti gli operai e i contadini, contrapponevo un senso di gratitudine, di devota riconoscenza nei loro confronti. Mi pare che apprezzando il loro lavoro, si possa restituire qualcosa a tutte quelle anime che altrimenti sarebbero ricordate solo con compassione. Queste meravigliose opere d'arte sono il frutto anche della loro fatica, non solo dell'ingegno degli architetti e degli artisti del tempo, ricordiamoli per questo e ringraziamoli.

Mi rendo conto di tralasciare, o trattare in maniera troppo sintetica, argomenti che meriterebbero un maggiore approfondimento, ma non ho il tempo per scrivere tutto, il vissuto sovrabbonda. Così la coppia di Madrileni, la sete, il castello di Castrojeriz, la riconoscenza verso i miei piedi al cambio dei calzini, verso il bastone nel suo nuovo utilizzo e verso la manodopera del passato restano temi appena sfiorati, ma colmano la vita di pensiero del pellegrino.

Alla fonte, dopo quel tratto micidiale sotto il sole più impietoso, Hermas è sfinito, riesce a malapena a far girare la grande ruota del pozzo.

Arriviamo al rifugio di Fromista, dove il mio compagno si riprende immediatamente: la giovane pellegrina tedesca che ha conosciuto giorni prima lo accoglie con affetto. Io, come sempre, mi precipito all'ingresso per chiedere se c'è un messaggio per me, infatti: Jack sta peggio, Sarah è triste, stanca e demoralizzata, mi chiede di pregare per sostenerla. Lo faccio. Deduco dalla data del messaggio che per portarsi avanti hanno sicuramente preso un altro treno o un autobus.

Lasciamo Fromista, il paese con la più bella chiesa romanica che abbia mai visto e un albergue del peregrino moderno, ma con una atmosfera accogliente. Io ed Hermas facciamo una ricca spesa e decidiamo di proseguire fin a Población de Campos.

C'è una vecchia casa abilitata a ostello, le cui chiavi vanno richieste ad una signora gentile, anche se un po' tarda, del pueblo. Libertà totale. Siamo in cinque: io, Hermas, una coppia di francesi e Stephan, un ragazzo della mia età che ha già mille chilometri nelle gambe e intende percorrerne altri duemila via Santiago, Fatima e poi Roma via Monte Bianco. Poi terminerà i due anni di noviziato che ha iniziato sette anni fa, e potrà quindi celebrare la parola di Cristo.

Tendo a non lasciarmi sopraffare da pensieri negativi nei confronti dei francesi, mi sembra poco consono al Camino, però sarebbe come distogliere lo sguardo dalla realtà non rilevare il loro pressoché totale isolamento in gruppi che non si degnano neppure di salutare in spagnolo come fanno tutti. Così al posto di Buen Camino ripeto spesso Au revoir o bonjour. Indubbiamente le eccezioni ci sono, per lo più si tratta di pellegrini solitari. Ma queste sono sciocchezze, il canto del Camino prevale su tutto. Come scrivo a Marzia: << E’ meraviglioso, sotto tutti i punti di vista! Sterminati campi di grano che sotto il vento incantano la vista dell'anima: onde verdi che salgono e scendono su lievi colline e io che le attraverso incredulo, affascinato>>.

Dal taccuino: <<Oggi perfetto, a parte un paio d'orette in ginocchio. Trentotto chilometri, 51678 passi. E ora cena per almeno 3000 calorie>>.

La pioggia m’immerge in un profondo senso di pace, Hermas lo avverte, così come avverte il mio pensiero lontano. Mi dice: "Non temere, lei ti aspetterà, questa non è roba da poco!" Le parole dell’amico consolano il mio cuore. Il profumo dell'erba bagnata, la sinfonia delle gocce sul tetto della casetta, il severo sibilo del vento nell'oscurità chiudono i nostri occhi.

 

 

4 giugno, quindicesimo giorno: Da Población de Campos a Carrión de los Condes

 

Questa notte lampi e fulmini, oggi è tutto coperto, se non piove si cammina alla grande. Sarah e Jacob sono ormai oltre León. A causa dei problemi di Jack hanno dovuto servirsi di autobus e treni per proseguire. Che Dio li protegga, mi mancano.

La poesia, la poesia è sempre intorno a noi, la poesia è in noi. Hermas ha espresso or ora un'immagine squisitamente poetica. Un pioppeto di fronte a un campo di grano. Le onde formate dal vento sulle spighe fanno pendant con il fruscio delle foglie il cui suono ricorda il rifrangere dell'acqua sulla riva del mare.

Ci siamo incantati sull'immagine meravigliosa di due paesaggi che si sovrappongono nonostante un acquazzone in arrivo.

Più volte ho vissuto simili immersioni, fresche sorsate di fantasia che dissetano la psiche oppressa dai raggi del sole che infuocano dissidi e paure.

 

Lasciamo Población de Campos dove ho cambiato la giacca. Quella che avevo trovato giorni or sono appoggiata agli arbusti assieme a un maglione rosso, lasciato poi ad Azofra, è rimasta appesa all'attaccapanni nella casetta-rifugio di Población de Campos e adesso indosso questa meraviglia della tecnica, assai più leggera e resistente all'acqua, anche se spero di non doverla sperimentare subito.

Più volte ho assistito a cambi di indumenti durante il Camino. Molti lasciano felpe, pile, maglioni o giacche, libri, bende, farmaci e altro nei rifugi per alleggerire gli zaini o per il gusto di donare qualcosa che li ha accompagnati fin lì; e che probabilmente accompagnerà il Camino di un altro. Indossare abiti di altri pellegrini è un po’ come portare con sé oggetti cari affidati da chi il Camino non lo può fare, o magari lo ha iniziato e ha dovuto abbandonarlo per problemi di varia natura. Questa giacca equivale al libretto di foto di Santiago de Compostela affidatomi da Ivan a Milano. Tutto è parte dell'economia del Camino, tutto si muove nella medesima direzione, di cui la fratellanza è immediata manifestazione.

 

Da Población de Campos a Carrión de los Condes, dove teoricamente termina la tappa che ci siamo prefissi oggi, ci sono due percorsi possibili, uno a lato della carretera, l'altro, più all'interno. Naturalmente abbiamo optato per quest'ultimo che ben presto si è rivelato un sentiero al limite del riconoscibile a causa dell'erba alta che costeggiava il rio Ucienza.

Dopo circa tre chilometri ha iniziato a piovere, in crescendo. Devo dire che la nuova giacchetta ha retto bene.

L'erba alta ci ha completamente inzuppato i pantaloni, il terreno nel giro di poco tempo è diventato fangoso, scivoloso, al limite della praticabilità. Ma il vero "scherzo" erano i fossati a lato del rio, discese a picco di circa due metri e mezzo con immediata risalita. Hermas ne ha fatta una col sedere, io aggrappato ad arbusti e puntando il fedele bastone di Pablito. Eravamo preoccupati per le due coppie di tedeschi di una certa età che seguivano. Ora fortunatamente siamo tutti e sei al riparo sotto la protezione dell’Ermita de la Virgen del Rio, al freddo, ma al coperto nel patio.

Il paesaggio è cupo, malinconico, rilassante; se non fosse per il freddo ci si potrebbe adagiare qui per ore. Si mangia qualcosa, Hermas si fuma un cigarillo, io scrivo e il cielo lentamente si schiarisce. Fra poco ci rimettiamo in viaggio.

 

Infreddolito, ma dopo un ricco pasto, eccomi steso nel sacco all'albergo di Carrión de los Condes. Sono le tre e non so se proseguire per altri diciassette chilometri o se fermarmi a riposare tutto il giorno in vista dei trentotto che mi aspettano domani. Più ci si avvicina alla meta e più sono le facce che si conoscono (a parte qualche ferito rimasto per strada) giacché le tappe riportate nelle varie guide sono pressapoco identiche.

I Francesi stanno sulle loro, i Brasiliani sono troppi, i Tedeschi quasi tutti in là con gli anni. A volte certi pellegrini, specialmente i gruppi, sembrano più turisti che ricercatori dello spirito.

Marcos è rimasto indietro, ma probabilmente entro sera ci raggiungerà; abbiamo avuto sue notizie, è poco lontano. Ivan prosegue il suo Camino solo, discreto, cordiale quanto basta, credo eviti accuratamente la confusione  dei suoi connazionali festaioli. Hermas invece ci va a nozze nonostante capisca poco o niente il portoghese. Anche Sebastian è qui con il suo amico che mi offre aiuto in caso di necessità visto che lui si sposta in auto. Molti altri volti conosciuti e sconosciuti che hanno la loro storia da raccontare.

La sera nelle case del pellegrino, dopo una sana doccia, un po' di riposo e una cena in compagnia, riprendono i racconti e l'intimità tra noi si fa sempre più intensa, ma durante il giorno, tra le interminabili distese di grano sotto il sole a picco, la psiche impone il suo gioco, ora è lei la protagonista e tende a cedere prima del corpo.

Bisogna reggere la monotonia paesaggistica, l'assenza di stimolo in mezzo a questo mare verde, bisogna tenere a bada i pensieri nefasti, i sentimenti... E’ chiaramente una fase complessa del Camino. Come del resto lo è l'aspetto psicologico nel quotidiano.

Ma il pellegrino è solo con tutti, è solo quando s’inchina al Santo protettore, è solo quando cammina, è solo per necessità. E’ una solitudine che va intesa nell'intimo del proprio essere e quindi è compenetrata di socialità, di fratellanza, di amore.

 

A Villacazar de Sirga apprezziamo un altro gioiello dell'architettura romanica. Ad ogni ingresso sotto questi magnifici portali sono colto dalla meraviglia che da secoli colma il pellegrino quando entra nei luoghi a lui più cari e congeniali: le chiese. Il tempio, che spesso psicologicamente incute soggezione, timore del Divino, qui offre sempre un senso di grande libertà. Qui nessuno può disturbare, qui è la casa.

Scrivo a Patrick: <<Amico mio, i paesaggi, gli incontri, le avventure, le emozioni che sto vivendo lungo il Camino maturano in me una profonda devozione nei confronti della vita, della libertà. Sì, perché questa è una via verso la libertà che è patrimonio di ognuno di noi, ma che noi soffochiamo per una presunta convenienza, per la comodità>>. Il tema della libertà quale realtà e, allo stesso tempo, ideale del Camino, man mano che mi addentro nella sua essenza, diviene sempre più impellente in me, a livello pratico, vissuto. Più si è attenti a cogliere il reale al di là della sola materia, più si è liberi, è un dato di fatto e il Camino lo evidenzia in continuazione.

 

Fra i pellegrini sono sempre più numerosi quelli che saltano tappe prendendo autobus a causa di magagne varie: vesciche, tendinite, problemi alle ginocchia e ai piedi. Del resto è comprensibile che voglia arrivare alla meta anche chi ha scadenze e che quindi non può permettersi soste. Certo è che il pellegrinaggio non dovrebbe essere condizionato dal tempo, altrimenti si rischia di perdere l'aspetto più arduo, ma pure il più importante, e cioè la possibilità di immergersi nella dimensione offerta dallo spirito. Meglio piuttosto accettare l’abbandono, che pure può essere parte del Camino.

Ma di tutti questi "pellegrini" quanti colgono il contenuto più profondo? Quanti non limitano il sacrificio al solo ambito fisico? In fondo che importa, ognuno arriva dove può, dove gli è concesso arrivare e in ogni caso ne trarrà giovamento. Sarà che oggi, entrato in una fase difficile del Camino, sono un po' "invidioso" della comune allegria… Ho patito le pene fisiche, ho accettato compromessi per reggere la pressione psichica e ora giunge la fase più dura, quella che non ti dà tregua.

Domani sarò a metà del Camino. Se supero questa prova sentimentale, la più dura, cosa mi attenderà poi? Ahimè sono lontano da quel colle, il sentiero si fa impervio e sembra non finire mai, forse se chiudo gli occhi e salto...

 

Sono proprio nei guai, il dissidio interiore riguardo a Sarah si fa sempre più opprimente, i suoi messaggi non mi danno nessuna consolazione: il dubbio, il grande nemico dell'anima, si prende gioco di me. Le scrivo: <<Oggi acqua, me la sono presa comoda, ho visitato splendide chiese. Improvvisamente il mio Camino è cambiato: ho perso uno dei due nobili ideali, te ne sei andata e ormai non sarò più in grado di riprenderti a meno che tu non mi aspetti. Un camminare differente, un'altra energia, il giorno nuvoloso rispecchia perfettamente il mio stato d'animo...

Ho bisogno di sentire la tua voce, devo sapere se ciò sta avvenendo anche in te>>. Il dubbio satanico, fuorviante, compromette il Camino, ecco la grande prova psicologica. Eppure la pena non mi preclude il vivere intensamente le continue esperienze.

Scrivo a Patrick: <<Non trovo le parole per descrivere ciò che forse non è descrivibile, posso solo dirti che mai ho pianto tanto frequentemente in vita mia: il cuore è messo a dura prova, tutto avviene nei meandri dell'anima e ciò che si manifesta all'esterno è pure meraviglioso. Amore, amore allo stato puro, amore senza frontiere, amore gratuito. Si può, è possibile, basta volerlo ed essere pronti a sacrificare tutto per il più nobile degli ideali.

Il pellegrino cammina, osserva, interiorizza e traduce in sentimento ciò che il mondo gli offre, sentimenti che poi restituirà compenetrati del suo amore. Il pellegrino cammina, apprezza, non giudica, riceve i doni del suo Signore e si prepara a donarli a sua volta>>. Scrivo a Davide: <<Questo lo rende un cammino religioso nel senso più elevato: fede in se stessi e predisposizione assoluta verso il prossimo>>.

Mi rendo conto che le parole possono apparire dottrinali, pesanti, ma che posso farci, è il solo strumento che mi consente di comunicare con voi amici>>. No, non è "il solo", infatti poco dopo scrivo: <<...io posso solo trasmetterti parte dell'Amore che mi compenetra ogni giorno di più>>. Questo è il vero strumento, le parole sono solo uno dei tanti mezzi per esprimerlo. Sento l'esigenza di cercare di spiegare, così ancora a Patrick: <<Il pellegrino cammina su tre livelli dell'essere: quello fisico faticoso, spossante; quello psichico: duro, a volte impietoso; quello spirituale: idilliaco, puro. Quanto più lo spirito è forte, tanto meno i due livelli inferiori possono danneggiarlo; la fermezza psichica e il benessere fisico dipendono dall'alto, è da lì che si deve operare!... Ma ahimè, per quanto io scriva ciò che cerco di offrirti va al di là del pensiero, al di là del sentimento, ma è al centro dell'amicizia>>. Scrivo poi a Daniel: << E’ veramente un viaggio su tre livelli: quello fisico...; quello psichico che sostiene il primo, che richiede decisione, fermezza e costanza; e quello spirituale, che decide l'esito del tutto, che ti sorprende costantemente e ti mostra il Camino passo dopo passo, pensiero dopo pensiero, emozione dopo emozione>>. Infine a Marzia: <<Sui tre livelli dell'essere si svolge il Camino e a tutti e tre bisogna provvedere affinché abbia un buon esito>>.

Insomma ne ho scritto in tutte le salse, ci ho provato in tutte le lettere, perché credo che sia di fondamentale importanza cogliere la naturale tripartizione insita nella viva esperienza del Camino de Santiago de Compostela.

 

Dal taccuino: <<Oggi acqua a catinelle e riposo qui a Carrión de los Condes dopo solo 24250 passi, ovvero diciassette chilometri>>.

Il rifugio è pieno: chi lava, chi cucina, chi mangia, chi legge, chi scrive, chi riposa, chi chiacchiera e chi osserva. Questa sera io osservo. Sento un affetto particolare per i pellegrini, spesso mi riconosco in loro, provo curiosità per i loro racconti, gioia nel sentire pulsare un sol cuore tra tutti noi. E pensare che la vita è sempre così, e se le lacrime di gioia e di stupore per tanta delizia non scendono è solo perché siamo distratti e non la cogliamo.

 

 


5 giugno, sedicesimo giorno: da Carrión de los Condes a Sahagún

 

Stamattina sono una iena, mi sono buttato giù dal letto alle sei meno dieci senza esitare e ho spronato Marcos ed Hermas che - devo dire - non hanno fatto storie, anche se nutro qualche dubbio sul fatto che Marcos non si sia rigirato nel sacco.

Oggi, con l'aiuto di Santiago, potremo arrivare a Sahagún, un paese, a detta delle guide, ricco di storia e di arte. Del resto ogni passo lo è stato.

Negli ultimi giorni lascio fluire senza inibizione qualche intercalare come "con l'aiuto di Santiago", "dove c'è concesso arrivare", e scorgo persino nelle nubi la mano di Santiago, o della Provvidenza. Ho sempre indugiato con un certo imbarazzo nell'adottare espressioni di cui il cattolicesimo si è appropriato per secoli, poiché non credo nella fede cieca come strumento che consenta all'uomo moderno di collaborare con il mondo spirituale, non credo nell'efficacia della petizione per se stessi, quindi nella staticità di tutto ciò. Qui sul Camino de Santiago, sulla via del cristianesimo del futuro, è la dinamicità e la continua azione dentro e fuori di noi che avvicina sempre più il pellegrino al Regno dei Cieli, al Nirvana buddhista, al Samadhi indú, insomma al mondo spirituale di cui siamo parte. Alla conquista di questa consapevolezza, cui tanti maestri hanno indirizzato i loro discepoli, conduce il Camino. E’ una via iniziatica dei nuovi tempi, tuttavia non più occulta, ma alla luce del sole, accessibile a tutti quelli che sono disposti ad accettare i sacrifici da sempre richiesti dalle discipline. E’ una via nuova per l'evoluzione spirituale dell'umanità del nostro tempo.

Credo che la "tradizione" del Camino de Santiago de Compostela abbia poco a che vedere con l'esperienza del pellegrino contemporaneo, perché le forze che oggi lo spingono sono ben diverse, non più limitate al sentimento mistico, ma, pur compenetrate da esso, si sviluppano nel pensare. Così leggo il Salmo, come pure l'"orazione della notte", la "preghiera del mattino", il "Padre nostro" con un'intensità che non proviene solo dal sentimento, dal cuore, ma che scaturisce dalla presa di coscienza, direi logica, delle verità che vi trovo espresse e la continua conferma.

Gli intercalari di cui faccio uso indicano quindi l'attivo operare nell'anima del pellegrino di una forma di fede non cieca bensì spontanea immanente la realtà del Camino. La certezza che ogni passo è voluto dall'alto, dall'alto del nostro Essere: la totale mancanza d’indugio nelle decisioni prese durante il Camino ne è una chiara espressione.

Io che potrei restare mezz'ora davanti alla cella frigorifera di un supermercato per decidere il tipo di yogurt da comperare, qui anche di fronte alle scelte più improbabili, non ho mai il minimo dubbio: so sempre esattamente ciò che devo fare, ciò che voglio, tanto che spesso mi sorge la domanda se sia io a volere o se da lassù mi è imposto.

Sento chiaramente la presenza di una guida indefinibile, occulta ai miei sensi, che mai però mi ha fatto dubitare del mio libero arbitrio; potrei convincermi che è un’illusione, per timore piuttosto che per comodità, dicendo: “in ogni modo sono io a decidere”, ma sarebbe un negare la realtà, che pur non essendo sensibile è reale come quella materiale.

 

Oggi metto il turbo sui tre livelli e nonostante sia poco preparato e ancora molto debole sul terzo, ci proverò. L'obiettivo ultimo, the goal, è sempre e solo uno perfettamente e semplicemente espresso da San Francesco nella sua preghiera: "Signore, fai di me uno strumento della tua pace". E’ questo a mio avviso l'ideale più nobile, un ideale che comprende la propria salvezza in funzione della salvezza altrui. Se il termine "salvezza" suona troppo ecclesiastico si può parlare di autorealizzazione, Nirvana, Samadhi, pace assoluta, felicità o libertà. Come disse il Buddha: "Che importa come la chiami? Una rosa profumerebbe con qualsiasi altro nome".

I primi s’incamminano, altri, acciaccati, salutano, non ci raggiungeranno a Sahagún; io, in attesa dei due compañeros, scrivo.

E’ curioso sbirciare gli altri che si preparano: si scoprono trucchetti interessanti come fasciature e particolari cure preventive ai piedi o follie come quella della tedesca con la classica bottiglia di vetro per borraccia. Adesso però inizia ad esserci troppo casino, è ora di andare.

Acquisita una certa padronanza fisica e stabilità psichica do un'ultima collaudata alla nave e al timone. E’ ormai chiaro che ben presto dovrò concentrare tutte le mie attenzioni sul timoniere.

 

Il test di tenuta per un tratto no stop di ventiquattro chilometri in piano è andato a buon fine. Mi sono praticamente “iniettato in vena” 560 grammi di ananas in scatola che sento già scorrermi nel sangue come succo rigeneratore, e ce l'ho fatta.

Il fisico ha retto bene da quando, dopo pochi chilometri, ho indossato i sandali. Il processo di ascolto spontaneo del corpo è a buon punto, calibro automaticamente il peso in funzione delle risposte che ricevo dal ginocchio sinistro in primis, dalla pressione sulle dita dei piedi e dalle vesciche. A proposito, se n’è formata un'altra sul tallone destro, sopra la vecchia, penso di dover intervenire sui calzini.

A livello psichico sono pure soddisfatto: ho tenuto a bada i pensieri nefasti e ho retto la monotonia paesaggistica di oggi. Fuorché quando ho rivisto "il mare"; sempre lo stesso verde per chilometri e chilometri. Dopo ore di cammino vi ero in mezzo e l'orizzonte a nord, a sud, a est e a ovest era tutto uguale.

Il gioco delle nubi aiuta molto il pellegrino in questi lunghi tratti aperti.

Ecco il gruppo di tedeschi che ha lasciato l'albergo prima di me: devono essersi fermati nel villaggio precedente perché non ricordo di averli superati nel Camino.

Forse coprire queste lunghe distanze senza soste e a passo sostenuto è una forma di competizione che niente ha a che vedere con la figura del pellegrino, ma io so bene che se di sfida si tratta è solo con me stesso, non tanto per dimostrarmi all'altezza, quanto perché ritengo di dover dare il massimo su tutti e tre i livelli. Quello fisico è chiaramente il più semplice, però serve da spinta agli altri due. Anche se del terzo, come ho già detto, è del tutto inutile parlare. In fondo, non si tratta neanche di sfida con me stesso - sono cosciente che solo grazie all'umiltà posso affrontare e superare le prove richiestemi dal Camino - né di voler dare il massimo: è l'inevitabile flusso del Camino.

Lascio alle spalle Hermas, Marcos, Dulce e Ronaldo, i brasiliani e tutti i pellegrini partiti da Carrión de los Condes perché… così doveva essere. Ogni luogo, ogni incontro coince esattamente con i tempi dettati dal Camino, con determinate esperienze da compiere. Oggi dovevo essere solo e infatti, nonostante l'affiatamento con Hermas e Marcos, li ho lasciati indietro, cosciente che potrei non incontrarli più. Sapevo, sentivo che ciò corrispondeva esattamente alla dinamica del Camino. Mi rendo conto di poter sembrare fatalista, o si potrebbe pensare che in realtà sia io a far sì che tutto coincida alla perfezione, e sarebbe auspicabile, perché significherebbe che sono in totale sintonia con questa via, ma so bene che non tutto è merito mio. Il vero apporto, che spero di continuare a fornire al Camino, è lo stato di attenzione alla vita che scorre davanti a me. L’imparare a viverla.

Da Lédigos per ora è tutto, per di più sento tuonare verso ovest.

 

Il temperamento impetuoso è un ostacolo duro da superare. Ahi, ahi, ahi  pellegrino, non ti devi lasciar provocare, nulla deve ostacolare la tua cortesia e la buona predisposizione nei confronti del tuo prossimo. Ne hai ancora di strada da fare pellegrino! Eh sì, è proprio vero, il temperamento impulsivo e battagliero non deve più sfociare nell'azione. Lo devo dominare con la consapevolezza e l'umiltà di chi cerca la via dello spirito.

Ecco, anche nel Camino il Marcello irruento in balia dell'istinto, dell'ignoranza, della povertà di spirito. Esperienza utile, molto utile!

Ne scrivo a Davide e a Marzia: <<Stava per abbattersi su di me un temporale quando valico una collinetta, e cosa vi trovo appena dopo? Terradillos de los Templarios, un paesino microscopico con un antico monastero apparentemente abbandonato. Sul retro, alla base della torre, una porticina scassata semiaperta. La tentazione è forte come il vento che precede l'acquazzone: così, spinto dai primi tuoni, mi intrufolo là dove gli antichi detentori di verità superiori secoli or sono entravano per suonare le campane e annunciare al mondo che lì ci si muoveva in cerca delle verità occulte ai più.

Tre piani di scale in legno strette e pericolanti lungo le pareti interne della torre mi dividono dalla cima. Entro in un meraviglioso stato di sogno che mi trasporta nell'XI secolo, presso l'antico Ordine del Tempio. Lento, appoggiato al mio bastone, senza neppure togliermi lo zaino, mi avventuro su quei gradini sempre più suggestivi. Il vento rende tutto ancor più mistico, mi sprofondo in quell'atmosfera stratificata di antica saggezza esoterica di un tempo. Raggiungo la cima, la cima del mondo, i campi di grano sono frastornati dal vento, il cielo è scuro, i tuoni rimbombano dappertutto>>.

Su quelle scale così ricche di mistero la mia immaginazione mi porta al tempo in cui il grande Ordine iniziatico custodiva misteri secolari, quando quelli che si definivano "dall'intelletto sano" erano impegnati nell'indagine dei mondi spirituali, quando il suono di queste campane annunciava riti solenni e tutto assumeva un significato profondo e occulto. Insomma mi lascio vincere dalla tentazione e, trasportato dall'impeto, lassù nel cielo le suono in memoria dei grandi maestri dell'Ordine del Tempio.

Nonostante non ci abbia dato dentro di santa ragione come avrei voluto, un paesano bello infuriato mi risveglia dal sogno gridandomi di scendere immediatamente. Non voglio destarmi del tutto, così, ancora per metà nell'XI secolo, riprendo lentamente le scale e, assaporando il profumo della prima pioggia, lascio che la magica torre mi doni tutto quel che sono in grado di ricevere prima dei, ben più terreni, calci in culo del campesino.

Passo davanti al burbero scortese e infuriato che immediatamente inveisce su di me. A quel punto l'Ordine del Tempio mi ha abbandonato del tutto: continuando a passo lento gli rispondo pacatamente a tono, al che ne sbuca un altro ben più imbestialito del primo, che rincalza la dose e io, sempre senza fermarmi, anziché tacere (o, meglio ancora, scusarmi) gli rispondo con aria beffarda. Mi rendo conto subito dell'errore, ma il burbero è ormai fuori di sé e accenna a corrermi dietro, io non mi volto e Santiago mi concede di proseguire evitandomi il penoso contatto fisico.

Ora sono nel rifugio del paesino del misfatto, dopo un gran bell'acquazzone è tornato il sole e, nonostante i paesani non mi abbiano perseguito, riprendo subito la via verso Sahagún.

 

E’ fatta, anche Sahagún è presa. Ho dieci ore di cammino quasi consecutive nelle gambe e sono fresco come una rosa. L'ostello è splendido, è una chiesa romanica sconsacrata e completamente ristrutturata in legno. Ahimè, scopro che i "pellegrini" in auto, autobus e treno sono numerosi, eccoli tutti qui belli freschi e docciati in attesa di noi altri.

Ehi, guarda un po' chi arriva a poco più di mezz'ora dal fulmine (che sarei io)? La giovane tedeschina tanto apprezzata dal buon vecchio Hermas a Fromista.

A proposito, ho dimenticato di raccontare un aneddoto simpatico: ieri alle porte di Carrión de los Condes, Hermas è salito su un muretto per sbirciare quelli che, vista l'insegna, avrebbero dovuto essere cavalli e invece si rivelarono due fanciulle in bikini. Mi aggiorna su quello che io, dato il sole a picco, considero un miraggio e mi convince a farci sotto con la scusa di un po' d'acqua per due poveri pellegrini assetati. A dirla tutta la scusa dell'acqua l'ho sfornata io, "il pellegrino modello".

Le due abboccano, poco dopo si apre la porticina e constatiamo subito l'abbaglio: sbucano due bambine con due bottigliette d'acqua, la più grande avrà avuto tredici anni! Ci dissetiamo, ringraziamo, salutiamo e... grandi risate.

 

Ho preso una decisione importante: spedire a casa di Daniel a Barcelona gli scarponcini. Dopo un'accurata verifica ho appurato che non vi è modo di evitare che mi facciano male al tendine del tallone sinistro che è irritato fin da Roncisvalle, per non parlare dei due pollici e dei due medi divenuti color viola. Mi restano solo i sandali, l'unico problema potrebbe sorgere con la pioggia, ma ho pensato che posso tranquillamente inzupparmi i piedi sino al primo rifugio, non è poi così grave.

Assieme alle scarpe devo eliminare anche uno dei tre libri che con il diario costituiscono circa il trenta per cento del peso totale dello zaino. Sarò una piuma, da domani volerò.

Oggi lascio la provincia di Palencia per il lungo tratto di León che, suo malgrado, viste le frequenti scritte indipendentiste sui muri, è parte della Castiglia.

Dopo la pianura ecco finalmente alcune dolci collinette da cui ogni tanto sbuca un paesino. Paesaggio incantevole anche perché sono tornati sole e vento, e i campi di grano hanno ripreso le loro danze.

Per alcuni chilometri el Camino viaggia parallelo alla statale, anche se è realizzato ad hoc per noi pellegrini, con tanto di aiuole ai lati. A volte un autista o un camionista dà un colpetto di clacson e saluta: l'ho sempre trovato un gesto affettuoso e gratificante. Sanno bene che siamo pellegrini e hanno un pensiero rivolto a noi. Ed anche se fosse: "ma guarda un po' 'sti fessi che si sparano ottocento chilometri a piedi per andare ad abbracciare una statua", hanno comunque un sentimento di rispetto nei nostri confronti. In definitiva, quanti più ne incrociamo tante più energie positive traiamo dai loro sentimenti consci e inconsci. Sto enfatizzando? Potrebbe sembrare che mi faccia un po' prendere dall'ottimismo a tal punto che anche i tratti di cammino sul ciglio della statale mi sembra si rivelino propizi all'anima, eppure ci credo davvero, anzi ne sono certo.

Hermas e Marcos devono essersi fermati a dormire all'addiaccio, forse li vedrò domani; invece Sebastian è qui, il vecchio peregrino non molla.

Scrivo a Marzia: <<Ora vado a ritirare la biancheria stesa che nel frattempo si è presa un acquazzone, poi ceno e per le dieci sono a letto. La tabella di marcia oggi è arrivata a 7 a.m.-5 p.m. per un totale di 40 chilometri. Ho raggiunto uno stato di forma ideale, riesco a sentire ciò che il mio corpo ha da dire e questo rende tutto più semplice. Ci sono volute due settimane di sofferenze...>>.

La tedeschina avvenente cena con Dulce e Ronaldo, Alberto e la moglie escono a cena con Sebastian e io mi scaldo cipolle e fagioli alla John Wayne, un avocado alla Castaneda, pane e formaggio all'italiana. Ceno da solo anche se una coppia di Belgi o Francesi si siede di fronte a me e m’invita a un’interessante conversazione che smorza il subbuglio della mia mente, rilassando l'anima prima del notturno viaggio astrale.

Dal taccuino: <<Giornata mitica, forma strepitosa, 40,3 chilometri per un totale di 56142 passi. Sahagún, metà strada è fatta. Altri quindici giorni come quelli trascorsi finora sarebbe troppo, mi accontenterei della metà delle emozioni vissute>>.

 

 

6 giugno, diciassettesimo giorno: Da Sahagúna Mansilla de las Mulas

 

L'ufficio postale apre alle otto e trenta, ho potuto quindi prendermela comoda: ho ciondolato per le vie ancora fresche della cittadina, il cui risveglio è stato un lento processo mai osservato prima con tanta attenzione.

(Nella scatola che ho spedito a Daniel distrattamente ho messo la lettera sotto il libro, così aperto il pacco il mio amico vede le scarpe, un liro e il portafoglio e quasi scoppia in lacrime).

Undici chilometri dopo, a Bercianos del Real Camino, mi succede un altro episodio curioso. Non so bene per quale motivo esco dalla via indicata per recarmi al rifugio di questo paesino, visto che sulla credenziale non metto più timbri se non dove dormo e che con grande probabilità alle undici del mattino il rifugio è chiuso. Invece Henri, un affabile signore di Tolosa, sulla sessantina abbondante, con tanto di Mercedes nuova parcheggiata fuori, mi riceve a braccia aperte e mi racconta come l'anno scorso ha chiesto di poter fare l'hospitalero in un rifugio dopo il suo terzo Camino consecutivo. Chiacchierando salta fuori che due giorni fa ha sentito due pellegrini parlare di me. Ho subito pensato: Jacob e Sarah! Ma com'è possibile che siano passati di qui se hanno preso il treno sino a León? Anyway è stata una sosta molto gradevole.

Una nuova vescica comparsa sul tallone destro mi disturba non poco; ciò potrebbe aggravare l'irritazione del tibiale e la tendinite che ho scoperto essere spesso una diretta conseguenza proprio delle vesciche. Il dolore provocato da queste, infatti, fa sì che istintivamente si carichi maggiormente l'altra gamba, già sotto pressione, infiammando tendini e muscoli nei punti dove sono più sottili e meno allenati, generalmente all'altezza della tibia. Dovrei andare a piedi nudi, chissà quanto ci vorrebbe prima di abituarmici. Non nego di esserne tentato.

Oggi mi sono trovato in una simpatica situazione già vissuta con Carlos il giorno prima di arrivare a Burgos: mi sono buttato in mezzo a una mandria di pecore che avanzavano spaventate di fronte a me.

Un altro straordinario aspetto della vita del pellegrino è che non ci fai mai l'abitudine, è sempre tutto nuovo. Nuove situazioni, paesaggi, incontri, ma anche sentimenti, emozioni, nuove pecore. Che figata essere pellegrino!

 

Oggi la preghiera del mattino non l'ho recitata in una chiesa o dinanzi ad un portale, ma sotto una croce sul Camino, sotto il sole della Castiglia, tra i campi di grano.

Ora sono a El Burgo Ranero, seduto per terra e appoggiato al muro di fango e paglia di quest’albergo del pellegrino, con lo stomaco in fiamme e il naso che mi cola per la cipolla sbranata a spicchi or ora. Oggi non sono previsti incontri ravvicinati.

Il sole picchia, ma anche oggi Santiago è stato benevolo con noi e ci ha offerto quest'arietta fresca di montagna che proprio non riesco ad immaginare da dove provenga. Basterebbe guardare una mappa, ma io preferisco restare in totale balia delle cose e me ne rallegro, perché un simile atteggiamento sicuramente agevola l'apertura interiore.

Anche qui solo gli uccelli rompono il silenzio tra le vecchie case di fango. Dall’uniforme massa marrone dei muri fuoriesce la paglia che è stata impastata con il fango. Case caratteristiche, semplici, povere. Un passero m’invita a seguirlo, le “galline francesi” in arrivo mi convincono del tutto a ripartire.

Ehi, pellegrino, come ci si sente soli in mezzo ad un mare rosso e verde senza fine con tre palline omeopatiche sotto la lingua che ti danno la sensazione di dolce?

Eh sì, questo tratto è psicologicamente tosto: una fila interminabile di alberelli che sanno di presa in giro, visto che l'ampiezza delle foglie crea circa dieci centimetri quadrati d’ombra irregolare.

Chilometri e chilometri di alberelli, oltre una collinetta, o meglio una leggera contropendenza, bramo la novità e niente, ancora chilometri e chilometri di inutili alberelli. Mi rallegra pensare che fra qualche anno i pellegrini potranno giovarne non poco.

I campi di trigo si alternano a distese di terra rossa, arata da poco. Lo sguardo si perde all'orizzonte o si confonde con le tegole di un villaggio lontano fuori dal Camino.

Il sole scotta, ma c'è sempre un'arietta fresca che, senza nulla togliere all'intercessione di Santiago, viene dai monti che cominciano a vedersi in lontananza, ammesso che non si tratti di un miraggio.

Che pace! Lo sguardo e l'udito sono liberi di percepire il tutto, mentre il gusto è sempre alle prese con le palline omeopatiche di arnica.

Vi è un'altra categoria di viandanti che mi sento di escludere dall'albo del pellegrino: quelli che lasciano o gettano per terra fazzoletti di carta, sacchetti, lattine e simili. Il pellegrino rispetta l'ambiente, ama la natura ed è sempre attento a non urtare l'altrui sensibilità... “proprio come ho fatto io ieri a Terradillos de los Templarios!”. Forse dovrei tornare a porgere le mie scuse a quel signore. Mi limito a farlo con il pensiero.

Ho incrociato su questa via "trafficata" ben due coppie di tedeschi che facevano il Camino al contrario. E’ curioso come lo spirito imponga ciò che non si può comprendere con il povero intelletto. Come a molti non passerebbe neppure per l'anticamera del cervello di incamminarsi lungo questa via, così io non ho mai neppure preso in considerazione l'ipotesi di intraprendere il Camino al contrario. Ma come si può dare un verso al Camino? Ogni direzione è quella giusta, è sempre e solo l'impulso che conta, è lo spirito che la indica.

 

Reliegos, ore 16.36. Mi verrebbe da ripetere che questo tratto è stato il più duro, ma preferisco tacere onde evitare di dovermi ulteriormente aggiornare. E’ meglio che in seguito m’informi se ci sono altri tratti così lunghi senz'acqua, in modo da portarmene appresso. Anche perché non so quanto sia salubre prosciugare una fonte bevendo sino a quando ti manca il respiro.

Do un'occhiata al quadernone dell'albergo e vedo solo Francia, Francia, Francia, Brasile, Brasile, Brasile, un Germania e Spagna qua e là, il primo italiano risale a dieci giorni or sono.

Oltre ai quadernoni dove gli hospitaleros registrano tutti i pellegrini che si fermano a dormire, in ogni rifugio naturalmente vi è un quaderno dedicato ai pensieri che i pellegrini gradiscono lasciare. Leggerli mi conferma che siamo in tanti a vivere forti emozioni ed esperienze profonde, e la sensazione di condividere con tutti un simile tunnel d'amore è meravigliosa.

In questo villaggio ci sono i  resti di una chiesetta con un campanile o, meglio, una torre tutta di fango e paglia con un nido di cicogne sulla cima, notevole!

Lungo tutto il Camino si leggono scritte di indipendentisti del León. Peccato che questi graffiti, "León libre", "León sin Castilla", "Solo León" eccetera, siano generalmente spruzzati con bombolette spray su colonne che sostengono croci, o su pietre con la conchiglia impressa poste in segno di buon augurio per il pellegrino.

Un aspetto folcloristico comune a tutti questi paesini è l'arrivo, la mattina, del venditore ambulante che porta pane e beni di prima necessità. Da uno di questi ieri ho comperato il quintale di ananas che mi sono iniettato dopo la lunga tappa. Devo dire che, nonostante il fastidioso rumore metallico dei clacson, sono ben forniti.

Oggi nel Camino pensavo alla mia amica Caterina che mi ha guarito la spalla prima di partire. Devo dire che il suo intervento ha funzionato alla grande, tenuto conto che la spalla era la mia principale preoccupazione sino alla vigilia della partenza, quando appunto Caterina me l'ha sistemata. Mi sono dimenticato di chiederle se si trattasse di pranoterapia, o reiki.

 

Mansilla de las Mulas: accoglienza superlativa! Non faccio in tempo ad entrare nel rifugio che già mi piazzano i piedi a mollo con sale e aceto in attesa del “l'intervento chirurgico”. In effetti l’aver applicato un pezzo di cerotto antivescica sopra una vescica senza prima averla bucata, pulita e disinfettata, non è stata una grande idea. Così ora sono nelle mani di Laura che, dopo avermi redarguito, dice di voler aggiungere “caglio e peperoncino nella tinozza per fare dei miei piedi un ottimo formaggio piemontese”.

Laura è una giovane ragazza che, se ho ben capito, vive qui, accudisce i pellegrini, lavora a tempo pieno con gli hospitaleros che si susseguono nell'albergo e soprattutto contribuisce a creare un clima piacevole, allegro e intimo al tempo stesso. Dopo il prodigioso intervento di Laura sulla mia vescica, documentato anche da fotografie dei presenti, sono passato nelle mani dell'hospitalero che mi ha sistemato per le feste con un deciso massaggio distensivo sui muscoli induriti della gamba infiammata. E’ un tedesco sui cinquanta la cui genuina dedizione al suo ruolo è ammirevole. Anche lui scherza, se pur con contegno molto tedesco, mentre aiuta tutti i malconci, che non sono pochi. L'atrio è una specie di ambulatorio da campo dove la brillante coppia si destreggia perfettamente tra un degente e l'altro. Situazione che si deve ripetere tutti i giorni.

Pellegrini nuovi, volti diversi, ma con la stessa luce, un'atmosfera allegra che oggi io apprezzo solo dall'esterno; sono pensoso e malinconico questa sera. Mi sento molto provato e spero di essere giunto all'apice della dura fase psicologica, che in ogni modo trascina con sé anche i disagi fisici.

Scrivo a Sarah: <<Ho chiamato praticamente tutti i rifugi, ho lasciato messaggi, ma niente. Va bene così, è parte del mio Camino. Oggi ho capito che il punto non è come si svilupperà questa fiaba; ciò che realmente conta è l'impulso autentico di puro amore scaturito dal mio cuore. Questo è reale anche senza la tua partecipazione, anche se il sogno non diverrà realtà, il mio amore è qualcosa che dividerò con il mondo intero. Per di più ti dico pure che quel sogno diverrà realtà!>>. Si tratta di un'importante presa di coscienza, forse sto iniziando a reagire, sto aprendo gli occhi, so bene che è tutto parte della prova. Sono ormai cosciente che ciò che sto vivendo è come un concentrato di tutta la mia vita. Scrivo a Davide: <<E’ difficile trovare le parole per descrivere l'esperienza più straordinaria della propria vita. Ora qui con i piedi a mollo in acqua, sale e aceto, con quattrocento e più chilometri nelle gambe, nella mente, nel cuore e nell'anima ci proverò...

Si può a ragione definire una via interiore, dove la solitudine si esplica nelle relazioni, negli incontri, nelle avventure che il Camino continuamente ti offre. Senza pause come se si stesse vivendo al massimo e dove le prestazioni richieste sono elevate su tutti e tre i livelli>>.

Sono tutti così cortesi qui, è come una grande famiglia, mi ricorda Estella, oh Estella. Ma io, anziché partecipare alla loro cena comune, alla loro allegria, ai loro racconti, sono qui solo, in cucina, a scrivere ciò che il mio cuore deve buttare fuori e questo è il sistema che mi è più congeniale. Sono già le nove e quaranta e la festa è appena iniziata, ma io terminerò la mia lettera e andrò a letto, domani intendo iniziare presto.

Ma arriva Stephane, il futuro prete che ha ancora da fare duemila chilometri di pellegrinaggio, forse di più, e mi chiede l'indirizzo per spedirmi la foto che mi ha scattato durante l’intervento "chirurgico" di Laura sulla mia vescica. Mi ha fatto piacere, ma non sono ugualmente in vena di party. Come sono sicuro e deciso sul da farsi sul piano fisico, ormai sotto controllo nonostante gli acciacchi, così sono oppresso dal peso psicologico della meravigliosa fiaba con Sarah. Altro che le prove psicologiche delle soste obbligate o della monotonia paesaggistica, briciole rispetto al sentimento che freme dentro di me.

Dal taccuino: <<Altri 51435 passi da Sahagún a Mansilla de las Mulas; il contapassi segna 37 chilometri, ma c'è chi dice che sono 41 e anche le guide dicono la loro. Ma sono i passi che fanno testo>>.

A proposito delle guide e di Laura, un divertente aneddoto rende l'idea della poca affidabilità delle prime e della simpatica sfacciataggine della seconda: Un giorno arriva a Mansilla un giornalista che stava preparando una guida del Camino. Il malcapitato chiede a Laura quanti chilometri dividono Mansilla da un pueblo poco oltre e Laura, che ha capito non trattarsi di un pellegrino, ma uno di che vuole speculare sul Camino, con la sua formidabile faccia tosta gli dà un'informazione dettagliatamente sbagliata. Beh, oggi la guida riporta la distanza farlocca di Laura.

Termino la giornata scrivendo a Davide: <<Sono già le dieci di sera e domattina vorrei incamminarmi intorno alle cinque e mezza, così da arrivare a León per le dieci, fare un giro in città e scappare fuori, tornare nei campi con il sole alle spalle, sempre verso ovest, verso Santiago. Dopo Pamplona e Burgos, León sarà la terza ed ultima città che attraverso da pellegrino prima di Santiago. E’ strano, e sempre un po’ squilibrante l'impatto con la città vista con gli occhi e il ritmo del pellegrino. E’ un'esperienza sconcertante perché rivedi te stesso non pellegrino. Ma perché non si può restare pellegrini tutta la vita? Per il comodo vivere? Perché siamo schiavi del sistema? Mio Dio, Davide, che senso di libertà, di purezza, di realtà in questa dimensione!>>.

 

 

7 giugno, diciottesimo giorno: Da Mansilla de las Mulas a Hospital de Orbigo

 

León, Plaza Santa Maria del Camino, curiosamente silenziosa, solo lo sgorgare dell'acqua della fontana, due grossi alberi al centro della piazza, una chiesa antica, una croce nuova, la pavimentazione in sassi e una casetta in un angolo con un portico di vecchie travi di legno che sorreggono il piano superiore, architettura già vista anche ieri a Mansilla.

Oggi alle porte della città mi sono fermato presso la sede della Caja España (la Banca di Spagna) e ho chiesto alla guardia se aveva una penna da dare in omaggio a un pellegrino. Ci siamo lasciati ambedue felici.

Sono entrato in città cantando e anche la periferia ha acquistato un gradevole profumo. Non so perché sono così felice; e pensare che la mattinata è iniziata non certo nel migliore dei modi: ho zoppicato per circa cinque chilometri prima che il muscolo della gamba sinistra si scaldasse quanto basta per far fronte al disagio del ginocchio. Indubbiamente il problema permane ed è bene che lo segua con cura, per esempio con un buon riscaldamento muscolare prima della partenza.

In compenso l'intervento di Laura mi ha risolto il problema della vescica sotto il tallone. God bless her [che Dio la benedica].

Ho notato che non solo i francesi, anche se loro in special modo, tendono a isolarsi fra loro, ma anche altri gruppi formati da persone dello stesso paese. Del resto è inevitabile che i costumi, le tradizioni e la lingua che ci legano favoriscano la formazione di piccoli nuclei a sé stanti. Questo però non si confà all'ideale del pellegrino. El Camino de Santiago trascende tutti i limiti spazio-temporali, figuriamoci quelli nazionalistici. Per questo sono sempre più convinto che il Camino vada intrapreso da soli. Incontrando connazionali, o questi si rivelano persone senza pregiudizi e aperte ad accogliere tutti gli altri influssi, come ad esempio Marcos, oppure si rischia di fare comunella e indebolire il valore dell’esperienza. Devo dire che con gli italiani non ho corso rischi, ma in fondo sono contento di non averne incontrati molti, anche se mi dispiaccio della carenza di impulsi rivolti verso questo cammino nel mio paese d'origine.

Condividere tratti del Camino con compañeros conosciuti durante il pellegrinaggio è però fondamentale, soprattutto quando pensieri poco graditi o stati d'animo poco felici tendono a prendere il sopravvento. E ciò è da mettere in conto quando si cammina per tante ore ogni giorno. Socializzare è uno dei pilastri su cui poggia la prova psicologica; la carica, il conforto, il calore umano sono di fondamentale importanza.

Ricordo la mattina in cui Hermas, a cinque chilometri circa da Burgos, ha realizzato che non poteva più portare tutto quel peso sulle spalle e che doveva spedire qualcosa a casa. Impaurito dal fatto che non avrebbe incontrato un ufficio postale nel primo pueblo, si era convinto di dover tornare in città. Si trattava chiaramente di un cedimento psicologico, basti pensare che quello zaino se l'era portato sulle spalle per più di quattrocento chilometri. La presenza di Marcos e mia ha indubbiamente semplificato la situazione, non solo perché ci siamo proposti di alleggerirlo dividendoci il peso qualora non avessimo incontrato l'ufficio postale, ma soprattutto perché lo abbiamo aiutato a ritrovare la fiducia in se stesso. Del resto dopo tanti giorni di faticoso cammino e di totale immersione in una realtà così diversa è prevedibile qualche cedimento.

Incitandolo ad aver fede nella Provvidenza, canzonavo il povero Hermas angosciato gridandogli: "Hombre de poca fe!". All'ingresso di Tardajos ci dissero che non vi era alcun ufficio postale. Alché lui mi gridò: "E adesso dimmi, hombre de mucha fe, che faccio io?". Dopo pochi passi entriamo dalla simpatica panettiera di Tardajos, la quale c’indirizza presso il comune dove era predisposto un servizio postale. Santiago non poteva certo tradire la mucha fe.

 

Penso di non essere più in grado di scrivere. Sono le dieci di sera e avrei molte cose da dire, a partire dalla città di León che mi resterà sempre nel cuore, lungo cinquantadue chilometri di emozioni troppo forti per un sol giorno. Le terrò per me, ora devo riposare.

Ma che riposare, come posso?! Partiamo da León: la silenziosa piazza dove mi sono fermato a scrivere è adiacente al monastero benedettino delle suore Carbajalas, dove sapevo che poche notti prima avevano sostato Sarah e Jack perché in precedenza, tra i vari tentativi di mettermi in contatto con loro via cavo, ero riuscito a parlare al telefono con le suore. Sicuro del messaggio che mi attendeva, entro già bello carico e felice. La suora con passo lento e composto mi accompagna di sopra, l'albergo era ancora chiuso. Cerca, non trova niente; le chiedo un po' insistentemente dei miei due amici, non ricorda, rincaro la dose e ad un tratto, "sì, sono partiti stamattina!". Insisto affinché mi permetta di guardare in tutti i posti possibili dove potrebbero avermi lasciato un messaggio. Non stavo nella pelle, ero al settimo cielo, erano ad un solo giorno di cammino da me e mi sentivo fisicamente in forma strepitosa, li avrei raggiunti! Nel refettorio, niente e nelle stanze neppure. A un certo punto percorro un lungo corridoio ed ecco un tabellone adibito ai messaggi. Ci siamo, un foglietto piegato con il mio nome sopra, lo apro quasi senza assaporare il leggero fremito che ogni volta mi procurano i fiorellini imbastiti con il filo colorato che mi lascia tra le poche righe e lo leggo d'un fiato.

Mi precipito, saltellando dalla gioia, alla chiesa di San Marcelo che Sarah mi ha indicato nel messaggio, poi è la volta della cattedrale, tutto bellissimo, ma uno sguardo e via.

Nel messaggio mi scrive che con il salto in treno del giorno prima dubita che ci incontreremo nel Camino e termina in italiano: "Che peccato!". Ma il primo numero della data è un 6, il messaggio è stato scritto ieri sera, ciò significa che mi precedono di mezza giornata, questa sera saremo di nuovo insieme!

Mio Dio quanti pensieri: come spiegare a Jacob di noi? Come saremmo stati insieme? Era tutto così fantastico e strano al tempo stesso.

Già mi preparo mentalmente il film del mio arrivo al rifugio dove avrei scritto su un foglio: "Never say   [Mai dire] 'che peccato'", glielo avrei mandato in camera da un pellegrino e se avessi trovato una chitarra, o anche solo con la voce, al loro arrivo gli avrei intonato le prime note di Redemption song. Che enfasi, mi vedevo la faccia di Jacob, sentivo l'abbraccio di Sarah. Ero al settimo cielo.

Attraverso diversi villaggi a passo deciso e brucio chilometri e chilometri sotto il sole, vado a battiti cardiaci.

A Villadangos del Paramo inizio ad averne quaranta nelle gambe, ma sono solo ventuno da León, quindi niente messaggi: non possono essersi fermati lì, devo continuare.

Gli ultimi dodici li accuso fisicamente: tutto ha un limite, ma ormai niente può fermarmi.

Il sentiero è piano, arido, con alcuni tratti sull'asfalto, il sole impietoso, inizio ad accusare netti cali di pressione, ma l'idea è una sola ed è fantastica. Fisicamente sto bene a parte verso la fine un leggerissimo rigonfiamento, dato dall'eccessivo sforzo, dell'adduttore posteriore della coscia destra che però tengo sotto controllo. Guido il mio corpo come una splendida Ferrari messami a disposizione per questa gara, per questa vita.

All'ingresso del paesino le frecce gialle deviano dal Camino come per andare alla casa del pellegrino, è fatta, sono ancora vivo, mi butto sotto una fontana e chiedo a due anziane del borgo dove sia il rifugio. Mancano ancora cinque chilometri: le frecce sono state messe dai gestori di un bar per far passare di lì i pellegrini assetati. Che botta! Scende l'adrenalina, pensi di essere arrivato e ti manca un'ora, anzi a fine giornata di più, perché il ritmo non è più quello del mattino. Cinque chilometri interminabili.

Finalmente arrivo a Hospital de Orbigo, un signor ponte in pietra di chiara origine romanica m’immette nel paese. Il cuore è a mille, le gambe a zero. Incontro subito un gruppetto di pellegrini spagnoli e domando dei miei due amici, uno li conosce e mi dice che non possono essere lì perché li ha visti diversi giorni fa a León e a quest'ora devono essere molto più avanti.

Aggrappato al mio fedele compagno di viaggio mi si accende la lampadina, riprendo in mano il messaggio di Sarah, rileggo la data: 6.3.2000, ovvero June 3, 2000.  Sono passati tre giorni dalla loro permanenza a León.

Rimango immobile, non so che pensare, che dire, che fare... che botta!

Vado in uno dei due rifugi, scarico lo zaino e senza neppure sedermi un attimo mi dirigo alla cabina telefonica per riprovare a mettermi in contatto con lei. Eh sì, siamo proprio arrivati alla fine della grande prova psicologica, ora o dentro o fuori, ora pellegrino o schiatti o fai il salto. Guarda caso per la prima volta la trovo, dopo aver chiamato per giorni case private, bar, comuni, negozi poiché i numeri dell'elenco dei rifugi datomi a St-Jean-Pied-de-Port erano pressoché tutti vecchi, finalmente la sua voce.

Ma è proprio la sua voce che mi dà il colpo di grazia. Come le scrivo poco dopo nella lettera/diario: <<Una delle lezioni più dure della mia vita! Dopo cinquantasei chilometri portato per mano da Santiago stesso, al di là del dolore, al di là del corpo, solo per vedere i tuoi occhi... Dall'altra parte della cornetta la classica voce allegra da superficial american kid [Ragazzina superficiale americana]>>.

Poche parole, ma soprattutto il tono di voce mi hanno chiarito all'istante che lei non è sulla mia stessa lunghezza d'onda, che non solo ho intrapreso "l'eroico cammino cavalleresco" da solo, ma non vi è nessuno ad aspettarmi, non vi è destinazione, non vi è fine.

Un'altra frase, forse due, non so più che dire, ormai il colpo è inflitto, è il crollo totale, dispero e le scrivo: <<Ho ciccato malamente e il peggio è che nel fondo del mio cuore ancora non posso crederlo. Razionalità!? Sì è il fondamentale strumento di difesa psicologica nella nostra società, è l'assassina della spregiudicata azione romantica, ma tutto questo non ha niente a che vedere con il Camino>>. E invece sì che ha a che vedere con il Camino: ora il Camino mi chiede proprio di tornare con i piedi per terra. Il Camino è come la vita, in cui tutto muta in continuazione: saper accogliere il cambiamento è un indice di saggezza.

Il Camino mi ha permesso di sprofondarmi nel romanticismo di una relazione quasi immaginaria, ha messo duramente alla prova le esigenze sentimentali affinché si temprassero su quel terreno infuocato. Mentre scrivevo a Sarah la brace era ancora ardente, le fiamme dell'ego non mi consentivano l'obiettività che sola mi permette di riprendere in mano le redini del mio sentire, ormai in balia di se stesso.

Eppure nello scorrere della penna me ne rendo conto, così continuo: <<Che stupido! Sarei dovuto restare con Hermas, Marcos e gli altri anziché correre dietro a un sogno. Ma la fiaba era così reale, ero effettivamente un cavaliere che combatteva dentro di sé, contro gli spiriti del male per la sua dama. Scusa Marcello, per averti strapazzato il cuore così tanto>>.

Il corpo è sfinito, ma il cuore di più, mi sono nutrito appena, proprio perché dovevo; sono già le dieci e se il tempo si è fermato a Roncisvalle, qui anche lo spazio ha perso senso di esistere.

 

Dal taccuino: 77659 passi, 56 chilometri, 4109 calorie per una follia di cuore.

 

 


8 giugno, diciannovesimo giorno: Da Hospital de Orbigo a Rabanal del Camino

 

Eccomi giunto a un punto cruciale del Camino. Se dovessi suddividere questo diario in capitoli questo avrebbe come titolo: “La presa di coscienza”. Sento chiaramente di essere dinanzi a un nuovo inizio. Il sacrificio psicofisico ha raggiunto il suo apogeo; era necessario affinché potessi entrare nella terza e ultima fase del Camino. Dovevo toccare il fondo per poter superare questa seconda fase e accedere al “libro del mio Camino” che si è schiuso alla mia coscienza sveglia in una lunga notte insonne.

Spente le luci della stanza, al primo gagliardo russare del tedesco, il libro è apparso nelle profondità del mio essere e una mano dal cielo ne ha liberato i sigilli. Il libro del mio Camino è diviso in tre capitoli. Per poter accedere al terzo mi è dato di dover conoscere i primi due.

Avevo intuito l'importanza dei tre livelli del Camino, il loro viaggiare paralleli, ma non avevo ancora compreso il loro esplicarsi in periodi differenti del Camino. E come potevo senza averli prima vissuti?

Il primo, il livello fisico: tutta la prima parte del pellegrinaggio, dal punto di vista temporale e spaziale-paesaggistico, è stata una preparazione del corpo, un'immersione nella figura del pellegrino. L'adattamento fisico con le conseguenti prove di resistenza, la sofferenza, il sacrificio sono stati compensati da indimenticabili scenari di montagne e colline verdeggianti. La Navarra, che meraviglia!

Ho superato la prova tenendo duro, nel senso che ho creduto sino all'ultimo in ciò che volevo. Prova non terminata, anzi interminabile. Eppure ho raggiunto l'acme della prova, toccando il culmine del dolore fisico, quando non ero più in grado di muovermi, e i due amici mi hanno portato lo zaino. Allora ho toccato il fondo e ho imparato ad ascoltare, e pian piano a gestire il mio corpo.

I due giorni di sosta a Navarrete hanno dato inizio alla prova psicologica: l'attesa da un lato ha ripristinato il fisico, dall'altro ha dato il via alla tappa successiva. L'interruzione ha segnato l'inizio di una fase ben più impegnativa di quanto potessi immaginare.

Entravo nella seconda fase del Camino e il paesaggio si faceva ogni giorno più piatto, più arido, più pesante nell'anima: iniziavano i campi di grano, le colline si abbassavano.

La leggenda, il sogno, la favola prendevano il sopravvento e tutto era così deliziosamente intimo e dolce.

Vivevo la brama, se pur brama d'amore, che illude l'uomo di poter progettare il futuro, di potersi tenere stretto il conquistato, non comprendendo che nel “conquistato” c'è molto di donato. Le forze ostacolatrici approfittavano dell'incertezza, del cedimento, della brama appunto, e il dolore fu straziante. Soddisfo il mio bisogno di buttarlo fuori nella lettera interminabile a lei, a Sarah, l’ispiratrice del sogno che da quella notte incantata sotto la pioggia avevo deciso di rendere reale.

Il corpo non fa che obbedire all'anima, che vuole raggiungere colei che è divenuta il secondo e nobile ideale del pellegrino-cavaliere solitario. Hermas, Marcos, Carlos, Sebastian... avrei potuto proseguire a lungo con loro e invece no, eccomi qui a molti chilometri di distanza dai miei amici e sempre più vicino a lei. Ecco la forza che mi spingeva sotto il sole senza soste, che ieri mi ha portato quasi a perdere conoscenza. La psiche può tutto sul corpo, se è ferocemente motivata.

Ma proprio ieri, al termine delle infinite pianure, alle pendici di nuove colline che ben presto si alzeranno sempre più, all'inizio della terza fase del Camino tocco nuovamente il fondo. Non solo non trovo Sarah come credevo, a causa dell'euforica e affrettata lettura della data sul messaggio lasciatomi a León, ma le parlo finalmente al telefono. E’ in un rifugio a tre giorni da me e il solo timbro di voce, già il suo Hay [Ciao] mi stende, il sogno è terminato: apro gli occhi, ma non vedo, così li richiudo per trattenere la dolce favola che aveva cullato la mia anima per tutta la seconda lunga fase del Camino.

Le parole si perdono, non connetto praticamente più, hanno spalancato le finestre e non posso più sognare, devo tornare nel mondo. Così torno al rifugio, m’impongo una cena con un etto di formaggio, dieci olive, tre noci e un misero pezzo di pane e m’infilo nel letto.

Di notte tutto ha inizio di nuovo, ho accesso al libro della verità, apro veramente gli occhi, la luce è soave e... ora mi sento ancora un po' più uomo.

Tre gradi di iniziazione alla vita: questo è il Camino, tre stadi che l'uomo deve continuare a riprendere all'infinito, tre doni scesi dall'alto dei cieli.

Un aspetto di estrema importanza di questo viaggio nei meandri dell'essere è la gratitudine al mondo spirituale, senza il cui appoggio, senza la cui direzione nulla è possibile. Questa è un'autentica percezione che il pellegrino ha lungo il suo Camino. Come nel passaggio tra la prima e la seconda fase, ora al diciottesimo giorno, alle soglie della terza fase, al pellegrino è dato di comprendere la parte del libro fin qui vissuta, di avere accesso alla realtà, in modo da poter essere accolto nello spirito che, come un timoniere, governa la psiche e il corpo.

Pochi giorni di cammino mi dividono dai monti, affinché anche a livello temporale tutto coincida alla perfezione.

Ora lascio questo crocevia trafficato e privo di fascino in cui il destino ha voluto che scrivessi queste pagine importanti e m’incammino verso la terza fase, di cui non mi è dato sapere.

 

Mi sento leggero, sereno, nuovo. La mente sembra non pesare più, la coscienza di ciò che vivo ora alleggerisce persino lo zaino, il passo si è fatto delicato, preciso, saggio. Sano sotto tutti i punti di vista, è come se iniziassi un nuovo pellegrinaggio sullo stesso Camino.

Ho appena comperato yogurt, pan Bimbo, latte condensato, arance e dolcetti vari al supermercato alle porte di Astorga, quando dopo neppure un chilometro vedo il cartello merendero. Quale miglior posto per fermarsi a fare colazione?!

 

L'ingresso ad Astorga attraverso la periferia è naturalmente piacevole visto il mio stato d'animo. Canticchio, e questa volta la gioia proviene dall'amore per Chi lassù mi ha schiuso i pesanti sigilli. In un negozietto della periferia mi soffermo a chiacchierare con la piacevole señora che ha viaggiato in Italia ed è interessata al Camino. Mi dirigo quindi alla Cattedrale, la meta classica del pellegrino nelle città.

 

Mio Dio, ma che hanno fatto di questa splendida cattedrale! Un museo con tanto di spettacolo annesso. Ho dovuto lasciare il mio bastone fuori e sono stato tentato a non entrare per non separarmene, ma ora sono contento che non sia qui con me, almeno una parte del pellegrino non assiste a questo scempio. Un luogo, un tempo sacro profanato da pannelli, impianti stereo, video, moquette e sedie dal design moderno che nulla hanno a che vedere con la struttura della chiesa. Addirittura hanno proiettato su dei pannelli ai lati dell'altare un'immagine della Vergine che, muovendo le labbra, pronuncia una storia d'Israele a mo' di kolossal. Alle anime che secoli fa hanno ideato e costruito questo portentoso tempio chiedo perdono in nome della nostra civiltà moderna.

Non si ha il diritto di "sconsacrare" un luogo frutto di enormi sacrifici realizzato per rendere omaggio proprio al Sacro. Anche ammesso che la chiesa non serva più per le funzioni religiose, resta pur sempre un luogo la cui sacralità dev’essere rispettata.

Certo, il Cristo è ovunque, ma laddove è stato a lungo venerato ha sicuramente lasciato un’indelebile impronta spirituale, percepibile a chi vuole ascoltare, e che, anche grazie alla devozione dei fedeli, si è impressa nel luogo fisico oltre che nei cuori; “Perché dove sono due o tre riuniti in mio nome, ci sono io in mezzo a loro” (Mt. 18,20).

La presenza del Cristo in noi può prendere forma nell’opera dell’artista che crea compenetrato dall’impulso creativo dell’Io superiore, del Cristo stesso che opera in lui. Quando poi raffigura il Cristo uomo, Gesù Cristo come gli si presenta alla coscienza, come pura espressione della sua percezione interiore, allora la Sua luce traspare dall’opera e irradia tutte le anime disposte a riceverla. Di tutte le croci medievali viste in questo museo solo una mi ha offerto quest'impressione: piccola, alta non più di trenta centimetri, in legno, semplice, con il Cristo morente proprio come lo sentì chi la scolpì. E’ conservata in una struttura moderna in vetro, non so altro.

 

E’ l'inizio della terza fase e anche il paesaggio è completamente mutato dopo Astorga: in me si fa largo una nuova esigenza.

Come mi è successo a Terradillos de los Templarios, quando vedo una scaletta che sale su un campanile non so resistere, così eccomi qui di nuovo in cima, sotto un sole che spacca le pietre, e con un vento da non poter tenere il cappellino in testa. M’impongo di non scampanare. Non so come si chiami questo borgo, certo è che si respira già aria di montagna, a me tanto familiare.

Le case vecchie, tutte strette le une alle altre, non più in fango e paglia, ma in pietra, con le finestre piccole lasciano intendere che qui in inverno non si scherza.

Il mio povero ginocchio stamani è andato meglio del solito, ho sì zoppicato per sei chilometri, ma con meno dolore del solito, poi, una volta scaldato il muscolo, tutto ok. In compenso due nuove vesciche si sono formate sotto i mignoli, sopra le due preesistenti: e siamo a quota sei.

Guarda un po' chi ti vedo in lontananza, il gruppetto di francesi avanti con l'età incontrati ad Astorga che pian pianino sono arrivati fin qui, ma bravi...

Oggi durante il cammino mi sono fermato un istante per prendere un tubetto di granuli di Arnica dallo zaino e un brasiliano passando, credendolo un accendino, mi dice: Muy mal, muy mal. Io lo guardo con aria alquanto stupita e lui ripete aggiungendo: “No se tiene que fumar durante el Camino” [Non si deve fumare durante il Camino]. Chiarito l'equivoco si sghignazza un po' come quando, poco dopo, si è fermato lui a bere dalla borraccia e io passando gli ho chiesto: “whisky?” e lui “No, wodka”. Che simpaticoni sti pellegrini!

Tra un passo e l'altro oggi mi è balenata l'idea che nella regione di León un tempo ci potrebbero essere stati i leoni giacché tutti quei campi di grano sono coltivati grazie ad una massiccia opera di canalizzazione creata dall'uomo chissà quanto tempo fa. Prima doveva essere una vera e propria savana, secca e arida dove felini, gazzelle, giraffe e zebre potevano vivere come in Africa. Sarà che il sole e il vento mi hanno rimbecillito per bene.

Sono le tre, ho ancora almeno nove chilometri fino al primo rifugio, tappa prevista per la giornata. Ora mi sbaffo un dolcetto, un'arancia e riprendo la via.

 

Che farci se un altro campanile viene a tentarmi? Altro borgo, altra scala in legno traballante ed eccomi qui in cima a El Ganso, mentre il villaggio di prima - ho scoperto - era Santa Catalina de Somoza.

Ahimè, è sorto un altro problema motorio. Dopo il gonfiore di ieri sul muscolo posteriore della coscia destra, ora il tibiale sinistro presenta gli stessi sintomi del destro, peraltro apparentemente risolto. Subito Arnica in pomata e tre palline omeopatiche, ancora alla 7CH. Sulla fiducia che ho in Gabriele e Alessandra che mi hanno riempito di tubetti.

Pensavo poco fa che al mio ritorno tutti mi chiederanno: "Com'è andata? Che ci racconti? Cos'hai visto, sentito e scoperto di bello e di nuovo?". Che potrò dire? Come sintetizzare tutto questo? E dire che già lo faccio nel diario, altrimenti passerei le giornate a scrivere. Non potrò certo sminuire il pellegrinaggio raccontando solo dei paesaggi e delle tante piccole esperienze, ma neppure limitarmi agli incontri, agli amici del Camino, ai fratelli pellegrini. D'altro canto, come potrò trovare in me la profondità necessaria per esprimere il vero valore iniziatico del Camino ogni qual volta mi sarà richiesto? Il pellegrinaggio per chi non lo vive resta un simbolo della via interiore. Insomma credo che farò meglio a tacere nonostante ciò possa provocare disappunto.

Ehi, ehi, ehi cosa vedo, un'altra bella vescica all'esterno del pollicione sinistro. La pressione muscolare è troppa e i miei ragazzi qui sparano fuori infiammazioni da tutte le parti. Hai voglia di antinfiammatori e Arnica, se continuo a viaggiare su questi ritmi. Noto però che anche quando guardo il paesaggio un occhio è sempre spontaneamente vigile a dove metto i piedi, al sasso da schivare, alla buca da scansare, alla contropendenza gradita al ginocchio sinistro da trovare.

Ora mi rimetto i sandali e come a Santa Catalina me ne andrò da bravo senza suonare le campane.

 

Gli ultimi chilometri prima di raggiungere Rabanal del Camino sono stati veramente duri. In compenso il paesaggio ormai è del tutto mutato, si sale tra verdi colline chiaramente premontane con alberi alti ai lati e campi variegati. Zoppicavo però così malamente che un neopellegrino (nel senso che aveva iniziato quel giorno a camminare) ha voluto accompagnarmi temendo che non sarei arrivato a destinazione. E’ esplosa la nuova infiammazione al tibiale sinistro con possibile tendinite e sono dolori.

Finalmente arriviamo a Rabanal, lui dice di saper che la casa del pellegrino è all'uscita del paese, io però voglio passare per la chiesetta al centro del borgo. Dopo un'ultima salita dolorante giungiamo alla chiesa e guarda caso, giusto a fianco, vi è un rifugio.

Una giovane hospitalera dall'accento Portoghese mi dice in perfetto spagnolo che è pieno, io non apro bocca, ma dopo uno sguardo prolungato, viste le mie condizioni, mi accoglie con calore. Il neopellegrino prosegue per l'altro rifugio, mentre io, non appena metto dentro il naso, sento gridare con grande euforia il mio nome. Sono due brasiliane che, al momento nelle condizioni in cui sono, non riconosco.

Subito ghiaccio sullo stinco sinistro e foratura delle tre nuove vesciche, poi un canto gregoriano nella chiesetta romanica. La messa cantata, celebrata da due giovani padri, è stata molto emozionante. Peccato che le mie condizioni fisiche mi abbiano in parte precluso l'enfasi.

Cena con tanto di antipasto e minestra offertami dalle due brasiliane, di cui una era stata mia ospite al risotto cucinato a Estella e, per finire in bellezza, due uova, appena covate, strapazzate.

Qui oltre a Celia, la bella in tutti i sensi hospitalera di Lisbona che mi pare di aver passato lo scorso carnevale a Courmayeur, dove vivo, ho incontrato un italiano, sui sessantacinque, una persona per bene di Milano che, grazie ad una spintarella divina è giunto fin qui.

Ormai ci siamo, qui attaccano le montagne, tutto cambia, sono pronto. Oddio tutto è pronto fuorché il fisico, deciderò domani il da farsi.

 

Ma la giornata non è finita, mancavano altri due incontri, altre due offerte, altre due dimostrazioni d'amore vero, gratuito, disinteressato: Paveu (Paolo in polacco) viene a piedi da casa sua, un paese a milleduecento metri in Polonia, a oltre tremila chilometri da qui. E’ diretto dove lo porta il destino, forse a Fatima, ma prima lavorerà un po' come carpentiere in Spagna. Paveu ha pressapoco la mia età circa, è un giocatore di rugby e si vede, ma non un centrale, bensì di quelli che scivolano via con la palla in mano, come tiene a specificare con una mimica veramente fantastica. Beh, Paveu mi ha tenuto per una buona quarantina di minuti veramente sull'attenti, con un massaggio degno di un giocatore di rugby. Ho visto le stelle!

Abbiamo ovviamente attirato l'attenzione dei circa venti pellegrini che sostano qui questa notte. Io ero ancora una volta la vittima. Grazie, Paveu, grazie di cuore.

E non finisce qui, è la volta di Patricia, maestra delle elementari di Santiago del Cile, minuta, sulla quarantina che mi offre un altro massaggio, del tutto differente dal primo. Mi sdraio a pancia in giù sulla panca di legno e lei subito mi sussurra all'orecchio che il suo massaggio è accompagnato da un'orazione, io entro in sintonia e inizia la comunicazione. Le sue mani delicate scivolano morbide sui muscoli rigidi e pesanti della mia gamba. Il delizioso canto che intonava mi rilassava ulteriormente. Sale poi lungo la schiena e arriva alle spalle, beccato il problema cronico! Sento che si ferma a lungo lì e mi dice che tutto accade sul mio lato destro, perché il mio timore giunge da mio padre. Incredibile, perché ora come ora ho problemi su ambedue le gambe, ma la sua sensibilità è andata oltre, dritta alla radice, all'origine di tutto e non solo corporea.

Da sempre quando il mio organismo patisce è solo a destra: caviglia, ginocchio, polso, quadricipite, mignolo e spalla. Tutto sempre e solo a destra.

Non che non me ne fossi reso conto prima (la mia formazione americana di marketing & management non era arrivata a negarmi anche questo), ma non avevo certo individuato il ponte paterno, "il timore", come lo chiama Patricia, la mancanza d'amore ereditata nei geni, nel corpo. In effetti mio padre ha chiaramente sofferto tale mancanza.

"La mancanza d'amore si risolve solo dando amore", dice, e aggiunge "l'amore di cui abbiamo bisogno ci giunge dal Signore". Anche lei ha questo problema, però dal lato materno: i suoi bisnonni sono emigrati in Cile dalla Navarra e lei ora ha scoperto che la nonna da piccola deve aver sofferto molto il cambiamento, perché in quella terra magnifica Patricia continuava a piangere, buttava fuori il timore, il pianto della nonna bambina giunto sino a lei.

Così devo andare alla radice del mio timore, tutti - credo - dovremo, e la cura nel frattempo, dopo e sempre è amare, donare e donarsi. Tuttavia bisogna prima arrivarci alla radice del timore, anzi prima bisogna sapere di avere un timore. Dobbiamo insomma diventare analisti di noi stessi, dobbiamo imparare ad ascoltare la nostra psiche oltre che il nostro corpo.

Patricia, come Paveu, hanno rappresentato due esempi di espressioni differenti dell'Amore universale che ci rende tutti uno.

 

Dal taccuino: Ieri deliravo, ma mi reggevo in piedi, oggi pago tutto e dopo solo 48877 passi sono bloccato di nuovo. Tappa da 35, c'è chi dice 39, chilometri che mi ha fregato alla fine.

 

 

9 giugno, ventesimo giorno: Da Rabanal del Camino a Manjarin

 

Io mi fermo qui! I found heaven! [Ho trovato il paradiso!] Sono quasi le nove del mattino, il vento ancora scuote gli alberi del rifugio, l'aria è fredda, la notte ha piovuto e le nuvole sono ancora fitte, quasi tutti i pellegrini sono in cammino, solo una è ancora qui, anzi lì, in chiesa, inginocchiata dinanzi al nostro maestro, il Cristo. E’ Patricia che vive il suo Camino.

Qui la mattina i pellegrini trovano le tavole imbandite con tutto il necessario per una ricca colazione, non chiedono nulla, qui offrono e basta. Come mi dissero nei pressi di Jaipur, in India, al centro Vipassana: "Chi ha lasciato un'offerta prima di te ha già pagato per te".

Può l'uomo vivere così? Sì! Ma allora perché il Divino non si mostra ovunque in questo modo? Il Signore è in ciascuno di noi, solo che troppo raramente ce ne rendiamo conto e facciamo appello al nostro Io superiore, rivolto a Lui.

Ieri sono rimasto a parlare con Celia fin verso le due di notte, quando il forte vento ha spento la candela. E’ nata pochi giorni dopo di me e tutti e due abbiamo vissuto la vita sul serio, con lunghi periodi d’inconsapevolezza, ma alla grande e tutti e due da anni ormai cerchiamo di vederci chiaro.

Ho scritto spontaneamente queste parole senza che Celia mi avesse detto niente riguardo dei "lunghi periodi d’inconsapevolezza", quindi appena me ne sono reso conto, ho interrotto il racconto e gliene ho chiesto e lei mi ha confermato che così era avvenuto anche per lei. Sento di essere in un luogo speciale, l'Amore è più vivo che mai in questo rifugio.

Dal taccuino: ore 10 e 10, Dio è qui!

 

Celia, mentre aiutavo a pulire il refettorio, mi ha portato fuori, mi ha invitato a sedermi, mi ha messo gli auricolari e mi ha dato in mano il lettore cd. Il sole si è aperto un varco tra le nubi, e caldi raggi sembrano distendere queste melodie antiche celtico-galleghe su tutto il mio corpo.

Musica, pensavo che non avrei più ascoltato musica sino al mio ritorno e invece eccomi immerso in suoni che si compenetrano del misticismo del Camino.

I fiori, le piante, le immagini alle apreti che portano in sé significati profondi, la libreria, la sala di lettura con il camino, il giardino, tutto qui trasmette amore e devozione per il favoloso Camino di ogni pellegrino.

Il ruolo dell'hospitalero è parte integrante del Camino, è un'esperienza... non so, sembra meravigliosa. Di regola coloro che si offrono e, dopo tre giorni trascorsi a Grañon presso Padre Iñatio, vengono accettati e assegnati ad un rifugio come hospitaleros, possono restarvi per un massimo di quindici giorni. Trovo che tale regola sia affine allo spirito del Camino, alla dinamicità del Camino, oltre ad evitare di creare attaccamento negli hospitaleros. Al termine possono essere assegnati a un altro rifugio, ma in genere per un massimo di due volte. Naturalmente ci sono alcune eccezioni, per esempio Celia proverà a restare hospitalera più a lungo, sente questa missione, questo Camino parallelo con grande fervore, si capisce subito da come gestisce il rifugio di Rabanal assieme ad Allan, un inglese molto inglese vicino alla cinquantina, dalla freddezza solo apparente.

Credo sia giunta l'ora di salutare anche questo piccolo paradiso se non hanno bisogno d’aiuto e di riprendere il Camino. Sto ancora ascoltando il cd, ma fra poco tornerò ad ascoltare il mio corpo.

A proposito: sto benissimo. Non che l'infiammazione al tibiale e la tendinite siano scomparse, ma... ecco Patricia che torna dalla chiesetta, ha deciso di fermarsi qui un'altra notte, è rimasta molto toccata dalla messa con canto gregoriano e ora è salita per aiutare a governare le stanze.

Amici di tutto il mondo, questo è il Camino de Santiago: Amore che sbuca da tutti gli angoli.

Un canarino si gusta la colazione appoggiatagli poco fa da Celia sul muretto: è tutto così vero qui. Potrei fermarmi un altro giorno, una sosta più che giustificata, viste le mie precarie condizioni fisiche, ma devo andare, lo so.

 

Non ho avuto il benché minimo dubbio e stranamente neppure l'addio è stato doloroso. Salutare Patricia e Celia è stato come un arrivederci, anzi neppure un arrivederci, coscienti che niente ci potrà dividere, nulla potrà cambiare ciò che abbiamo vissuto insieme, noi peregrinos por la vida.

Appena fuori dal rifugio di Rabanal, vengo fermato da Guglielmo, un altro pellegrino italiano, che mi saluta affettuosamente e mi augura buon Camino. Non mi fermo a parlare con lui perché le nuvole sono già fitte, ma il suo caloroso accento napoletano e la gradevole figura mi fanno un'ottima impressione, mi trasmettono affetto. Del resto cosa non trasmette affetto qui?!

Rabanal del Camino è a circa milleduecento metri, ora ho raggiunto Foncebadón, il villaggio in cima a questo crinale. Le sterminate valli del León si perdono all'orizzonte: do un ultimo sguardo a quel lungo cammino e recito la preghiera del mattino dinanzi ad una vecchia croce di legno.

Appena terminata la breve orazione, come per magia le prime gocce si posano leggere sullo zaino appoggiato a terra; non faccio a tempo a mettermelo sulle spalle ed è subito grandine. Dopo qualche metro un cane mi sbarra la strada con aria alquanto minacciosa, devio e mi ritrovo immediatamente in un cortile, sul retro dell'unico bar del luogo. L'atmosfera è particolare, nonostante fossimo solo in tre, la struttura all'interno molto caratteristica, con un arredo che richiama la tradizione celtica. Un pellegrino belga mi offre un Voltaren; lo accetto come un alcolista un bianchino. La premurosa ragazza catalana che vi lavora mi fornisce ago e filo con cui cucio il velcro del sandalo destro che si era staccato dal supporto. L'intervento, di fondamentale importanza per la tenuta dei sandali, mi trattiene lì a lungo. Fuori sta diluviando, spero si tratti del classico temporale estivo. La musica celtica, la grandine, il posto in sé, mi avvolgono in un'atmosfera colma di misticismo.

Dal taccuino: <<Altro canto gallego-celtico, l'album è di Luar Na Lubre, le musiche di Bieto Romero e s’intitola Cabo do mundo, che sarebbe Finisterre. Splendido!>>.

Appena terminata la pioggia, mi rimetto in marcia e nel giro di poco raggiungo la famosa Cruz de Hierro, che domina tutte le vallate intorno. Luogo spettacolare, oltre che per il panorama, per la quantità di sassi, oggetti e messaggi lasciati dai pellegrini che da sempre, giunti sin qui, sono soliti chiedere protezione per il viaggio, come se fosse chiaro che d’ora in avanti s’iniziava a fare sul serio sotto tutti i punti di vista.

E’ il punto più alto del Camino, a millecinquecento metri sul livello del mare, millecinquecento metri sopra Finisterre.

Due chilometri dividono l'apice del Camino da Manjarin. Qui, sulla silenziosa strada di montagna, dinanzi alle rovine dell'antico villaggio c'è chi, riassestando pietre e inchiodando assi di legno, da una vecchia casa abbandonata ha ricavato un rifugio che, come dice una guida, "può piacere o meno, ma certo non lascia nessuno indifferente".

Adiacente la casa in un recinto pascolano due vigorosi cavalli, più in là un pollaio con poche galline, un cane, due oche e qualche gattino scorrazzano liberi. Intorno si scorgono strutture poco identificabili sempre in pietra e legno, si tratta di un forno e di due casette molto rudimentali. Appoggiata alla casa, una torretta d’avvistamento alta non più di otto metri sempre in assi di legno con una scala verticale che conduce in cima dove è appoggiato un pannello solare direzionabile manualmente. E’ chiaro che chi si è cimentato in una simile avventura ci ha creduto sino in fondo, l'inverno qui non dev'essere uno scherzo.

Questo il quadro al mio arrivo; non c'è dubbio, mi fermo!

 

Affascinato dai mille dettagli di quel regno del fai-da-te non ho fatto caso né alle rovine dall'altro lato della strada, né al singolare cartello: "Manjarin, Rifugio de peregrino" sotto cinque assi che indicano le direzioni di: "Galiza 70 km, Machu-Pichu 9453 km, Roma 2475 km, Finisterre 295 km, Jerusalem 5000 km". Non mi sono ricordato che Sarah al telefono, due giorni fa, durante la conversazione per me traumatica mi aveva consigliato di fermarmi qui. Ma era inevitabile, perché questo pellegrino qui si doveva fermare!

Sono accolto da una decisa scampanellata di benvenuto, quasi subito assalito dalle oche inferocite, quindi salvato da Ramon, un uomo dall'aria virile e affettuosa. <<Benvenido a Manjarin>>, mi dice offrendomi acqua da bere. A questo punto ricordo le parole di Sarah <<Manjarin devi assolutamente fermarti lì!>>. Mi aveva parlato anche di un certo Tomás che dovevo assolutamente conoscere.

Chiedo di lui, sta riposando, mi perdo nei mille particolari e avverto che l'essenzialità del luogo, per niente fatiscente, corrisponde alla norma di un vero rifugio dello spirito, dove trovi solo le necessità essenziali, non i lussi. La priorità è riservata allo spirito. La casa non era priva del decoro necessario al raccoglimento, al rituale, alla pratica interiore. Arrivano due ragazzi che avevo superato alla Croce di ferro, Luca, un altro italiano e un inglese. Anche loro hanno un'espressione felice e serena.

Qui, assieme a Ramon, c'è Kris, una ragazza dall'aria affabile. I due, appena vedono le mie vesciche, che dopo l'intervento di Laura si sono nuovamente riformate e una addirittura ha fatto infezione, si mettono subito in moto e mi sistemano il tutto lasciando un filo disinfettato dentro la pelle in modo da agevolare il drenaggio.

Do fondo alle poche riserve alimentari ed entro nel rifugio per vedere se Tomás si è svegliato, la mattina è dovuto uscire alle cinque per mettere gli animali al riparo dalla neve. Sì quassù ha nevicato.

Il montante della porta raschia la dura terra, ogni spiraglio è tappato alla meglio.

Appena metto piede nell'unica stanza, mi rendo conto che qui avviene qualcosa di importante, mi rendo conto che ci siamo.

Seguo i movimenti dell'anima e le percezioni più profonde mentre lo sguardo esteriore scruta il primo vero rifugio di montagna lungo il Camino. L'ingresso è lungo un paio di metri ed è di fronte a un piano dove giacciono, uno sull'altro, una ventina di materassini in gommapiuma per offrire a tutti del morbido nelle notti in cui il rifugio è pieno. Letti non ce ne sono, a parte quello di Tomás, e due materassi extra appoggiati alla parete. Faccio due passi verso di lui per capire se sta dormendo. Nel dormiveglia, ancora infreddolito dalla mattina sotto zero, Tomás si volta verso di me, ma quegli occhi benevoli, severi e semplici non potevano distinguermi senza le spesse lenti appoggiate sul ripiano al suo fianco.

Mi presento, ho come la sensazione che non ce ne sia bisogno. Tomás si mette gli occhiali, si alza e mi dà un messaggio lasciato per me da Sarah tre giorni prima. Termina così: <<Questo è il luogo più autentico del Camino per me. Sono sicura che spenderai una notte qui>>. Erano circa le tre e "nei programmi" non era certo prevista una tappa tanto breve, ma col passare dei minuti, con lo scorrere delle parole, col fluire dei sentimenti il tempo è tornato a non esistere, tutto mostra la sua vera forma qui a Manjarin.

A lato del letto di Tomás un altare sovrasta due alti e grossi stendardi incrociati e una pesante spada d’ineguagliabile bellezza nel mezzo. Una semplice cornice, poco più in basso della spada, al centro reca l'immagine di una donna, forse sarebbe più corretto dire di un angelo. Sopra l'altare, appesi ad altezza d'occhio, rispettivamente l'Arcangelo Michele e il Cristo. Resto per un po' in contemplazione, sento una gran forza compenetrarmi, quando sono chiamato fuori da Tomás.

Gli domando molte cose e lui mi risponde... Dentro di me si fa strada un certezza.

L'Ordine del Tempio è vivo, opera attivamente nel Camino e qui, nella casa più povera che ho incontrato, senza pavimenti, messa in piedi con assi di legno inchiodate alla buona, panche di legno e un camino sempre acceso, un Commendatore templare, protetto dal suo cavaliere, offre i suoi servigi a chi intraprende la via dello spirito.

I Templari non sono mai completamente scomparsi, la loro opera di carità cristiana continua e io qui ora ne sto ricevendo un autentico aiuto. Tomás mi ha fornito delucidazioni riguardo la loro attività. Il loro unico Maestro è il Cristo! I Templari non accettano altra autorità e il loro rapporto con il Maestro è diretto e interiore… come dovrebbe essere per ogni uomo. Non a caso tale baluardo è ubicato in un punto di così abbondante flusso di anime alla ricerca della loro essenza, del Cristo in loro.

Gerolamo e Carmen, gli ospiti del rifugio di Torres del Rio, sono anche loro dell'Ordine, dovevo immaginarlo.

Stamani quassù ha nevicato. Siamo a millecinquecento metri e una breve tormenta si è abbattuta su quest’esile casetta, robusta nello spirito. Qui i turisti non si fermano, non c'è un villaggio, solo un rifugio, ma privo di qualsiasi comfort, di acqua e di energia elettrica, a parte la poca accumulata dal pannello solare; ma qui è il punto più alto del Camino, qui si vigila su se stessi, qui si discute di cose importanti.

Ogni momento trascorso a Manjarin si sta rivelando cruciale, forse semplicemente perché sono finalmente attento.

I due ragazzi proseguono il cammino, così la mia conversazione con Tomás. Una sacra melodia accompagna le mie emozioni, la grandine ha fermato qui - guarda caso - le mie due amiche brasiliane della cena a Hontanas, Tomás ha parlato con Rosa e lei è in lacrime.

Io sono già stato "sistemato" ore fa quando di punto in bianco mi ha detto: "Allora sei pronto per la terza fase?! Lo spirito inizia qui il suo Camino". Nessuno mi aveva mai parlato di fasi del Camino nonostante le viva già da molti passi. Sono rimasto senza parole e da quel momento ascolto, osservo e mi carico come mai.

Tomás Martinez, il Commendatore templare, mi ha raccontato cose che qui non scriverò, cose che non dimenticherò mai. Mi limito a consigliare chi dovesse avere un giorno l'immenso privilegio di fermarsi a Manjarin di contemplare l'immagine della santa slava che un giorno passò da qui e consacrò con la sua venuta la missione di queste anime gradite al Signore.

Dal taccuino: Oggi solo 15710 pasos, 11.3 chilometri perché qui è Tomás Martinez di Paz, qui è Manjarin, quello che era un antico borgo templare abbandonato fino a quando, sette anni fa, un esponente dell'Ordine vi è giunto e vi ha fissato la sua dimora a protezione del pellegrino.

Rosa e Laureci continuano il cammino, Rosa è molto scossa, le si è come svelato l'angelo che è in lei e forse ora anche la sua missione le è più chiara. Prima che cali il sole arrivano Pablo e Sara, la giovane coppia con cui solo gli sguardi si erano incrociati la prima sera a Roncisvalle. Sono argentini poco più che ventenni, lui dal viso interessante, lei bella e dolce, una bella coppia. Si scaldano vicino al fuoco, chiaramente assorbono l'atmosfera. Poco dopo ecco Gonzalo, in bici, anche lui argentino sui trent'anni che vive ad Andorra, un tipo entusiasta, alto, bello e simpatico; si è preso il temporale in pieno alla Cruz de Hierro così anche lui si stringe vicino al fuoco. Il gruppo è ora al completo, gli invitati all’indimenticabile notte erano tutti presenti all'appello.

Le nubi si aprono su un seducente tramonto sui monti lontani, là dove ci attende la Galizia, verso Santiago, là dove finivano le terre.

Si parla subito del reale, si parla del Camino, i ragazzi si raccontano alcuni aneddoti, altre "casualità", altri segni, quanti ne ho sentiti… Io resto vigile sulla mia mente, in attesa dell'orazione, del rito templare.

A proposito delle fatalità del Camino ecco un aneddoto raccontato da Gonzalo. Arrivato a Santo Domingo de la Calzada come tutti i ciclisti, Gonzalo dà una controllata generale alla sua mountain bike, prova freni e gomme, dà una stretta ai bulloni e, ahimè, si accorge di aver perso un bullone fondamentale della forcella. Purtroppo si trattava di un particolare bullone a brugola che non avrebbe mai trovato da un ferramenta generico. Un bel guaio.

Pernotta e cena anche lui dalle suore e prima di sedersi a tavola si sofferma nel salottino a fianco alla mensa. L'arredamento è quello che si conviene ad un convento, pressoché nullo: vi sono due poltrone, un sofà e una credenza con tre cassettini che senza motivo Gonzalo decide di aprire. Nel primo trova un fazzoletto di carta, nel secondo niente, nel terzo rotola non un bullone qualsiasi bensì quel bullone, il suo preciso bullone.

Era all'inizio del Camino e lo stupore era ancora giustificato; certo può sembrare strano che ci si possa abituare, ma dopo tante esperienze e racconti... sembra normale.

Sara, l’Argentina, mi dice di aver presagito che ci saremmo incontrati di nuovo durante il Camino.

Il fuoco tratteggia i lineamenti dei giovani volti, le anime si assopiscono al calore dei racconti ed eccoci all'ora dell'orazione. Non trovo le parole per descrivere questo rito sacro. Di certo se i tre ragazzi non erano ancora del tutto entrati nella realtà di Manjarin, dopo il rito templare vi si sono immersi completamente.

Poco prima di cena arriva una coppia di francesi sui sessanta con quattro cavalli, due per loro e due per l'equipaggiamento. Hanno veramente di tutto e nonostante vengano invitati a dormire con noi all'interno, viste le previsioni, si accampano fuori. In compenso accettano l'invito a cena a base di una deliziosa zuppa preparata da Kris, una mega insalata di pomodori da Ramón e dall'insieme di ciò che ognuno tirava fuori dallo zaino.

Purtroppo i due cavallerizzi non parlando che francese rimangono un po' esclusi dai leggendari racconti che noi quattro abbiamo cavato avidamente di bocca a Ramón e Kris, racconti che voglio qui riportare anche se sono cosciente che si potrebbe non credere ad una parola. Mi rendo conto che si può pensare ad una certa mia credulità, che mi sia lasciato coinvolgere, trasportato dalla disposizione interiore a ricevere e che conseguentemente abbia abboccato a certe storie. Non è tuttavia mio desiderio cercare di convincere altri sull'autenticità di quanto sto vivendo.

Guardavo nei loro occhi mentre ci offrivano la loro storia e, nonostante mi sia impossibile trasmetterlo con l'incisività e la semplicità dei loro sguardi, non posso negare a questo diario il seguente racconto.

Ramón fin da piccolo era stato riconosciuto dalla nonna come futuro cavaliere templare, tanto che, dopo un'adeguata preparazione, all'età di diciotto anni fu mandato a partecipare ad un torneo.

Ciò che qui riporto riguardo a tali tornei non è avvalorato dai miei studi, ma esclusivamente frutto di quanto ascoltato durante l'indimenticabile serata.

I tornei dei cavalieri templari comprendono giostre a cavallo, prove di forza e combattimenti con la spada. Nonostante la riservatezza dell'Ordine, diversi partecipanti aderenti alle manifestazioni si esibiscono di fronte a numerosi spettatori in tornei che avvengono in ampi luoghi e in costume. Il cavaliere vincitore con la spada indicherà tra il pubblico la dama che diverrà sua sposa. Dama in realtà già assegnatagli dal destino.

Ramón, dotato di un forza quasi sovrannaturale che lo distingue da tutti i contendenti sebbene più adulti e allenati di lui, incredibilmente vince il torneo. Il giovane cavaliere punta quindi la spada verso la tribuna, cerca, ma non trova la sua dama, così getta la spada al suolo con grande stupore del pubblico. Per anni Ramón restò in attesa che dall’alto gli venisse conferita la missione di cavaliere e la dama, per molti anni, per venticinque anni.

L’anno scorso, durante il suo quarantatreesimo anno di vita, Ramón fu “mandato”, come tutti noi pellegrini, sulla via di Santiago, ma sorprendentemente la mappa di cui era in possesso si fermava a Manjarin. Qui il cavaliere trovò il Commendatore che egli dovrà proteggere e aiutare con tutte le sue forze nella sua nobile missione. Ricevuta la missione spirituale, non poteva tardare ancora la ricompensa terrena. Per ventisei anni Ramón aveva sognato la sua dama, la visualizzava perfettamente, l'aveva spesse volte ritratta, ma mai l'aveva conosciuta. Passò un duro inverno e un'estate affollata prima che giungesse Kris.

Una storia di vita pure segnata da forti direttive del destino ha condotto Kris qui a Manjarin, ma vi basti sapere che Kris è nata il giorno e l'ora in cui Ramón vinse il torneo e gettò la spada a terra. La sua dama gli fu sì donata allora, ma i tempi non erano ancora maturi.

Questa è la magica storia del cavaliere templare e della sua dama, che da allora vivono a Manjarin con il Commendatore che li ha sposati, e si dedicano al conforto di tutti coloro che affrontano il duro cammino della ricerca spirituale, alla protezione di tutti i pellegrini.

Ho riportato il racconto in forma sintetica perché qui a Manjarin ho poco tempo per scrivere.

 

Mamma mia! Il rito templare, i racconti del cavaliere e della sua dama: due vite parallele per ventisei anni prima di incontrarsi qui lo scorso settembre. Dopo anni di sogni, aspettando la sua compagna, dopo migliaia di pellegrini passati in luglio e agosto (fino a mille al giorno), a settembre è arrivata e gli ha detto: "Sono qui". Kris non sapeva il perché aveva pronunciato parole tanto compromettenti, ma neppure pensò a trattenerle.

E’ forse questa la risposta alla mia leggenda personale di cavaliere che nell'ultima settimana mi ha invaso l'anima? E’ forse questo luogo fatato, protetto dall'Arcangelo Michele che attuerà la svolta del mio Camino? Questo luogo dove Sarah mi ha invitato a fermarmi, dove mi ha lasciato il suo messaggio più bello, dove ora, casualmente assieme a un'altra Sara, ascolto la voce del cuore.

Qui non c'è acqua corrente, non c'è elettricità, se non per emergenza, non c'è alcun comfort, qui c'è solo Amore.

Dopo il rito templare noi quattro pellegrini avevamo tutti le lacrime agli occhi, la forza era in noi, la forza è in noi!

Una scala verticale conduce su di un soppalco di legno che non avevo ancora notato dove, stesi quattro materassini, ci siamo messi nei sacchi. Ramón e Kris sono andati a dormire nell'altra casetta.

Scrivo a Sarah: <<Finalmente sono qui, tutto è stato una preparazione a questo... Mi sto addentrando nella fase spirituale, la più importante>>.

 

 

10 giugno, ventunesimo giorno: Da Manjarin alla Valle del Silenzio

 

Il gallo canta da più di due ore, la gatta miagola ininterrottamente dalle prime luci dell'alba: credendo che miagolasse per il freddo mi sono calato giù dalla scala e le ho aperto la porta. Errore! Ha subito puntato la salsiccia e Tomás mezzo addormentato ha dovuto alzarsi per buttarla fuori.

Tomás dice che potrebbe nevicare, il cielo è bianco e la temperatura adatta.

Alle sei, dopo una notte insonne per il freddo, dovendo uscire, ho assistito a un'aurora formidabile: l’ovest ancora nell’oscurità, a est i raggi lontani emergevano dalle colline infrangendosi sulle nubi più alte, creando un rossore simile al tramonto. Ho retto poco, il vento gelido mi tagliava il viso, il termometro segnava meno tre/meno quattro. Ecco perché non nevicava!

E’ l'aurora della terza fase nel punto più alto del Camino, a Manjarin: è il ventunesimo giorno, ci sono.

Ora si stanno alzando tutti, tremano come foglie, ma ecco la prima fiamma nel camino. Un piacere indescrivibile dopo una notte, una lunga notte di freddo cercando la posizione più rannicchiata, cercando di annullarmi senza riuscirci.

Pablo, Sara e Gonzalo fortunatamente hanno sacchi a pelo con il pelo, il mio è solo sacco, eppure Sara mi ha confessato di non aver chiuso occhio.

Ricordo di aver patito tanto freddo sull'Himalaya, però lì riuscivo ad "annullarmi", più che per le tecniche yoga, peraltro all'inizio non ancora apprese, per il sacco a pelo da -30º anziché il lenzuolo da spiaggia che mi sono portato qui sul Camino per ridurre il peso. Ricordo però di aver provato anche lì la sublime sensazione del calore del primo fuoco sul corpo intirizzito.

Welcome nella terza fase, quella dello spirito, dove il corpo e la mente devono essere padroneggiati.

 

Ho comperato quattro cartoncini con dipinta l'immagine della Cruz de Hierro: vi ho impresso il timbro del rifugio e disegnato il Tau templare, poi ho chiesto a tutti i presenti di scrivere all'interno un pensiero rivolto ad ognuno di noi.

I tre ragazzi lasciano Manjarin in lacrime, lacrime di commozione, di gioia, come tutte le lacrime viste sul Camino.

Io qui non ho ancora finito. Tomás fissa alla cima del mio fedele compagno di viaggio il simbolo dell'Ordine del Tempio, la croce templare, il Tau, detto anche "croce di San Francesco", rosso, il colore del sangue, il colore dei Templari. Benedice il bastone affinché mi protegga nel mio Camino e me lo riconsegna.

Il bardón, questo fedele compagno di viaggio, che ha atteso da Pablito il mio passaggio, con il susseguirsi delle prove sta acquisendo sempre più valore di tramite simbolico con il mondo spirituale. E’ ormai un simbolo che si rivela veicolo di forze, strumento di dialogo.

Da Pablito, mentre accoglievo gli insegnamenti di quest'uomo dagli occhi dolci su come usare questo amico del pellegrino, non potevo ancora immaginare l'importanza del dono. (Un dono che in fondo non era lui a farmi.)

Altre cose importanti avvengono a Manjarin, ma preferisco lasciarle nel meraviglioso regno del rispettoso silenzio.

 

E’ giunta l'ora di riprendere la via, Tomás mi chiede se sono diretto a Ponferrada, la prossima città, la tappa successiva, “obbligata”. Ma io istintivamente gli rispondo di no. “Come no? Eppure è quella la via del Camino”, mi dice Tomás. No, non del mio Camino, non è Ponferrada la mia prossima tappa. Tomás mi guarda fisso negli occhi e va a prendere un foglio dov'è disegnata a mano la mappa che conduce alla "Valle del Silenzio". E’ lì che questo pellegrino è diretto! E’ la seconda volta che leggo negli occhi di quest'uomo semplice la consapevolezza che quanto sta avvenendo è voluto dallo spirito. Ma ciò che più mi stupisce è la mia stessa determinazione. Inspiegabile!

Mi attendono tre tappe, tre luoghi lungo una via per ben quaranta chilometri fuori dal Camino. Non ho pensato neppure per un momento alla gamba, alle condizioni meteorologiche, ai rischi, ma solo a memorizzare le parole di Tomás, a ciò che mi accingo a compiere.

Per mantenermi fermo nello spirito Tomás mi suggerisce per i primi sette chilometri, che dividono Manjarin da El Acebo, dove lascerò il Camino tradizionale, di prendere una via alternativa di poco più lunga, ma solitaria, panoramica e silenziosa, che in realtà era la via originaria dei pellegrini.

Il tempo si è fermato a Manjarin: ora posso dileguarmi nello spazio libero dal suo peso. E’ stato fondamentale, ora mi sento pronto, aperto ad accedere ai Piccoli Misteri. Non ho potuto trattenere le lacrime all'addio, pur richiamandomi a un certo contegno dinanzi al Commendatore, al cavaliere e alla sua dama.

Sono sceso per la forestale che gira intorno al monte indicatami da Tomás, solo in mezzo al bosco. Nonostante la quantità di "pellegrini" che aumenteranno sempre più sul Camino, ora sarò veramente solo. Inizia a farsi largo la condizione e l’esigenza che credo proprio mi sarà necessaria: la solitudine, il silenzio. E’ incredibile come tale solitudine sia ricolma di anime amiche.

Nel silenzio di questa via si schiude l'ampia valle di Ponferrada, una città che dovrà attendermi un altro giorno: oggi mi aspetta un giorno di silenzio.

Dopo la variante nel bosco, giunto a El Acebo ho subito un assaggio di quanto mi aspetta dal punto di vista sociale nell'ultima parte del Camino: un bar stracolmo di "pellegrini", fuori sembrava una tappa del Giro d'Italia, la gente del luogo che tentava di vendere bastoni, conchiglie e souvenir, non a me fortunatamente, sarà che il cojo [lo zoppo] fa più pena del pellegrino sano.

Un altro abbraccio a Sara e Pablo, incontrati lì fuori, e via verso un sentiero abbandonato a se stesso, in mezzo ad arbusti e piante che s’insinuavano ovunque. Per vedere le tracce del sentiero devo procedere a testa bassa, facendomi largo con il bastone. Oh, il mio fedele amico, da oggi con il trofeo, il premio impressogli da Tomás: il tau rosso, simbolo di pace, di semplicità e di carità francescane tinto dell'ardore del ricercatore dello spirito. Lo vedo come un trofeo per aver superato le prime due fasi del Camino, un amuleto che mi proteggerà nella fase più importante.

In quel sentiero insidioso il bastone non solo mi è servito come appoggio per alleviare la pressione sul tibiale e per mantenere il giusto equilibrio, ma anche per farmi sentire da tutti quegli animali che potrebbero non gradire il mio peso sopra le loro teste. Cammino con i sandali nell'erba alta, tra cespugli e arbusti. Se mi becca una vipera come ci torno su al pueblo? Ma no, non è il caso di metterla giù così dura, c'è sempre l’aiutino dall’alto. Certo che tra i sandali e l'infiammazione, là in mezzo non mi sentivo per niente a mio agio. Fortuna che oggi è una giornata meravigliosa, altrimenti il terreno bagnato e in discesa sarebbe stato del tutto impraticabile nelle mie condizioni.

Come mai sono uscito dal Camino? Cosa ci faccio qui? Ne sarebbe valsa la pena anche solo per il dolce fruscio di questo fiumiciattolo di montagna. Per di più l'antica via del pellegrino passava proprio di qui.

Un tempo il pellegrino non aveva fretta di arrivare, l'importante era porgere omaggio ai luoghi sacri. Oggi, forse a ragione, hanno pensato di accorciare di una ventina di chilometri il Camino, evitando di contaminare con fazzolettini e lattine anche questo tratto di sacro silenzio.

Con grande orgoglio porto con me due lumi affidatimi da Tomás: dovrò accenderli là, nella grotta, immerso nella sacralità della Valle del Silenzio.

Saranno nove ore di cammino, spero non tutte come questi primi quattro chilometri, il prezzo di questo prezioso silenzio.

 

Ho appena lasciato la prima tappa di ciò che sto vivendo come una missione nel senso cavalleresco del termine, ma ahimè il tibiale mi duole oltre misura, così decido di fermarmi sulla riva di questo fiume per immergere le gambe nell'acqua gelida e per scrivere della prima sosta indicatami dal Commendatore.

Si tratta di un'autentica herreria medievale, una fucina, letteralmente una "ferreria", dove per secoli sono state forgiate spade, asce, scudi e martelli. Da tempo è ormai solo meta di curiosità e di visite, in particolare oggi che è sabato. Difatti arrivato all'imbocco del sentiero che conduce all'herreria trovo una decina di macchine parcheggiate.

Nei trecento metri che mi dividono da quel luogo dove anticamente i cavalieri sostavano per motivi meno simbolici del mio, incrocio almeno quattro gruppi di turisti che tornano verso le auto. Non è proprio quello che speravo, ma, come per magia, al mio arrivo l'ultima coppia se ne sta andando, lasciandomi solo.

Il luogo è mantenuto in perfette condizioni: una grossa struttura di pietra con il tetto in legno, ristrutturata da poco, e all'interno enormi ingranaggi di legno. Tutto si integra perfettamente con la rigogliosa vegetazione circostante che digrada verso un fiume. Un leggero venticello si destreggia nel bosco, le alte cime degli alberi dondolano, le antiche pietre rinfrescano la calda giornata di sole, l'atmosfera è suggestiva.

E’ rimasto soltanto un uomo con il suo cane che con un machete lavora un pezzo di legno con fare disinteressato: ha un'aria seria e misteriosa, è attento ai miei passi. Dev'essere il custode o comunque un addetto alla cura del luogo.  

Entro, osservo i macchinari, ne intuisco l'uso, ma preferisco rivolgermi a lui, che è lì a braccia conserte quasi ad attendere la mia richiesta. Mi osserva per bene, come del resto hanno fatto tutti i turisti al parcheggio, non essendo un luogo battuto dai pellegrini, anche se lui non è incuriosito come gli altri: lui mi scruta in modo assai diverso. Con voce acuta e austera cordialità mi spiega dettagliatamente come funzionavano quelle grandi e lunghe ruote cilindriche di legno mosse dall'acqua, che spingevano verso il basso il gigantesco martello di legno che batteva il ferro incandescente uscito dal forno. Anche il forno era alimentato da un martellone gigante, mosso dallo stesso principio, che soffiava aria all'interno. Lui è stato ben più chiaro di me. Del resto cosa si può pretendere da uno che ha i piedi a mollo praticamente nel ghiaccio? In compenso sono circondato da menta selvatica, squisitamente profumata.

Prima che me ne andassi mi ha chiesto se arrivavo da Manjarin, ma era come se conoscesse già la risposta.

Ora sarà meglio che mi rimetta in marcia, viste le condizioni della gamba e le salite e discese da affrontare prima di giungere alla meta.

 

La "Valle del Silenzio", e dire che non sono ancora arrivato.

Solo, su e giù per rilievi che danno su piccole valli incontaminate dove regna il silenzio. Da Compludo a Espinoso è tutta una salita abbastanza pronunciata che intraprendo di buon passo tutta d'un fiato: in poco più di un'ora sono in cima. Cinque chilometri. E’ incredibile quanto sia più rapido in salita. Tutto merito dei quadricipiti che possono macinare lavoro senza tregua per di più addossandosi il carico che in piano e in discesa è distribuito tra il ginocchio, il tibiale e il tendine che lo congiunge alla caviglia.

Passo rapido, battito cardiaco lento, respirazione normale. Quando arrivano le ventate d'aria fredda devo coprirmi, il sudore c'è.

Da quassù vedo tutto: da Ponferrada, che ha un lago o una diga a lato, sino alla Cruz de Hierro. Sono tutti là che camminano, ridono e chiacchierano e io qui solo nel silenzio.

L'immagine più recente che ho del Camino è la ressa di pellegrini e ciclisti a El Acebo. Qui alla fonte, all'ingresso di Espinoso mi lascio avvolgere dal paesaggio, dallo splendore di ciò che vivo, del vissuto e dell'immaginario di ciò che mi attende. Assaporo il giorno in fresche sorsate di silenzio come se dovesse essere l'ultimo.

Espinoso de Compludo è un borgo composto da casette di montagna di legno, egregiamente ristrutturate, sul crinale di una delle splendide valli che precedono Ponferrada. Non vi sono negozi, né bar, solo la Mesón El Mato, un bel ristorante dove si deve mangiar bene visto che non c'è un tavolo vuoto e i clienti hanno l’aria benestante di chi viene dalla città. Non so se fermarmi ancora per mangiare qualcosa dopo aver sostato da poco alla fuente. Decido di entrare a dare un'occhiata e, vuoi per il bastone con in cima il tau rosso, vuoi per l'aria un po' provata, attiro l'attenzione di tutti; la ragazza che sta al banco chiama subito la madre, che, con aria di chi gestisce con disinvolta sicurezza un ristorante rinomato, mi invita a fermarmi nonostante sia tutto pieno e mi fa preparare un tavolino fuori, nel silenzio.

La cortesia con cui la signora della Mesón accoglie questo pellegrino spezzando il ghiaccio iniziale dei commensali che lo guardano come fosse... un pellegrino, là dove di pellegrini non se ne vedono mai, mi convince a fermarmi.

Dal portamento distinto che si addice ad una signora e lo sguardo benevolo, come optional, la gentildonna improvvisa al momento un menù vegetariano e va lei stessa in cucina a prepararlo. L'attesa è lunga e gradevole, ho ancora molto da camminare, ma ho pure parecchi ricordi di incontri, sensazioni e pensieri da scrivere sul mio compagno di viaggio.

Ho già detto delle farfalle che spesso mi accompagnano lungo il Camino. Generalmente una mi svolazza davanti a non più di un metro, spesso giocherellando intorno al bastone che mi dà il ritmo dondolando parallelo al terreno. Poi mi abbandona quando incontra “la sua anima gemella” e mi riempie di allegria vederle svolazzare via insieme.

Non solo le farfalle mi hanno accompagnato nel Camino, anche varietà di uccelli, gatti e cani hanno incrociato la mia via. Oggi, per esempio, un cane mi ha seguito timoroso da lontano sul sentiero; ieri prima di entrare nel bar, appena dopo il crocifisso di ferro dove iniziò a grandinare, fu un cane a indirizzarmi, anche perché non era il caso di andargli incontro.

Mentre il cane che ho sentito più "amico" l'ho incontrato con Jack e Sarah il secondo giorno. Ci ha seguito mentre costeggiavamo un fiume per quasi un'ora per poi rischiare più volte di essere investito quando abbiamo dovuto immetterci nella carretera. Che belle giornate! Mi sembrano così lontane...

Forse non si può essere pellegrini per tutta la vita, la memoria non reggerebbe, certo che con un diario...

Nel “primo giorno” della fase mistica del Camino sono di fronte ad un bel piatto di lenticchie, un'insalata, patatine fritte e uova nostrane all'occhio di bue. Mi ci vuole un pasto completo, sto mangiando poco e bruciando molto, della serie: ma "¿Quien te empuja peregrino?” [Ma chi ti spinge pellegrino].

 

Stavolta lo posso dire: questa è una delle situazioni più avventurose e certamente la più mistica in cui mi sia mai trovato. Sarò breve perché ho veramente molto da raccontare per essersi trattato di un solo pomeriggio.

Dopo il ricco pranzo a Espinoso.

Purtroppo non ho tempo per scrivere, sono le dieci e dieci, non so per quanto ancora farà luce, devo organizzarmi per tempo. Direi che quel che potevo fare l'ho fatto; ora, e sempre sono nelle mani del Signore.

 

La signora mi ha offerto il pranzo; voi direte: "Ci credo, chissà che aria da povero disgraziato dovevi avere...". E invece no, era chiaro che potevo permettermi di pagare da come sono vestito ed equipaggiato, dal modo in cui mi sono rivolto a lei. Ho semplicemente incontrato una buon'anima. Curioso il fatto che quel dono si rivelerà indispensabile nel prosieguo dell'avventura, nonché la frase di commiato della signora: "Va e fa quel che devi", con un chiaro riferimento a ciò che il Camino mi chiede. Sono certo che si sia trattato di un'espressione assolutamente spontanea, non consapevole di ciò che mi attendeva, così com'è avvenuto per l'uomo alla herreria. Non sapevano, forse intuivano, ma certamente sentivano.

La vera curiosità è che, mentre mangiavo, ho immaginato esattamente la scena come poi si è svolta, ovvero che lei mi avrebbe offerto il pranzo e io commosso le avrei lasciato una nota con il mio indirizzo e un invito in Italia. Rifocillato e rinvigorito dal bel gesto, mi rimetto in cammino in direzione di San Cristobal, seconda tappa della mia 'missione'.

Purtroppo m’imbatto nuovamente in un sentierino nascosto dalla vegetazione e mi perdo. Diversi attimi di agitazione ingiustificati, in quanto non ero lontano dal paese, ma comprensibili se si pensa che la gamba mi faceva parecchio male, che zoppicavo già da sei ore e non vedevo dove mettevo i piedi con i sandali già bagnati.

A un certo punto credendo di aver ritrovato il sentiero m’imbatto nuovamente tra i rovi spinosi. Mi faccio coraggio, indosso i pantaloni lunghi e uso il bastone come aprivia. Fortuna vuole che di rovi ho una certa esperienza. Ritrovo un sentiero, lo riperdo, poi ancora, ma non era un sentiero e così via sino a quando, sconsolato, mi permetto di chiedere un aiutino (da lassù) che prontamente arriva. Ho perso molte energie e sono in piena digestione: ciò rende la salita più dura del previsto.

Occupato come sono a dove metto i piedi, forse sono poco attento a dove metto l'anima. Non so se la perdita del sentiero sia stata causata da un cedimento psicologico o se tale cedimento sia avvenuto a posteriori a causa dello “smarrimento” fisico: certo è che ancora una volta i due livelli sono strettamente connessi uno all'altro. Forse perdere fisicamente il sentiero significa "perdere la via" sul piano interiore.

Finalmente giungo a San Cristobal. Il cielo nel frattempo si è coperto di nubi, decido di dirigermi subito verso il secondo obiettivo, un luogo di raccoglimento. Devo attraversare il paese, anch'esso sul crinale con vista su tutta la vallata di Ponferrada e le valli adiacenti. Il vento si alza forte e in lontananza vedo la mia meta. Man mano che mi avvicino il vento aumenta d'intensità, diventa furioso, le nubi si oscurano sempre più. Un frutteto divide un luogo a cui ero diretto dalle ultime case. Vicino delle rovine, con una decina di tombe all'interno. Eccomi alla seconda tappa, al tejo, un gigantesco albero che da secoli domina queste splendide vallate. Finalmente appoggio la mano sulla sua corteccia. La sua maestosità mi sovrasta, mi avvolge, mi carica. L'atmosfera è molto mistica, il vento non molla, ma il tronco è talmente grande che, appoggiandomi al lato opposto a quello da cui giungevano le forti raffiche, riuscivo a star seduto senza neppure tremare dal freddo. Chiudo gli occhi e mi lascio avvolgere da questa possente fonte di energia, riecheggio i tanti pensieri, le preghiere, le poesie che sono state recitate lì per secoli, proprio dove ora sono seduto, solo con tutto questo.

Mi abbandono nella contemplazione per un po' e poi realizzo che l'obiettivo finale è ancora lontano. Ritorno verso il paese e il cielo si fa sempre più scuro. Chiedo a una donna claudicante se da qualche parte ospitassero pellegrini e lei, benevolmente mi dice: “no cojito [zoppetto], però se vuoi puoi adattarti nell'edificio della vecchia scuola abbandonata”. La più brutta, anzi l'unica brutta costruzione del villaggio, per di più fatiscente. Ma un pellegrino sa dove si deve fermare, perché lì si sente a suo agio: una forma come di spontanea dignità, a prescindere dal decoro del luogo. Non era lì che sarei rimasto a proteggermi dalle imminenti intemperie. Tentenno, barcollo per le vie del paesello cercando una soluzione per la notte, chiedo qua e là, ma niente, fredda cordialità e risposte negative.

Guardo il cielo, è indubbiamente minaccioso, mi rendo conto che proseguire per altri cinque o sei chilometri in quello stato e con la spada di Damocle del diluvio sulla testa è quantomeno imprudente. Sono già provato e arrivare a Peñalba, l'ultimo paese prima della Valle del Silenzio, bagnato fradicio con il muscolo e il tendine in fiamme non è consigliabile. Eppure la forza che spinge il pellegrino mi dice di continuare. So che in ogni caso seguirò la voce, la certezza, l'impulso, ma la ragione mi chiede prudenza. Così, cosciente del rischio, decido di rimettermi alla divina Provvidenza e m’incammino lungo l'interminabile mulattiera che costeggia ben quattro montagne.

 

Esperienza e racconto si alternavano senza tregua, sto vivendo al massimo, non ho il tempo di raccogliere le forze e le idee, tutto è come diretto dal destino. Persino la meditazione sotto il tejo millenario è sgorgata spontaneamente dall'anima senza che il tema sia stato deciso dalla mente. L'aspetto più sorprendente è la lucidità che conservo in quest'atmosfera fatata. Attento a non perdere neppure un attimo, m’impregno come una spugna di vera vita.

Mancano cinque minuti a mezzanotte e sono qui in maglietta. Ma andiamo per gradi.

La pesante strada sassosa non finisce mai, le nubi non accennano a passare e il tibiale mi fa sempre più male, nonostante l’antinfiammatorio preso a San Cristobal. In compenso il morale è up; ho una meta importante da raggiungere e mi sento un cavaliere, questa volta investito di una vera “missione esoterica” di cui, in quanto tale, non conosco il mistero. Devo avere proprio l'aria del pellegrino vissuto, tanto che tre ragazzine del paesello sedute su una scala hanno fatto apprezzamenti, non immaginando che capissi lo spagnolo.

Finalmente l'ultimo monte prima della durissima discesa verso Peñalba de Santiago dove mi sarei fermato a dormire per poi svolgere l'indomani mattina il mio dovere.

L'ultimo tratto di discesa lo faccio camminando all'indietro, devo cambiare movimento per alleggerire il tibiale, e l’unico modo è invertire il passo.

Arrivo nel pueblo, anche qui le casette di montagna e le viuzze sono tutte ristrutturate con gusto per i turisti. Solo un bar. Entro e chiedo per dormire.

Il gestore, dall’aria sgradevole e strafottente, è il boss del villaggio e mi dice che non c'è nessuna possibilità di pernottamento, neppure pagando. Per la prima volta nel Camino mi trovo di fronte allo sgarbo, ad una scortesia così ingiustificata che ha del fiabesco.

Esco, busso agli usci delle case e tutti mi rifiutano. Torno al bar e chiedo della Cueva, il mio obiettivo finale. Il grosso orco mi dice che è a due chilometri nella Valle del Silenzio tra quelle due pareti di roccia laggiù.

La Valle del Silenzio, mio Dio quel nome che per ore mi è risuonato dentro durante gli ultimi chilometri l'ho quasi dimenticato, relegato all'indomani, sono distrutto.

Ci penso un po' su, sono le nove e sono a pezzi, ma comprendo che il destino mi vuole là questa stessa notte. Muovo così i primi passi alla volta della Valle del Silenzio: con l'emozione, la consapevolezza dell'assurdità dell'impresa, la certezza che devo andare...

La Cueva è una grotta con un altare all'interno, dove da secoli e secoli gli eremiti vanno a praticare i loro riti e oggi i fedeli si recano a chiedere aiuto, ma non è il mio caso.

Così, perfettamente cosciente della temperatura notturna (vista la notte passata a Manjarin), della possibilità che si metta a piovere da un momento all'altro e soprattutto del mio equipaggiamento da spiaggia, senza né una giacca, né un sacco a pelo caldo, decido di andarci ugualmente. Il sentiero è stretto e in salita, il silenzio si fa greve, ci sono: sono nella Valle del Silenzio. Cupa, chiusa, verdeggiante, anche troppo, devo dire che m’incute soggezione.

La luce va scemando e, non avendo né materassino né coperta, raccatto appena fuori dal paese un sacco di juta aperto rimasto appoggiato su una carriola. Lungo i due chilometri un po' inquietanti, in quanto cosciente dell'avventura in cui mi stavo cacciando alle nove e mezza di sera, senza alternative per la notte, raccatto legna secca e la lego sullo zaino. Attraverso un fiume su un ponticello improvvisato, mi ritrovo di nuovo su un sentiero poco battuto e mi lascio spaventare dal grido di un animale non identificato, ma nell'immaginario di taglia non ragionevolmente piccola.

L'ultima salita sul costone della roccia ed eccomi dinanzi alla Cueva. Entro, è notevolmente angusta, buia, ma l'altare è predisposto con tanto di panno bianco e calice per la messa. Quante anime sono salite quassù a pregare il Signore? Quante gli hanno reso omaggio in questo luogo sacro? Nel X secolo nella splendida e ampia grotta si ritirava san Genadio, da cui prende nome l'eremitaggio, ma prima e dopo di lui quanti di noi? Da qui si domina anche la Valle del Silenzio, ma è il silenzio che ci domina. Il giorno si spegne lentamente, non ho molto tempo.

Esco e decido di collocarmi fuori, ma relativamente al coperto: all'ingresso della grotta, dietro un cancello che mi protegge da eventuali animali grossi più di una spanna, i piccoli passino pure.

Perché non dentro? Perché un pipistrello che svolazzava all’interno mi convince che non si dorme dentro un luogo di culto.

Prima che faccia buio vado a racimolare altra legna, ho timore del freddo vista l'esperienza di ieri con meno tre gradi alle otto del mattino. Non ho che il pile che mi protegge e non posso permettermi un’altra notte in bianco. Faccio una vera e propria strage di rami secchi e non. Torno "a casa", accendo il fuoco ed entro nella sacra grotta. E’ giunto il momento di coronare “la missione”. Nella cueva l’atmosfera è cupa e suggestiva, la tensione è alta e il rito, solitario, solenne. Accendo sull'altare i due lumi consegnatimi da Tomás e assaporo la forza che le parole non sanno descrivere.

Adempiuto il compito, ancor più carico, esco e mi assetto per la notte. Adesso è l'una e qui si sta magnificamente, la brace dovrebbe scaldare ancora diverse ore e io mi sento in pace. La sensazione di estremo benessere non giunge dall'aspetto avventuroso della situazione, ma da quello mistico, dalla gratificazione interiore e, perché no, dalla magia del luogo. Per quanto riguarda la mia partecipazione spirituale, come ho già avuto modo di scrivere, non posso dire, non saprei neppure da dove cominciare. Scrivo a Sarah: <<Sì, sono qui, è l'una di notte e sono nella grotta sacra... mi sento riscaldato dal fuoco e così vicino a Dio>>.

Il cielo è ancora coperto, ma questa notte all'addiaccio non mi spaventa più.

L'unica mancanza è l'acqua, ma il rumore del torrente poco lontano mi rassicura e inibisce la sete. Corpo e psiche al servizio dello Spirito, ecco la terza fase.

 

 

11 giugno, ventiduesimo giorno: Dalla Valle del Silenzio a Ponferrada

 

Ho dormito come un fanciullo in grembo alla madre. Se dovessi esprimere il senso di protezione che sentivo in me è proprio quella l'immagine che mi si presenta. Mi sono sì svegliato poche ore dopo per il freddo, ma mi sentivo ancora nel mondo angelico.

Devo aver dormito ancora qualche ora prima che il freddo mi svegliasse e le stelle mi salutassero. Ora perlomeno posso perdermi in quegli infiniti spazi in attesa che l'alba se li porti via. <<Le stelle stanno sfumando>>, scrivo a Sarah, <<la prima luce dell'alba delinea i contorni delle montagne>>.

Dai Marcello, sono le cinque, il cielo è limpido e stellato, devi resistere ancora poche ore e Surya, il grande dio Sole ti riscalderà. Riaccendo il fuoco con le frasche che mi avanzano, ma la legna è poca e non so quanto potrà durare. Così brancolando nel buio, stando attento perché proprio dal lato del sentiero dove la roccia piomba nell'abisso ci sono gli unici alberelli che devo sacrificare per scaldarmi ancora un po'.

Ora mi rimetto in marcia, mi attende un’altra giornata nel Camino. Incredibile! Come farò poi senza il Camino?

 

Sono salvo! Ce l'ho fatta! Iniziavo a dubitarne. Non credo di poter più muovere la gamba per un po', spero passi qualcuno. Sto sudando freddo, il dolore è lancinante, ma partiamo dall'inizio:

Alle sei e mezza lascio l'eremitaggio e dopo non più di cento metri decido di seguire un sentiero che a mio avviso taglia. Come da “manuale del viaggiatore in cerca di rogne” mi perdo, me la faccio sotto e decido di tornare indietro. Morale: sono a cento metri dalla Cueva, al punto di prima, già stanco, sudato e dolorante.

Riprendo il sentiero e trovo il bivio, da una parte indica per Peñalba, dall'altra per Sant André. Visto che Peñalba non mi ha certo accolto con calore e che la mappa datami da Tomás, disegnata alla buona, prevede una via alta verso Ponferrada, opto per Sant André nella speranza che di quella si tratti. Sì, perché naturalmente l’avventuriero non vuole prendere la carretera, che peraltro attraversa le valli e dove non passa mai un cane, no lui deve lanciarsi nel bosco, lungo "l’alta via".

Man mano che proseguo, il sentiero si fa sempre meno chiaro, tipo quelli di ieri. Credo che li puliscano a fine giugno, per cui ora mi becco la vegetazione in tutta la sua abbondanza. Rovi, erba alta, guadi, fango, nel giro di mezz'ora sono già bagnato e graffiato ovunque dalle spine.

Dopo circa quattro chilometri in queste condizioni, già provato fisicamente e psicologicamente, di colpo finisce il sentiero. Non posso crederci. Escludo di tornare indietro per la stessa via. Mi sembra di intravedere delle tracce poco oltre, così mi avventuro in quella che di lì a poco si rivelerà una delle più grandi sciocchezze della mia esperienza di trekker. E dire che la pelle l'ho rischiata più d'una volta in montagna sempre per aver voluto strafare, e comunque mai in condizioni fisiche così precarie.

Avanzo concentrato e teso nei passaggi difficili sino a farmi venire il mal di testa, aggrappato con una mano ad alberelli che spesso si sradicano a causa del terreno bagnato e con il bastone sempre ben piantato, mi butto in quella giungla. Sì perché altro che bosco, quella era una giungla fitta e bastarda. Acqua ovunque, ormai i sandali scivolano e basta, dalla gamba messaggi di serio allarme.

Non posso che cercare una via d'uscita o verso la cima o a valle, verso il fiume. Sono alto (si fa per dire), quindi cerco di raggiungere il crinale per fare il punto della situazione, ma “la giungla” oltre un certo punto non me lo consente. Cerco di mantenermi lucido, anche se ho brividi e sudori freddi per il dolore. Non ho altra scelta che scendere lungo il torrente che sfocerà nel fiume. Laggiù dev'esserci la strada per Ponferrada. Sarò fuori da questo incubo.

La situazione, incredibile, ma vero, peggiora perché il torrente in più punti forma piccole cascate, alte una decina di metri. E adesso che faccio? Devo risalire, ma soprattutto devo mantenere la calma e ragionare.

Vivo momenti di serio disagio psichico, le condizioni della gamba sono ormai gravi e inizio a temere il peggio. Mi munisco per poco di un secondo bastone perché non riesco quasi più ad appoggiare la gamba e provo a risalire per raggirare la prima cascata. L’operazione si rivela lenta e pietosa, ma la porto a termine, la ripeto per la seconda volta. Risalgo un po', raggiungo un picco con un po' più di visuale e, come un miraggio, in un angolino tra gli alberi intravedo laggiù la strada. Non è lontanissima, devo calarmi giù per forza!

Intravista la salvezza, la sicurezza cambia e mi permette passaggi assurdi: procedo scivolando o appeso a rami precari con il bastone puntato nei punti più impensabili. Giù a picco, saranno stati settanta gradi di pendenza fangosi. Un incubo. Più volte rischio di volare di sotto, ma qualche mano lassù ha reso i cespugli d'erba più resistenti di alberi, capaci di frenare la caduta.

Ora sono sul ciglio della strada, non passa un cane, ma sono salvo, la gamba è immobile, ma non posso stare ancora qui al freddo per molto, devo muovermi, devo scaldarmi.

 

Faccio una trentina di metri, ma niente da fare, il dolore è lancinante, non mi resta che aspettare che passi qualcuno. In effetti uno è passato: un pescatore a piedi, sordomuto. Oggi è domenica e..., ma che importa, aspetto, c'è il sole e sono salvo.

Il sole, mio Dio che meraviglia, poche volte l'ho atteso con tanto fervore.

Sono tutto bagnato di sudore e acqua, ma in poco tempo sua Maestà mi asciugherà.

Non solo sono salvo, ma porto in me il silenzio e il senso di protezione che la notte stellata all'eremitaggio ha donato alla mia anima. A caro prezzo? No, certi gioielli non hanno prezzo!

 

Dalla strada, dove la prima macchina mi ha raccolto con il cucchiaino arrivo molto, molto rapidamente all'ospedale di Ponferrada. Che strana sensazione viaggiare in automobile, tutto così veloce, così sfasato, così innaturale.

Dal taccuino: Lascio la magica valle raggiunta ieri dopo 41 chilometri, zoppicando per circa 58000 passi... per ritrovarmi invalido a Ponferrada dopo gli 8051 passi più terribili del Camino. 5.8 chilometri da aggiungere ai 41 di ieri contro i 33.3 previsti dal Camino comunemente intrapreso.

Il primo passaggio, nonché la prima auto che scende verso Ponferrada, lo becco alle nove e mezza, poi un altro fino all'albergo del pellegrino in città e infine un terzo sin qui all'ospedale. Se si pensa che ero a venti chilometri dalla città e ora sono solo le undici e mezza, non c'è male.

Nella prima macchina, che giungeva da Peñalba, c’era un vecchio che ieri cordialmente mi ha chiuso la porta in faccia e mentre lui accennava a giustificarsi l’ho interrotto e ho cercato di spiegargli che il suo gesto si è rivelato indispensabile, così come l'atteggiamento scortese del barista, ai fini della mia straordinaria esperienza.

In effetti quelle persone, comportandosi in maniera assai poco ospitale, hanno leggermente aggravato il loro karma. Ma poiché ciò mi ha concesso una singolare esperienza, ora provo un sentimento di sincera gratitudine per il loro inconsapevole sacrificio.

Sono nella sala d'attesa dell'ambulatorio di Ponferrada: mi scaricheranno con un po' di antinfiammatori e mi diranno di riposare per un paio di giorni, già lo so.

 

Sì, come no, "un paio di giorni"... Appena entrato nella stanza il medico, compresa la situazione, mi ha intimato: "Ti fai un danno permanente! Ti devi assolutamente fermare per dieci giorni e più!". E, come conscio della forza che muove il pellegrino, con tono sconsolato aggiunge: "Ma so che non ti fermerai”. Dice che me lo legge negli occhi e che di conseguenza avrei reso croniche l'infiammazione e la tendinite. Sa che è il Camino a decidere dei suoi pellegrini al di là di ogni previsione razionale. Ma, dal di fuori, questo lui non può che tradurlo in caparbietà, cocciutaggine, indubbiamente dovuta ad un inspiegabile impulso interiore, ma pur sempre originate dal singolo ego. Come non capirlo? Posso forse spiegare razionalmente l’impulso del pellegrino?

Scaramanticamente non ho ancora scritto del problemuccio tecnico che pure mi ha condizionato l'andatura, se di "andatura" nella "giungla" si può parlare: la cucitura dell'attacco interno alla suola del sandalo destro. Ho già cucito un attacco del velcro all’altezza del tallone nel sinistro tre mattine fa quando si mise a piovere ed entrai nel bar grazie al cane incazzato. Avrei voluto rinforzare anche il destro, ma ruppi l'ago e adios.

Oggi però conto di fare un lavoro massiccio su tutti i punti nevralgici. Difficile immaginare quanto ho temuto nei momenti peggiori che il velcro cedesse. Sarebbe stata la fine.

 

L'albergo del pellegrino di Ponferrada è un "cinque stelle", ottimo per la convalescenza. Questa volta i calzini ho dovuto lavarli per dieci minuti prima che l'acqua fosse pulita. Non ho osato guardare la base della doccia mentre mi lavavo, ma l'acqua non doveva essere molto differente da quella dei calzini.

Sono ancora leggero nell'anima, mi accingo al riposo quando il Camino mi offre un'altra delle sue perle. Guarda un po' chi arriva: Gonzalo, con un'altra storia importante. Dopo Manjarin il ciclista di Andorra ha pedalato fino a Villafranca del Bierzo, ma poi è tornato indietro sino a Ponferrada dove è entrato in una chiesa ed è scoppiato a piangere. Non poteva smettere e lì comprese che doveva fermarsi. Riprenderà a piedi dall'inizio, da Roncisvalle, quando il Camino lo chiamerà.

Gonzalo è venuto in bici e ha deciso di abbandonarla, è divenuto un pellegrino, ma deve attendere, il Camino per ora è rimandato, che il Signore lo accompagni.

A proposito di "coincidenze", quelle strane situazioni che qui ti vedono tutti i giorni partecipe, ma che non smettono mai di toccarti: Gonzalo doveva portare a Santiago un messaggio consegnatogli da una pellegrina Brasiliana e lasciarlo all’albergo del pellegrino per un certo Marcos, un pellegrino che le stava davanti nel Camino. Oggi, uscito dalla chiesa, dopo aver acquistato il biglietto di ritorno si è seduto in un bar. Gonzalo doveva riprendersi dopo le tante lacrime sgorgate in chiesa e dagli ultimi due giorni da pellegrino. Come poteva ricordarsi in quello stato del biglietto consegnatogli giorni, "anni" prima.

Ponferrada è una cittadina e come tale piena di bar, per di più questo non è sulla via del Camino, ma a un tratto giunge un pellegrino che lo saluta e si siede lì con lui. I due non si sono mai visti prima, ma non a caso sono lì insieme, non a caso sono sul Camino de Santiago de Compostela, non a caso è Marcos. Prima di tornare a casa Gonzalo ha sentito di dover tornare al rifugio ed ora dice di sapere il perché: “Dovevo incontrarti di nuovo prima di lasciare il Camino”.

Trovo indicativo leggere la frase che Gonzalo ha scritto sul mio cartoncino prima di lasciare Manjarin: "Con mucho afecto de Gonzalo, un peregrino que en este rifugio de Manjarin cree haber empezado a encontrar su Camino" [Con molto affetto da Gonzalo, un pellegrino che in questo rifugio di Manjarin crede di aver cominciato a incontrare il suo Camino]. Il Cammino è anche questo, è anche saperlo abbandonare quando la voce interiore ci dice di farlo: l’importante è seguire l’impulso di cui si avverte l’autenticità, che si sa essere quello giusto. Non sempre nella vita quotidiana si è in grado di saperlo riconoscere, ma questo solo perché non c’è attenzione e pazienza. Gonzalo ha avuto l’umiltà di accettare la resa, la saggezza di ascoltare la voce e di comprendere che essere pellegrino non implica arrivare o meno in un luogo, bensì saper accogliere e interpretare i dettami della voce interiore.

 

Maria: l'hospitalera, la matrona, la missionaria dei rifugi dei pellegrini! Mi ha invitato a mangiare da solo con lei e mi ha raccontato la sua sublime leggenda? Perché io di oltre cinquanta pellegrini che alloggiavano qui oggi? La risposta è scritta nel libro del destino, io posso solo affermare con certezza che l'incontro con Maria si è già rivelato come uno di quelli che contano. E’ tutto così perfetto... "tutto va come deve andare!"

Tra Arnica in granuli e pomata, Voltaren in pastiglie e pomate antinfiammatorie e sani pensieri dovrei rimettermi in fretta, certo la stanchezza ora inizia a farsi sentire; del resto le ultime due notti ho dormito poco o niente per il freddo.

A proposito, ho dovuto appendere tutto ciò che avevo nello zaino a prendere aria a causa dell'odore di fumo: la scorsa notte mi sono affumicato.

Questo albergo è stato inaugurato in aprile, è nuovo di pacca, con tutte le comodità, camerette con due letti a castello, tavolino e armadio, tutto in legno. Padre Iñatio ha visto lungo e, per evitare la freddezza che sarebbe potuta scaturire da queste mura, ha mandato qui Maria a scaldare l'ambiente.

Sono in stanza con un francese che sa di vero pellegrino, arriva dalla Normandia a piedi e ha gli occhi dolci. Ora riposo un po' prima del massaggio offertomi da Alfredo e dell'orazione che Maria tiene nella chiesetta qui a fianco.

Dal taccuino: Anche Maria mi parla di padre Iñatio a Grañon, è lui l'eminenza grigia delle case del pellegrino.

 

 

12 giugno, ventiduesimo giorno: sosta a Ponferrada

 

L'albergo è chiuso, abbiamo da poco terminato le pulizie, la mia gamba è passata in secondo piano e anziché andarmi a coricare mi sono seduto, solitario, al tavolino di una stanza vuota. Mentre scrivo sento le voci dei pellegrini che passano per ricevere il timbro sulla credenziale e proseguire; alcuni lasciano gli zaini e si fanno un giro in città, altri si riposano un po' qui fuori.

Come sempre molti sono brasiliani. Ad un certo punto una voce femminile mi suona familiare, mi alzo ed ecco Dulce e Ronaldo, la coppia con cui ho viaggiato per brevi tratti assieme a Marcos ed Hermas. Stamani ho controllato sul libro dell'albergue se nei giorni precedenti i due amici avessero pernottato qui ed ero giunto alla conclusione che avessero proseguito, visto che Hermas cerca sempre rifugi piccoli o situazioni alternative.

Ma i due hanno proseguito con loro sino a Manjarin e mi dicono che Marcos ed Hermas sono nella Valle del Silenzio; un'altra conferma che la logica qui non serve a un bel niente. Continuano raccontandomi, con uno spagnolo incredibilmente fluido rispetto a pochi giorni fa, la loro esperienza con Tomás e il loro inizio della terza fase. Il destino ha fermato i quattro nel bar dove avevo cucito i miei sandali, mentre fuori grandinava, lì hanno conosciuto Tomás, Ramon e Kris che erano di passaggio. Hermas ha chiesto a Tomás se potevano andare a dormire da lui a Manjarin, ma Tomás gli risponse di no. I quattro si fermarono lì per la notte e l'indomani arrivarono nel magico borgo, giusto per l'orazione; fatto peraltro molto strano poiché l'orazione è a mezzogiorno e il bar dista non più di un'ora, forse due di cammino da Manjarin e nessuno si mette in viaggio così tardi. Forse si sono fermati a lungo alla Cruz de Hierro, sta di fatto che sono arrivati lì giusto per l’orazione templare.

La coppia di Brasiliani mi era parsa "di tipo turistico", ma gli occhi di Dulce e Ronaldo sono cambiati, come se anche in loro fosse avvenuta una trasformazione.

Chissà cosa ne è stato dei miei due compañeros?

Sono certo che questa notte dormiranno nella Cueva.

Dulce e Ronaldo mi parlano poi di una maga che vive là a Foncebadon, dove c'è il bar nel quale hanno dormito, una strega, una medium delle forze ostacolatrici. La strega possiede un cane, la cui descrizione mi procura un altro brivido, è lui, senza la benché minima ombra di dubbio, è il cane che mi ha ringhiato e mi ha fatto deviare nel bar.

E’ tutto così surreale, altro che giochi di ruolo: l'avventura, la magia, l'incanto sono nella vita, solo che non ci facciamo caso. Qui nel Camino la vita si snoda tutta come in una sintesi per cui non può passare inosservata. Le tre fasi vivono costantemente in noi, ma sono caratterizzate da periodi che si susseguono nell'arco della vita terrena: qui siamo portati a viverle d'un fiato, immuni dall'offuscamento creatoci dal concetto di tempo. Il Camino è la vita in sintesi. Certo non è questa la sola via, molti seguono con impegno discipline religiose, nel vero significato interiore del termine, non istituzionale. Strade che vanno tutte nella stessa direzione, proprio come le linee della conchiglia, non a caso, simbolo di questo Camino universale, che convergono in un solo punto.

El Camino de Santiago è un cammino iniziatico volto a svelare alla coscienza i Piccoli Misteri, ovvero i misteri della vita quotidiana che non siamo in grado di cogliere a causa della distrazione, confusi dalla frenesia in cui viviamo che rende dispersivi. Così mi appare la realtà dei Piccoli Misteri, ancora molto sfumata. Forse più avanti ne saprò di più. E’ quindi chiaro come noi pellegrini siamo tutti soggetti ad un elevatissimo numero di esperienze nel breve tempo del Camino.

Grande è la mia profonda riconoscenza nei confronti del mondo spirituale da cui proviene questo ineguagliabile dono.

 

La vita nei rifugi è un altro coinvolgente aspetto del Camino de Santiago. Ogni rifugio è gestito da volontari, gli hospitaleros, con il denaro delle donazioni. Se un pellegrino deve sostare per più di una notte per infortunio o altre ragioni entra automaticamente a far parte della piccola comunità che governa la casa. Tutti ci si aiuta: si pulisce, si scopa, si lava, si mette in ordine per i pellegrini in arrivo e ogni giorno questo meraviglioso atto d'amore disinteressato si ripete, all'infinito.

Certo, sono le anime che fanno la differenza: tutti volontari, quindi con nobili intenti. E’ chiaro che non si può pretendere da un manager inglese di mezza età il calore, la delicatezza, il gusto di una dolce matrona brasiliana per di più baciata dal Signore. Così qui a Ponferrada, quando il pellegrino si alza trova una tavola imbandita per una ricca colazione, nonché con fiori al centrotavola, perché la bellezza vuole la sua parte.

E’ come a Rabanal del Camino. Maria infatti è stata lì prima di essere mandata a Ponferrada, ha formato Celia, ha impresso quel qualcosa in più, espressione dello spirito del Camino.

Stamani ho scopato e lavato i pavimenti del patio cantando; mi è sorto ancora il ricordo della vita dell'ashram, il monastero in India. Un unico grande ideale accomuna tutte le fedi!

Ieri sera l'orazione di Maria nella chiesetta è stata veramente commovente per il calore umano che questa donna ci ha trasmesso, ma soprattutto perché ha fatto sì che ce lo trasmettessimo l’un l’altro. Letture in tutte le lingue dei presenti: saremo stati dodici o tredici, con aggiunta di un brano letto ad alta voce da chi si offriva, canti in cerchio, tenendosi tutti per mano, preghiere, augurio di buon Camino ai pellegrini e abbraccio finale di tutti a tutti, quando già gli animi erano più in cielo che in terra. L'energia sprigionata poteva smuovere le pareti, ma lo scopo era ben più elevato: era smuovere le anime!

Mio Dio, come sono sintetico nelle descrizioni! Vorrei imprimere in questo diario le vibrazioni della squisita orazione, l'Amore che scorreva tra noi, vorrei che chi lo leggerà sentisse le nostre mani nelle sue, si unisse alla catena che ci legava durante il canto sotto la piccola cupola della chiesetta del Carmen. Ma ciò non dipende comunque dal mio racconto.

Dopo l'orazione nessuno si decideva ad andare a letto, così ci siamo conosciuti ancor meglio: ognuno raccontava le proprie storie ad altri. Non mi è sembrato bello celare la mia.

Le due signore tedesche avevano gli occhi lucidi, il mio cuore batteva forte nel riecheggiare la fantastica esperienza vissuta appena il giorno prima e la mattina stessa. Due signore di mezza età partite turiste e ormai già da tempo pellegrine, quante volte ho visto questa trasformazione.

"Sarai cavaliere un giorno", mi dice una delle due, "in fondo già lo sei!". Parole semplici e spontanee del cuore, come se fosse ovvio, tanto che lei stessa mi è apparsa un po’ imbarazzata. Ci abbiamo riso sopra. Una delle due aveva sostato per poco da Tomás e aveva avuto un'esperienza molto forte con lui pur non sapendo nulla riguardo quel luogo e all'Ordine del Tempio. Il destino ha voluto che gliene parlassi io.

Stento ad andare a dormire nonostante sia ovviamente stanco; sono due giorni che dormo poco o niente, sono già le dieci e mezza e... si apre la porta d'ingresso. E’ Patricia che mi deve raccontare “delle sorprese preparatele dal Signore” il giorno precedente per il suo compleanno, passata la Cruz de Hierro, passato Manjarin. E’ lì che inizia la terza fase, non c'è dubbio.

Incredibile com'è differente questa sosta dalla precedente a Navarrete. Là dovevo prestare attenzione soprattutto alle mie reazioni, qui il problema non esiste: la fermezza e la certezza che tutto sta andando per il verso giusto mi consentono di occuparmi di tutt'altro, di ben più spirituale, degli altri. Il valore intrinseco in quest’atto di fratellanza genera una forza che compenetra tutto il mio essere. E’ evidente, lo si sente con estrema chiarezza, anche se mi è difficile esprimerlo, come tutto ciò che riguarda la vita dello spirito, mi mancano i vocaboli. Ma osservando con attenzione si scopre che lo spirito si manifesta continuamente nei nostri rapporti con gli altri.

 

In questo giorno di sosta ho cercato di rimettere un po' insieme le idee e nella lettera a Cristiano faccio un quadro riassuntivo di ciò che è stato il Camino fin qui:

<<Meravigliose vallate verdi ricolme di fiori si alternavano alle colline poco oltre i Pirenei, in Navarra: il corpo iniziava ad adattarsi al Camino, la fatica era compensata da paesaggi leggendari, ti sentivi un cavaliere medievale che viaggiava e combatteva contro i demoni interiori.

I primi dieci giorni l'anima impara ad ascoltare il suo corpo, è attenta al suo strumento terreno, gli conferisce la forza necessaria per vincere i suoi limiti, la psiche è ancora sorretta dallo splendore delle colline navarre e riojane.

Ma dall'undicesimo giorno cambia il paesaggio, le colline svaniscono e immense vallate di campi di grano ne prendono il posto, susseguendosi una dopo l'altra sotto il sole cocente per tratti interminabili, senza tregua per la psiche. E’ la seconda fase, l'anima ora è chiamata a tenere duro a livello emotivo, sentimentale, psicologico appunto. Sembra non finire mai, solo la sera nei rifugi l'incanto del Camino offre nuovamente la sua magia. Ma degli incontri bisognerebbe parlare a parte.

Quando la psiche è a zero, quando ti sembra di aver dato tutto, quando senti come una morte nell'anima, tutto cambia nuovamente. Ti rendi conto che sono trascorsi venti giorni e che sei alla base di una nuova catena montuosa. Inizi a salire e ci sei, il corpo e la mente sono come rinvigoriti, la loro prova continua, l'anima non può permettersi distrazioni, un crollo tanto fisico quanto psicologico lo pagheresti caro, ma ora inizia la terza fase quella che va dritto allo spirito, quella che eleva l'anima a un gradino più alto.

Non sono paroloni letti e riportati, caro amico, questa è vita vissuta ed è quanto di più sconvolgente si possa immaginare per l'essere umano: è un viaggio dentro noi stessi, lo è per davvero!

Riguardo alla terza fase dubito che potrò parlarne... qui sul Camino l'energia che proviene dai mondi superiori si rivela a ogni pellegrino. Tutto, ma proprio tutto ciò che faccio è spontaneo e perfetto allo stesso tempo e non solo per me è così.

Naturalmente non tutti i viandanti sono pellegrini, questi si riconoscono e tra loro scorre la stessa energia, l'Amore. Dio mio, quanto ho pianto per la felicità, mai avrei pensato di arrivare ad essere così libero. Lo spazio fluisce e muta in continuazione, il tempo è trasceso.

Amico mio, la felicità esiste, l'uomo può essere libero, ma per esserlo deve rinunciare all'attaccamento in maniera assoluta, totale, deve dare e ricevere come mangia e beve, deve entrare in sintonia con i suoi tre livelli e si sentirà così uno con tutti».

Mi rendo conto che tali obiettivi possano sembrare irraggiungibili, ma il Camino mi sta dimostrando il contrario. Queste parole le scrivo con l’assoluta consapevolezza del loro peso.

«Questo Camino è un premio conferitomi dall'alto, non so per quale motivo, forse per spronarmi a continuare il lavoro iniziato sette anni fa e, lentamente e a fasi alterne, frenato dalla mia debolezza. E’ dura sentirsi soli nella giungla. Qui siamo in tanti e le fiere, le forze ostacolatrici, ci temono: qui le tre fasi iniziatiche hanno una forza intrinseca da secoli, qui l'Uomo può vincere!

Cri, so che tutto ciò può apparire fantastico e assurdo, ma non lo è: io sto vivendo tutto in prima persona e non si tratta di allucinazioni, di autosuggestione, ma di realtà, ben più reale di ciò che comunemente consideriamo tale.

Segui il tuo cuore e tutto ciò di cui hai bisogno verrà a te come per magia. Cazzo, Cri, è così, te lo giuro, lassù, quaggiù, non so dove, ma c'è una qualche entità, forse un insieme di entità che opera attivamente sulla terra.

Basta, ora basta. Tutto è così incredibilmente sublime, nulla esiste di più importante della crescita spirituale!>>.

 

A letto, solo in stanza, rileggo il passo che ieri sera ho recitato nella chiesetta, è un brano dell'Apocalisse, molto potente:

“Vedranno il Suo volto e porteranno il Suo nome sulla fronte. Non vi sarà più notte e non avranno più bisogno di luce di lampada, né di luce del sole perché il Signore Dio li illuminerà e regneranno nei secoli dei secoli” (Ap. 22, 4-5).

E’ difficile da credere, ma è parte dei Grandi Misteri, è Giovanni.

E’ un passo molto forte, ci si sente piccoli dinanzi a tale solennità. Il fratello di Santiago, l'amico di Gesù, descrisse nell’Apocalisse "il Signore Dio" con immagini che possono solo dare una vaga idea della Realtà divina, di per sé metafisica. Realtà alla cui conoscenza l'uomo deve ambire perché è la sua realtà, è l'anello mancante il cui accesso passa necessariamente per il mondo terreno.

 

Alfredo, un pellegrino spagnolo anche lui convalescente, mi fa un massaggio di quelli tosti e mi estrae il filo di drenaggio della vescica che da Manjarin mi sono dimenticato nel tallone. Cucino poi una pasta delle mie con un chilo di cipolla e zitto zitto me ne faccio fuori tre etti, più due piatti d’insalata con cebolla, insomma statemi lontano.

Salgo, entro in bagno e mi sento chiamare per nome. E’ un giovane pellegrino di Logroño mai visto prima che mi dice: "Sono Cisco, ho viaggiato sino a poco fa con Olivia e Maite, stanno arrivando." E’ tutto così: non c'è il tempo neppure di andare al bagno.

Olivia durante il tratto fatto insieme mi aveva chiesto di insegnarle qualche parola di italiano, le dissi: "Due al giorno non di più". Così ogni giorno le ho lasciato un messaggio nel rifugio in cui dormivo con due parole italiane. Sono arrivate, non l'ho ancora interrogata, ma lo farò presto. Ora è a pezzi, ma... i suoi occhi sono cambiati, ha sicuramente vissuto qualcosa di forte e di profondo, chissà...

A Ponferrada tutto viaggia a mille, così non ho avuto il tempo di parlarle in privato e sono rimasto con questa sensazione. Ma le sensazioni qui sono certezze e di conseguenza saziano come i racconti.

 

La lettura del breve passo dall'Apocalisse mi ha lasciato l'acquolina in bocca, così il pomeriggio a letto con il ghiaccio sul tibiale e sul tendine riprendo il Nuovo Testamento donatomi quand'ero ancora in Navarra, a Villamajor de Monjardin dagli olandesi amici del Camino.

Ora l'ho appena terminato. L'ho letto tutto d'un fiato, non potevo staccarmi dal più incredibile viaggio celeste di cui abbia mai letto. E’ lunga la via verso la città di Dio, tanta strada dobbiamo ancora percorrere per vincere le forze ostacolatrici, per superare i nostri limiti, per meritare la gioia infinita, l'Amore vero. Io credo ci arriveremo; ho incontrato molte anime che vanno in quella direzione e quando ci si perde lungo la via, o meglio, quando ci si distrae e ci si smarrisce, dobbiamo raccogliere le nostre maggiori capacità per riunirci nuovamente al popolo di Dio, ai ricercatori di verità, ai pellegrini.

Tutti abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti, la consapevolezza di ciò ci rende fratelli celesti, cittadini di un nuovo regno, amanti perpetui. Che tutti gli uomini possano aprirsi al Verbo di Giovanni, l'apostolo dei Grandi Misteri.

Anche se determinate espressioni possono apparire un po' "clericali", devo andare oltre i pregiudizi legati alla forma verbale con cui viene esposto un concetto: se termini come "città di Dio", piuttosto che "popolo di Dio" suscitano un imbarazzo legato alla cultura laica, devo necessariamente interpretarli diversamente, per esempio con "felicità, serenità" e "ricercatori della nostra vera essenza". Altrimenti rischio di perdermi delle perle offerte all'uomo, dai contenuti di valenza universale, che vanno ben al di là delle etichette, delle istituzioni religiose, delle scuole di pensiero.

Dal taccuino: <<E’ mai possibile che stando a riposo un giorno e mezzo abbia fatto cinque chilometri... di pulizie?!>>.

 

Questa sera l'orazione di Maria è condivisa da nuovi pellegrini e la carica è la stessa, la stessa di sempre. Un prete tedesco pronuncia una preghiera per i crucchi, Freddy, un giovane brasiliano ne legge un'altra in portoghese; ci sono anche Olivia, Maite, i loro nuovi compagni di viaggio spagnoli e molti altri. Nonostante il numero ben superiore a ieri sera, la pace, l'energia, il sentimento sprigionati sono i medesimi.

Tutte le sere alle nove qui a Ponferrada, nella chiesetta adiacente il rifugio, un nuovo gruppo di pellegrini si scambia amore e lo fanno per l’umanità intera.

 

 

13 giugno, ventitreesimo giorno: Da Ponferrada a Villafranca del Bierzo

Ho abbracciato Maria, Victoria, l'altra hospitalera, Alfredo e altri amici della casa di Ponferrada. Il dolore alla gamba non mi è certo passato, del resto l'altrieri nel bosco devo aver infiammato tibiale e tendine oltre misura, ma è ora di riprendere la via verso Santiago.

Non si tratta di una decisione azzardata o stupida, anche se mi rendo conto che può sembrare tale, ma il frutto della determinazione, della certezza.

Ieri sera l'orazione è stata toccante come la sera precedente, nuovi pellegrini, nuovi abbracci, stesso amore.

Due pellegrine entrano nella stanza dove sto leggendo, due francesi che si sono incontrate qui. Una di loro vive a venti chilometri da casa mia, a Chamonix, ed è partita mesi fa per il Cammino della pace, duemila chilometri di pellegrinaggio: ne ha già fatti mille, arriva da Santiago ed è diretta in Francia. Ieri ha conosciuto Paulo Coelho, il famoso scrittore brasiliano cui molti attribuiscono il gran flusso di pellegrini carioca nel Camino, e ne ha avuto un'ottima impressione.

Cammino con Freddy, un nuovo amico brasiliano che il Camino mi ha offerto. Ora lui è in visita nel castello dei Templari qui a Ponferrada, mentre io lo aspetto seduto sul ponte levatoio. Anche con Freddy gli argomenti sono stati subito di rilievo: l'entità del Cristo, la vita di Gesù, Giuseppe d'Arimatea, il Graal, i Templari. Credo che oggi sarà una giornata di notevole interscambio.

 

Strada facendo, ascolto la gamba e a volte mi sembra di comprenderne il linguaggio, ma poi quando per esempio mi fermo in una panaderia per pochi minuti e nel ripartire lo stato di dolore cambia completamente, vado veramente in confusione. Cerco di capire se il cambiamento è dovuto a qualche movimento strano o al momentaneo rilassamento di un muscolo, ma non trovo risposte convincenti; so solo che se mi fa male devo fermarmi di nuovo e che se, come poco fa, di colpo quasi smetto di zoppicare non posso fermarmi per evitare il rischio della reazione contraria. Spesso, per questa ragione, faccio la spesa e me la porto in spalla per chilometri e chilometri prima di fermarmi a mangiare. Una delle regole che s’imparano subito sulla propria pelle è che ogni peso superfluo va eliminato, di conseguenza anche l'approvvigionamento dovrebbe essere consumato subito. Inutile comperare in anticipo se proprio non si è costretti dalla mancanza di negozi nel luogo di destinazione.

Sono seduto su una panca di legno consumata dal tempo sotto il balcone di una vecchia casa di Fuentes Nuevas, a nove chilometri da Ponferrada. Anche qui si sentono solo gli uccelli: un picchio che batte e lassù in cima a quell'albero un grosso nido di cicogne.

A volte le osservo e chiedo: "Porterete anche a me un bimbo, oppure no?"

 

Dal taccuino: Villafranca del Bierzo, 42188 passi da Ponferrada, 30 chilometri, in realtà almeno cinque li ho fatti in città.

Freddy è un gran bravo ragazzo di ventisette anni, un po' fifone, con le idee ancora molto confuse sul piano religioso, ma sinceramente alla ricerca, alla caccia di se stesso. Camminiamo tutto il giorno insieme e io alla fine ho bisogno di un po' di silenzio.

Villafranca del Bierzo: è come se Sarah fosse qui, sento fortissima la sua presenza.

Ma come sono approdato a questo autentico rifugio del pellegrino? Trenta chilometri zoppicando, ma relativamente bene, falando (parlando) con Freddy. Arriviamo e subito c’imbattiamo nel primo rifugio: moderno, pulito, freddo, di pelle non ci siamo. Freddy chiede quanti posti sono rimasti: è facile farsi inghiottire nell’ansia classica del turista-pellegrino che teme di non trovare posto per dormire.

Io esco e mi dirigo alla chiesa: mi dicono che è chiusa, invece "per caso" la signora che ha le chiavi è ancora nei pressi. Me la apre. E’ una chiesa semplice con un crocifisso meraviglioso e la porta del perdono. Dato che "non ho niente da farmi perdonare", sto per uscire tranquillo, quando la señora mi chiede se sono diretto al rifugio dove sono appena stato. Allora io domando: "Perché, ce n'è un altro?". Lei, impappinandosi svia e m’invita a tornare a quello municipale. Insisto e mi risponde che ce n'è un altro, ma che quello è assolutamente meglio, mi consiglia di affrettarmi finché c'è posto. Chiedo dov'è l'altro e lei insiste dicendomi che il municipale è migliore, è nuovo, e di andare lì. Chiedo perché, niente, insiste addirittura dicendomi che “è più adatto per una bravo ragazzo come me”.

Naturalmente decido di andare nell'altro: è la casa di una famiglia che si dedica ai pellegrini, rimessa in piedi alla buona dopo l'incendio di tre anni fa, un luogo autentico.

Appena do il mio nome mi dicono: "Marcello, come stai? Sarah e Jacob sono stati qui a lungo, poi hanno saputo dei tuoi problemi alla gamba e sono partiti". Domando: "Ma da chi hanno saputo delle mie peripezie?". "Come da chi, dai piccioni viaggiatori del Camino, dai ciclisti!". Ripenso a Gonzalo: Santiago l’ha voluto tra i Suoi e dopo Manjarin l’ha reso pellegrino, ma facendogli prima adempiere il suo compito di piccione viaggiatore.

Trovo il messaggio di Sarah e alcuni suoi lavoretti. Percepisco subito che questo è un altro luogo importante. I miei due amici, o meglio il mio fratellino Jack e Sarah hanno vissuto qui tre giorni - come leggo nel messaggio - "pelando patate, lavando piatti, spostando pietre, maneggiando pattumiere, accogliendo i pellegrini, traducendo per il dottore, facendo conchiglie, timbrando credenziali". Ora comprendo la forte sensazione all'ingresso, mio Dio come sono diventato recettivo!

Le scrivo: <<Sento che questo è un luogo speciale anche se dopo Manjarin niente più mi può sorprendere>>.

I miei due americanini hanno vissuto l'altro aspetto del Camino, hanno fatto una breve esperienza da hospitaleros e ciò li ha certamente proiettati verso il sociale. Chissà come procede il loro Camino interiore, chissà cosa offre alle loro anime la terza fase?

Sarah mi scrive che mi aspetterà a Santiago, dove prevede di arrivare fra due o tre giorni, e nel "mi manchi" finale colgo un calore che mi compenetra il cuore. Non ci vuole molto, sì, ma ne avevo bisogno. Nella lettera-diario parallelo le scrivo: Questo messaggio è completamente differente, qualcosa è successo, penso che il seme piantato a Manjarin inizi a germogliare.

Dentro di me si stanno muovendo forze immani, e la cosa sbalorditiva è che ne sono ben cosciente. Continuo nella lettera a Sarah: <<Mio Dio Sarah, cosa sta succedendo, mi sento così saggio, così pieno d'amore, così vicino al paradiso. In verità questo è il paradiso! Avevo deciso di non pensare più al nostro prossimo incontro ed ecco che mi scrivi che mi aspetterai a Santiago>>.

Le prove sopraggiungono sempre quando si ha la forza di superarle e quanto più si è tenaci tanto più forti sono le tentazioni che ci inducono a ricadere. Quanto più ci ribelliamo all'illusione e ci liberiamo dalle catene dei nostri attaccamenti, tanto più gli ostacolatori spirituali infieriscono in noi. Ora che stavo neutralizzando la tentazione di aver aspettative ecco che sono istigato a ricaderci. Ma non ho la benché minima intenzione di mollare, sento che la robustezza interiore conquistata mi può portare fino in fondo. D'altro canto so che Santiago de Compostela e Finisterre non saranno la fine del Camino.

Ancora nella lettera a Sarah: <<Certo, qualsiasi cosa succeda, questa è la relazione più magica (forse solo nella mia mente e nella mia anima) che abbia mai avuto.

Questo rifugio è semplicemente meraviglioso, sento che qui tu ti sei rimessa, sento la Sarah che porto nel cuore>>.

 

Questa sera ho conosciuto la famiglia Yato che da anni ormai si dedica ai pellegrini; negli occhi della signora Yato ho visto grande spirito di dedizione, grande amore, con la figlia abbiamo riso e c'è stato subito feeling. Jesus, il capofamiglia, è arrivato tardi e non ho avuto modo di conoscerlo.

Dopo una gran cena preparata dalla figlia mi ritiro a scrivere, ma poco dopo devo abbandonare la penna perché un nuovo massaggio mi attende, una nuova orazione. Anche Patricia, naturalmente "per casualità", è andata oltre il primo rifugio e ora è anche lei qui. Jesus le dà un olio a base di bacche curative e Patricia nuovamente mi offre la sua preghiera, un'altra "orazione disinfiammatoria". E’ ancora interscambio, in fondo la mia gamba è un pretesto per amarci nei pensieri.

 14 giugno, ventiquattresimo giorno: Da Villafranca del Bierzo a O Cebrero

 

Anche a Villafranca del Bierzo ho conosciuto occhi sinceri, el camino espiritual sigue [il cammino spirituale continua].

Freddy è rimasto nel rifugio municipale dove poco dopo sono arrivate anche le due Canadesi con gli amici Spagnoli; ne ha però avvertito la freddezza e ieri sera è venuto in casa Yato, assai meno confortevole, per scaldarsi un po'.

Oggi parto solo anche perché, per evitare una lunga e ripida discesa, ho deciso di seguire la statale per diversi chilometri. Camion, camion, camion; megalavori autostradali, Camino impolverato.

Sono al rifugio di Pereje: è molto accogliente, ma temo sia destinato ad estinguersi presto poiché gli stanno costruendo di fronte l'autostrada. Un vero peccato.

Colazione a base di ciliegie (ho trovato degli alberi proprio a lato del rifugio) e di squisite merendine a base di conservanti, acidificanti, aromi, margarina vegetale e chi più ne ha più ne metta. Però non contengono uova infelici e perciò mi ci sono fiondato a spese di tutti i miei organi. Addirittura la crema è a base di grassi vegetali idrogenati, conservanti, sciroppi eccetera.

Ora mi rimetto in marcia, viste le invoglianti prestazioni della mattinata, ovvero dei primi sette chilometri, ma poi vorrei scrivere di un’interessante tesi sviluppata nel Camino riguardo al concetto d’intelligenza.

 

Altri quattro chilometri e sosta obbligata a causa della sofferenza acuta alla gamba. Ne approfitto per scrivere una rilevante constatazione: "Mi è ormai chiaro che il Camino è una sintesi della vita, di conseguenza se durante il pellegrinaggio dedico per esempio mezz'ora a pensieri negativi, stupidi o anche solo superflui, è come se sacrificassi migliaia di ore della mia vita, dato che il Camino dura circa trenta giorni e la vita circa ottant'anni. E’ una ragguardevole presa di coscienza perché mi stimola, come tutte le prese di coscienza del resto, a mantenermi più attento e vigile sui movimenti spesso automatici e incontrollati della mente.

E’ il punto chiave della dottrina buddhista a cui sono e sarò sempre devotamente grato. Poter vivere interiormente concetti appresi presso autorevoli fonti rappresenta un passo avanti verso la consapevolezza dell'essere. Per tale ragione sono dell'avviso che lo studio della grandi scuole di pensiero, degli insegnamenti dei grandi maestri, a prescindere dalle religioni in cui operano, sia di grande utilità per il ricercatore dello spirito.

 

Il sole picchia, ma il venticello smorza, qualche fonte ogni tanto e via. Ahimè tutta carretera! Mi sono bello impolverato perché con i ciclopici lavori dell'autostrada La Coruña - Ponferrada continuano a passare camion carichi di terra che rilasciano una scia di polvere tutta per noi. Ad un certo punto mi raggiunge un signore della zona, nei quaranta, che cammina con un grosso sacco di plastica in una mano, inizia a parlare e non mi molla più per una buona oretta.

Probabilmente, se non fossi stato zoppetto, come mi ha ribadito un'anziana del paesello precedente, lo avrei distanziato alla svelta privandomi dell’ennesima opportunità offertami dal Camino. Ho così fatto un'altra intensa esperienza legata alla... compassione. Oggi dev'essere proprio la giornata buddhista!

Il pover'uomo era chiaramente disturbato e per di più doveva aver bevuto. Intanto in me, passo dopo passo, aumentava il sublime e al tempo stesso doloroso sentimento di compassione. Mi domandavo perché lui fosse conciato così e non io, perché il mostro, l'alcol, aveva avuto gioco facile su di lui. Il karma! Ok è logico, ma non mi basta, perché lui ed io siamo fratelli, in ultima analisi siamo uno, ed io non posso restare indifferente alla sua condizione. Ma come aiutarlo? Le sue capacità di comprendonio sono molto limitate, a mala pena m’intende. Così decido di aiutarlo con l'anima, col cuore e chissà forse qualcosina ho fatto oltre ad aver rischiato di finire sotto un tir per evitare che lui stesse all'esterno della strada.

Ritornano altri pensieri: E’ giusto lasciar fluire il desiderio senza reprimerlo, anche perché così non genera malinconia, ma dolcezza.

Nel Camino ho sempre saputo ciò che volevo, senza indecisioni e l'ho sempre conseguito; beh ora non posso, perché immerso nel verde, all'ombra di questi alberi infiniti vorrei essere con Sarah, magari addormentarmi abbracciato a lei sdraiato proprio su questo prato. Forget about it [scordatelo], tutto va come deve andare, lo so!

Sono seduto su dei tronchi stesi sul bordo di una stradina secondaria a scrivere, quando eccomi passare davanti un pellegrino solitario, giovane, pressappoco della mia età, con uno zainetto da cinque chili al massimo, un’espressione e un’andatura sagge.

Si ferma, ci si comincia a conoscere, poche parole, molta intesa, come da prassi del Camino, mi alzo, riassetto la nave e riprendo al suo passo, lento e costante. E’ subito feeling. Porta buono arrivare in Galizia con un gallego? Io dico di sì.

Ora Tony ha deciso di fermarsi in una casetta-rifugio scovata tra le quattro case a lato del fiume e di riposarsi in previsione della dura salita verso O Cebrero che intraprenderà domani. Io proseguo, non vedo l'ora di attaccare la pendenza.

La gamba si è comportata benissimo, ormai sono alle pendici del monte, poi finalmente tutta salita sino a O Cebrero.

Dal taccuino: E ora vediamo come si comporta il nostro Pantani! Certo non è l'ora migliore per affrontare la salita più dura di tutto il Camino, dopo quella da St. Jean-Pied-de-Port a Roncisvalle spero.

 

Questa invece è stata la salita più dura, tenuto conto che qui ho camminato sempre sotto il sole a picco contrariamente al tratto tra St. Jean-Pied-de-Port e Roncisvalle. Non ho mollato un passo ed eccomi in cima, appoggiato alla grossa pietra che ci augura il benvenuto in Galicia. Sono un cencio, tibiale e tendine in fiamme, ma la psiche e lo spirito vanno a mille. O Cebrero dev'essere a poche centinaia di metri, l'ultima cima è conquistata.

 

Dal taccuino: <<Ho pensato, parlato e scritto troppo presto: tutto bene sin quasi a O Cebrero, salita strepitosa, andavo come un treno, ma l'ultimo chilometro mi ha fregato.

Ho la gamba incandescente. Anyway 48023 passi per un totale di 34.5 chilometri. Non poi tanto per essere sul tetto del mondo».

Sono arrivato al rifugio di O Cebrero, in condizioni pietose, aggrappato al bastone, miseramente zoppo, ma ce l'ho fatta. Una scena già vissuta. Quelle poche ultime centinaia di metri non riesco a capire perché mi hanno distrutto. Ora ricomincia il solito cerimoniale del ghiaccio, pomata, massaggio e dopo cena la mazzata allo stomaco, l’antinfiammatorio, oltre ai vari omeopatici naturalmente.

Appena arrivato, come un miraggio ho incontrato Olivia appena docciata, con un pareo e una maglietta bianca che le donavano oltremodo. Inutile ribadire che Sarah è sempre presente nel mio cuore e niente da parte mia potrà spezzare la magia della nostra storia d'amore nata dal Camino. Quante rose ho odorato dedicandole a lei, quanti pensieri, quante emozioni...

Le scrivo: <<Sono completamente demolito! Il tibiale è in fiamme, il ghiaccio gli si scioglie sopra. Vorrei tu fossi qui a passarmi le dita tra i capelli, a baciarmi mentre riposo>>.

Nel Camino con Tony, il gallego, ho conosciuto anche Marc, un belga dall'aria interessante che veniva a piedi dal suo paese. Lo rivedo oggi alla fontana di fronte ad una vecchia stalla dove si dissetano indistintamente pellegrini e mucche. Per un momento credo si sia buttato dentro, poi, scaricato lo zaino a terra, mi rendo conto che sono nelle sue stesse condizioni. Già da due ore si saliva senza tregua e lui dov’essere arrivato lì pochi minuti prima di me.

In quel frangente non abbiamo la forza di parlare, ma si sente che l’avremmo, anzi direi che avverto subito una certa affinità, al di là del fatto che sia un pellegrino.

Caso vuole che questa sera giochino Italia e Belgio per la Coppa Europa, quale miglior occasione per conoscersi da unici esponenti di tifoserie rivali? Decidiamo di andare a cenare nel ristorantino vicino al rifugio a vedere la partita lì insieme: il pretesto della partita si rivela ben presto assai utile, giacché evidentemente siamo ambedue interessati a conoscerci. Marc ha trentotto anni, è nato il diciannove agosto (io sono nato il diciotto) e ha esordito, senza saperlo, dandomi del leone (il nostro segno zodiacale): ha lavorato per dieci anni e più in pubblicità e pochi mesi fa ha mollato tutto e si è incamminato. Le nostre esperienze di vita sono state molto simili e più si raccontano più s’intrecciano.

Non trovo corretto rendere pubblico ciò che mi è stato confidato dagli amici conosciuti durante il Camino, salvo quando gliene ho chiesto il permesso, come a Gonzalo. Nel caso di Marc quindi mi limiterò a dire che anche lui ha conosciuto una donna nel Camino, che anche lui l’ha persa e che anche lui la vuole raggiungere.

Pure Guglielmo, il napoletano che vive a Verona incrociato a Rabanal, era nel ristorante e anche lui ha voglia di sapere e raccontare, purtroppo parlando solo l’italiano spesso durante il Camino si è sentito un po’ impacciato nelle conversazioni. Già a Rabanal avevo colto il suo desiderio, ora sono in condizioni più propense all’ascolto, ascolto che mi offre un’altra piccola perla di cui scriverò in un altro momento. Ora devo andare.

 

 


15 giugno, venticinquesimo giorno: Da O Cebrero a Triacastela’

 

Anche a O Cebrero le esperienze interiori seguono il loro "naturale corso accelerato" nel Camino. Il paese è situato sul crinale più alto della zona. Ieri sera il tramonto verso Santiago è stato spettacolare. Ha fatto luce sino alle undici.

Chiacchieravo al ristorante con Guglielmo e Marc quando entra Freddy e c’invita a raggiungere Olivia e il gruppo di spagnoli: sono seduti là sul colle, dove si domina il mondo. Il panorama è mozzafiato, tanto che nonostante la mai condizione fisica decido di raggiungere la cima dove una croce di legno fissata al suolo benedice i quattro punti cardinali. Il vento soffia via la luce del giorno per lasciar spazio agli astri luminosi. Mi raccolgo, forse mi perdo per un po’ nell’universo prima di tornare tra i pellegrini.

Con Freddy, Marc, Olivia e i tre compañeros spagnoli rimango a parlare fino a tardi lassù nel cielo. Non una luce artificiale e anche quelle laggiù nel mondo lentamente si spengono. La notte avvolge queste valli infinite, ma le nostre anime, nonostante l'appesantimento del corpo, sono attente e sveglie. Un'immagine che conserverò per sempre: un gruppo di giovani pellegrini assorbiti nell’oscurità dai loro racconti.

Tutti insieme, stretti l'uno all’altro sulle panche, i capelli scompigliati dalla brezza notturna, si parla a coppie, non per selezione, bensì perché parole intime scaturiscono dai nostri cuori e il rapporto a due facilita l’apertura, libera la confidenza. Le energie confluiscono come immaginari raggi di luce incolore, sprigionando forza, pace e saggezza intorno a quel tavolo buttato lì tra le stelle. Non era tutta farina del nostro sacco, lassù eravamo in tanti..., chissà quanti?!

A Santo Domingo de la Calzada a cena dalle suore con Carlos e Hurst, peraltro anche lui qui, avevamo notato gli occhi tristi delle due Canadesi e avevamo ipotizzato la morte del marito-padre. Così è stato e il Camino certo le aiuterà molto.

Parlo a lungo con Olivia e le racconto di quella prima impressione, le dico tutto e naturalmente lei ne rimane sbalordita a tal punto che oltre a confermarmi l’accaduto si apre lasciando che il vento spinga fuori le sue angosce. Si presenta al mio sguardo interiore un'altra storia di vita legata al Camino.

E’ passata l’una quando con Freddy, seduti sui gradini all’ingresso del rifugio, si continua ad attingere dal cielo che si apre con le nostre labbra ed elargisce perle a profusione.

 

Ieri sera Guglielmo mi ha offerto un insegnamento che certo non potrò dimenticare. Si tratta del motivo del suo pellegrinaggio. Senza che io glielo abbia chiesto, anche perché non esiste domanda più sciocca che: "Perché hai deciso di fare il Camino de Santiago?", lui improvvisamente mi dice: "Marcello, sai perché sono qui?". Stupito, interessato e lusingato per l'imminente rivelazione, cerco di stringermi il più possibile intorno alla sua anima in procinto di parlare: "Devi sapere che hai di fronte a te un uomo molto fortunato che ha trascorso sessant'anni meravigliosi, ha due figlie grandi, sane e felici, una moglie che lo ama e che lui ama e che per queste ragioni è venuto qui, a ringraziare il Signore per tutto ciò che gli ha offerto". Penso che ogni commento sia superfluo.

L'unica considerazione che vorrei aggiungere per avvalorare la nobiltà di un simile gesto è che Guglielmo non è per niente un tipo sportivo, tanto che ad un certo punto ha dovuto comperarsi un carrellino della spesa e adattarlo per caricarci sopra lo zaino, perché non ce la faceva più dalla fatica. Il Camino di Guglielmo dura da quattrocento chilometri (non ricordo esattamente da dove è partito): un sacrificio per un uomo grosso e non allenato di sessant'anni ai limiti del sopportabile, fatto non per chiedere un aiuto, o perdono a Dio per qualche misfatto, ma per esprimere così la sua immensa gratitudine per la bellezza della vita. Io m’inchino dinanzi a questo pellegrino. Grazie Guglielmo.

 

Prima di coricarmi lascio appoggiato sulla borsa di Marco, un “piccione viaggiatore” veneziano, un messaggio per Sarah, destinazione Santiago de Compostela. Ho conosciuto il giovane medico di Mestre ieri, poco dopo il mio arrivo: mi ha offerto due pillole di gastroprotettori da prendere in compensazione degli antinfiammatori che non stanno certo facendo bene al mio povero stomaco.

Poco dopo anche un pittoresco brasiliano sulla cinquantina conosciuto a Villafranca del Bierzo l'altro ieri mi offre soccorso, ovvero una spruzzata di uno spray antidolorifico, a sentir lui, miracoloso. Tutta acqua sul fuoco che non smette di ardere, giacché continuamente alimentato. Anche qui l'hospitalero massaggia a destra e a manca, ma ora sta operando su altri della corte dei miracoli.

La mattina me la prendo comoda: l’albergo è già vuoto, gli hospitaleros indaffarati a rigovernare il grosso edificio, solo il ciclista di Mestre e Freddy sono ancora qui. Con il dottore da cento chilometri al giorno vado a visitare l’eglesia di Santa Maria La Real. Apre alle nove, decidiamo di aspettare e facciamo bene perché altrimenti ci saremmo persi un altro concentrato di energie. Nella chiesetta è custodito il calice del Santo Graal galiziano del XII secolo. La leggenda racconta: un prete, pensando che un contadino non sarebbe arrivato in tempo per la messa a causa delle intemperie, non lo aspettò e iniziò la cerimonia. Poco dopo il campesino arrivò nonostante il maltempo e il Signore per premiare la sua tenacia e dare una lezione di fede al prete, durante l'eucaristia trasformò l'ostia in carne e il vino in sangue, tuttora simbolicamente conservati a lato del calice sull’altare.

Il luogo dove avvenne il miracolo è tuttora meta di pellegrinaggio oltre ad essere tappa del Camino di Santiago. Per me, pellegrino del terzo millennio, rappresenta un incentivo a proseguire nel duro cammino interiore nonostante le intemperie dell'anima, una conferma dell'appoggio del Signore.

Tornati al rifugio, io per prendere lo zaino, lui la bici, trovo Freddy pronto ad incamminarsi, senonché una telefonata interminabile con la fidanzata oltremare lo trattiene nella cabina, dopo un po’ mi decido ad avviarmi senza di lui. Il racconto del miracolo aveva sì sollecitato l'attesa, ma... tutto a un limite.

Ora sono a Triacastela, venticinque chilometri di discesa, però pensavo peggio, nella fotocopia della carta topografica del Camino datami non ricordo dove, pareva assai più pronunciata. Anche oggi sole a picco, ma molto vento. La gamba ha retto bene, ora è gonfia, ma con ghiaccio e Voltaren la sistemo per le feste.

Condivido gran parte del Camino con Tony. Il nuovo compañero gallego che vive alle Canarie ieri mi ha illuminato sull'importanza della festa di San Juan in Galizia e del significato del fuoco purificatore con cui si bruciano le vesti nella notte tra il 23 e il 24 giugno a Finisterre, e dell’acqua che dona nuova vita. Ecco che l’acqua e il fuoco sono la nostra meta com'era per i pellegrini celtici e poi per quelli giacobiti.

Ancora una volta, spontaneamente, involontariamente, guardo al futuro, tendo a fare programmi come se il Camino non fosse stato fin troppo chiaro a riguardo. Addirittura con Marc e Tony prevediamo di ritrovarci sulla spiaggia di Finisterre la notte di San Juan, io e Marc con le rispettive (non detto, ma implicito). Siamo coscienti della caducità insita nel programmare, ma la tentazione è forte. Sarebbe stato più saggio tacere e restare nel presente, mantenere il desiderio come un augurio e pensare a cogliere il qui e ora. Progettare scaturisce dall’attaccamento e di conseguenza non può che remare contro.

Ma torniamo al presente, al caldo delle tre del pomeriggio, alla delizia dei monti galleghi, all'afflato verso Finisterre. Dal punto di vista turistico più ci si avvicina a Santiago più si avverte l'attenzione pubblica attribuita al Camino: indicazioni più chiare, sentieri ben battuti, molte più pietre miliari con impressa la conchiglia e il numero chilometri che mancano a Santiago: 130.

Il numero dei pellegrini che incontro non è affatto aumentato, contrariamente a quanto immaginavo in quanto più ci si avvicina a Santiago più il Camino diviene appetibile, perché più breve.

La curiosità che più suscita il mio interesse è la crescente presenza sul Camino di villaggi chiamati Hospital. E’ chiaro che nel corso dei secoli molti pellegrini sono stati assistiti in questi borghi. Al mio passaggio rivivo la gratitudine provata da tutti i pellegrini del passato e ringrazio.

"Il cammin di nostra vita" per me consiste nel tentativo di liberarsi di quante più possibili schiavitù mentali, abitudini. El Camino concentra tale processo rivoluzionario di trasformazione in pochi giorni. Questo richiede tanta volontà perché non si tratta solo di riconoscere la direzione della saggezza, ma di intraprenderne la via. Ciò mi riporta alla constatazione fatta due giorni fa sull'intelligenza, comunemente intesa come capacità di rapido apprendimento che se non realizzata nella pratica rimane sterile.

Solo in quest’ottica tanto più un uomo è intelligente, quanto più è forte e libero.

Come la schiavitù mentale sposta il pendolo dell'anima verso l'ignoranza, così la libertà lo spinge verso la saggezza. Certo è facile e comodo essere schiavi, mantenersi nell'ignoranza, non farsi troppe domande, non lottare. Il mondo offre molte tentazioni in tal senso: la televisione, i computer, tutti i comfort che la tecnologia ci propina ci rendono sempre meno liberi, sempre meno uomini. Non siamo tutti burattini di un sistema autoalimentato: c'è chi si è ribellato, magari per breve tempo, assaporando il gusto di un primo approccio alla libertà.

Chi è chiamato a questo pellegrinaggio è senz'ombra di dubbio un ribelle, per lo meno a livello embrionale: è qui che deve sviluppare tale embrione divino affinché, tornato nel mondo, sia in grado di stimolare altre anime assetate di libertà.

 

Dal taccuino: <<Oggi 27 chilometri e riposo. 37400 passi senza grossi problemi. Confido nell'imminente miglioramento fisico>>.

Sono arrivato a Triacastela ancora una volta a denti stretti. In compenso sono stato bene con Tony che si rivela sempre più un buon compagno di viaggio.

La giornata è incandescente, come la mia gamba. Mangio al bar di fronte al rifugio sempre con la gamba stesa e il sacchetto di ghiaccio alternato tra il tibiale e il ginocchio e vado a coricarmi, deciso a riposare fino a domani. Sennonché mi giunge voce che Patricia è stata accompagnata qui dalla Guardia Civil perché si è sentita poco bene durante il Camino. La raggiungo nella stanza in cui l’hanno sistemata: niente di grave, solo un po’ la pressione, sotto quel sole!

Ci conosciamo meglio, passiamo una serata molto gradevole parlando... del Camino.

Arriva anche Freddy, mi chiede delucidazioni sulla mia avventura alla Cueva, ma poi, occupato a parlare con Patricia, non lo rivedo più e non faccio a tempo a dirgli che domani mattina partirò prima dell’alba con Tony il galiziano.

Anche se non bisognerebbe fare programmi, è chiaro che, arrivando vicino alla meta, con Sarah che mi aspetta a Santiago e la notte di San Juan a Finisterre il giorno ventitré, mi sono fatto un bel film sugli ultimi giorni di marcia.

Freddy mi ringrazia per averlo stimolato a comprendere il Camino e mi dice di aver scritto un racconto sulla mia esperienza nella Valle del Silenzio.

La lotta contro i pensieri volti all'autocelebrazione è uno dei principali aspetti della disciplina che un temperamento accentratore come il mio deve imporsi. La vanità è un enorme ostacolo sulla via della libertà, perché fondata sull'illusione. La gloria terrena corrisponde all'oscurità spirituale. In quest'ottica, come sto attento a non incoraggiare l'attrazione fisica verso Olivia allo stesso modo devo evitare situazioni che mi vedono troppo al centro dell'attenzione.

Non è il plauso che cerco nel Camino, ma sono felice che il racconto di una mia esperienza possa servire da stimolo per altri, perché di esperienze accessibili a tutti si tratta.

Saluto Patricia. La maestra cilena si fermerà qualche giorno in ritiro dai benedettini a Samo, che il Signore l'accompagni.

 

 

16 giugno, ventiseiesimo giorno: Da Triacastela a Sarria

La prima luce, il vento caldo, un fottuto prurito che da due giorni m’infastidisce, la voglia di camminare. Sono le sei meno dieci e sono già fuori dal rifugio, pronto, in fase di riscaldamento muscolare. Ora lascio la penna perché non vedo ciò che scrivo.

 

Partono con me Tony, Angel - una giovane donna, semplice e di bell'aspetto che la sera a Mansilla de las Mulas mi aveva invitato nel gruppo per la cena - e un altro spagnolo sulla quarantina che ha dormito in stanza con me, con Tony e con il simpatico bombolone ex pubblicitario di Madrid over seventy [ultrasettantenne], dallo spirito giovane e brillante, altro veterano del Camino.

La minuscola Triacastela è immersa nel verde, un verde che nel Camino ti accompagna costantemente, ti compenetra, ti assorbe, ti eleva. Un verde che cambia in continuazione, che rapisce lo sguardo, che delizia l'anima. L'alba ne accentua i colori, il cui mutamento è accelerato. Il rapido scorrere dei fiumi si schiarisce con l'accendersi della natura tutt'intorno. L'anima del viandante, scossa da tanta bellezza, offre il suo corpo che diviene coscientemente tutt'uno con lo scorrere dei paesaggi.

E’ subito salita e, assieme ad Angel che tiene un passo sostenuto, allungo di parecchio, sapendo che prima o poi dovrò rallentare; non potevo immaginare quanto. Da Triacastela la salita è stata una pasada [uno spasso], ma appena la via ha iniziato a scendere ho visto i sorci verdi: gli ultimi tre chilometri sono stati fatali.

Ora sono all'albergo di Calvor dove l'hospitalera gentilmente mi ha aperto, nonostante stia rigovernando, per permettermi di cucinare un riso bollito. Devo mangiare e prendere subito un antinfiammatorio, così non posso più andare avanti; devo prendermene uno ogni otto ore, come mi è stato prescritto altrimenti a Santiago ci arrivo strisciando. Appena metto la gamba nel secchio pieno d'acqua fredda è come se v’immergessi un ferro rovente, fuma. La sensazione è di assoluto sollievo, direi addirittura di libidine.

A Calvor non c'è un negozio o un bar dove approvvigionarmi. Destino vuole che a O Cebrero abbia accettato metà pacco di riso offertomi da Marco, il ciclista di Mestre.

La cucina non è munita né di colapasta, né di olio, né di frigo con possibili avanzini di burro, quindi mi attende un riso bollito con sale. Ma pensa un po' quel che ho trovato, del curry.

 

La terra dei Galli, la terra delle streghe, la regione dei mille fiumi è splendida, peccato io sia ridotto in queste condizioni e non possa apprezzarne appieno le meraviglie.

Arrivo a Sarria a mo' di lumaca, mi dirigo subito all’ospedale quando da un bar della cittadina in una via fuori dal Camino mi sento chiamare per nome. E’ Guglielmo, da solo, anche lui esausto. Mi fermo per una Kas lemon ghiacciata. Appena mi portano la lattina l'appoggio sul tibiale, chiudo gli occhi e comincio con ad assaporarla con la pelle. A lato del tavolino c'è il carrello della spesa di Guglielmo che, per evitare sentieri non adatti alle piccole ruote, è costretto a percorrere esclusivamente strade asfaltate, quindi ad allungare. Si chiacchiera poco perché io devo recuperare un "bombardone" per la sera e andare a riposare al più presto. Così eccomi di nuovo all'ambulatorio: è la solita storia, certo non si può dire che io faccia una gran pubblicità al Camino.

La diagnosi la so, la prescrizione pure, tutto sta se mi danno in mano una manciata di pastiglie e una pomata oppure una ricetta. Questa volta ricetta, ma dopo gli occhietti dolci pastiglie e pomata.

Sarria è una cittadina dove il pellegrino non è minimamente preso in considerazione. Una freddezza a cui non si è più abituati, tanto che ti viene spontaneo salutare perlomeno tutti quelli che ti guardano come nei pueblos precedenti. Certo che se a Milano o a New York uno con lo zaino in spalla e un bastone in mano salutasse per la strada i passanti, lo prenderebbero per rincoglionito, qui però sanno che si tratta di un pellegrino. Insomma quanto più il centro urbano è grande e perde la dimensione umana, tanto più l'indifferenza impera nelle anime.

Un altro aspetto che già Sarah aveva notato a Pamplona è che le distanze in città per noi hanno un valore diverso che per i cittadini. E’ divertente sentirsi dire: "In fondo a destra, poi faccia tutto il viale sino alla fine, poi..., ma guardi che è molto lontano!". Eh sì, anche lo spazio perde significato, in fondo è così fittizio, proprio come il tempo.

Faccio un po' di spesa ad un supermercato, mi trovo una branda relativamente al buio e tento di riposare tutto il pomeriggio. E’ l'una e mezza di pomeriggio, il sole fuori massacra, ma la stanza qui è bella fresca, sogni d'oro. Interiormente sono bello carico, certo la gamba...

Gamba alta, ghiaccio, massaggino, ghiaccio, questo il mio riposo, anche perché c'è una brasiliana che al posto di conversare grida e ciò concilia poco il sonno.

Fra tre ore preparo un sofrittino di base per i ceci e un'insalatina di pomodori pre-antinfiammatorio. Ormai tutto verte sul tibiale. Togli il ghiaccio, rimetti il ghiaccio, un minuto, tre minuti con massaggino intermedio. La verità è che io e Tony siamo ansiosi di ciò che ci attende.

Dal taccuino: <<Partenza all'alba in salita brillante, per poi rovinare miseramente nella discesa in tarda mattinata. In ogni modo 22 chilometri li ho fatti. 30277 passi di cui più della metà di vera sofferenza. Sto stringendo i denti, mancano poco più di cento chilometri a Santiago>>.

 

Ore ventidue e quarantacinque, si fa buio. Soffritto senza olio, pomodori e ceci smorzano l’antinfiammatorio nello stomaco, la gamba è sollevata, fra poco la impomato e la bendo. Le due signore tedesche con cui ho parlato la sera dopo l'orazione di Maria a Ponferrada mi fanno compagnia mentre ceno.

Sarah e Jacob sono già a Santiago, sono emozionato per loro: le dita nella colonna del Portico della Gloria, la santa messa per il pellegrino, l'abbraccio al Santo. E’ il raggiungimento del primo obiettivo; per la maggior parte dei pellegrini è l'obiettivo, ma per me sarà anche l'anticipo del rito del fuoco e dell'acqua di Finisterre.

Niente da fare: basta che mi distragga un attimo dal reale fluire del Camino, dal suo volere occulto che mi perdo in previsioni inopportune. Sono felice e spensierato, ovvero distratto, anche a causa del dolore fisico che annebbia, depista e illude che tutto dipenda dalla sua guarigione. Mi sento forte e sicuro sul piano psicologico e spirituale, ma temo l’aspetto fisico: sono più attento che mai al corpo. E’ comunque un tutt'uno, ho una gran voglia di incamminarmi.

A volte, tra i tanti pensieri utili che poi dimentico di annotare o tra quelli che  non vale la pena raccontare, penso a come farò dopo il Camino ad alzarmi la mattina e a non incamminarmi più, soprattutto dal punto di vista psicofisico, in quanto spero di mantenere attivo il cammino interiore.

Sarà difficile non attaccarmi al pellegrinaggio, sarà tanta la voglia di rifarlo. Incontro sempre più persone che lo ripetono di sovente. Lo capisco anche se nel mio caso forse la considererei una debolezza.

Five minutes to go [Cinque minuti e si va], mi butto tra tutte quelle nazioni là fuori che esaltano la nostra avventura, prelevo Tony e Angel e chi vuole unirsi al gruppo.

 

 


17 giugno, ventisettesimo giorno: Da Sarria a Ligonde

Luna piena, una luce fatata, misteriosa, che imbianca i campi e addormenta la natura. Tutto tace come per incanto. Qualche animaletto trasgressivo incrocia il mio cammino, ma è più spaventato di me e fugge via.

Partiamo in piena notte, come io e Tony avevamo deciso due giorni fa (per questo ieri abbiamo viaggiato la mattina presto e dormito, si fa per dire, il pomeriggio). Alla fine, con tutta la pubblicità che ci hanno fatto a Sarria, siamo partiti in cinque: Tony, Angel di Las Palmas che vive in La Rijoa, sul Camino (la madre che viaggia con lei, a causa dei classici problemi alle gambe che sorgono sul Camino, si è dovuta spostare in autobus), Ana Elena, la giovane svedese poco convinta, dolce e un po' impaurita all'idea dell'avventura notturna e infine il portoghese sui quaranta che l'ha convinta e che parla in continuazione, per lo più di argomenti futili.

Dopo circa duecento passi Angel ed io ci involiamo, ma non per molto, perché dopo circa un chilometro, non solo incontriamo nel buio vicino ai binari un tipo solitario con due cani, ma ci imbattiamo nella completa oscurità di un boschetto che ai primi rumori ci mette un po' di soggezione.

Naturalmente io faccio il tranquilo, ma appena sento un rumore acuto come di rami spezzati e Angel salta per aria mi convinco che  forse sarebbe meglio aspettare gli altri.

Al loro arrivo, classica imboscata tra gli arbusti con versi strani e via a suon di risate.

Duriamo circa altri duecento passi poi io e Angel ce ne andiamo definitivamente. Il portoghese spezza la magia della notte. Meglio i rumori delle tenebre.

La Galizia è ricca di storie di streghe, di lupi mannari e sortilegi di vario tipo legati alla tradizione celtica che ogni tanto, all'ululare di un cane o a un rumore di troppo, facevano il loro effetto.

Acquisita la sicurezza necessaria il problema principale era non perdere la via, poco segnalata dalle frecce gialle. Spesso agli incroci con la torcia in mano dobbiamo perlustrare ogni sasso, ogni albero e ogni muro per trovare il segnale.

Attraversiamo diversi aldeos, ovvero quei borghi privi perfino di un cartello che ne indichi il nome. In pratica ne svegliamo tutti gli abitanti, perché il primo cane che ci sente inizia ad abbaiare e così a catena attaccano tutti gli altri.

I paesani non devono gradire i pellegrini notturni, deduciamo io ed Angel. La cordiale hospitalera di Sarria ci ha detto di aver conosciuto due pellegrini che hanno fatto tutto il Camino di notte. Non doveva essere stato il loro primo Camino; dovevano aver assaporato almeno una volta in precedenza il paesaggio diurno. Certo, in questa stagione il fresco è l’ideale per camminare.

Proseguendo sempre sotto la luna piena incappiamo in un cimitero dove c'è la tomba della famiglia Martiñer Lopez realizzata a forma di cattedrale in miniatura, mai visto niente di simile.

E’ curioso come ormai mi sia abituato ai rumori della natura, degli animaletti nascosti tra le frasche o sugli alberi. Mentre all'inizio l'occhio dava sempre una controllata per vedere l'entità della bestia, ora non mi tocca neppure, potrebbe abbracciarmi un serpente sceso dall'albero al quale sono appoggiato per scrivere che... beh probabilmente sverrei sul colpo.

Le colonnine di pietra con la conchiglia impressa che ci forniscono la distanza da Santiago ogni cinquecento metri, ovvero ogni sette minuti circa, mi mettono una gran voglia di arrivare. Mancano tre giorni e già sento un’accelerazione dei battiti.

Ora è giorno e sono seduto con la gamba distesa a fianco di un gran bell'asino che porta il bagaglio di due pellegrini Belgi, mentre Angel, poco distante, nel bar probabilmente sta raccontando a Tony e a sua madre ciò che io sto scrivendo.

L'unico vero spavento ce lo siamo presi quando Angel si è imbattuta nel classico filo di ferro che sbarrava l'ingresso di un campo privato. Ha fatto un salto che mi ci è voluto qualche secondo per interpretarlo. Ci eravamo persi, ma le luci di una casa occhieggiavano vicine, così, attraversato quel campo, abbiamo subito ritrovato la via.

La gamba è andata alla grande per tutti i venticinque chilometri sin qui a Portomarin, anche perché i sentieri erano abbastanza agevoli, tranne quando coincidevano con piccoli corsi d'acqua, per cui si doveva saltellare da un sasso all'altro.

Angel è una gran camminatrice, dal passo veloce e non stop; siamo arrivati con due ore di anticipo dagli altri, anche se nell'ultima ora eravamo sfiniti, più che altro per il sonno, ma anche perché, ad un certo punto, pur vedendo il paese, non si arrivava mai. Abbiamo perso di nuovo il Camino e via carretera abbiamo allungato. Alle cinque finalmente abbiamo attraversato il ponte sul grande rio e siamo entrati a Portomarin.

Nessuna indicazione dell'albergo del pellegrino, ma caso vuole che dall'oscurità sbuchino due tedeschi che si erano già messi in marcia: i nostri due letti che ci aspettavano. Ci indicano la via, saliamo fino al centro del paese e veniamo accolti da una meravigliosa chiesa con un grande rosone illuminato. Ci rincuora, ma non ci impedisce di rimandare la visita e di addormentarci non appena tocchiamo il materasso.

Dopo cinque ore di sonno, come sapevamo, ci buttano fuori. Gli altri si fermano qui almeno sino al tardo pomeriggio, io invece riprendo il cammino portandomi dietro l’impressione ancora viva del paesaggio lunare del Camino incantato di questa notte.

Ho bisogno di camminare solo, così ora vado a porre omaggio all’eglesia e m’incammino lungo la terra dei mille fiumi.

 

Cinque ore di sonno dopo una notte faticosa per quanto romantica, un paio di chili di spesa obbligati, perché mi hanno detto che non troverò più negozi nei prossimi villaggi, una salita di tre chilometri fortunatamente molto ombreggiata, e sono già cotto dalla stanchezza.

Probabilmente dopo due yogurt Asturiana alla fragola in pezzi e una rinfrescata potrò riprendere la marcia.

Sosto presso la mensa, se così si può definire questa stanza sporca e buia, di un grosso capannone dove fabbricano mattoni. Vi lascio immaginare la polvere. Del resto non vi è alcuna fonte prima di tre chilometri e avevo bisogno una sosta per sorbire acqua e zuccheri.

 

Altri cinque chilometri di leggera salita sotto il sole cocente. La gamba va bene, il farmaco che mi hanno dato a Sarria dev'essere potentissimo, vista la durata del suo effetto.

Chi l'avrebbe mai detto che avrei trovato un caldo del genere proprio in Galizia. Questa volta sono sudato fradicio, non so quanto ancora potrò camminare in queste condizioni.

Ah, un po' di venticello, mancava! Questo boschetto è una piccola oasi nel deserto: quando l'ho visto dalla strada infuocata mi è parso un miraggio.

Camminando solo vivo con maggior pregnanza i movimenti dell'anima. E’ un processo assolutamente spontaneo, come se non fossi cosciente di essere nel pieno della terza fase. In effetti mi rendo conto che l'autenticità del cammino interiore si rivela anche dal naturale operare nello spirito, senza alcuno sforzo intellettuale. Ne osservo e assaporo i doni man mano che si presentano.

 

Quattro tutori e undici disabili, qui al rifugio di Venias de Naron. Vengono da Cadiz in treno e cammineranno fino a Santiago affiancati da una macchina. Mi offrono un piatto di bollito; rispondo che non mangio carne, allora mi offrono il brodo, sempre di carne, e non ho il coraggio di dire di no. Erano entusiasti all'idea di sfamare il pellegrino stanco e malandato, e poi per loro il brodo non c'entrava con la carne. E’ la prima volta che sorseggio un brodo di carne in sette anni, ma va bene così: questo caldo piatto energetico offertomi da questi ragazzi, spontanei, semplici, ognuno con il suo handicap, ognuno con la sua vita interiore, non può essere rifiutato.

 

Ormai il Camino è tutto sotto il sole, sale e scende dolcemente, dondolandosi sui morbidi monti galleghi.

Approdo a Ligonde, un borgo agricolo come tutti gli altri, con mucche e galline che gironzolano per le quattro viuzze e con un rifugio molto intimo e carino dell'associazione ispano-americana Agape. Mi fermo qui.

A dir la verità è la chitarra che mi ha sedotto e il buon senso di non chiedere troppo alla mia povera gamba (che coraggio!).

Ora, docciato e rilassato, mi siedo a godermi il venticello che, grazie al cielo, mi ha accompagnato negli ultimi quattro chilometri. Mi lascio cullare dal delizioso sapore interiore che il pellegrinaggio continua a offrirmi in abbondanza.

Il cartello all'ingresso dice "Fuente del peregrino, Ligonde km 76". Non mi pare vero: ho camminato per ottocento chilometri!

E’ un rifugio aperto da poco, non fa parte dell'organizzazione di Grañon, ma appunto dell'Agape. E’ veramente una perla. Non ci si ferma nessuno, perché non è prevista la sosta dalle guide.

All'esterno, su un tavolino di legno, ci sono copie di libricini in diverse lingue: San Giacomo e il cammino  e I salmi del pellegrino. Sono offerte al viandante assieme a caffè, tè o acqua.

La frescura del tardo pomeriggio, il silenzio, la pace, sto da dio.

Scrivo un'altra lettera, non ne ho scritte molte, del resto non ne trovo il tempo, per di più, spesso non so come trasmettere questa esperienza sintetizzando, temo di sminuirla, ma in alcuni momenti sento il bisogno di rivivere il Camino come in un quadro in movimento, un quadro che cerco di dipingere con le parole per regalarlo ad un amico, oggi a Mauro:

<<Spazi infiniti, paesaggi meravigliosi: l'anima si compenetra di tanta bellezza perdendo il comune senso del tempo, contemplando il mondo in se stessa. Mio caro amico, non ho mai vissuto niente del genere, niente di più magico e allo stesso tempo squisitamente reale.

Il Camino ripercorre le fasi della vita nei suoi tre livelli...

Aspetti esoterici si dischiudono e divengono vita vissuta, conoscenze "imposte" dal destino che spesso sanno di miracoloso, luoghi magici, nel vero e più intimo significato del termine.

Trasportato da certezze interiori mai conosciute prima ho affrontato prove, out of logic [fuori della logica] e mi sono sentito cullato come un bimbo nelle braccia del Signore.

The power of Love [il potere dell'amore], l'Agape, l'Amore Assoluto, invincibile, quello che unisce tutti gli uomini è la chiave di volta. Sì, lo sapevamo, ma mai lo mettiamo in pratica senza il benché minimo freno. "Abbandona tutto e la provvidenza ti guiderà". Mauro è proprio così! Lo vivo costantemente sulla mia pelle. ..Sono carico di energie potentissime che sento di dover condividere con il mondo.

Il suono di una chitarra accompagna il cinguettio dei mille uccelli, un gallo s’intromette orgoglioso e io anche oggi ripercorro le meraviglie che la giornata mi ha offerto. Si può essere pellegrini per la vita? Forse si deve.

Io prego affinché tutti un giorno possano essere baciati da un simile impulso interiore, affinché tutti divengano pellegrini, affinché tutti amino incondizionatamente>>.

Scrivendo agli amici o sul diario spesso mi ripeto poiché gli stessi concetti si fanno nuovamente sentire e, nel ribadirli, la coscienza che li vive li imprime sempre più in sé stessa.

Dal taccuino: <<Nottata sotto la luna piena e giornata sotto il sole, in tutto 60565 passi per un totale di 43.6 chilometri. Finalmente non soffro più, è il primo giorno di ripresa direi>>.

 

Noé e Jacob Sanz sono i due fratelli hospitaleros fissi per i mesi di giugno e luglio in questo luogo di pace. Nasce una discussione animata riguardo al cristianesimo e alle altre religioni. Loro sono protestanti, Noé un po' fondamentalista, ma di buon cuore. <<Il Cristo è "la via, la verità, la vita" e tutti quelli che non lo riconoscono non si possono salvare>>. Sacrosanta verità a livello spirituale, ma facilmente equivocabile, a livello terreno. In realtà ciò che dobbiamo riconoscere e risvegliare in noi è l’Impulso Cristico. Se altri si compenetrano di tale impulso, chiamandolo in modo differente, ciò non cambia la sostanza della loro azione. Un buon cristiano è chi apre sempre più il suo cuore, chi ama sempre più il suo prossimo, non chi impone la sua fede. Proprio facendo leva sulle varie forme di fondamentalismo che restringe e opprime le menti, i governanti nella storia hanno sfruttato sovente le istituzioni religiose per reprimere, imporre, e per conquistare altri popoli in nome della loro verità. Bisogna a mio avviso essere sempre aperti all'Amore in nome di qualsiasi religione.“Una rosa profumerebbe con qualsiasi altro nome!”. Le differenti grandi religioni indicano tutte lo stesso obbiettivo; nessuno dei loro profeti ha mai parlato di lotta, se non interiore contro gli ostacolatori che ogni uomo porta in sé.

La discussione si anima a tal punto che non ho omesso termini del tipo "seghe mentali", o frasi come: "ciò che leggi nei Vangeli non ha senso se non lo applichi al quotidiano, è misera fede cieca!". Non era rivolto a loro, però rendeva l'idea.

Alla fine naturalmente abbracci e baci e che il nostro Signore sia sempre con noi.

Jacob da dodici anni suona l'oboe, frequenta l'ultimo anno di conservatorio a Saragoza e mi ha suonato alcune dolci melodie con il nobile strumento.

Ora devo andare a letto, sono le dieci e la sveglia è alle quattro e mezza, un'altra esperienza si è aggiunta al Camino.

Stavo per scrivere due righe di ringraziamento sul quaderno del rifugio quando mi è scappato l'occhio su una frase scritta ieri da Luca, il ragazzo italiano incontrato di passaggio da Tomás. Dice di aver sentito qualcuno dire a Burgos: "Quando il cuore piange per ciò che ha perso, lo spirito ride per ciò che ha incontrato".

 

18 giugno, ventottesimo giorno: Da Ligonde all'Alto di Santa Irene

Ribadixo de Baixo, un delizioso rifugio che sembra un campus universitario, con prati verdi appena rasati, strutture nuove in legno e il rio. Con i piedi a mollo davanti al ponticello romanico che immette nel paese mi accingo a raccontare di una giornata importante, fondamentale. Un'altra? Beh sì un'altra, ma sempre con qualcosa in più.

Incamminarsi sotto la luna è sempre affascinante. La sorte ha voluto che il Camino non si avventurasse tra fitti boschetti o viali alberati dove senza la torcia non avrei visto nulla. Ieri se non ci fosse stata Angel con la sua non so come sarei uscito da certi passaggi, sicuramente in più tempo e bagnato, se non peggio. Le due ore di buio me le sono godute più di ieri, sarà che da soli si è più attenti alle meraviglie che ci vengono offerte passo dopo passo. Lentamente il mondo si è svegliato, la luna ha tenuto duro sino a tardi, l'alba invece è durata un attimo. Un puledro ha subito cercato protezione tra le gambe della sua bellissima mamma, un gallo ha esordito nel suo compito quotidiano.

A un certo punto m’immetto in una strada intensamente profumata da non so quale pianta o fiore: è stata la colazione più saporita. Supero un paio di rifugi ancora spenti, dove i pellegrini ancora dormivano.

Mi aspettavo di incontrarne molti di più in questi 'ultimi' chilometri prima di Santiago, invece riesco a viaggiare senza incontrare nessuno per lunghi tratti. Le strade che ho percorso prima del sorgere del sole sono tutte esposte, così mi sono evitato una gran bella sauna.

La Galizia è meravigliosa, su e giù per le colline tra boschi e boschetti di pini, abeti, larici ed eucalipti. I paesini, sempre agricoli, sono costellati di horreos, delle particolari strutture in pietra dove si ripone il grano a seccare, rialzate almeno un metro da terra per far circolare l'aria e osatcolare l'accesso dei topi.

Andavo come un missile, carico, motivato, ma qual'era la motivazione? Fingevo forse di non sapere perché correvo o giustificavo il cuore che imponeva la sua volontà? Alle sette e dieci a Palas del Rey decido di chiamare Sarah all'albergue di Santiago.

Il mio dissidio interiore continua e a volte lo esprimo nella lettera a lei:

<<- Ok caro Marcello, hai deciso di non ascoltarmi più, ma lascia che ti dica una cosa: hai mai pensato che ti stai  fottendo il Camino? Non capisci che ti stai danneggiando seriamente la gamba solo per arrivare a Santiago in tempo per stare con lei gli ultimi giorni sino a Finisterre? E che mi dici del tuo Ideale? Cosa direbbe Santiago del tuo cammino?

- Ehi, aspetta un momento, sai che sto ardentemente seguendo il mio cammino interiore, non ho mai sottratto attenzione ad esso, ma tu devi capire che lei è parte di esso, è parte di me!

- Oh, sì, e per quale motivo? Per l'ultimo messaggio? Pensi veramente che le manchi nel modo che intendi tu semplicemente perché hai letto "mi manchi" a fine messaggio? Ma certo, razza di un idiota, continua a odorare rose per la ragazzina americana in attesa che diventi una donna. E’ del tutto fuori dalla logica! E se non ti aspetterà a Santiago? Potrebbe preferire andare a divertirsi a Barcelona per la notte di San Juan. Andiamo amico mio, non essere così rincoglionito, sveglia!

- No amico, troppi segni, spiritualmente parlando, tu non puoi capire, tu t’interessi alla mia salute psicofisica, ma c'è di più!>>.

Che razza di match! Si muovono forze che io non sono in grado di intendere ma che sento pulsare chiaramente in me.

Incontro Alfredo, arrivato in autobus, lo saluto e mi dirigo verso la cabina telefonica per chiamarla. Ho atteso le otto perché non volevo svegliare troppo presto gli hospitaleros, ma la verità, quella vera, quella che non c’è dato conoscere nel momento in cui si compie, è che dovevo aspettare a chiamare per ben altra ragione. Mi sono così trattenuto pochi minuti con Alfredo, quanto è bastato affinché "tutto andasse come doveva andare".

La risposta: <<Ha lasciato l'albergo da cinque minuti, è appena partita per Finisterre!>>.

Ho una specie di tracollo psichico, simile all'esperienza fatta a Hospital de Orbigo: entro in uno stato di totale confusione mentale, il cuore si ribella, cammino più veloce che mai, quasi corro, devo scaricare, non so come. La mente incomincia a sviluppare mille ipotesi, mi rammarico, mi incazzo, mi abbatto, tocco il fondo.

(Proprio da un bar della minuscola Palas del Rey Sarah mi aveva mandato un’e-mail che ho letto solo tornato in Italia. Mi scriveva che Jack era stato accompagnato da qualcuno a Bilbao dove prenderà un autobus o un treno. E poi: "Questo è un Camino solitario, ecco perché siamo sempre separati, credo").

Mi sfogo con Sarah: <<E’ la fine! Il corpo è sfinito da un pezzo, ma la psiche e lo spirito lo tenevano in piedi. Ora è la mia anima che è sepolta e non so che sarà dello spirito. Tutti i sentimenti, tutti i sogni sono precipitati in un buco nero in una frazione di secondo. Devo capire perché, non perché hai lasciato Santiago senza aspettarmi, ma perché devo vivere tutto questo. E’ chiaro che il destino me lo impone, questa “morte animica” è chiaramente parte del Camino. E’ così dura, mi sento così vuoto, il mio cuore è spezzato. La mente non mi da pace: soffre e si domanda perché non mi hai aspettato. Cammino velocissimo in uno stato di spaventosa confusione>>.

Che mazzata, sono andato in tilt. Ma era necessario affinché intraprendessi la sola via dello spirito. Fortuna che c'è il Camino: se non mi fermo significa che ho ancora delle chance, che il Camino non è finito con il corpo e la psiche, in Esso devo trovare la soluzione. La cerco nella ragione, razionalizzo, cerco di placare i voli della mente, ma non la trovo. Il magone vince su tutto, il cuore è infranto, mi sento perduto. E proprio mentre anche il passo si avvilisce e l'anima è perduta, nel boschetto che precede una frazione della cittadina di Melide, come per magia, una forte melodia risuona fra gli alberi. E’ l'Ave Maria di Schubert, è dolcissima, è la salvezza, è lo spirito che porta rinforzi alla sua anima fortemente provata. Piango, cammino e piango, la sinfonia è sempre più forte, l'emozione indescrivibile.

E’ domenica e nella chiesetta del paesino, appena oltrepassato il boschetto, prima della messa il parroco lancia nell'etere con un megafono l'Ave Maria ed io sono lì proprio in quel momento, in quelle condizioni.

Un primo impulso liberatore si fa largo nell'anima che non può che ricominciare a riemergere. Ma i pensieri sono duri a mollare, la mente poco dopo il momento mistico sferra un altro dei suoi attacchi micidiali. Congetture, teorie, giudizi, sogni, desideri, gioie e dolori, non mi risparmia nulla, è come un computer andato in tilt.

Attraverso Melide, manco la vedo, chiamo l'ufficio informazioni di Santiago per riuscire a trovare il telefono del luogo in cui potrebbe fermarsi questa sera. Non mangio, non bevo, non riposo, me ne vado. Cammino, cammino.

Un altro chilometro non di più di dittatura mentale ed eccomi in un ampio bosco, ecco il luogo dove ancora una volta mi viene offerto aiuto. Quante volte negli ultimi sette anni ho letto dell'importanza della foresta come luogo di introspezione, di comprensione, di rapporto con l'aldilà, quante volte ho letto della necessità di controllare la mente? Ma tutta la teoria non ha cambiato veramente la mia vita, ha solo preparato la strada alla consapevolezza.

Come un bagliore nell'anima mi si schiude il reale, cosciente della prepotenza mentale, della schiavitù ai suoi desideri, comprendo la prova, la necessità dello spirito.

Il vuoto, la pulizia assoluta, la castità dell'anima deve precedere l'ingresso a Santiago de Compostela. Affinché nel "Campo delle Stelle" il grande Santo possa colmarci del suo Amore divino dobbiamo presentarci dinanzi a Lui alleggeriti da qualsiasi attaccamento e desiderio terreno. Lui ci fornirà la forza con cui a Finisterre purificheremo la nostra anima. Lì però deve arrivare vuota, nuda, disposta a offrirsi allo spirito in ogni sua forma, in ogni suo spiraglio.

Un vento leggero smuove le cime degli alti pini, ogni angoscia scompare di colpo al sopraggiungere di tanta potente consapevolezza. Sono libero, leggero, già vuoto, ma so che la mente subirà ancora gli attacchi della materia, so che sarà ancora dura, dovrò mantenermi più attento che mai. Uscito da quel luogo magico, sono immediatamente colto da un senso d’immensa gratitudine verso il mondo spirituale, verso Santiago, verso il Cristo che sempre elargiscono i loro doni nei momenti più propizi. Non è fede la mia, è pura e semplice constatazione dei fatti, fatti dell'anima.

Dopo qualche chilometro penso che dovrei partecipare alla messa domenicale, magari la sera, arrivato a un rifugio, ma nel giro di qualche minuto guarda un po' che mi succede: arrivo in un paese, entro nel retro di una chiesetta e mi viene incontro un sacerdote che mi invita ad entrare “che la messa sta per iniziare”. Non più stupito lo seguo.

Scrivo a Sarah: <<...sono entrato in un altro bosco e lì il messaggio è penetrato molto chiaramente in me e ho capito: "Sì come sono andato oltre il corpo devo andare oltre la mente. Devo arrivare dal Santo vuoto, per ricevere pienamente il suo Amore devo abbandonare ogni attaccamento, ogni desiderio. Solo con quell'Amore potrò purificarmi a Finisterre." Questa è la prova più difficile, è la prova del vuoto, e senza superarla non posso andare oltre nel Camino.

Sarah, il mio sogno d'amore deve attendere ora perché dopo il Camino tutto inizierà a un livello superiore>>.

 

Su e giù per soffici colline, che bello camminare senza soffrire dentro, senza zoppicare fuori. Avrò attraversato una ventina di chilometri di boschi di eucalipti.

Tutto è cambiato, quel senso di leggerezza, di libertà che provo mi permette di mantenermi in spontanea attenzione, in uno stato di beatitudine proiettato in alto come questi splendidi eucalipti.

Ad Arzua, una cittadina senza troppe pretese, prendo l'avventata decisione di continuare, visti la forma fisica e soprattutto il tempo, ventilato e con una leggera foschia che smorza il sole.

Decisione avventata perché ho già trentotto chilometri all'attivo senza soste vere e proprie da stamani alle cinque e al prossimo rifugio ne mancano ancora sedici.

Ora sono a metà, appoggiato alla pietra miliare con la conchiglia e un bel “vent’otto”.

Non mi sembra vero, domani sarò a Santiago. I pensieri sfuggono ma il senso di leggerezza rimane, devo tenere duro almeno sino a Finisterre. Poi sono certo che per il resto dei miei giorni riuscirò a elaborare tutto quanto. Non sto azzardando una previsione, bensì esprimendo una certezza. E’ strano come questa prova psicologica abbia scatenato in me meccanismi che non mi appartenevano prima del suo inizio a Navarrete.

Posso già guardarmi indietro e constatare che nel complesso anche quando rincorrevo il cuore non è mai venuta meno la spinta primaria ad andare avanti seguendo l'impulso interiore in tutto; ecco forse perché ora mi riesce relativamente facile svuotare la mente e lasciare che tutto scorra come deve scorrere.

 

Alto de Santa Irene, a ventiquattro chilometri da Santiago. Ormai volo leggero tra i ricchi boschi galleghi. Ho percorso cinquantatré chilometri meravigliosi, quindici ore di pulizia interiore, tutto perché spazio e tempo qui non hanno valore. Incredibile ma vero: non ho incontrato neppure un pellegrino nelle ultime quattro ore e in questo rifugio spoglio, sul ciglio della statale, siamo in tre, ognuno con la sua stanza.

Cena a base di un vasetto di carote e cetriolini sotto aceto, pane e due kinder. L'alternativa era un chilometro a piedi in direzione contraria per il primo bar.

In compenso mi approprio di un materassino abbandonato qui da qualche pellegrino che certo non intendeva proseguire sino a Finisterre, dato che nel tragitto pare non ci siano più rifugi.

Ora mi corico e mi rilasso su tutti e tre i livelli come si conviene alla sera che precede un grande evento.

 

Oggi mi sono soffermato a contemplare la lapide di un pellegrino a cui non è stato concesso di giungere a Santiago. Non è la prima che incontro sul Camino, però questa, a così pochi chilometri da Santiago, mi ha particolarmente colpito. Certo, non conta dove si arriva, ognuno ha il suo Camino, però Santiago de Compostela resta, perlomeno apparentemente, la meta, e pure per coloro che si dirigono verso Finisterre è la prima grande meta. Credo molti di noi abbiano portato con sé quelle anime fino a Santiago e a Finisterre, a loro negati, come si può portare un pensiero o un sentimento per una persona cara.

Dal taccuino: <<Giornata dai grandi eventi interiori colmata da 53 chilometri in nome di Santiago. 73545 passi quasi senza dolore. Stanchezza però tanta>>.

19 giugno, ventinovesimo giorno: Santiago de Compostela

 

Verso le undici nel rifugio solitario arriva Freddy, dopo una tappa di settanta chilometri. Ha dello straordinario e dell'assurdo: Freddy deve aspettare diversi giorni per il volo di ritorno in Brasile, quindi aveva pensato di fare tappe molto brevi per godersi i posti più a lungo. Ma il Camino non è fatto per godersi i posti o far coincidere le date, il Camino è quel che deve essere al di là del nostro volere. Anche Freddy ha fatto sua questa realtà e si lascia condurre senza domandarsi dove e perché, ma semplicemente osservando la perfezione del Camino, di questa sublime forza che ci muove.

L'impulso che lo ha spinto a percorrere tutti quei chilometri d'un fiato lo ha provato in maniera non indifferente. Del resto il rifugio di Alto di Santa Irene è vuoto proprio perché vi si ferma solo chi non ha più la forza di percorrere neppure i tre chilometri e mezzo che lo separano da Arca dov'è situato un rinomato albergue del peregrino ricco di calore, a detta dei più, tra cui Tomás.

Alle sei ci svegliamo e alle sette lasciamo il rifugio, dieci chilometri insieme fino ad un paesino dove lui si ferma in un bar ed io proseguo: ho bisogno di stare solo in questi ultimi passi fino a Santiago.

Arrivo a Monte de Gozo a cinque chilometri da Santiago, la casa del pellegrino è inserita in un mega complesso turistico. Ci saranno stati almeno venticinque pullman tedeschi. Fuggo verso Compostela assieme al ragazzo spagnolo che ha dormito con me e Freddy all'Alto di Santa Irene.

Ora sono a Casa Manolo; ho bisogno di stare in mezzo alla gente, tra le tante voci, le risate, gli odori di cucina: devo distrarmi altrimenti esplodo. La mente, il cuore non so quale dei due è più frastornato. Mi arriva un piatto da non credere.

Ho bisogno di tornare per terra e il cibo è un ottimo veicolo. Devo cercare di attenermi al materiale, l'esperienza che ho vissuto poco fa è andata oltre ogni aspettativa.

 

Alle porte di Santiago de Compostela mi sento saldo, pronto e disposto a tutto. Nessun pellegrino sulla via verso la Cattedrale. La città è piccola e graziosa, la periferia meno peggio delle altre. Ma niente mi distrae dalla tensione verso l'attesa, gli ultimi passi. Tutto è intriso di forte spiritualità.

Anche oggi il Signore mi ha offerto le condizioni di cui avevo bisogno per entrare nel vuoto: è il primo giorno completamente coperto da quando sono nella regione dei mille fiumi, il pellegrino non necessita più del sole che lo spinge adelante, ma del nulla che lo mantenga nel vuoto. Paroloni: il nulla, il vuoto. Ci provo e credo di poter dire che quando ho salito la scalinata della Cattedrale, sono entrato e ho alzato gli occhi perdendomi nel Portico della Gloria, sì, ci sono riuscito!

Era lì, lo avevo di fronte, piangevo, come potevo evitarlo? Tutti quei turisti non hanno inibito la solitudine, però mi hanno impedito di appoggiare le cinque dita della mano destra lì sotto nella colonna. No, la coda non c’entra ora, non tanto per non mischiarmi ai turisti, quanto perché sono incantato dal Portico e non posso muovermi.

Il vuoto in me, e la gloria espressa così magistralmente mi penetrano nel profondo. Mi trovo in uno stato di beatitudine, sovrastato dalla visione dell'Apocalisse divinamente scolpita dal maestro Mateo: il Signore sul trono attorniato dagli evangelisti e dai ventiquattro vegliardi e sotto di Lui il nostro Santo pellegrino con il papiro srotolato in cui si legge Misit me Dominus, mi mandò il Signore. Santiago, il primo pellegrino sulla via verso il Cristo futuro, sulla via dell'estremo Occidente, accoglie fisicamente nella sua casa i suoi pellegrini dopo il lungo cammino insieme. Sono immerso nel mio silenzio assoluto, ovattato nel sentire, spalancato a ricevere. Ecco entrare dodici padri in processione dietro il vescovo e due emissari esteri. Sono le dodici, inizia la famosa messa per i pellegrini, Santiago ci accoglie.

Finalmente mi smuovo, lento, immerso nella gloria di Cristo e dei suoi discepoli, con il bastone che mi sorregge e al tempo stesso simboleggia l'ascesa a tale gloria. Il tau rosso si fa strada fino alla seconda colonna alla destra dell'altare.

La chiesa è gremita, la processione ecclesiastica si dispone a lato dell'altare, là dietro è Santiago che ci osserva con aria benevola.

Volti amici iniziano a salutarmi, è incredibile quanti dei pellegrini conosciuti siano qui, arrivati ieri pomeriggio ed oggi stesso per la messa.

Un abbraccio mi stringe particolarmente il cuore: è Rosa, la brasiliana di Tomás per capirci, da quella sosta a Manjarin i suoi occhi hanno continuato a brillare.

Rispondo con silenziosi cenni ai saluti e mi dispongo in piedi a lato della colonna, sono in cielo e sono profondamente emozionato.

Il vescovo dà inizio alla Santa Messa, alle sue spalle la statua del Santo, dell'Apostolo, del nostro protettore: l'immagine di Colui che tanto mi ha guidato.

In più occasioni ho sentito le lacrime scorrere lentamente sul mio viso; attento alla liturgia ne avverto l'insegnamento che mi compenetra profondamente.

"Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi vi percuote sulla guancia, porgi anche l'altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro"(Luca 6,27-31). Insegnamenti semplici, ma che da soli possono renderci strumenti di pace in terra, esponenti dell'evoluzione spirituale dell'umanità, esseri liberi, liberi di amare. Questi versi portano in sé un insegnamento potentissimo: chi ha deciso di "ascoltare" la propria anima, la propria coscienza, il proprio dentro non può farne a meno!

Una simile disciplina può renderci liberi, evoluti e in grado di evolvere. Ecco la via del cristianesimo del futuro, del buddhismo, dell'induismo, dell'ebraismo, della religiosità del futuro! La via dell'evoluzione spirituale passa da qualcosa che qui è distillato ed è sciocco che ci appaia utopia, perché ognuno di noi ha davvero in sé l'onnipotente forza dell'Amore che gli consente di perseguirla. Tutto sta nel guardare dentro e saper ascoltare in silenzio la voce che da lì sorge.

 

Una suora dalla voce angelica canta le antifone che tutti seguiamo, trasportati dalle sue note. Ogni tanto i due sacerdoti in rosso a lato del Monsignore celebrano nelle loro lingue, tedesco e italiano.

Potrei descrivere ogni vibrazione di questa messa, ma le parole più che mai qui sono insufficienti.

Prima del <<Padre Nostro>> ripetuto da tutti in latino, un grosso botafumeiro (un incensiere alto più di un metro) viene issato con delle funi e fatto volteggiare con veemenza da un lato all'altro dell'altare da due frati ben piazzati. Fumante, profumava tutta la chiesa oscillando sino a raggiungere altezze vertiginose da un lato all'altro della chiesa. Un incenso purificatore oltre che spettacolare.

Mi è capitato dopo il Camino di ascoltare l’impressione che la cerimonia ha suscitato in una persona che vi ha assistito in veste di spettatrice e le sue critiche mi hanno confermato che la sfavillante energia che ci folgorava non è nella messa in sé, bensì nelle nostre anime, anime di pellegrini che lì confluivano nell’atto finale del Camino che li ha visti, ognuno dentro di sé, tutti insieme camminare verso lo spirito, verso la libertà.

Lo show del botafumeiro potrà apparire una trovata per turisti, in realtà per secoli la gran quantità d’incenso serviva a mitigare l'odore emanato dai pellegrini che giungevano qui senza il conforto dell’igiene di oggi. Non ha più chiaramente questo scopo, ma lì in quei momenti potrebbero vendere popcorn o far parlare la Madonna in video come ad Astorga che per il pellegrino non cambierebbe nulla. Quanto più è concentrato tanto meno è vulnerabile dai fattori esterni.

Terminata la messa, non sono in grado di parlare, sento di essere solo all'inizio lì nella Cattedrale. Così dico ai compagni che ci vedremo più tardi al rifugio presso il Seminario.

Il corpo di Cristo s’irradiava dal palato in tutto il mio corpo, non riuscivo a smettere di ringraziare, di piangere. Non so definire quanto mi è accaduto lì; forse si è trattato di un'esperienza mistica, ma le parole confondono, certo non di un semplice coinvolgimento emotivo, come si tende a valutare simili esperienze da fuori.

Pensiamo per un momento a ciò che tutti i pellegrini hanno passato per arrivare fin qui: ai sacrifici, alle prove, alle emozioni, alle gioie e alle pene di un Camino che sembra essere durato anni, perché questa esperienza è al di là del tempo. Ora cerchiamo di vederli lì, seduti nella Cattedrale, giunti al luogo della loro meta, pronti a dare e a ricevere ciò che lungo tutto il Camino hanno sentito dentro come autentico impulso spirituale. Ce l'hanno fatta e ora è giunto il momento della verità.

Non credo si possa neppure immaginare la forza, la potenza, l'energia che tali anime sprigionano in questa Cattedrale ogni giorno durante la messa, ma vi assicuro che un chiaroveggente andrebbe in crisi tanta sarebbe l'intensità spirituale che percepirebbe. Si pensi che la funzione si rinnova in questa chiesa ogni giorno da nove secoli. Ogni giorno, ogni giorno da nove secoli, tale potenza si esprime rinnovata per mezzo di nuove anime che sprigionano la loro massima carica interiore.

Non credo esistano molti luoghi di culto in cui si suscitino simili forze. In India vi sono templi dove da secoli e secoli, non solo quotidianamente, ma addirittura ininterrottamente si recitano mantra e preghiere, ma qui si tratta di qualcosa di differente poiché le forze sono rinnovate dal continuo flusso, dalla dinamicità del Camino. Le anime non sono le stesse del giorno precedente, non vi è ripetitività, non vi può essere un calo d’intensità, grazie alle forze insite nel Camino, forze costantemente rinnovate.

Grazie a tali forze io ero lì e il solo pensiero mi emoziona.

Perso nel vuoto che tanto avevo cercato, perlustro con passo lento e attento ogni angolo della meravigliosa casa di Dio. A un certo momento mi ritrovo completamente solo dietro il Portico della Gloria, dinanzi alla statua del maestro Mateo appoggiata alla colonna portante della sua strabiliante opera, dove generalmente in coda si attende di appoggiare la testa alla sua per attingere dal suo genio. Ecco che posso compiere il primo rituale, il più umano, da uomo a uomo, da genio a pellegrino.

Non mi spiego ancora la dinamica che mi ha visto prima incantato dinanzi al Portico, poi partecipe della messa, poi dal maestro Mateo... non ne colgo il significato, eppure so che esiste, proprio perché tutti quei passaggi sono stati, a prescindere dalla mia volontà, come una sintesi del Camino. Mi rendo conto che tutto ha una sua logica divina, ma lì non volevo, non potevo interferire, lasciavo così che le stive dell’anima, svuotate e ripulite, ora si riempissero di questo nettare divino. Si è saliti di livello, la nave ora è l’anima, lo spirito il timone, ma chi il timoniere?

La passeggiata continua e mi ritrovo in una cappella laterale con un Graal sull'altare, un magnifico calice pieno di luce; mi fermo, mi siedo e... il viaggio continua lassù nell'alto dei cieli.

Poi, con lo stesso pathos, entro in un'altra cappella dedicata alla madre di Dio, infine passo nuovamente dietro l'altare dove la lunga fila per accedere alle spalle dell’immagine di Santiago è svanita.

Prima di salire le scale che conducono alle spalle del Santo, una terza sosta mistica dopo le due cappelle mi aveva visto assorto in contemplazione, meditazione e preghiera presso le reliquie del Santo poste sotto la statua. Anche lì ero inginocchiato, da solo dinanzi alla tomba.

Era giunto il momento del simbolico incontro, del contatto fisico, “con una statua!” direte voi, no, con il Santo, proprio con lui! Sarebbe potuto avvenire in qualsiasi altro luogo, eppure era lì e non poteva essere che lì.

Sono solo, qualcuno è ancora sulle scalette strette di accesso, il mio passo è lentissimo, l'emozione dirompente. Salgo in quell'abbondanza di ori e finalmente ci sono: alle spalle dell'Apostolo! Lo abbraccio, grondo lacrime, lacrime di gratitudine.

Scendo le scale, non riesco a trattenere il pianto, sono totalmente immerso in Lui. Mi trattengo ancora un po’ per riprendermi prima di recuperare lo zaino lasciato ai piedi di una colonna e incamminarmi ancora verso il Portico della Gloria. Una fila di ragazzini mi precede, penso che le mie dita non sono pure come le loro ma forse proprio per questo ho bisogno di imprimerle in quella colonna. Così è stato: l'ultimo saluto, l'ultimo ringraziamento, l'ultima lode a Santiago prima di uscire dalla sua Cattedrale.

 

E’ incredibile, mentre scrivo sento quei passi, quell'abbraccio, come se si fosse prolungato sino ad ora, come se quella tensione persistesse in me. Non lo so descrivere, mi mancano le parole, i pensieri, il fiato, forse mi sto lasciando trasportare...

Di nuovo pellegrino in mezzo a commercianti, turisti e a "ex pellegrini". Sì, per la stragrande maggioranza il Camino termina qui, pochi sentono di dover giungere a Finisterre.

Incontro Luca, il pellegrino italiano di Vicenza conosciuto a Manjarin; sono ancora sbigottito e lui, che se ne rende subito conto, mi indica il luogo in cui andare a richiedere la Compostelana, il trofeo.

Salgo all'ufficio informazioni che fino a pochi minuti prima era affollato dai pellegrini usciti dalla messa e piombati lì in massa, come avviene tutti i giorni, a detta del ragazzo che ci lavora. Sono solo, il ragazzo, serio e cordiale controlla i timbri delle case del pellegrino sulla credenziale, mi squadra per carpire se sono uno dei tanti truffaldini che si spostano con i mezzi di trasporto, ma non sembra nutrire dubbi tanto che dopo avermi consegnato la Compostelana s’intrattiene per più di un'ora a parlare con me del pellegrinaggio, non del mio, quanto del significato, del valore che ha per noi pellegrini. Mi parla anche delle code di falsi pellegrini che gli si presentano ogni giorno per ottenere la Compostelana. Essa, infatti, oltre all'aspetto simbolico, consente ai pellegrini che tornano a casa di volare con l'Iberia a prezzi scontati. Per questo motivo gli addetti che stanno dall'altra parte del bancone devono azzardare teorici controlli basandosi sull’impressione che ricevono da chi gli si presenta di fronte.

Gli chiedo di Finisterre, mi conferma che non è prevista ospitalità lungo i novanta chilometri che la dividono da Santiago, ma che ci si può arrangiare, mi dà una fotocopia della via e dice che potrebbe piovere. Guarda i miei sandali e mi chiede se ho degli scarponcini da trekking, gli spiego che li ho spediti e mi indica nella sala d’attesa un cestino dove insieme alle carte spunta un paio di scarpe. Semplicemente perfette! Non solo sono del mio numero, ma leggere e pure di mio gradimento.

Con le nuove calzature mi dirigo verso Casa Manolo, un ristorante noto perché si spende poco e si mangia molto. Nonostante fossero già le tre e mezza incontro ancora un po' di volti conosciuti, ma preferisco sedermi da solo: ho molto da scrivere.

Appena prima di entrare in chiesa, salite le scalinate della Cattedrale, avevo incontrato Pablo e Sara, che mi avevano abbracciato con grande affetto e mi avevano dato appuntamento a dopo la messa in un ristorante.

Dopo quel che ho vissuto mi sono dimenticato il nome del ristorante, e per di più erano passate due ore dall'appuntamento, così sono finito, qui, a Casa Manolo, ma guarda un po’... eccoli che passano nella via.

La serata a Manjarin ci legherà per sempre e così ci siamo raccontati altre meraviglie del Camino.

 

E’ incredibile come a tutti i pellegrini succedano cose che hanno dell’inverosimile. Certe esperienze “telepatiche” condivise dopo Manjarin da me, Pablo e Sara ci fanno, ancora una volta, venire la pelle d'oca.

Lascio i due amici e vengo all'albergo del pellegrino presso il Seminario Minore. Il rifugio più freddo incontrato sino ad ora. Decido di andarmene, ma il vento e i nuvoloni questa volta mi convincono a restare, anche perché, non essendo previsti altri rifugi sino a Finisterre, dovrei andare totalmente allo sbaraglio.

Qui mi attendeva una nota di Sarah in cui spiegava la sua partenza dovuta al fatto che dopo tre giorni al seminario ti cacciano fuori. Riporta anche una magnifica poesia di George MacDonald:

Sweet Peril

Alas, how easily things go wrong!

A sigh too much, or a kiss too long,

and there follows a mist and a weeping rain,

and life is never the same again.

Alas, how hardly things go right!

'Tis hard to watch in a summer night,

for the sigh will come, and the kiss will stay,

and the summer night is a wintry day.

And yet how easily things go right,

if the sigh and a kiss of a summer's night

come deep from the soul in the stronger ray

that is born in the light of the winter's day.

And things can never go badly wrong

if the heart be true and the love be strong,

for the mist, if it comes, and the weeping rain,

will be changed by the love into sunshine again.

[Dolce pericolo

            Ahimè, quanto facilmente le cose vanno male!

Un sospiro troppo (profondo), o un bacio troppo lungo

e segue una foschia e una pioggia di lacrime,

e la vita non è più la stessa.

            Ahimè, quanto difficilmente le cose vanno bene!

E’ duro guardare in una notte d'estate,

il sospiro verrà, e il bacio resterà,

e la notte d'estate è un giorno invernale.

            E ancora quanto facilmente le cose vanno bene,

se il sospiro e un bacio di una notte d'estate

vengono dal profondo dell'anima nel più forte raggio

che è nato nella luce del giorno d'inverno.

            E le cose non possono mai andare malamente

se il cuore è vero (sincero) e l'amore forte,

per la foschia, se viene, e la pioggia di lacrime,

sarà dall'amore nuovamente cambiata in splendore.]

 

Dal taccuino: <<Santiago! 29 chilometri di cui cinque in città, 40164 passi. Domani si riparte>>.

Vorrei riportare le parole scritte qui nel 1982 da un pellegrino riguardo al "Vigore del Camino": <<Il Camino de Santiago creò una vigorosa corrente spirituale e culturale di fecondo interscambio tra i popoli europei [io direi di tutto il mondo]. Però ciò che realmente cercavano i pellegrini con la loro attitudine di umiltà e penitenza era quella testimonianza di fede che sembra riesumare le pietre compostelane con cui è costruita la Basilica del Santo>>.

Il Pontefice Giovanni Paolo II ha espresso una verità comune a tutti noi, ha colto l'aspetto puramente religioso del Camino. Per religioso, come spero sia emerso in queste pagine, non intendo cattolico, buddhista o indú, bensì relativo alla religiosità della vita, di tutte le vite, alla vita interiore, comprese quelle dell’ateo, per capirci. Tengo a dire che il Camino, nonostante sia patrocinato dalla Chiesa cattolica, non può essere considerato solo un cammino cattolico, è un pellegrinaggio universale al quale è riduttivo assegnare etichette. E’ una vera via di ricerca accessibile a tutte le religioni, una via verso i mondi spirituali dentro noi stessi; è una ricerca di conferme e scoperte spirituali, di "testimonianza di fede" nel senso che dimostra la fede, che ne offre una testimonianza, andando ben al di là del fideismo.

Le conferme avute hanno veramente il potere di "riesumare le pietre".

 

 


20 giugno, trentesimo giorno: Da Santiago de Compostela a Vilaserio

 

Ieri sera non ho visto nessuno, dovevano essere andati tutti alla piazza della cattedrale, mentre io mi sono visto Italia-Svezia in attesa del mio appuntamento “a distanza” del lunedì alle dieci e mezza con gli amici di Milano. Più tardi sono salito da loro, e li ho trovati già tutti addormentati.

In compenso trovo un ragazzo spagnolo che è già andato a piedi a Finisterre l'anno scorso e intende tornarci quest'anno. A grandi linee mi conferma quanto già sapevo: il Camino è poco indicato e non ci sono case del pellegrino sino a Finisterre. Così stamani con calma alle otto meno venti lascio il postaccio, purtroppo senza poter salutare nessuno, anche perché Freddy, Olivia, Maite e il loro gruppo di spagnoli sono già andati via. Chissà, forse anche loro sulla via di Finisterre.

In compenso abbraccio Rosa e Laureci, che vanno a Finisterre in autobus e domani volano in Brasile, e Ivan, il primo brasiliano conosciuto a Roncisvalle. Tutti gli altri li ho salutati nel cuore.

Per la prima volta mi incammino con un italiano, Andrea, il quarantatreenne, conosciuto ieri sera, palermitano ex frate, missionario-volontario in Israele... Persona semplice, canterino. Torniamo alla Cattedrale, entriamo, è vuota, il silenzio impera tra le alte colonne. Torno alla tomba del Santo, mi inginocchio e mi immergo nuovamente in Lui.

Un padre, nella cappella dove ieri avevo contemplato il meraviglioso calice sta celebrando la messa per una sola persona: avrei voluto fermarmi ma non mi è mai piaciuto entrare a messa iniziata.

Torno al Portico della Gloria, mi ci perdo, lì solo, ma in fondo anche ieri lo ero. La cattedrale porta in sé qualcosa di misterioso, sarà che ogni giorno le anime dei pellegrini sprigionano lì dentro una quantità inaudita d'amore, sarà l'Apostolo, sarò io...

Con il nuovo compagno mi incammino verso la "fine delle terre", non riesco a immaginare niente più di quanto già vissuto. Il sentiero si dimostra subito poco cordiale, la pioggerellina bagna le alte erbacce; dopo neppure un chilometro i pantavento, le scarpe e quindi le calze sono fradici.

Fortuna vuole che poco dopo il Camino prosegue su stradine asfaltate e che la pioggia si alterni a momenti di vento che asciuga. Come mi era stato anticipato, ci perdiamo per ben tre volte.

Adesso è l'una e ha smesso di piovere: dopo ventun chilometri ci troviamo di fronte a un gran bel ponte medievale. Siccome ho sfruttato le salite per stare un po' solo, sono arrivato un quarto d'ora prima di Andrea

Le colline si susseguono, i boschi di felci ed eucalipti continuano a decorare e profumare il Camino, qualche sporadico raggio di sole ci riscalda gli animi.

Andrea dice che il destino ha voluto che viaggiassimo insieme. Certo, del resto sono convinto che anche se scivolo sulla buccia di una banana è un segno del destino; ma se nel nostro karma era scritto che ci saremmo incontrati, non era certo scritto che dovessimo viaggiare insieme. Ciò rientra nell'attività del nostro volere. Mi racconta che già da due giorni doveva incamminarsi, addirittura ieri ha intrapreso la via, poi si è perso e ha deciso di rinviare ancora. E’ convinto che siano stati segni del destino: mi doveva aspettare.

In ogni caso è un'anima buona e credo caritatevole, in fondo va bene così e poi mi piace come canta in gregoriano (appreso da seminarista).

 

Nuovamente solo, sbuco da un bosco di eucalipti e mi ritrovo su una strada; non un segnale. La strada di fronte a me, perpendicolare, ma la mia direzione è l'ovest, l'estremo Occidente. Ho il cinquanta per cento delle probabilità di sgarrare e... sgarro. Arrivo in un paesino e chiedo, direzione opposta, dietrofront. Psicologicamente non c'è niente di peggio lungo la via che dover tornare sui propri passi. Aveva già iniziato a piovere.

Acqua, acqua ovunque, acqua in cielo, in terra, acqua dentro e fuori. Tre ore sotto fiumi d'acqua che volano nel cielo, come tende che scorrono da un lato all'altro agitate dal vento, tre ore nella tormenta in cima alla collina più lunga del mondo.

Non finisce mai, il vento mi sposta con forti raffiche da un lato all'altro della linea bianca della carreggiata, getti d'acqua a ripetizione si scagliano su di me che, navigando dentro le mie nuove New Ballance, arranco tra le nubi.

Mai vissuto l'acqua in questo modo; altro che l'acquazzone con Hermas o quello prima di Burgos, qui si tratta di una vera e propria tempesta.

Ora sono in un bar a Vilaserio, a trentadue chilometri da Santiago, cui vanno aggiunti sette chilometri di allunghi vari: che strano dire “trentadue chilometri da Santiago”, per tanto tempo ho detto “... a Santiago” e ora Santiago è alle spalle. Come diceva Eraclito: "Pantha Rei” [Tutto scorre], e nel Camino questo principio dinamico della vita, è più che mai evidente.

Appendo tutto ad asciugare nel garage del barista, mentre fuori continua a diluviare. Pane e patatine fritte industriali con una bibita e una tavoletta di cioccolato mi rigenerano.

In questo bar non c'è altro da mangiare; nessun negozio per chilometri, in compenso c'è una scuola dove volendo posso passare la notte. Mi è andata bene. La sola idea di rimettermi quei pantaloni, la cerata e le scarpe zuppe mi procura un brivido che scorre rapido lungo tutta la colonna vertebrale inchiodandomi alla sedia.

Andrea si è convinto a fermarsi a Negreira, a undici chilometri da qui, giacché al municipio della cittadina c’è stato detto che al Polisportivo si può dormire. Altrimenti il primo paese dove avremmo trovato rifugio sarebbe stato Olveira, trenta chilometri dopo. Inizialmente pensava di proseguire con me perché non voleva restare da solo, ma dopo averlo persuaso che di certo qualche pellegrino gli avrebbe fatto compagnia e che altri trenta chilometri lo avrebbero distrutto senza ragione, a malincuore è rimasto lì.

Un ciao triste: mi è dispiaciuto vedere i suoi occhi dolci guardarmi mentre me n’andavo, ma è stato certamente meglio così, non so come avrebbe retto a questa tormenta. Ora vado alla scuola a sistemarmi per la noche.

 

Al bar mi dicono che c'è già un ragazzo spagnolo arrivato qualche ora prima, penso che si tratti del pellegrino incontrato a Santiago. Strano, mi aveva detto che si sarebbe fermato a Negreira. Mi viene un coccolone al pensiero del povero Andrea solo al Polisportivo, ma fortunatamente non è lui.

Miguel, di Castillón, poco sopra Valencia, è un pellegrino autentico. Serio, riservato, educato e pure di buona cultura. Scrive anche lui, qui nella palazzina della scuola tutta per noi.

Al piano di sopra apriamo due finestre, blocchiamo le porte e appendiamo gli indumenti fradici, forse con questo vento anche le scarpe hanno delle chance di asciugare. L'edificio è fortunatamente caldo e c'è il bagno, l’acqua e la luce. Non poteva andarci meglio.

Il sibilo del vento concilia il sonno, mentre il corpo stanco e provato si lascia cullare dalla sua irruente melodia.

Scopro che mancano ben più chilometri di quanto pensassi e dubito di raggiungere Finisterre domani, per di più molto dipende dalle condizioni meteorologiche.

Ma il maltempo difficilmente urta il pellegrino, come invece avviene quando scopre di aver camminato per due chilometri in direzione contraria sotto l'acqua. Questo sì che piega le gambe. Non c'è niente da fare, la psiche è proprio il timone e quando si blocca lo spirito, il timoniere ha un bel lavoro da fare. Sarà che i suoi ingranaggi sono ben più complessi di quelli dell'intera nave.

Mio Dio mi mancano due giorni e poi che farò?

Torno al bar e telefono al rifugio di Finisterre, la trovo! La sua voce è meravigliosa, non vede l'ora di vedermi, è un premio inaspettato... il Camino.

Faccio amicizia con il proprietario del bar e con un cliente e mi fermo a chiacchierare per più di un'ora. Mi raccontano della Galizia, degli eucalipti, dei pellegrini, sono di ottimo umore, diverto e mi diverto.

(Tornato in Italia ho saputo da Hermas che due giorni dopo di me casualmente si è fermato in quello stesso baretto e senza sapere il motivo ha chiesto di me al signore dietro il banco... dalla Valle del Silenzio in poi anche per lui sono cambiate molte cose. I segni confermavano in continuazione l'unione dei pellegrini che il Camino ha unito).

Tornato alla scuola rientro in me e scrivo a Sarah: <<Santiago è con me, Santiago è in me... Non più dispute mentali, non più incertezze, solo Amore! Ora so che dovevo essere lì, dinnanzi a lui da solo. L'ultimo tratto, un ultimo sforzo e saremo di nuovo insieme. Non so del futuro, non posso pensare al passato, ma posso dirti che il presente è magnifico ed è con te>>.

Dal taccuino: Vilaserio a 35 chilometri da Santiago. In realtà ne ho fatti 40 perché mi sono perso per ben tre volte. Anche oggi 55788 passi, di cui un bel po' sotto il diluvio. Giornata decisamente dura.

 

 

21 giugno, trentunesimo giorno: Da Vilaserio a Finisterre

 

Hospital de lo Gozo. Con Miguel è stata subito intesa, due temperamenti chiaramente compatibili. Trovo per la prima volta uno che ha il mio identico passo. Io e Miguel bruciamo ventisei chilometri in cinque ore, sarà perché ormai siamo allenati o perché ce la facciamo sotto all'idea di altra pioggia, dopo ieri. Questa parte della Galizia è ancor più bella dei boschi che la precedono, la vegetazione è più bassa. Si vede che ci stiamo avvicinando al mare, i fiumi sono più grandi, pochi i paesi.

In pratica non ha piovuto, anzi s’intravvede qualche raggio di sole. Ieri sera al bar le previsioni sul giornale non erano così felici, ma io sì, eccome se lo ero.

 

Passiamo due valli attraversate da un grande fiume che serpeggia tra le colline spoglie. Lo spettacolo dall'alto è meraviglioso, ci fermiamo a contemplarlo e a dar fondo alle mie ultime riserve alimentari.

Incontriamo poco dopo due campesini che ci chiedono con grande interesse: “perché? perché un'impresa tanto faticosa? cosa vi spinge?”

Avrei voluto leggere loro il poema copiato dalla parete alle porte di Najera, ma mentre al primo, notevolmente restio a capire ciò che gli appariva del tutto irrazionale, non ho dato risposta, al secondo, che invece ha mostrato un vivo interesse all'impulso spirituale che spinge il pellegrino, perlomeno ci ho provato. Non so quanto sia stato in grado di trasmettergli, come non so quanto sia in grado di trasmettere con questo diario, ma nei suoi occhi ho intravisto un barlume di speranza, come se avesse intuito che sì, si può vivere di solo Amore!

L'incisività delle mie parole scaturiva dal fatto che non dovevo convincerlo di niente, non avevo niente da vendergli, ho semplicemente cercato di offrirgli la mia verità, la verità del pellegrino. Ora forse sono in grado di rispondere alla domanda a lungo silente: “Perché il Camino?”. La mia voce, i miei occhi esprimevano l'idillio che stavamo vivendo da un mese e lo sguardo di Miguel lo confermava.

Io e Miguel siamo sempre più vicini, ci conosciamo, ci apriamo sempre più, è già amicizia, chissà da quanto lo è?!

A un certo punto tra una chiacchierata e un silenzio, tra un profumo e un suono, al di là di un colle, dalla foschia sfuma misteriosa, ancora lontana, un’insolita linea all’orizzonte, un tratto uniforme verso l’infinito. C’è voluto un po' per abituarci, tutta quell'acqua che lentamente si avvicina: il mare, che emozione!

Giungiamo a uno dei tanti punti critici e chiediamo a un signore del posto che direzione prendere. Ci manda in direzione di una fonte. Peccato che non solo siamo rimasti a bocca asciutta, ma abbiamo pure sbagliato strada.

Discesona mai gradita alle ginocchia e paesello desolato. Ci rendiamo subito conto che non ci siamo anche se la direzione è giusta: il profumo del mare è sempre più vicino.

Una ragazza che parla in gallego stretto, ci indica la via: ci consultiamo per improvvisare una traduzione ipotetica, al limite dall’italiano, come dice Miguel, e ci incamminiamo. E’ subito statale e inizia la barzelletta delle informazioni sui chilometri che mancano a Finisterre: un ragazzo ci dice dodici, un signore, dopo duecento metri, otto, poi dieci e così via. Diventa un gioco chiederlo a chiunque ci passi sotto tiro per poi... giù a ridere.

La gamba sembra avviarsi verso la guarigione, impensabile vista la mia terapia assassina, la sento ma ha imparato a non lamentarsi più; cambio calzini, controllo i resti delle ultime vesciche e via per la "fine delle terre".

Costeggiamo la costa: dopo un promontorio diventa una straordinaria spiaggia bianca, un paesaggio del tutto inaspettato, così poco familiare al pellegrino. Seguiamo il lungomare, dentro di me fremo, manca poco, niente, ci sono! Finisterre!

Chiedo della chiesa: è oltre il rifugio e non apre fino alle otto. Sono le sei, ma è lì che devo incontrarla, lo so! Oggi sono arrivato in anticipo ai miei due appuntamenti: la chiesa apre fra un paio d'ore; Sarah non so quando verrà, ma verrà! Miguel mi accompagna e poi mi lascia per portare il mio messaggio a Sarah. L'aspetto qui.

Dinanzi a questa eglesia del XIIsimo secolo si adempie il mio ringraziamento al Signore e fra poco il mio incontro con la dama che mi ha accompagnato nel cuore fin qui. E’ una chiesa bellissima che guarda sulla lunga e bianca spiaggia. E’ l'ultima tappa prima di Capo Finisterre, è il ringraziamento prima della fine, prima dell'inizio, è il grido di gioia per il Camino, per questi trentatré anni di vita.

 

Rimango circa un'ora e mezza in chiesa, ma la mia gratitudine verso il mondo spirituale non ha fine, non ha tempo. Seduto sulla panca con il bastone tra le mani, gli occhi chiusi, lo zaino abbandonato fuori e il cuore che batte forte sento le sue mani timidamente sfiorarmi i capelli, un brivido d'amore scorre lungo tutto il mio essere. Mi sovviene la fiaba recitata tra Hontanas e Poblacion de Campos. Apro gli occhi, mi volto, è Sarah.

La messa sta per cominciare, usciamo. Non si può partecipare alla funzione così vicini dopo tanto, tanto tempo. Sì, milioni di pensieri, emozioni, incontri, avventure, un'eternità da quella notte piovosa in La Rioja.

Abbracciati, fusi uno all'altra, appoggiati all'antico muro della chiesa, gli sguardi raccontano la lunga attesa. Ci si dice qualcosa, ma le antifone e i canti dall'altra parte del muro ci immergono nel fremito dei nostri cuori.

Troppo è stato il silenzio e la voglia di condividere anche fisicamente il Camino, il tempo fugge e in un attimo è ora di andare al rifugio, alle dieci chiude i battenti.

Mano nella mano con il cuore in gola come il primo amore di un ragazzino, il pellegrino coglie l'ennesimo premio del Camino. Ma sa bene che il Camino ora deve dare i suoi frutti, si deve riversare nel quotidiano. Sa che è stata tutta una preparazione al cammino eterno dell'anima.

Incredibile: sembra la fine della favola recitata pochi giorni fa, come se tutto questo mi fosse stato mostrato in anteprima nell’anima.

Al rifugio ci sono Miguel, la ragazza tedesca che piace a Hermas, la brasiliana con cui ho cenato la prima notte a Roncisvalle e il Canadese, quello delle pietre sulle colonnine con la conchiglia lungo il Camino. Ma io e Sarah siamo troppo immersi nel nostro Camino, nel nostro incontro così ricco, tanto protetto dal cielo.

A Finisterre inizia per noi una nuova vita, un nuovo amore, la spiaggia bianca, il mare, l'orizzonte, l'incognita del futuro.

Dopo circa cinquanta chilometri, quasi digiuno e tante emozioni come avrei potuto dormire? Sì, ci proviamo, lei sopra e io sotto tra tutti quei letti a castello, ma la sua mano scendeva e la mia saliva, la pelle non poteva più aspettare.

Mentre le mani si sfiorano e le dita giocano tra loro, un biglietto scende al piano di sotto, è il suo ultimo messaggio del Camino scritto ieri sera, il messaggio che tanto ho atteso: <<La "fine della terra"... Sono felice che hai chiamato qui. Ti aspetto. Sono nervosa. Perché? Credo perché realizzo quanto grande sia tutto questo... quanto abbia da guadagnare o da perdere. Qui, vacillando al confine del continente è la fine del mio Camino, senza sapere cosa sarà, dove le frecce gialle ci condurranno... Così vieni subito! Tienimi per mano, ti prego, e fai che il mio cuore smetta di battere così forte. Dimmi che sarà tutto okay. Lasciami appoggiare a te per un po' e riposare mentre guidi la via della vita per entrambe. Cammina bene, pellegrino, Love Sarah>>.

A questo punto anche il tibiale diceva: "Ma come, tutti questi sacrifici per stare ancora divisi? Ma di che vi vergognate?" Non so quale muscolo, legamento, tendine o unghia l'abbia detto anche a lei, sta di fatto che nella frazione di un palpito eravamo avvinghiati nel letto sotto.

Un'altra notte insonne, un'altra notte indimenticabile, una notte di conferme, un premio per la caparbietà, la lotta interiore, l'Amore che hanno caratterizzato questo magico aspetto del Camino.

 

 

22 giugno, trentaduesimo giorno: Da Finisterre a Muxia

 

Muxia, in pullman, tanti chilometri in così poco tempo! Il riposo, l'ozio: è tutto così strano, stiamo tornando nel mondo. Non ho il tempo di scrivere, non riesco a staccarmi un istante da lei.

Con Miguel e Luis Miguel, un pellegrino di Logroño, siamo venuti qui a Muxia dove secondo il prete del Santuario de la Barca, realmente termina il pellegrinaggio jacobeo. Il paesino è delizioso, a lato due grosse spiagge e in fondo, sul piccolo promontorio, il Santuario eretto sulle rocce levigate dal tempo che scivolano dolcemente nell'oceano.

Il mare è furioso, forti onde si scagliano sulle rocce imponendo il loro frastuono su tutto e tutti. Il forte vento illude di poter stare sotto il sole per ore, di fatto la mia bianchina di Chicago si è bruciata. Pranziamo tutti e quattro in un ristorantino e i due tornano a Finisterre. A presto Miguel.

Sarah ed io decidiamo di dormire là sotto il Santuario. Andiamo in spiaggia, facciamo un bagno americano, come il caffè, ovvero entriamo nell'acqua sino alle caviglie e ci rimettiamo al sole.

Sempre mano nella mano torniamo in paese, facciamo un po' di spesa, discutiamo, ci irritiamo, ci rappacifichiamo... chi l'avrebbe mai detto che il Camino sarebbe finito così. Ma non è ancora finito, devo ancora arrivare alla fine della terra, a San Juan a mezzanotte.

Il tramonto sul mare mi dice: "Ce l'hai fatta, ci sei arrivato", ma il cammino interiore ora riprende il suo corso normale e solo io potrò sfruttare il corso accelerato di quest'ultimo mese affinché tutto continui ad andare nella direzione che ben conosco.

Il vento non risparmia la tenda se pur piantata vicino a un resto di muro. Sarah è subito dentro io la seguo poco dopo, ma i pensieri non volano leggeri con il vento: le analisi, le perplessità, "la ragione" s’impongono sul pellegrino che non cammina più.

Un giorno senza camminare e già è tutto più difficile, mi ci abituerò? E’ come dopo l'India, tutto in salita, ora inizia l'esame, back to society [il ritorno nella società].

Non credo di aver dormito, forse un paio d’ore: la coscienza del fatto che gli Ostacolatori di qui a poco si scaglieranno su di me come vampiri assetati di sangue. Esco dall'area protetta e sono nuovamente vulnerabile, ma sono un pellegrino, carico d’Amore più che mai.

 

 

23 giugno, trentatresimo giorno: Finisterre, notte di San Juan

Il Camino non era ancora terminato, non potevo neppure immaginare cosa Santiago mi aveva riservato per la fine del mio pellegrinaggio.

Torniamo a Finisterre, mancano Capo Finisterre, la notte di San Juan, l'acqua, il fuoco, tutto come predeterminato, scritto nella tradizione. Ma non hai ancora capito, pellegrino, che non c'è nulla di predeterminato, che tutto qui si muove a prescindere dalle tue misere aspettative terrene?

Supermercato, e-mail, mendicare un po' d'olio al bar di fronte al rifugio per il soffritto e vai con la fusillata prepotente. Troppa per uno che nel giro di un paio d'ore deve immergersi “leggero” nel proprio spirito con tutte le sue forze.

C’incamminiamo verso Capo Finisterre. Decido di portarmi lo zaino appresso e, con il bastone che detta il ritmo, precedo Sarah di poco. Ed è di nuovo silenzio, ed è di nuovo bosco, pineta, sino al faro, là in fondo alla terra.

Le riprendo la mano e insieme ci avviamo verso quel punto tanto ambito. Gli ultimi passi sono solenni, siamo soli, sono le undici di sera e il sole ancora arrossisce le nubi lontane, là in fondo al mare. Seduti, abbracciati con il tau rosso che dondola in cima al mio bastone, eretto dinanzi a noi, osserviamo il tramonto: è proprio la fine del mondo.

Il vento soffia forte e disperde le mie parole, il sigillo umano ad un legame che il Camino ha forgiato lungo la sua via. In memoria del sacro Ordine del Tempio, di tutti gli amici pellegrini e delle Forze che ci hanno guidato fin qui, questi due pellegrini tornano insieme nel mondo con il reciproco intento di onorare il dono che è stato fatto loro dall'alto dei cieli.

E’ la fine delle terre, da lì non si può che tornare indietro, è l’inizio di un nuovo viaggio nel mondo, ma mentre risaliamo il breve tratto di rocce provo la chiara sensazione che non è questo l'epilogo.

Dal buio, come per incanto, sbuca Yato, Jesus Yato, il capofamiglia della casa di Villafranca del Bierzo dove Sarah e Jacob si sono fermati tre giorni. Nonostante la sera della mia permanenza lì non avessi imbastito un granché di legame con lui (al contrario che con la sua famiglia), avevo intuito che si trattava di un'anima buona.

Ma ahimè, lì al faro Jesus è alterato dall’alcol e i sentimenti liberi, a briglia sciolte, s’impadroniscono di lui. Camminiamo insieme nel buio tornando verso il paese, il vento è forte ed ecco che Yato pronuncia la parola magica: "Volevo andare alla spiaggia che dà sul mare aperto, ma non sono nelle condizioni...”; “la spiaggia che dà sul mare aperto”, la spiaggia di là dal paese, la spiaggia a ovest, la spiaggia sull'infinito. E’ lì che il forte vento del mio Camino vento mi spinge.

Arriviamo a un bivio e Yato mi dice che si deve andare da quella parte, lui vuole mangiare qualcosa e così ci dividiamo.

A questo punto avviene qualcosa d’inspiegabile: Sarah ed io ci sorridiamo e proseguiamo per due strade differenti. Non si può parlare di vera e propia scelta; il fatto che lei in quel momento non venisse con me è avvenuto in modo talmente spontaneo che nessuno dei due ha avvertito l’assurdità sul piano terreno di quella separazione. Ancora una volta la decisione era già stata presa dal Camino.

Ben presto la strada si fa sentiero e il sentiero sempre più stretto. E’ passata la mezzanotte, è San Juan e nelle due spiagge davanti a Finisterre bruciano le vesti, i pensieri, le malinconie, i dolori. Non vedo più nulla, la luna è assente, il mondo si è nascosto, solo il vento mi accompagna. Dopo un paio di chilometri sento la sabbia sotto le suole, non la vedo, come l'oceano di cui sento imponente la voce, sempre più vicina.

Continuo, sprofondo, ed eccomi al centro di una grande spiaggia completamente vuota, buia, battuta dal vento e dalle onde, degne di una notte importante. Mi avvicino al mare, pianto con decisione il bastone nella sabbia, vi appoggio lo zaino e mi stendo su quel manto liscio e delicato. Ecco che un'infinità di mondi si dischiude al mio sguardo. Incredibile come non me ne fossi accorto prima, è semplicemente fantastico! Mi perdo nelle costellazioni, nelle stelle cadenti con la loro scia di desideri, negli spazi infiniti. Immagino la vita senza frontiere, immagino l'universo al di là di ciò che vedo, immagino il volto dell'Amore che ha creato tutto questo.

Ore ed ore in quell'immensità di stelle che s’impadronisce di me come di una delle sue tante anime.

Sdraiato dentro due sacchi a pelo, coperto dalla sabbia che il vento mi scaglia addosso e, appoggiato allo zaino, forse mi sono addormentato, ma non ricordo. Ad un tratto la luce, l'aurora, i lento spegnersi delle stelle; il mondo spirituale mi ha mostrato il cosmo perché il Camino non si limita al nostro mondo fisico, così come la nostra anima. Non di sola carne, non di sola terra!

Mi sono stati presentati i mondi ben più grandi del nostro in una veste nuova, come mai li ho osservati prima d’ora. E pensare che quei minuscoli puntini dispersi nel cielo sono sempre lì, a portata d'occhio, eppure la notte è tanto più limpida quanto più la nostra anima la sa cogliere. Ecco dove questo pellegrino ha accolto nel suo cuore il Campo delle Stelle.

Avevo previsto acqua e fuoco per la notte di San Juan a Finisterre, come da tradizione, ma evidentemente la via contemporanea di purificazione non richiede più il rituale fisico, bensì opera direttamente sullo spirito. Pensare, sentire e volere si compenetrano l'un l'altro nell’anima che deve imparare a infondere il divino che è in lei nel suo corpo. Oggi l'uomo è consapevole che deve accedere per via logica allo spirituale, il trasporto mistico non è più sufficiente.

Ripenso al messaggio che Sarah mi ha lasciato a Santo Domingo della Calzada riguardo al mio nome. Ora ne comprendo il valore premonitore: il mare e il cielo nel nome in un uomo tanto legato alla terra, pur non rientrando nell’etimologia, in realtà qui hanno fatto da sfondo all'esperienza dell'anima che segna l'epilogo di questo pellegrinaggio.

Sarah, premonitrice, compagna di viaggio interione, ponte tra il corpo e lo spirito, deliziosa presenza che però non poteva accompagnarmi nei momenti più alti del Camino che mi ha voluto solo anche tra quell’immensità di stelle.

 

L'Amore cresciuto in me è parte dell'universo, io ne sono parte e con tale certezza termino l'esperienza più importante della mia vita, affinché non circoscriva mai tale Amore a pochi, ma lo possa sempre offrire a tutti.

Ecco, questo pellegrino ha portato a termine il suo Camino, cosciente che molti altri cammini dovrà affrontare nella vita e che tutti avranno il medesimo scopo, quello di far crescere quest'anima sempre più sulla via dell'Amore.

 

 


Conclusioni

 

Dal taccuino: <<Sorry, non ho più riportato i dati degli ultimi giorni, sono stato troppo preso. In ogni modo il 21 con Miguel da Vilaserio ci siamo sparati 50 chilometri tutti d'un fiato sino a qui, a Finisterre. Ieri sera gli ultimi cinque, 6256 passi sono stati l'epilogo del Camino sino a Capo Finisterre e poi alla playa, “la playa più ad occidente del mondo”>>.

Per la cronaca questa è l'ultima rilevazione dal taccuino: è imprecisa, perché mancano i passi fatti con Miguel che furono all'incirca 70.000. Con i quali abbiamo raggiunto 1.372.000 passi equivalenti a 934 chilometri.

"Siamo in grado di imparare qualcosa dall'amara esperienza vissuta dai nostri fratelli?". Questa esortazione con cui Solzenicyn aprì il suo discorso a New York nel 1975 mi fa pensare che forse è ancor più difficile "imparare qualcosa" da un'esperienza magnifica e tutt'altro che amara "vissuta dai nostri fratelli". Spero dal profondo del cuore che questo diario di un pellegrino dei giorni nostri possa servire da stimolo per cogliere sempre più ciò che la vita continuamente ci offre.

Ringrazio il mio amico Piero per aver acconsentito a riportare le sue parole tanto influenti e gli amici che mi hanno permesso di riferire ritagli delle lettere a loro indirizzate.

A proposito, la lunga lettera a Sarah non è mai stata consegnata, è parte del Camino che deve ancora venire.

Si può pensare che le realtà qui descritte siano limitate al Camino dove, in effetti, si è come in un tunnel d’amore protetto, ma sono convinto che tali realtà siano ovunque intorno a noi, solo che la paura spesso le nasconde. Come insegnò Almustafà, 'l'eletto e l'amato Profeta' di Gibran:

<<Quando l'amore vi chiama, seguitelo.

Anche se le sue vie sono dure e scoscese.

E quando le sue ali vi avvolgeranno, affidatevi a lui.

Anche se le sua lama, nascosta tra le piume, vi può ferire.

E quando vi parla abbiate fede in lui,

Anche se la sua voce può distruggere i vostri sogni come il vento del nord devasta il giardino>>.

Un giorno, di ritorno da un viaggio solitario, la consapevolezza che non vi è né inizio né fine mi fece sentire il flusso ininterrotto della vita, così, sui fogli di questo stesso diario che precedono il racconto che avete letto, scrissi: <<Ma il viaggio non termina affatto, il viaggio non terminerà mai, neppure quando questo corpo non sarà più>>. Il Camino de Santiago de Compostela ha confermato che non vi è fine, che la fine è pure un'illusione.

Permettetemi di congedarmi nel migliore dei modi:

Pater noster, qui es in celis,

sanctificetur nomen tuum,

adveniat regnum tuum,

fiat voluntas tua,

sicut in coelo et in terra.

Panem nostrum cotidianum da nobis hodie,

et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris.

Et ne no inducas in tentationem.

Sed libera nos a malo.

Amen

 

 

 

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