Associazione Provinciale Farmacisti non Proprietari di Lecce

Dal Sole 24 ore del 13 aprile 2001


PRIVATIZZAZIONI. Siri (Federfarma): con le multinazionali si creano solo catene commerciali vietate dalla legge. «No alle farmacie-bazar». Dopo lo sbarco di Gehe anche a Milano i titolari di esercizi sono pronti a nuove battaglie legali.

di Roberto Turno

ROMA - "Le catene di farmacie affidate alle multinazionali? Un rischio per i cittadini. Che faranno nascere "bazar" a puri fini commerciali, ma in Italia e nella Ue (Gran Bretagna esclusa) è vietato". Non usa il fioretto Giorgio Siri presidente di Federfarma, associazione dei 16 mila titolari di farmacia, per contestare la creazione di Spa per l'affidamento a non farmacisti delle farmacie comunali. Ultimo caso è stata la cessione del Comune di Milano, contro il quale, come sta avvenendo in tutta Italia, sarà guerra di carte bollate.
d - Dottor Siri, perché ve la prendete con i sindaci che vendono le proprietà comunali? Tutte, o quasi, le parti politiche dicono che è l'ora di privatizzare...
r - Proprio non capisco l'accanimento dei sindaci contro le leggi dei Parlamento. E contro l'interpretazione della legge da parte del Viminale. Il ministro Bianco ci ha confermato in via ufficiosa la validità della circolare. Circolare che abbiamo ricevuto da due sottosegretari e che conferma un indirizzo del Parlamento.
d - Ma le multinazionali vi terrorizzano tanto?
r - Le catene di farmacie sono vietate dal nostro ordinamento, e da quasi tutta la Ue, Gran Bretagna esclusa. Tanto che la Gehe, che è tedesca, in Germania non può creare alcuna catena di farmacie.
d - Ma che ci perde il cittadino se la farmacia è di una multinazionale?
r - Ci perde, almeno per due motivi. Chi investe tanto denaro ha almeno ha due necessità indurre l'aumento dei consumi e razionalizzare le spese.
d - Ebbene? 
r - Aumentare i consumi significa dover massimizzare le operazioni commerciali: il contrario dei principi del Ssn. E i bazar della salute non,portano all'appropriatezza dei consumi. Non capisco, perché il ministero della Sanità non abbia preso posizione.
d - E perché razionalizzare le spese sarebbe un pericolo?
r - Porterà alla chiusure delle farmacie "non utili", quelle decentrate e commercialmente meno appetibili. Entro qualche anno le farmacie meno "interessanti" scompariranno di scena. E il personale diminuirà.
d
- I Comuni però non hanno dubbi. Proprio loro che sono i primi a essere giudicati sul piano dei servizi. Il fatto preoccupante è che i Comuni ci guadagnano a vendere. Si rivolgono alla multinazionali perché offrono cifre assolutamente irreali. E se staccano assegni per un valore più che doppio rispetto al valore del bene, ci sarà una ragione.
Ma anche i farmacisti "fanno commercio": si parla di 30mila mld l'anno, 1,5 mId per esercizio...
r - Oggi la quota extra farmaco è solo il 15% del fatturato delle farmacie. Non siamo un bazar. Ma c'è dell'altro...
d - Ci dica.
r - Faccio solo un esempio: la legge stabilisce che a fronte di farmacie di nuova istituzione il Comune ha il diritto di prelazione. Cosa accadrà adesso? I comuni eserciteranno la prelazione per poi dare tutto in mano alle multinazionali.
d - I "supermarket" possono però garantire gestioni più efficaci.
r - Già oggi i farmacisti, con semplici programmi di informatica, possono gestire al meglio acquisti, uscite e magazzino. Non vedo dove sta il problema, per quanto ci riguarda. Anzi.
d - Anzi?
r - Se si paga il doppio un bene che vale cento, significa che si vuole guadagnare due volte da quella attività.
d - Non è un caso che la farmacia sia appetibile.
r - Sicuramente. E questo ci preoccupa. I farmacisti non sono gestori della prescrizione. Non vorrei che domani farmacisti, grossisti e produttori diventassero un tutt'uno. Finalizzando le vendite. Ma se domani il farmacista sarà anche produttore (e distributore) di farmaci, potrà indirizzare i consumi. Come cittadino non sarei tranquillo.
d - Dunque, barricate alzate? 
r - Faremo cause su cause, impugnative e ricorsi. Faremo il possibile e l'impossibile. E le assicuro, non per un interesse di bottega. 

Ma l'Anci contrattacca: una lobby anti-mercato                                              (di Marco Morino)

MILANO. «Obbligare i Comuni ad avere un unico partner, in questo caso i farmacisti dipendenti, nei processi di privatizzazione delle farmacie municipali è illogico. Dico di più: è assurdo. O meglio: può essere logico da un punto di vista lobbistico, ma non lo è sul piano dell'evoluzione del mercato, che richiede dosi massicce di liberalizzazione e non vincoli imposti per legge. Inoltre qui è in gioco l'autonomia degli enti locali, che devono essere liberi di fare le loro scelte».
Leonardo Domenici, sindaco di Firenze e presidente dell'Anci (l'Associazione nazionale dei Comuni italiani), è un fiume in piena. Le polemiche scatenate dal caso - Milano, dove il Comune ha appena ceduto l'80% dell'Azienda farmacie municipali al gruppo tedesco Gehe, suscitando le dure proteste dei farmacisti (vedi sopra), alimentano discussioni a livello nazionale. E Domenici coglie l'occasione per lanciare una serie di messaggi a difesa dell'autonomia decisionale dei Comuni.
Al centro dei dibattito c'è la circolare del ministero dell'Interno che obbliga i Comuni ad associarsi ai farmacisti nella gestione delle farmacie municipali. Al riguardo l'opinione di Domenici è netta. «Sono stupefatto - afferma il sindaco. So che questa circolare esiste. Ma non so, e ritengo di avere elementi sufficienti per affermarlo, se questa circolare sia stata effettivamente emanata. Il problema, però, é più ampio. Una circolare dei genere dovrebbe essere oggetto di un confronto tra Governo e autonomie locali. Esiste, al riguardo, una sede ad hoc: la Conferenza Stato - città - autonomie locali. Sarebbe pertanto un grave errore, da parte del Governo, emanare una circolare di questo tipo senza effettuare il confronto, perché si potrebbe configurare un atto lesivo della nostra autonomia». 
Altra domanda scottante: ma questa circolare ha valore di legge? «Ho seri dubbi - risponde Domenici - che una circolare interpretativa possa sostituire una norma di legge. Qui si sta parlando di un ordine del giorno della Camera accolto poi dal Governo. Se la Camera avesse voluto riscrivere le regole avrebbe dovuto votare un emendamento. Questo non è stato fatto, per cui, ribadisco, la circolare del ministero, non ha fondamento di legittimità (della stessa opinione è anche la Giunta milanese, ndr)».
I farmacisti affermano che, in realtà, i Comuni sono interessati solo a vendere e a incassare cospicui introiti. Ma Domenici respinge in toto questa tesi: «Non è vero. I Comuni non agiscono solo in una logica di cassa. Nel caso delle farmacie, per esempio si tengono in debito conto le esigenze dei cittadini e dei dipendenti e non solo delle finanze municipali. Ma per fare questo il Comune deve avere le mani libere. Sarebbe il caso che anche in Italia, anziché discutere su norme obsolete, si guardasse avanti: a un mercato più libero e concorrenziale e, quindi, più efficiente».

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