G8: EMERGENZA ORDINE PUBBLICO
Manca poco più di
un mese al temutissimo G-8 di Genova. Si tratta di un tempo breve, ma sufficiente,
a un governo efficiente e a un ministro che sta già fattivamente seguendo la
questione, per non farsi cogliere impreparati. Quello che preoccupa sono i
grandi numeri: decine di migliaia di dimostranti, forse un centinaio di
migliaia, tra i quali un certo numero di violenti per vocazione e
“professione”, per i quali il G-8 è una delle tante occasioni per l’esercizio
della “devastazione globalizzata”. Non dobbiamo farci cogliere impreparati, con
forze dell’ordine non adeguatamente equipaggiate ed addestrate a fronteggiare
questa internazionale dei barbari che rischia di mettere a soqquadro Genova e
dintorni. Bisogna dare loro mezzi e ordini adeguati.
Per quanto
riguarda i mezzi bisogna pensare a strumenti fortemente dissuasivi, altamente
efficaci, ma non letali, invalidanti solo per un tempo necessario e di
ragionevole durata. Questi strumenti potrebbero essere aggressivi chimici
(liquidi, gas o polveri), tali da potere venire irrorati in tempi rapidi e in
grande quantità, qualora, come è prevedibile, divenga necessario fronteggiare
masse notevoli di manifestanti aggressive e violente. Questo tipo di strumento
invalidante è l’arma migliore per mettere in condizione di non nuocere gruppi
numericamente consistenti propensi alla sommossa. Un contenuto numero di
elicotteri di “pronto intervento irrorativo” potrebbe sedare senza gravi
conseguenze sul nascere disordini dagli esiti imprevedibili.
Per quanto
riguarda le forze dell’ordine schierate a tutela di aree o di edifici, le quali
potrebbero trovarsi esposte ad aggressione ravvicinata e improvvisa di gruppi
di facinorosi, appare opportuno dotarle di mezzi di difesa individuale o di
reparto, che garantiscano loro di respingere in maniera adeguata, ma non
letale, i potenziali esagitati tra i quali potrebbero trovarsi anche esaltati
sotto gli effetti di psicofarmaci o altro. Il munizionamento con proiettili di
gomma appare adeguato a questa particolare esigenza. Si tratterà ovviamente di
introdurlo, magari con apposita norma di legge, e di approvvigionarlo in tempi
brevissimi.
Per le distanze
ancora più ravvicinate bisogna pensare a mezzi di ordinanza idonei a inattivare
gli artifizi protettivi dei facinorosi con premeditazione, che si corazzano con
camere d’aria e si proteggono con caschi da gladiatori. Da un lato si devono
dare in dotazione bastoni puntuti con aghi cavi in grado di sgonfiare queste
semplici, ma efficienti corazzature, oppure dotati di corte lame affilatissime
in grado di squarciarle senza procurare ferite agli aggressori o comunque, nel
peggiore dei casi, provocando loro piccole lacerazioni superficiali e non
pericolose. Altra arma da distanza ravvicinata potrebbero essere i manganelli
elettronici, in grado di rilasciare scariche di piccola intensità, ma di
voltaggio tale da dissuadere chiunque dal persistere nell’aggressione a corta
distanza.
Si tratta di
misure ragionevoli, che consentirebbero di limitare il personale impegnato sul
campo, di esporlo il meno possibile tutelandone al massimo l’incolumità, di
salvaguardare il patrimonio pubblico e privato di Genova e la già provata
economia della città. Probabilmente nel fare ciò sussistono maggiori
difficoltà, soprattutto per i tempi ristretti, per l’approvvigionamento dei
materiali, che non per l’emanazione delle relative norme di legge da parte dei
due rami del Parlamento.
Un’ultima
accortezza dovrebbe essere quella di documentare in maniera inequivocabile ogni
azione e ogni intervento. L’opinione pubblica non condivide le azioni
devastatrici di facinorosi per cui ogni occasione, in particolare se
formalmente nobile e strumentalizzabile per suoi presunti aspetti ideali, è
buona per scatenare represse furie devastatrici. Se l’opposizione, soprattutto
la più estrema, vorrà schierarsi a difesa dei facinorosi, non potremo a tal
punto che ringraziarla per l’ulteriore sostegno che vorrà darci con il suo
autolesionismo.
giorgioprinzi@inwind.it
LA DITTATURA DI TEPPAGLIA GLOBALE
La richiesta di Fausto Bertinotti di annullare lo svolgimento del prossimo G-8 di Genova è sintomatico della difficoltà che hanno i sostenitori del cosiddetto “popolo di Seattle” a gestire politicamente la violenza devastatrice della “teppaglia globalizzata”, che dopo i fatti di Goeteborg ha definitivamente perso ogni residuale credibilità di movimento portatore di qualche idea positiva e costruttiva.
I recenti gratuiti eccessi a cui “teppaglia globale” si è abbandonata a Goeteborg hanno fatto infatti nascere anche nei più tolleranti e comprensivi la convinzione che è giunto il momento di porre fine a queste intemperanze, che non sono giustificabili da nessuna razionale motivazione o convinzione. È un problema di ordine pubblico mondiale, a cui dare risposta configurando, se il caso, una nuova fattispecie di reato internazionale perseguibile da un apposito Tribunale che giudichi i “crimini di guerriglia”.
Questo non vuol dire che non si debba ricercare un estremo tentativo di dialogo, ma è bene non farsi illusioni perché “teppaglia globale” ha dimostrato di capire esclusivamente la logica della violenza contro la violenza ed è rientrata nei ranghi della lecita – e universalmente garantita, nei Paesi democratici – manifestazione del dissenso, solo dopo gravi incidenti, ai quali ha fatto seguito la minaccia delle Autorità svedesi di sedare ulteriori disordini aprendo il fuoco sui dimostranti. Probabilmente la proposta di Bertinotti nasce anche dalla convinzione che eventuali drastiche ed efficaci misure per evitare che Genova e dintorni vengano devastati da “teppaglia globale” in occasione del prossimo G-8 troverebbero ampio consenso nell’opinione pubblica italiana, rafforzando il Governo Berlusconi invece di indebolirlo, come qualcuno potrebbe avere pensato lasciandogli in gestione una situazione esplosiva in un contesto tutt’altro che favorevole.
Il nostro non è un appello alla linea dura, ma solo alla fermezza, che è perfettamente conciliabile con la ricerca del dialogo. Infatti, le esplicite aperture del Ministro Ruggiero e quelle più blande del Presidente Berlusconi non sono affatto un segno di debolezza e non sono apparse neppure tali a un dichiarato sostenitore del cosiddetto “popolo di Seattle” (sarebbe però ora di finirla di chiamarlo con questo termine nobilitante), qual è Bertinotti, altrimenti avrebbe strumentalmente colto al volo l’occasione di dialogo, invece di chiedere l’annullamento di una manifestazione che potrebbero segnare l’inizio del rapido declino di un movimento “rivoluzionario” tanto caro a chi, come lui, considera un male da estirpare le società liberali in politica e in economia. Come ha ricordato il Presidente Berlusconi, le richieste che “teppaglia globale” potrebbe avanzare in un civile e democratico confronto non sarebbero dissimili da quelle che i partecipanti al G-8 si sforzano di attuare in maniera fattuale e concreta. Rendere esplicito questo, accettando un confronto su proposte concrete, sarebbe devastante per il movimento, che verrebbe privato di ogni parvenza di giustificazione propagandistica conclamata al fine di abbandonarsi alla sua ricorrente devastante gratuita violenza. Ancora peggio sarebbe non rispondere alle profferte di dialogo e scatenare la guerriglia urbana globale, come se niente fosse stato. In questo caso il Governo Berlusconi ne potrebbe uscire indebolito solo non dimostrandosi sufficientemente determinato a reprimere quegli ormai universalmente condannati atti di teppismo, tanto stupidi e irrazionali da lasciare pensare anche a un diffuso ricorso a psicofarmaci, tanto così per andare un po di sballo.
È per questo che mentre plaudiamo a un esecutivo che dimostra di avere i nervi saldissimi, che si dimostra aperto al dialogo e al confronto quando pure la diretta esperienza negativa da poco vissuta avrebbe potuto portare a reazioni emotive, esortiamo altresì a non abbassare la guardia e a prendere le possibili misure atte ad evitare che Genova riviva le giornate di Goeteborg. Sul tema specifico delle misure concrete torneremo nei prossimi giorni. Come dire: se vuoi un G-8 pacifico, prepara una efficace controguerriglia.
giorgioprinzi@inwind.it
TEPPAGLIE DI TUTTO IL MONDO UNITEVI
Il clamore intorno le preoccupazioni per
quanto potrebbe avvenire in occasione del prossimo G-8 di Genova sta mettendo
in evidenza degli aspetti interessanti, peraltro altrimenti difficili da
immaginare. Paladini e difensori più infervorati di coloro che stanno
organizzandosi per contestare l’assise internazionale sono, almeno in Italia,
il Partito della Rifondazione Comunista (Prc)
e varie formazioni estremiste di sinistra, quali i Verdi e i cosiddetti
“centri sociali”. Sconcertanti le dichiarazioni di Gigi Malabarba, Capogruppo
dei senatori di Prc, secondo cui
il G-8 è privo di legittimità perché non votato da nessuno. Verrebbe quasi da
chiedergli, ma la teppaglia mondiale e globale che si raduna violenta e
devastatrice da quale mandato elettorale trae legittimità, per pretendere di
imporre la propria visione, sempre ammesso che ne abbia una oltre quella della
violenza fine a se stessa? Le Conferenze internazionali, più in generale quelle
regionali a numerose delle quali l’Italia ha aderito ed aderisce, traggono
legittimità da quella dei Rappresentanti dei singoli Stati partecipanti, nel
caso del G-8 tutti, Russia compresa, democraticamente eletti secondo le regole
costituzionali dei singoli Paesi. Quale legittimità ha la “teppaglia globale”
di Göteborg se non quella dell’autoreferente violenza in qualche
caso persino criminale?
Eventuali decisioni o trattati
internazionalmente sottoscritti da Conferenze internazionali, quali il G-8,
avrebbero valore solo dopo la ratifica dei rispettivi parlamenti. Quale organo
giurisdizionale democratico ha mai approvato la furia devastatrice di teppaglia
globale? Forse è un aspetto marginale di fronte a una eventuale investitura di
Osama bin Ladin o della nuova internazionale (comunismo globale)
marxisto-ecologista? O forse ancora è Greenpeace l’autorità fondante della
politica mondiale?
L’unica cosa di globale e di imposto con
la violenza devastatrice è, al contrario, la lotta alle società liberali per
continuare ancora a sognare il mito comunista che, laddove ancora al potere
come nella Cina continentale, è negatore persino dei più elementari diritti
umani, non solo dei principi della democrazia, per non parlare poi di quelli
liberali in politica e in economia. È questa nostra società, a cui dopo il
crollo di quella che fu l’Unione Sovietica, tende nuovamente la stessa Russia,
che dobbiamo difendere come quanto di più caro e di pragmaticamente migliore
che le società umane abbiano saputo produrre. Se la democrazia e le libertà si
perdono, occorreranno decenni per solo tornare a pensare e riformularle e
riedificarle. La storia, anche la nostra italiana più recente, ce lo insegna.
Sono perfettamente d’accordo e plaudo ai
tentativi che sta facendo l’attuale Governo, che peraltro ha ereditato da L’Ulivo
la gestione contingente, di ricercare un colloquio con l’eventuale parte non
violenta del cosiddetto movimento antiglobalizzazione, nel quale peraltro
potrei sotto molti aspetti riconoscermi se fosse effettivamente un movimento
propositivo e di idee democratiche ancor prima che liberali; mi oppongo invece
con tutte le mie forze a una schizofrenica politica, come richiesto da vari
esponenti ecologisto-comunisti, per cui lo Stato, che si sta preparando a fronteggiare
una emergenza potenzialmente esplosiva e catastrofica, dovrebbe al tempo stesso
finanziarla e favorirla con cospicui finanziamenti e aiuti organizzativi. Al
contrario è necessario impedire ogni supporto logistico in città, nei dintorni,
negli afflussi. Che idea balzana è mai quella di proporre un dibattito sul
simultaneo disarmo di dimostranti e polizia. I dimostranti armati sono
criminali da perseguire, non soggetti per un confronto paritetico. La
rivoluzione comunista che in centinaia di migliaia al mondo (e per il G-8 a
Genova) continuano a sognare è, per la stragrande maggioranza dell’umanità, una
aggressione ai più elementari Diritti e alla Persona. È questo che dobbiamo difendere, con convinzione e con fermezza,
ma anche con l’auspicio di non doverlo mai fare con le armi, soprattutto con
armi letali. Per evitare questi rischi conta più la fermezza nella prevenzione
che la durezza nella repressione. Teniamo teppaglia globale il più possibile
lontano da Genova, in quei giorni.
giorgioprinzi@inwind.it
NUOVE
TECNICHE ANTISOMMOSSA
La devastazione di Genova ad opera di “idealisti”
pacifici e democratici lascia insoluto il problema dell’ordine pubblico di
fronte a un fenomeno per contrastare il quale devono venire elaborati nuovi
schemi operativi e di impiego delle Forze dell’Ordine.
In realtà le tecniche di guerriglia
urbana messe in atto a Genova da questi santi martiri del “pio ordine dei
devastatori” non sono ne nuove ne originali. Le incursioni a colpi di
molotov degli autonomi che si
staccavano dal corteo principale per poi tornare a trovare in esso rifugio e
protezione sono la costante della cronaca di quelli che si avviavano a
diventare gli “anni di piombo”. Nel caso contingente, auspichiamo che le
indagini chiariscano in maniera inequivocabile se vi siano stati, o meno,
complicità e reciproco funzionale “gioco delle parti” tra le diverse
componenti; in ogni caso non si può negare una pesante responsabilità morale
di chi, solo anche per semplice ingenuità, ha finito con il fornire asilo e
protezione agli incursori violenti in ritirata o in fuga davanti alle Forze
dell’Ordine.
Ed è proprio quello delle tradizionali
“cariche di polizia” che mi sembra il primo schema operativo da dovere
riconsiderare. La dissuasione non dovrà più avvenire per contatto diretto,
ma a distanza, sia pure con mezzi invalidanti, ma non letali. A mio avviso,
piccoli presidi di tiratori opportunamente appostati con armamento atto a
sparare proiettili di gomma o plastica sarebbero stati più efficaci – forse
avrebbero anche richiesto il dispiegamento di un minore numero di uomini -
degli affardellati reparti all’inseguimento di teppisti ormai liberi di
correre perché alleggeriti del loro devastante armamentario. Nei casi più
gravi, come il lancio di molotov, dovrebbe essere previsto l’uso anche di
armi letali.
Sarebbe a mio avviso opportuno l’impiego
degli elicotteri con finalità operative diverse da quelle della semplice
osservazione, ad esempio per tempestivamente effettuare lanci di granate
lacrimogene o di altri più confacenti aggressivi che la chimica offre. Nel
caso dell’impiego contro le teppaglie più violente si potrebbe pensare ad
alcuni “blandi” aggressivi in uso nelle esercitazioni militari, che
comunque sono in grado di creare fastidiosi effetti in special modo se in
presenza di sudorazione.
Bisogna poi responsabilizzare gli
organizzatori di quelle manifestazioni che finiscono col fornire copertura ai
violenti in fuga o in ritirata. L’autorizzazione a manifestare dovrebbe
essere condizionata alla adozione di opportune misure di servizio d’ordine
in grado di evitare che i “pacifici” facciano da copertura alla teppaglia,
la quale dovrebbe venire, sotto la loro diretta responsabilità respinta, o
catturata e consegnata alle Forze dell’Ordine. Una cauzione graduata al
potenziale pericolo di degenerazione delle “pacifiche” manifestazioni
dovrebbe contribuire a responsabilizzare in solido gli organizzatori.
In un più ampio contesto della peraltro
sperimentata privatizzazione dei servizi di polizia si potrebbe pensare, nei
casi più onerosi per impiego di uomini e a maggior rischio per la vastità
dell’area e degli obiettivi da salvaguardare, di ampliare il numero dei
presidi finalizzati a difesa di punti sensibili, quali distributori di benzina
o esercizi commerciali simbolo, con poliziotti volontari, ad esempio tratti
dalle Associazioni d’Arma e di Riservisti, inquadrati da personale
istituzionale, che ne avrebbe il comando e la responsabilità. D’altronde è
una richiesta manifestatasi in maniera spontanea e estemporanea tra gli stessi
cittadini di Genova che un bel momento hanno cominciato ad esternare i loro
sentimenti nei confronti di quei “paladini dell’umanità” che, per
salvare il mondo, stavano devastando la città, lanciando loro dei fiori; …
e lo facevano con tanto emotivo trasporto da dimenticarsi di staccarli dai
vasi.
Una piccola digressione vogliamo farla
nei confronti di Enrico Mentana per chiedergli se non si sente in qualche modo
responsabile per avere esacerbato gli animi con l’eccessiva focalizzazione
della cronaca giornalistica su un episodio, che una più esauriente
documentazione porta ora a vedere in altra e diversa luce. Anche per questo
vedremmo ora con piacere che a quel povero ragazzo ventenne che, in pericolo
di venire barbaramente linciato insieme ai suoi
commilitoni da novelli “san Francesco” si è disperatamente
attaccato alla vita sparando, venisse ora in qualche modo risarcito, magari
con una qualche forma di riconoscimento che lo ripaghi del trauma per il
tragico episodio da lui vissuto e per la successiva criminalizzazione subita,
anche a causa della enfatizzazione giornalistica, forse eccessiva, data al
tragico episodio. L’occasione per lui e per i suoi commilitoni in senso
lato, potrebbero essere le prossime Feste di Arma o di Corpo dove già
tradizionalmente tali riconoscimenti vengono solennemente conferiti per
episodi avvenuti nel corso dell’anno.
DAL TEPPISMO ALL'INSURREZIONE
Questa è guerra civile, naturalmente in
quella fumosa e sfumata fase che gli esperti indicano con la dizione di “insorgenza”,
ma tale da trasformarsi in insurrezione o insurrezione armata se non si corre
presto ai ripari. È un allarme che in primo luogo lancio all’opposizione,
almeno alla sua parte più responsabile.
Il tanto parlare di Ocalan, del
subcomandante Marcos, di “intifada” e altro ha creato una subcultura
rivoluzionaria ancora più pericolosa di quella marxista perché come i
famigerati virus informatici si camuffa e si nasconde dietro gli “I love you”
di conclamate idealità condivise, che ne costituiscono un pericoloso “cavallo
di Troia”. La situazione è resa più critica dal diffuso elevato livello di
violenza collettiva, in particolare tra i giovani, forse anche a causa del
diffuso consumo di psicofarmaci e droghe, di cui la ricerca dello “sballo”
potrebbe essere uno dei tanti sintomi.
Questa violenza diffusa, questo desiderio
di distruzione e di autodistruzione trova i suoi momenti nobilitanti nella
violenza di massa con motivazioni politiche, nel caso specifico del recente
G-8 di Genova del tutto prive di fondamento dal momento che il “Grande
Comunicatore” Silvio Berlusconi, coadiuvato dai ministri del suo Governo, si
era sapientemente appropriato dei migliori contenuti ideologici della
protesta, imprimendo all’assise una svolta che già oggi appare storica.
I suoi avversari non hanno saputo
purtroppo prendere sportivamente atto dell’abile mossa del Governo e hanno
ritenuto di potere cavalcare la tigre di una grande manifestazione di massa
nel corso della quale, come la “Lola” di un noto latte, teppaglia globale
ha dato il meglio di se. I risultati sono stati disastrosi sotto i punti di
vista, compreso quello del ritorno politico per i temerari “pacifici
guerrafondai” che volevano cancellare i G-8, anche a costo di mettere Genova
in stato di guerra. Ma ancora più disastrosi sono stati sotto il profilo
politico generale per una sorta di spiralizzazione della violenza, che ha
creato le condizioni tipiche da fase di insorgenza insurrezionale. Da un lato
vi è un gruppo minoritario, ma compatto, che pur con le ossa rotte - e non
solo in senso metaforico – ne esce ringalluzzito a causa delle polemiche su
alcuni episodi su cui sta indagando la Magistratura. La radicalizzazione delle
posizioni antagoniste che ne è scaturita e la conseguente tentazione di un
atteggiamento generalizzato a vittime e “angioletti” ha portato anche le
frange più responsabili dell’opposizione ad appiattirsi su battaglieri
proclami di iniziative piazzaiuole.
Tutto questo rende la situazione
estremamente grave. Di fronte a questo “rullare di tamburi di guerra” il
Governo e l’ampia maggioranza di centrodestra che lo sostiene devono
dimostrare fermezza e di determinazione, evitando di dare segnali che
potrebbero venire, in particolare da teppaglia globale, interpretati come un
successo, sia pure pagato a caro prezzo. Bisognerà dialogare con l’opposizione,
almeno con quella più responsabile che non ricerca l’apoteosi
insurrezionale a tutti i costi, e tenere sotto ricatto quella apparentemente
irriducibile, in realtà almeno altrettanto “piagnucolona” quanto
violenta.
Propongo di voltare pagina e di farlo con
un colpo di spugna in due tempi. Probabilmente si arriverà all’incriminazione
di alcuni esponenti delle Forze dell’Ordine con una strascico infinito di
polemiche anche strumentali. Il Governo deve allora mostrare un coraggio che
credo non gli manchi e prendere una decisa iniziativa politica veramente
caratterizzante. Senza mettere la
pietra tombale su questioni che potrebbero portare alla riprogettazione totale
di un’organizzazione plasmatasi in pieno regime consociativo
postsessantottino e forgiatasi in un decennio pieno di governi di sinistra e
postcomunisti, occorre dare un segnale inequivocabile. Tutti devono rispettare
la legalità e i principi di democrazia liberale da cui per noi essa trae
fondamento. Sono aspetti universali in merito ai quali si deve essere
intransigenti nella maniera più assoluta. Ma come aspetto collaterale e
inscindibile si presenta quello pratico della supremazia dell’autorità
dello Stato e di chi ha democraticamente avuto il mandato per governarlo e che
ha quindi anche il Dovere di adempiere a tale mandato senza farselo usurpare
da una teppaglia violenta o da minacce insurrezionali o preinsurrezionali.
Visto che si tratta di “randellate” il
principio del “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto” appare in
prima approssimazione come opportuno e confacente a chiudere e superare la
vicenda. Solo che non si possono mettere sullo stesso piano coloro che hanno
il compito di salvaguardare l’ordine e la sicurezza di tutti con quanti si
dilettano a fare gli insorti rivoluzionari e pretendono di esercitare un
potere di coercizione sugli altri, a cominciare da coloro che sono stati
democraticamente eletti a governare gli otto Paesi con le economie più
prospere e sviluppate. Se necessario si provveda in tempi rapidi a varare una
amnistia che copra, nei modi da stabile, eventuali reati commessi da
appartenenti alla Forze di Polizia nel corso del contrasto nei recenti
disordini di Genova. Per non esacerbare gli animi, si dovrebbe pensare a un
atto analogo nei confronti dei rivoltosi, come di norma avviene o dovrebbe
avvenire a fine di una guerra civile, sia pure evitata e, nel caso specifico,
si spera solo in fase di insorgenza. Quello che propongo è che ciò venga
condizionato a un reale riscontro di pacificazione, nel senso che il
provvedimento non sia contestuale a quello eventuale per le Forze di Polizia,
ma venga solo annunziato e effettivamente varato dopo un ragionevole lasso di
tempo, ad esempio a fine anno, dopo che in concomitanza di appuntamenti a
rischio non si siano verificati episodi di violenza collettiva di piazza. La
depenalizzazione degli atti di vandalismo, inoltre, dovrebbe venire applicata
a chi si dichiara colpevole e versa un risarcimento pecuniario proporzionale
alla gravità del fatto commesso. La pena non dovrebbe venire cancellata con
effetto immediato, ma dovrebbe rimanere in sospeso per un determinato lasso di
tempo, ad esempio cinque anni, e costituire precedente aggravante da scontare insieme a quella
successivamente inflitta per eventuali reati omologhi.
A me sembra una soluzione ragionevole, su
cui maggioranza e opposizione, almeno quella più responsabile, potrebbero
trovare un punto di accordo e di convergenza nell’interesse del Paese e
della pacifica convivenza civile. Anche questo è un mondo migliore, quello
che i cittadini elettori recepiscono come il loro diretto e più vicino mondo
migliore.
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IL
PERICOLO DI RADICALIZZAZIONE
Se nel frangente contingente c’è un
incarico spinoso e delicato, di quelli che neppure il più ambizioso e cinico
riuscirebbe attualmente a desiderare e ad invidiare, questo è quello di
ministro degli Interni. Senza dubbio in un Paese liberale qualsiavoglia forma
di “intraprendenza” o di “esuberanza” delle Forze di Polizia sono
intollerabili. Di contro, gli agenti di Polizia sono degli uomini, con i loro
sentimenti, con le loro emozioni, con le loro paure e con le loro
esasperazioni, che non possono venire ignorate soprattutto se in relazione a
fatti contingenti, violenti e drammatici. Dentro le uniformi vi sono Individui
che, se toccati nell’intimo di sentimenti forti di solidarietà e di
amicizia rafforzati da quello che si chiama “spirito di corpo”, possono
reagire da Persone, non da “macchine” razionalmente giuridiche. È stato
il senso del mio appello all’opposizione (martedì 31 luglio) a non
spingersi oltre nella radicalizzazione di un clima in cui si prefigurano molti
degli “indicatori” della cosiddetta “fase insorgenza”, da cui potrebbe
scaturire una qualche forma insurrezionale o di guerra civile.
L’opposizione forse si illude di poter
correre l’avventura di uno scenario di tensioni che prefigurino una
contrapposizione violenta, senza tuttavia spingersi sino alla contrapposizione
armata tra parti in lotta nell’ambito di un medesimo territorio su cui
entrambi stanziano in pienezza di diritto. In parole brutali, spazzare via il
Governo Berlusconi con un crescendo di disordini e violenze politiche, con il
non dichiarato, ma presumibile, disegno di mettere in crisi l’attuale
maggioranza ponendola di fronte al dilemma se imporre con la forza il rispetto
dell’ordine pubblico – azione già etichettata di destra, e possibile solo
con una maggioranza quale l’attuale – o subire la violenza politica delle
frange delle sinistre ecomarxiste estreme sino a sgretolarsi sotto i colpi di
maglio di “una, dieci, cento … Genova”.
La realtà del Paese, dalla quale tanti nostalgici e
rifondatori sono lontani anni luce, è diversa e “trasversale”. Sono
proprio i più diseredati a non comprendere le tematiche dei cosiddetti
antiglobalizzatori. Chi deve fare i conti con le proprie ristrettezze è poco
disponibile a ulteriori sacrifici, sia pure richiesti in nome di una globale
solidarietà. Dove vive certa Alta dirigenza politica, che non riesce a
cogliere gli umori della gente, magari ex simpatizzanti o prossimi tali, solo perché non
riempie le sezioni in mano a esagitati e magari gira anche alla larga dai
cosiddetti centri sociali, spesso coacervi di diffusa indistinta antisociale
asocialità? Pensano davvero che quegli agenti che, in spezzoni di immagini
prive dell’antefatto, “ce davano giù de core” fossero tutti
inquadrabili in una determinata area politica? Il distacco emotivo con cui il
telespettatore, magari tra una bibita ed una effusione privata, segue la
realtà più cruda e violenta può produrre dirompenti e imprevedibili
effetti. Senza dubbio una minoranza si è lasciata emotivamente coinvolgere
dal “cincischiare” di “Canale 5” su delle immagini, parziali,
incomplete e prive del contesto generale da cui scaturivano, che suggerivano l’idea
di freddi assassini che pure infierivano, arrecandovi vilipendio, su un
manifestante … sì proprio quello! Si stava per prendere la decisione se,
proprio per la gravità dei fatti avvenuti, le manifestazioni dell’indomani
avrebbero dovuto venire confermate o sospese. I treni speciali annullati per
mancanza di partecipanti venivano di colpo superati dalla crescente
emotività, che ha pesantemente condizionato in quel frangente le decisioni
degli organizzatori e lo svolgimento della giornata successiva.
Si chiedano i più esagitati, se quanto
per il concatenarsi di cause e di concause è avvenuto, sia stato
effettivamente pagante per loro o, se per caso, non abbiano conseguito l’indesiderato
risultato di perdere consenso, almeno tra i più moderati e non organici, e
spingere la Forze di Polizia a chiudersi a riccio e fare quadrato, anche con
azioni “esuberanti e
intraprendenti”. Fermiamoci tutti un attimo a pensare. La via intrapresa è
pericolosa e piena di incognite.
La maggioranza, e in particolare il
ministro degli Interni, hanno il difficile compito di lenire le profonde
ferite inferte all’organizzazione e al morale degli uomini al servizio del
bene comune e, soprattutto, mettersi a tavolino a studiare misure di
prevenzione e, se necessario, di repressione, che scongiurino il ripetersi
alle prossime scadenze di scenari simili a quelli visti a Genova, se non
addirittura peggiori. Immaginate cosa sarebbe successo se i fiori (non recisi
dal vaso) avessero fracassato il cranio di qualche manifestante. E non è
detto, poi, che la prossima volta siano solo fiori. Qualcuno potrebbe sentirsi
indifeso e, di conseguenza, adeguatamente approntarsi in privato, sia
singolarmente che in gruppo. Sarebbe la catastrofe che il trito ritornello che
si tratterebbe di persone politicamente d’area servirebbe solo ad esasperare
ulteriormente.
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