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CAPITOLO XI

Proprietà termiche dei vetri

 

 

Calore specifico

viene definito come la quantità di calore necessaria per aumentare di 1°C la temperatura di una sostanza di peso unitario, viene misurato in .

Usualmente con il termine generico di calore specifico si considera quello a pressione costante cp che è superiore a quello a volume costante cv: (operando a pressione costante è necessario fornire alla sostanza ulteriore calore per l’espansione termica), tuttavia nei materiali solidi e in particolare nei vetri la differenza è trascurabile (» 0,4%).

Si definisce il calore molare Cp come:

Dove M è il peso molecolare medio della sostanza considerata.

Il calore specifico cresce da zero a 0 °K fino ad un massimo di 3R ( R = costante dei gas ) alle alte temperature cioè » 6 cal/mole °C. Secondo la trattazione di Dulong e Petit dalla meccanica classica si considera un atomo come un oscillatore con sei gradi di libertà: energia cinetica ed energia potenziale che variano lungo i tre assi cartesiani x, y, z, dal principio di equiripartizione dell’energia ogni atomo assorbe per ogni grado di libertà un’energia pari a dove K è la costante di Boltzmann, ma e quindi l’energia per mole di un solido semplice sarà data dalla espressione: , e poiché R = 1,987 cal / mole °K allora 3 R è circa 6 cal / mole °K. Questo valore è tale alle temperature superiori alla temperatura ambiente mentre a temperature basse il Cv diminuisce proporzionalmente al cubo della temperatura ( Einstein-Debye).

Nella maggior parte dei vetri il calore specifico è compreso tra 0,17 e 0,23 cal / g. °C. A temperature elevate esso raggiunge il valore di 0,29 per un vetro di silice pura e 0,333 per vetri calcio-silicatici mentre la sostituzione ponderale del 20% della SiO2 con il PbO porta alla diminuzione del calore specifico fino a 0,175 cal / g°C.

Noi misuriamo un valore di cp ad una specifica temperatura in effetti nelle determinazioni sperimentali si deve parlare più propriamente di un calore specifico medio dato dalla espressione:

 

 

 

 

 

 

Misura del calore specifico cp

Un campione di peso m viene scaldato fino ad una temperatura Ta e quindi posto velocemente in un calorimetro a liquido, si misura quindi una temperatura del liquidi Tf, se DT è la differenza di temperatura nel campione allora si avrà:

dove W è una costante caratteristica della apparecchiatura ed è detta costante d'acqua

Dipendenza dalla composizione

In figura 1 è mostrata la dipendenza rispetto alla composizione di in vetri sodio-silicatici

Figura 1

Vetri con pesi atomici medi elevati hanno calori specifici inferiori al sistema sodio-silicatico, naturalmente all’aumentare del peso molecolare medio il calore specifico molare Cp dato che è destinato ad aumentare.

Conducibilità termica

Si definisce così la quantità di calore trasmessa nell’unità di tempo attraverso una superficie unitaria ortogonale alla direzione in cui avviene il trasferimento di calore con un gradiente di temperatura unitario; essa si misura in .

La conduzione del calore negli isolanti, data l’impossibilità di movimento degli elettroni, è dovuta alle vibrazioni termiche del reticolo cristallino le quali generano onde termoelastiche che si propagano da zone calde a zone fredde del network.

Il quanto di energia vibrazionale di un’onda termoelastica è detto fonone. Si può parlare, in analogia al trasporto del calore nei gas, di un gas di fononi e derivare dalla teoria cinetica dei gas l’espressione per la conducibilità termica:

dove u è la velocità fononica, l è il cammino libero medio delle onde reticolari di frequenza tipica (fononi) e Cv il calore specifico.

In un reticolo cristallino perfetto (ideale) le vibrazioni atomiche sono armoniche e quindi le onde reticolari non presentano interferenze, esse non vengono diffuse durante il loro cammino e la conducibilità termica è praticamente infinita.

Nei cristalli reali le vibrazioni reticolari sono anarmoniche a causa dei difetti del reticolo, la conducibilità termica è bassa, inoltre la diffusione fononica diminuisce al diminuire della temperatura facendo di conseguenza aumentare la conducibilità termica al diminuire della temperatura.

Nei solidi non cristallini la conducibilità termica è bassa a causa dell’alto grado di disordine strutturale; il cammino fononico medio è in questo caso assai breve ( pochi Å ) e quindi la diffusione è rilevante, poiché l ed u sono indipendenti dalla temperatura la conducibilità termica nei solidi amorfi dipende solo dal Cv, quindi essa aumenta all’aumentare della temperatura (Cv va da zero a 3R).

La conducibilità termica per fenomeni radiativi gioca un ruolo fondamentale nel trasporto termico dei grandi forni fusori, per un vetro tipo flint ( 80% PbO e 20% SiO2) essa è 0,0012 mentre per un vetro comune raggiunge 0,0024 , è inoltre fortemente influenzata da ioni metallici presenti come ferro o cromo: un vetro verde da bottiglia può avere una conducibilità per radiazione anche sei volte più bassa di quella di un vetro chiaro.

 

 

La dilatazione termica

Figura 2

 

I corpi tendono a dilatarsi perché a livello atomico gli atomi che oscillano intorno alle posizioni di equilibrio (di un reticolo cristallino o di un network continuo di un vetro) sono sottoposti ad un potenziale asimmetrico. Come possiamo vedere in figura 2 a temperature via via crescenti aumenta la distanza atomica media d.

Quasi tutti i solidi, in assenza di cambiamenti di fase, si dilatano se riscaldati con un coefficiente di dilatazione volumetrico b circa triplo di quello lineare.

Si definisce il coefficiente di dilatazione lineare a come l’aumento di lunghezza D l subito a pressione costante da un materiale di lunghezza unitaria l0 per un aumento di temperatura T di 1 °C, si misura in [°C-1].

Dal punto di vista atomico la dilatazione termica è effetto dell’aumento della distanza media tra gli atomi causata da moti vibratori anarmonici degli stessi, all’aumentare della temperatura aumenta anche l’ampiezza delle vibrazioni degli atomi del reticolo fino ad un valore massimo al punto di fusione del 12% della distanza di legame.

Legami forti e direzionali come i legami covalenti portano a dilatazioni minori rispetto a legami più deboli come i legami metallici.

Nel caso dei vetri, la dilatazione termica al di sotto della temperatura di transizione vetrosa Tg è circa la stessa di quella riscontrata nella sostanza sotto una forma cristallina, fa eccezione il coefficiente di dilatazione lineare del vetro di silice che è molto più basso di quello del a -quarzo:

a SiO2 vetrosa = 5,5 10-7 °C-1, a 1 Quarzo = 80 10-7 °C-1, a 2 Quarzo = 134 10-7 °C-1, ciò sembra connesso alla struttura più aperta del vetro di silice in cui prevalgono vibrazioni atomiche trasversali rispetto a vibrazioni che avvengono nella direzione dei legami.

 

Metodi di misura

I due principali metodi di misura sono quelli del dilatometro, di cui abbiamo già parlato nel capitolo I, d della birifrangenza nel quale un campione di vetro di spessore noto e privo di stress meccanici viene sottoposto ad analisi polarografica, il coefficiente di dilatazione lineare è dato:

dove d = ritardo dell’onda luminosa, E = modulo di elasticità, C = coefficiente di stress ottico (costante strumentale); D T = differenza di temperatura tra la temperatura ambiente e la temperatura di transizione vetrosa, d = spessore del campione.

Dipendenza dalla temperatura

l’analisi della curva dilatometrica mostra che al di sotto della temperatura di transizione vetrosa a aumenta linearmente con la temperatura, nella misura del coefficiente viene così scelto un intervallo di misura, tipicamente 50°C - 400°C, lo slope della retta che rappresenta la variazione di a con la temperatura in quell’intervallo scelto è il coefficiente di dilatazione lineare medio.

Alla temperatura di transizione vetrosa la struttura subisce una progressiva apertura dei legami con una brusca diminuzione della coesione atomica: il dilatometro mostra una brusca diminuzione del coefficiente di dilatazione, il massimo che si manifesta è chiamato punto di rammollimento dilatometrico.

 

 

Dipendenza dalla composizione

E’ già stato detto che a causa dei forti legami Si-O e della struttura aperta del network il coefficiente a della SiO2 vetrosa è relativamente basso, un basso coefficiente d dilatazione è di grande importanza pratica a causa della resistenza agli shock termici ad esso associata. L’introduzione di metalli alcalini provoca una diminuzione della forza di legame del network e di conseguenza il coefficiente di dilatazione lineare aumenta. (Figura 3) § 8.5a

Figura 3 § 8.5a

in figura 3 § 8.5a vediamo come l’introduzione di quantità crescenti di ossidi alcalini ad un vetro di silice pura faccia aumentare proporzionalmente il coefficiente di dilatazione, si noti come l’effetto polarizzante dello ione litio provochi un aumento di a inferiore rispetto all’aggiunta di analoghe quantità di potassio( effetto polarizzante sul legame Si-O).

Figura 4 § 8.5b

Introducendo ossidi di metalli alcalino terrosi ( figura 4 § 8.5b ) si nota la stessa tendenza, anche se meno pronunciata, a causa dei più forti legami metallo-ossigeno. Ossidi di metalli fortemente polarizzabili come il PbII causano invece un rapido incremento del coefficiente di dilatazione termica all’aumentare della concentrazione nel vetro di silice.

Nel grafico di destra è riportato l’andamento di a all’aumentare della concentrazione di Al2O3 e B2O3 in un vetro sodio-silicatico, in questo caso la curva è il risultato dell’equilibrio tra la formazione di strutture tetraedriche del tipo [BO4]- ed [AlO4]- e [BO3] (planare) e [AlO6] ottaedrico, le strutture tetraedriche complessando lo ione alcalino hanno l’effetto di eliminare ossigeni non a ponte e quindi fanno diminuire il coefficiente di dilatazione termica.

Nei sistemi alcalino-boratici (figura 5) § 8.5c l’effetto della aggiunta di ossidi di metalli alcalini è quello di una iniziale diminuzione di a per la formazione di strutture e quindi di un aumento dopo che il rapporto molare per il passaggio [BO4] ® [BO3].

Figura 5 § 8.5c

Meccanismo del cavillo e della scaglia

 

In figura 6 vediamo l’andamento del coefficiente di dilatazione termica a di un ipotetico smalto (in rosso) rispetto a due supporti s1 ed s2 in blu

Figura 6

La situazione è stata esasperata rispetto alla realtà tuttavia come vediamo nel modello delle tensioni di figura 7, nel caso del supporto s1 questo mette in compressione lo smalto e quindi le microfratture superficiali tendono a richiudersi. Il supporto s2 invece agirà nel senso opposto mettendo in trazione lo smalto: le microfratture superficiali tenderanno ad allargarsi.

 

 

Figura 7

Nella realtà i coefficienti di dilatazione delle fritte sono sempre inferiori di qualche unità a quelli dei supporti nella tabella 1 sono riportati dei valori tipici di a per fritte in varie tecnologie di applicazione:

Tabella 1

 

In tabella 2 sono invece riportati i valori di Da tipici tali per cui non si hanno fenomeni di cavillo o di scaglia, per valori superiori di delta si può incorrere in un fenomeno di scaglia per eccessiva compressione mentre al contrario per differenze di coefficiente di dilatazione piccole tra supporto e smalto si ha la possibilità di incorrere in fenomeni di cavillatura.

Tabella 2

Modelli matematici

Tra i modelli matematici proposti i più utilizzati sono quelli di Winkelmann, Schott, Appen e di Ledereeova mostrati in figura 8 § 8.6

 

Figura 8

Nelle tavole di figura 9 § 8.7 vengono dati i fattori per la determinazione dei coefficienti di espansione dei vetri in base alla composizione (a espresso in 10-8 K-1):

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 9

a: i valori in parentesi sono validi per i vetri binari R2O - SiO2. Il fattore a K2O = 46,5 si applica solo a quei vetri che contengono più di 1% di Na2O, altrimenti si utilizza il valore di 42,0.

b: per vetri contenenti B2O3 si deve calcolare un fattore y dato dalla seguente espressione:

ottenendo così:

a B2O3 = -1,25 y y £ 4

a B2O3 = 5,00 y > 4

c: a SiO2 = 10,5 - 0,1 pSiO2 100 ³ pSiO2 ³ 67

a SiO2 = 3,8 pSiO2 £ 67

 

d:

a TiO2 = 10,5 - 0,15 pTiO2 80 ³ pSiO2 ³ 50

 

 

f: a PbO = 13,0

il valore sopra riportato è valido nei seguenti casi:

  1. vetri privi di alcali

2) vetri piombo-silicatici con

3) altri tipi di vetri con

g) i fattori sono validi per miscele di ossidi del tipo MnO/MnO1,5 e FeO/FeO1,5

 

 

 

Limitazioni della temperatura nell’uso dei vetri

Limiti di utilizzo

 

Limiti normali

Limiti estremi

vetro comune

100-110 °C

450 °C

vetri allumino - silicatici

200 °C

650 °C

vetri borosilicatici

230 °C

450 °C

vetri al piombo

 

300-380 °C

vetro di silice

900 °C

1300 °C

 

per limiti estremi di utilizzo si intendono quelle temperature per le quali il vetro subisce fenomeni di scorrimento viscoso ( h » 1015 Poise ). A queste temperature i vetri sono vulnerabili per shock termico, se il vetro è temprato anziché ricotto si innalzano i limiti normali di utilizzo ma si abbassano quelli estremi a causa del rilassamento completo delle tensioni per scorrimento viscoso.

Resistenza allo shock termico

Si definisce come la più alta differenza di temperatura che un vetro di uno spessore dato può sopportare tra le due facce opposte senza che vi sia rottura per le sollecitazioni meccaniche instaurate, precisamente per lo sforzo di trazione prodotto sul lato freddo della lastra, questo sforzo è dato dalla seguente espressione:

dove E è il modulo di Young, a è il coefficiente di dilatazione lineare, D T la differenza di temperatura tra la faccia calda e quella fredda della lastra e m è il rapporto di Poisson.

Dalla espressione sopra riportata si vede come la resistenza agli sbalzi termici sia tanto maggiore quanto più alta è la resistenza alla frattura e quanto minore è il modulo di Young ed il coefficiente di dilatazione termica.

Il massimo sforzo di trazione ammissibile per un vetro è dell’ordine di 1 Kg/mm2 a cui corrisponde una resistenza agli sbalzi di temperatura di circa 20 °C per il vetro comune, di 65 °C per il vetro borosilicatico e di 300°C per il vetro di silice.

E’ molto difficile calcolare gli sforzi termici transitori tuttavia si può affermare che bruschi aumenti di temperatura sono assai meno pericolosi di repentini raffreddamenti in quanto nel primo caso si manifestano sforzi superficiali di compressione mentre nel secondo si originano sforzi di trazione (che favoriscono il propagarsi delle fratture ).

 

 

 

 

 

 

 

 

AUMENTO DELLA RESISTENZA DEI VETRI

Formazione ed eliminazione di tensioni nel vetro: tempra e ricottura

 

Tempra termica

Se consideriamo un materiale omogeneo idealmente elastico a temperatura uniforme e privo di tensioni, l’applicazione di un gradiente di temperatura provoca dilatazioni e contrazioni differenziali che provocano l’insorgere di un sistema di tensioni, tali tensioni si possono definire temporanee in quanto, a causa della perfetta elasticità del mezzo, si annullano contemporaneamente all’annullamento del gradiente termico che le ha generate.

In un materiale omogeneo idealmente viscoso il gradiente di temperatura non è causa di tensioni in quanto la struttura ha la possibilità di rilassamento per scorrimento viscoso; un materiale di questo genere è dunque privo di tensioni stante un tempo necessario (che dipende dal valore di h ) per raggiungere l’equilibrio.

In un materiale visco-elastico quale è in realtà il vetro se viene applicato un gradiente termico quando esso si trova ad una temperatura superiore a quella della transizione vetrosa Tg questo non provoca l’insorgere di tensioni (rilassamento viscoso), se tuttavia la temperatura del materiale è inferiore alla Tg una variazione della distribuzione della temperatura nella sua massa da origine a contrazioni e tensioni superficiali alle quali si oppone la rigidità del mezzo e quindi si creano delle tensioni permanenti (Deformazione per elasticità ritardata).

La tempra del vetro consiste nel rapido raffreddamento del materiale rispetto ad una temperatura di partenza superiore alla sua temperatura di transizione vetrosa: nei primi istanti del processo la superficie si raffredda più rapidamente dell’interno raggiungendo in pochi secondi, a causa della scarsa conducibilità termica del vetro, la massima differenza di temperatura (figura 10)§ 8.8a, successivamente è la parte interna a raffreddassi più rapidamente della superficie finché non si raggiungono, a temperatura ambiente, la condizione di isotermicità.

§ 8.8a

Figura 10 : variazione della temperatura alla superficie e al cuore di una lastra di vetro

a : il cuore mette in trazione la superficie

b: la superficie si congela a T<Tg e continua a contrarsi mentre il cuore presenta ancora scorrimento viscoso

c: il cuore si contrae più rapidamente della superficie: da questo momento il sistema di tensioni della lastra assume la configurazione definitiva

Come si vede dalla figura 10 negli stadi iniziali del processo la superficie dovrebbe contrarsi maggiormente dell’interno della lastra, si verrebbero così ad instaurare sforzi di trazione in superficie e di compressione al centro; in un solido idealmente elastico questi sforzi si sommerebbero algebricamente annullandosi esattamente con gli sforzi di segno opposto che si verrebbero ad instaurare dopo l’inversione della velocità di raffreddamento tra la superficie e l’interno.

Nei primi istanti del raffreddamento il vetro si trova in realtà ancora in un campo di comportamento viscoso e così la maggior parte delle tensioni formatisi ha il tempo di rilassarsi (questo fenomeno è tanto più favorito quanto più alta è la temperatura iniziale, se la temperatura superficiale è inferiore ad un temperatura detta temperatura di tensione le tensioni create all’inizio del processo non riescono a rilassarsi).

Quando la temperatura della superficie ha oltrepassato la temperatura di transizione vetrosa, questa si congela continuando a contrarsi mentre il cuore conserva ancora un seppur debole comportamento viscoso che gli permette di adattarsi alla contrazione della superficie. Quando anche la temperatura interna si abbassa al disotto della Tg il cuore perde la sua deformabilità; la contrazione dell’interno sarà tuttavia contrastata dalla superficie ormai completamente rigida che si sta contraendo con velocità notevolmente più bassa, per questo motivo l’interno, impedito a contrarsi a suo piacimento, è messo in trazione dalla superficie che ha sua volta viene a trovarsi in compressione rispetto al cuore.

Il risultato finale del processo della tempra è l’introduzione nel vetro di tensioni permanenti che consistono in uno strato superficiale di compressione bilanciato da uno stato interno in trazione.(Figura 11) § 8.8b

Figura 11: Distribuzione delle tensioni in una lastra temprata termicamente, la compressione superficiale è circa doppia della trazione al centro; a circa 1/5 dello spessore si ha lo strato a tensione nulla.

 

Da quanto detto per la riuscita della tempra è decisiva la temperatura al momento dell’inversione delle velocità: se la temperatura superficiale è superiore al punto di tensione il vetro riesce a rilassare le tensioni indotte nella fase iniziale e quando queste cominciano a formarsi compaiono nel senso definitivo (compressione in superficie, trazione nel cuore); se invece la temperatura superficiale è inferiore al punto di tensione le tensioni formatisi inizialmente non riescono a rilassarsi e poiché esse sono di segno opposto rispetto alle tensioni definitive che si formano dopo l’inversione delle velocità di raffreddamento queste ultime risulteranno più deboli che nel caso precedente.

Con il modello sopra descritto possiamo prevedere matematicamente l’entità e la distribuzione delle tensioni meccaniche residue in una lastra temprata sottoposta ad esempio a sforzo di flessione, come si vede in figura 12 § 8.9 le tensioni indotte dallo sforzo si sommano algebricamente a quelle indotte dalla tempra: il risultato sarà che sulla faccia superiore della lastra si avrà una tensione di compressione superiore al previsto mentre su quella inferiore la tensione di trazione sarà molto inferiore.

Il vetro temprato possiede una resistenza a trazione 2-3 volte maggiore del vetro ordinario (20-25 Kg/mm2) che si riflette su una superiore resistenza meccanica in quanto si creano tensioni permanenti che tendono a richiudere le microfratture superficiali ed anche una maggiore resistenza agli sbalzi termici.

Il sistema di tensioni indotte nel processo di tempra comporta da parte della lastra di vetro l’assorbimento di una grande quantità di energia di deformazione elastica, questa energia viene liberata, al momento della rottura, sotto forma di energia superficiale producendo frammenti minuti e non taglienti. Questa proprietà delle lastre temprate è sfruttata nella fabbricazione dei parabrezza per autoveicoli.

 

§ 8.9a

Figura 12

Tempra chimica

Il processo della tempra chimica è vantaggioso per quei processi in cui si devono evitare temperature elevate ( che possono provocare, ad esempio, distorsioni nelle lastre d vetro.

La tempra chimica viene condotta a temperature inferiori alla temperatura di ricottura per immersione del vetro in bagni di sali potassici fusi: avviene un processo di scambio ionico tra gli ioni alcalini nella superficie del vetro (Na+) ed ioni del bagno fuso di dimensioni più grandi (K+)che porta alla dilatazione della struttura vetrosa della superficie; questa dilatazione (causata da un aumento di volume) , contrastata dagli strati più interni del vetro porta ad una complessiva compressione della superficie e trazione del cuore della lastra.

La distribuzione delle tensioni non è parabolica come nel caso della tempra termica ma all’incirca rettangolare (figura 13). § 8.9b

 

 

 

Figura 13

la resistenza a trazione può arrivare fino a 80 Kg/mm2 ed essere anche di due ordini di grandezza superiore alla tensione dell’interno, tuttavia lo strato superficiale posto in compressione è molto sottile (in genere 100 m ), quindi in definitiva la tempra chimica apporta dei vantaggi solo in quei casi nei quali si voglia incrementare la resistenza superficiale all’abrasione.

 

 

Ricottura

La ricottura di un vetro è un trattamento termico che serve alla rimozione delle tensioni interne e ad assicurare l’uniformità delle proprietà fisiche in tutta la massa, esso consiste nel riscaldamento del vetro ad una temperatura T vicina alla temperatura di transizione vetrosa Tg, nel mantenimento alla temperatura stabilita fino al completo rilassamento delle tensioni ed infine in un raffreddamento sufficientemente lento da evitare la comparsa di tensioni permanenti.

Al di sotto del punto di tensione il raffreddamento residuo viene condotto ad una velocità tale da non provocare fratture per le tensioni temporanee indotte.

Le tensioni permanenti consistono in sforzi di uguale intensità ma opposti tra strati adiacenti tali che la deformazione rimane invariata in ogni punto, il rilassamento delle tensioni ad una temperatura mantenuta costante avviene quindi a deformazione costante, la tensione necessaria per mantenere nel materiale una deformazione costante si ridurrà gradualmente nel tempo secondo una legge esponenziale, in altre parole la deformazione elastica istantanea iniziale viene gradualmente convertita in una deformazione viscosa.

Si può chiarire meglio questo concetto facendo riferimento al modello di Maxwell: immaginiamo di applicare una sollecitazione improvvisa alla molla della figura 18 del capitolo 10 § 8.1a, come conseguenza si produrrà una deformazione elastica (allungamento),per mantenere tale deformazione nel tempo occorrerà uno sforzo sempre più piccolo poiché il pistone (elemento viscoso), richiamato dalla molla, inizia a scorrere facendo diminuire la tensione della molla stessa, in questo modo si può ricavare la legge del rilassamento delle tensioni; poiché la deformazione totale deve rimanere costante nel tempo

sappiamo che

integrando da t = 0 al tempo t e da t 0 a t si ottiene la legge del rilassamento delle tensioni:

 

dopo un tempo le tensioni si riducono ad del valore iniziale, tale tempo, che è funzione della rigidità e della viscosità del vetro alla temperatura di ricottura è detto tempo di rilassamento tril. (figura 13)§ 8.9c

Figura 14: Curva di rilassamento delle tensioni in funzione del tempo

in realtà la curva è una approssimazione del comportamento reale del vetro: in genere il rilassamento è più rapido all’inizio del processo e più lento in seguito, ciò è dovuto principalmente al fatto che il modello non tiene conto della elasticità ritardata, fenomeno di notevole importanza alle temperature di ricottura del vetro. Si usano delle formule empiriche approssimate come quella proposta da Adams e Williamson per la quale la velocità di rilassamento è proporzionale al quadrato del valore delle tensioni:

(a)

A è una costante proporzionale alla composizione ed alla temperatura di ricottura del vetro ed inversamente proporzionale alla viscosità h .

Per temperature vicine al limite superiore della temperatura di ricottura la (a)è stata modificata in

(b)

Ultimamente è stata proposta una equazione comune:

con a e b costanti ed a > 1 per T alta, a < 1 per T. bassa.

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