Il dialogo interreligioso e l’amore divino

 in alcune religioni non cristiane

 

 

«Deve giungere il tempo in cui si manifesterà l’amore che unisce. Numerosi indizi lasciano pensare che quel tempo sia effettivamente giunto»[1]

Queste parole di Giovanni Paolo II, pur se riferite all’ecumenismo, suonano altrettanto profetiche per il dialogo interreligioso, che mira anch’esso a realizzare fra uomini di fedi diverse la preghiera di Gesù: «Che tutti siano uno».

Il pluralismo religioso dell’umanità sta perdendo la sua valenza negativa per acquistare, nella coscienza di molti, il sapore di una sfida: quella di ricomporre l’unità della famiglia umana attorno alla «comune radice soteriologica di tutte le religioni»[2].

Oggi la Chiesa Cattolica esamina con maggior attenzione la natura delle sue relazioni con le religioni non cristiane, perché «una sola comunità, infatti, costituiscono i vari popoli. Essi hanno una sola origine perché Dio ha fatto abitare l’intero genere umano su tutta la faccia della terra; essi hanno anche un solo fine ultimo, Dio, la cui provvidenza, testimonianza di bontà e disegno di salvezza si estendono a tutti, finché gli eletti saranno riuniti nella Città Santa, che la gloria di Dio illuminerà e dove le genti cammineranno nella sua luce»[3].

Invero nulla viene rigettato dalla Chiesa Cattolica di quanto è vero e santo nelle altre religioni, anzi essa «considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini»[4].

A questo proposito, vorrei svolgere qui il tema Dio è amore, un concetto centrale del cristianesimo, in merito al quale sono stati ricercati e riscontrati dei parallelismi e delle somiglianze nelle grandi religioni: Induismo, Buddhismo, Islamismo, Ebraismo, nei quali si è rilevato come spesso l’Essere Supremo viene ricordato come un padre o un amico o uno sposo.

 

In uno dei testi più stimati dell’Induismo, la Bhagavad-Gita, si trova un insieme di queste espressioni affettive del rapporto con Dio, in questo caso con Krishna:

“Tu sei il Dio primordiale,

lo Spirito antico, il supremo,

    sostegno di tutto questo universo.

    Tu sei il Conoscitore

la mia suprema dimora,

    perciò, o Signore degno di ogni lode,

abbi pietà di me come il padre del figlio,

    l’amico dell’amico,

    l’amante dell’amato”[5].

 

Ed ancora, ci sono molti scrittori di varie correnti dell’Induismo, i quali esaltano il rapporto personale ed intimo con un unico Dio. Tra i tanti basta menzionare il poeta e mistico Tirumular, nato nel nord dell’India e vissuto tra l’VIII e il X secolo dopo Cristo. Egli scrive dell’amore di Dio Siva con un linguaggio e un’intensità incomparabili:

 

“L’attività estrinseca di Dio

è determinata dall’amore,

e trova il suo senso profondo dall’amore:

il Signore è per natura amore,

egli risiede nell’amore, la sua suprema realtà.

Gli ignoranti pensano che l’amore e Dio

sono due cose differenti:

essi non sanno che l’amore è Dio”[6].

 

Un poeta e mistico indiano che parla in modo eccezionale dell’amore di Dio è Tukaram (1598-1650). Egli descrive l’amore di Dio con molte immagini: Dio gli è padre, madre, fratello, amico e infinitamente di più. In una espressione, unica nell’Induismo, afferma addirittura che Dio sarebbe pronto a rischiare la vita per lui. Qualche studioso, notando dei parallelismi con l’insegnamento del Nuovo Testamento ha voluto ricondurre questa espressione di Tukaram a una influenza cristiana. Tale influenza teoricamente è possibile, ma non è in alcun modo provabile.

Infine ricordiamo Gandhi, secondo il quale: «Se realmente si vuole trovare Dio, l’unico mezzo efficace è l’amore, cioè la non violenza; e giacché io credo che in ultima analisi mezzo e fine siano espressioni equivalenti, non esiterei a dire: ‘Dio è amore’»[7].

 

Accenni dell’amore divino si trovano pure in qualche corrente del Buddhismo, come in quella Mahayana, presso la quale esistono espressioni come: «Il Buddha è amore» e «La natura del Buddha è la misericordia» ed anche «Il Buddha è l’amore infinito che perdona tutti». Finché non entreranno tutte le creature nel Nirvana, egli scendendo tra noi prodigherà la sua bontà infinita per la salvezza universale»[8].

 

Guardando all’Islam, possiamo dire che la misericordia di Dio è una delle sue caratteristiche più sottolineate. Infatti quasi ogni sura (capitolo) del Corano comincia con la formula: «Nel nome di Allah il misericordioso e pieno di compassione». La misericordia generosa di Dio verso i seguaci di Maometto è pertanto uno degli elementi fondanti dell’Islam. Se invece ci poniamo la domanda circa l’essenza di Dio nell’Islam, la risposta che emerge è di tipo negativo, perché l’intimo dell’essere di Dio, secondo il Corano, non è stato rivelato, perciò è ignoto e non conoscibile.

In alcuni passi, però, il Corano parla dell’amore di Dio: «A quelli che credono ed operano il bene, viene dimostrato l’amore onnimisericordioso» (19,96); «Dio ama i penitenti e i puri» (2,222). Ma anche in brani come questi bisogna tener conto del fatto che, secondo i teologi musulmani che aderiscono integralmente ai dogmi, “amare” con riferimento all’azione di Dio significa “dare ricompensa”. Quindi bisogna stare molto attenti a non insistere troppo su parallelismi.

D’altra parte è vero, però, che la tradizione mistica islamica, conosciuta in occidente sotto il nome di Sufismo, si ispira largamente ad affermazioni del Corano sull’amore di Dio, specialmente il famoso versetto «Allah produrrà un popolo che Egli amerà come essi amano lui».

Ci sono vari mistici sufi che affermano che «Dio è amore». Viene attribuita a una donna della città di Basra, Rabia al-Adawiyah (801 d.C.), la formulazione dell’ideale dell’amore disinteressato per Dio, che sarà caratteristico del Sufismo. È in questa mistica dei sufi che incontriamo l’affermazione più forte del rapporto di amore tra Dio e gli uomini.

Il Sufismo ha cercato di controbilanciare una certa rigidezza della teologia islamica ortodossa, ma non dobbiamo dimenticare che non è stato facile per i sufi farsi accettare dal mondo islamico ufficiale.

 

Infine, per quanto riguarda l’Ebraismo, l’Antico Testamento è completamente permeato dall’amore di Dio verso la creazione e verso il suo popolo.

Noi cristiani sappiamo bene che Dio ha amato «i nostri fratelli maggiori» e noi di un amore eterno, pertanto è superfluo soffermarsi sull’amore di Dio nell’Ebraismo.

 

Concludo questo breve studio sull’amore divino in alcune religioni non cristiane sperando che sia emerso il concetto dell’amore, come espressione fondamentale di Dio, sia più diffuso di quanto si immagini.

Sarà l’amore divino che nel dialogo interreligioso ci permetterà di farci ‘uno’ con l’altro, conoscendo la sua religione, vedendo il mondo come l’altro lo vede, penetrando nel senso che ha per l’altro essere indù, buddhista, musulmano, ebreo.

 

 


[1] Giovanni Paolo II, Varcare le soglie della speranza, Rizzoli p.167

[2] Ivi, p.90

[3] Dichiarazione Nostra Aetate n. 1

[4] Ivi n.2

[5] Bhagavad-Gita 11.38.44.

[6] Tirumular, Tirumantiram, nn.226,257,402.

[7] Mahatma Gandhi, L’amore a Dio, p.309

[8] Il Buddhismo in “La dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane”, Asti 1966,p.14

 


Indice