DIALOGO
TRA CRISTIANI E MUSULMANI
Situazione
L'Islàm è ormai la seconda religione in molti paesi occidentali
di tradizione cristiana come la Francia, il Belgio, la Germania e
l'Italia. Complessivamente vivono in occidente circa venti
milioni di credenti in Allàh e nel suo Profeta Muhammad (Maometto).
In tutto il mondo superano il miliardo di persone. Questo spiega
l'attenzione di studiosi, politici e operatori sociali verso
l'Islàm. Anche la comunità cristiana, visto il continuo
afflusso di immigrati nel continente europeo, si interessa con
rinnovata attenzione a questa presenza islamica: si calcola che
in Italia, tra immigrati naturalizzati, irregolari e italiani
convertiti all'Islàm, i musulmani arrivino a circa 750 mila
persone. Di fronte ai musulmani nasce la domanda: in che cosa
credono, come orientano la loro vita?
Con
il termine Islàm, che vuol dire sottomissione,
dedizione a Dio (Allàh), il Corano intende
la religione rivelata a Muhammad - tramite l'arcangelo Gabriele -
a colui che si sottomette a Dio e ai suoi decreti: musulmano
deriva appunto da mùslim, che significa
sottomesso.
Il
Corano (o recitazione, lettura ad alta voce) è l'unica Parola di
Dio, contenuta in un Libro celeste, presente nella sostanza di
Dio, coeterno come i suoi attributi (Cor 13,39), e letteralmente
dettato a Muhammad. In esso sono contenuti i cinque pilastri
della fede musulmana.
Innanzitutto
la professione di fede nell'unità e unicità di Dio (Cor 3,18),
per la quale viene negata la trinità di Dio (che non ha nulla a
che vedere con la Trinità cristiana. Infatti, essa sarebbe
composta da tre dèi: Dio, Maria e Gesù: «O Gesù, figlio di
Maria! Sei tu che hai detto agli uomini: Prendete me e mia
madre come dèi oltre a Dio? Rispose Gesù: Gloria a Te!
Come mai potrei dire ciò che non ho il diritto di dire?
Cor, 5,116). In realtà, il Corano non riesce ad ammettere la
figliolanza divina di Gesù poiché l'unica filiazione che
comprende è quella fisico-carnale, per cui Maria sarebbe la
compagna fisica di Dio. Inammissibile!
Il
secondo pilastro è la preghiera rituale fatta cinque volte al
giorno: all'alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e
alla sera.
Il
terzo pilastro è l'elemosina, una decima a
favore dei bisognosi.
Il
quarto è il digiuno nel mese del Ramadàn. Consiste
nell'astenersi, durante il giorno, da ogni cibo, bevanda e
pratica sessuale, per onorare Dio che in questo mese ha rivelato
il Corano.
Il
quinto è il pellegrinaggio alla Mecca, cui
è tenuto ogni musulmano adulto almeno una volta nella vita. Mèta
del pellegrinaggio è la Ka'ba, un edificio
cubico vuoto all'interno a simboleggiare il vero culto rivolto a
Dio (i musulmani credono che Dio abbia fatto scendere dal cielo
la Ka'ba per Adamo, poi ricostruita dopo il
diluvio da Abramo e definitivamente da Muhammad). La Ka'ba
è coperta da un panno nero preparato ogni anno in Egitto e
offerto dai pellegrini, esso viene tolto durante il periodo del
pellegrinaggio e sostituito con un panno bianco.
Come
si vede, la religione Islàmica contiene dottrine che sono
incompatibili con la fede cristiana e che segnano un muro
invalicabile che divide le due religioni: la negazione della
tripersonalità divina, della divinità di Gesù, della
Redenzione salvifica degli uomini dal peccato, la negazione della
stessa morte di Gesù sulla croce. Invece, la professione di fede
in Gesù Cristo non solo specifica la fede cristiana, ma ne
costituisce il centro. Egli è confessato come il Verbo di Dio,
«la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre» (CCC
n. 65). «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma
abbia la vita eterna» (Gv 3,16); «lo sono la via, la verità e
la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6).
Eppure,
con il Concilio Vaticano II assistiamo ad una rivalutazione delle
altre tradizioni religiose, e quindi anche dell'Islàm, un tempo
considerate come dispensatrici solo di errori e di falsità. Il
Concilio «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste
religioni. [La Chiesa cattolica] considera con sincero rispetto
quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine
che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa
crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di
quella verità che illumina tutti gli uomini" (Nostra
Ætate, n. 2), riconoscendo in esse la presenza dei
semi del Verbo (Ad Gentes, n. 11).
Il Vaticano II parla delle altre religioni in modo positivo,
esortando i discepoli di Gesù «affinché con prudenza e carità,
per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle
altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla
vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i
valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in
essi» (Nostra Ætate, n. 2).
Una
chiara presentazione del dialogo interreligioso ci viene offerta
dal documento Dialogo e Annuncio, pubblicato
nel 1991 dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e
dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che al n.
9 recita: «Il dialogo può essere compreso in vari modi. In
primo luogo, a livello puramente umano, significa comunicazione
reciproca, per raggiungere un fine comune o, a un livello più
profondo, una comunione interpersonale. In secondo luogo, il
dialogo può essere considerato come un atteggiamento di rispetto
e di amicizia, che penetra o dovrebbe penetrare in tutte le
attività che costituiscono la missione evangelizzatrice della
Chiesa. Ciò può essere chiamato lo spirito del dialogo.
In terzo luogo, in un contesto di pluralismo religioso, il
dialogo significa l'insieme dei rapporti interreligiosi, positivi
e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una
mutua conoscenza e un reciproco arricchimento, nell'obbedienza
alla verità e nel rispetto della libertà. Ciò include sia la
testimonianza che la scoperta delle rispettive convinzioni
religiose». In definitiva, con il dialogo interreligioso la
Chiesa intende scoprire i semi del Verbo e i raggi di verità (Redemptoris
Missio, n. 56) presenti nelle diverse tradizioni
religiose.
Come
si accennava, il dialogo con gli Islàmici è divenuto una
necessità storica dettata non solo dalla vicinanza in cui
cristiani e musulmani si trovano in seguito ai flussi migratori,
ma anche perché Cristianesimo e Islàm contengono troppe affinità
per ignorarsi e troppe differenze per sovrapporsi. La ricerca del
dialogo mira a volorizzare gli elementi di convergenza che li
accomunano e che non vengono annullate da quelle dottrine e
consuetudini che differenziano le due fedi.
Il
dialogo con l'Islàm intende favorire una corretta conoscenza
reciproca e stabilire mutue relazioni di stima, rispetto e
amicizia tra i credenti delle due fedi, indirizzate al progresso
religioso e spirituale di ciascuno e alla collaborazione per la
difesa e la promozione della giustizia sociale, dei valori morali
e della pace. La promozione dei valori umani è la sola base per
creare una società multietnica e plurireligiosa.
Problemi
e prospettive del dialogo islamo-cristiano
A
che punto sono oggi i rapporti tra cristiani e musulmani, quali
sono i problemi che sorgono e quali le prospettive per un dialogo
fruttuoso?
1.
Due religioni mondiali
Una
motivazione per il dialogo con l'Islàm potrebbe essere quella
del numero. I cristiani sono circa un terzo della popolazione
mondiale, i musulmani un quinto. Insieme dunque costituiscono
circa la metà degli abitanti del mondo. Purtroppo, sappiamo che
la pace non c'è in nessuna parte del nostro pianeta. È certo
che l'intesa tra cristiani e musulmani sarebbe un grande
contributo per una pace tanto desiderata.
Fino
a qualche decennio fa, il mondo dell'Islàm e quello del
cristianesimo erano due mondi divisi, come due blocchi nemici
l'uno contro l'altro. Oggi tale divisione non è possibile. È
difficile trovare un paese in cui cristiani e musulmani non sono
a contatto fra di loro. In Medio Oriente e nell'Africa
occidentale, in Iraq e in Iran vi sono comunità cristiane molto
vivaci. Così pure negli altri paesi a maggioranza musulmana,
come in Sud Asia, India, Bangladesh, Pakistan e Idonesia...
In
Europa, siamo coscienti della crescita del numero dei musulmani
negli ultimi decenni. Se all'inizio dell'immigrazione in Europa
dal Nord Africa, o dalla Turchia, esisteva il mito
del ritorno nel paese d'origine, ben presto gli immigrati hanno
fatto venire le loro famiglie. Le comunità si sono formate, con
le loro esigenze sociali e religiose, a tale punto che un recente
documento dei vescovi francesi dice che se prima si incontravano
dei musulmani oggi l'incontro è con l'Islàm.
2.
I fondamenti del dialogo Islàmo-cristiano
La
dichiarazione Nostra Ætate dice che si deve
guardare ai musulmani con stima. La parola
è importante se si pensa all'inimicizia del passato e alla
sfiducia che permane ancora. Fondamento per tale stima è il
credo dei musulmani che si avvicina a quello dei cristiani: un
Dio unico, Creatore, il credere negli angeli, nei profeti, nei
libri sacri, nel giudizio universale - anche se il documento
conciliare non nasconde l'essenziale differenza tra cristiani e
musulmani riguardo alla persona di Cristo. Quanto alle pratiche
religiose, si fa riferimento in senso positivo alla preghiera, al
digiuno e all'elemosina. Infine il Concilio esorta cristiani e
musulmani a dimenticare il passato con i suoi conflitti ed a
lavorare insieme per promuovere i valori morali, la giustizia e
la pace.
3.
La famiglia abramitica
Ebrei,
cristiani e musulmani, hanno, in senso lato, una tradizione
comune. Il cristianesimo, nato all'interno dell'ebraismo, ha
fatto proprie le Scritture ebraiche. L'Islàm, divenuto una
religione organizzata in contraddistinzione all'ebraismo e al
cristianesimo, mostra nel Corano riferimenti ad entrambe le
Scritture ebraiche e cristiane.
Una
figura comune per tutte e tre le religioni si trova in Abramo.
Non è casuale l'accenno che ne fa la Nostra Ætate n.3.
Parlando dei musulmani, dice: Essi cercano di
sottomettersi con tutto il cuore ai decreti anche nascosti di
Dio, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede Islàmica
volentieri si riferisce. Non dobbiamo nascondere le
differenze, anche riguardo a questa figura, patriarca per gli
ebrei e i cristiani, profeta per i musulmani, padre dell'alleanza
con Dio così importante nelle religioni ebraica e cristiana,
modello di difensore del monoteismo nell'Islàm. Queste
differenze però non impediscono lo sviluppo di un dialogo
proficuo nella famiglia abramitica.
4.
Problemi che rendono difficile l'incontro islamo-cristiano
4.1.
Con chi dialogare?
Molte volte si sente un disagio nel dialogo con i musulmani perché non si sa con chi dialogare. Ci si chiede spesso: chi rappresenta questo imàm, o questo professore? Quale autorità copre nella sua comunità? Forse vogliamo troppo quando domandiamo che il mondo dell'Islàm rispecchi le strutture della Chiesa alle quali noi siamo abituati. Credo che dobbiamo accettare la realtà com'è. È una delle regole del dialogo: non dobbiamo imporre le nostre idee sul partner. Sarà dunque necessario accettare che non c'è una voce autorevole nell'Islàm, non c'è un magistero. Non dovrebbe dunque causare sorpresa se incontriamo posizioni diverse riguardo al dialogo con i cristiani.
Spesso
vediamo l'Islàm come un blocco monolitico. Ma non lo è.
Dall'inizio, dalla morte di Muhammad, l'Islàm si è spaccato tra
sunniti e sciiti, e nello sciismo esistono diverse correnti. Il
successo dell'Islàm, la sua espansione in diverse regioni del
mondo, ha dato origine ad una grande varietà nell'Islàm vissuto.
Si può distinguere tra diverse aree culturali: l'Islàm arabo,
l'Islàm persiano che ha avuto il suo influsso nel sotto-continente
indiano, l'Islàm turco che si estende nelle repubbliche
asiatiche dell'ex-Unione Sovietica e fino alla Cina, l'Islàm
malaysiano del Sud-Est Asiatico, con l'Indonesia, il paese nel
mondo con il più gran numero di musulmani, l'Islàm africano, e
l'Islàm della diaspora. In ognuno di queste zone l'Islàm ha una
fisionomia diversa. Si possono aggiungere alle diversità
culturali le differenze ideologiche tra musulmani moderati e
radicali, tra quelli che hanno una visione più legalista e
quelli che appartengono ai movimenti sufi.
Anche
in Europa, e forse in modo speciale, si evidenzia la natura
frammentaria della comunità Islàmica. I musulmani provengono da
paesi diversi, molti conservano dei legami con i paesi d'origine.
C'è persino una interferenza dei governi dei paesi d'origine
che, mettendo a disposizione delle comunità un personale
religioso, degli imam per le moschee, possono esercitare un certo
controllo. In Italia, si nota la diversità d'origine, Tunisini,
Marocchini, Egiziani, "Senegalesi" (provenienti da
diversi paesi dell'Africa Occidentale), Albanesi. Si trovano
anche in Italia diverse associazioni di musulmani che non sono
sempre unite tra di loro, ciò ha reso difficile arrivare all'intesa
col governo.
Come
operare in questa frammentarietà dell'Islàm? Credo che sia
necessario curare i rapporti con i vari gruppi. Sarebbe
controproducente puntare su di un gruppo solo, escludendo gli
altri. Il dialogo dovrebbe essere aperto a tutti. Non sarà
facile, ma forse i cristiani possono servire come mediatori
per riunire musulmani di diverse tendenze. Un certo "ecumenismo"
può venire come un frutto del dialogo.
4.2.
Su che cosa dialogare?
La
parola dialogo evoca per molti scambi formali,
dibattito, discussione teologica. Un tale modo di considerare il
dialogo è unilaterale, può condurre al rifiuto dell'incontro
con l'altro, nasce da una mancata comprensione della vera natura
del dialogo interreligioso e del suo obiettivo. Sarà bene
riprendere la definizione data nel citato documento Dialogo
e annuncio: dialogo è l'insieme dei rapporti
interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità
di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco
arricchimento, nell'obbedienza alla verità e nel rispetto
della libertà. Ciò include sia la testimonianza che la scoperta
delle rispettive convinzioni religiose (DA 9). Su questa base si
hanno tutte le possibilità per avviare un dialogo fruttuoso con
i musulmani: dialogo di vita, collaborazione, scambi
teorici e scambi di tipo spirituale.
Il
dialogo della vita è ben più che vivere
fianco a fianco, sebbene questa condizione non sempre significa
avere effettivamente molti contatti. Il dialogo della vita
richiede un'attitudine di apertura, di rispetto e di stima
reciproca. Ci si deve sforzare per approfondire la conoscenza
dell'altro e della religione dell'altro così che non rimanga a
livello superficiale dove spesso abbondano i pregiudizi. Gli
scambi di visite in occasione di feste o per circostanze
familiari - nascita di un bambino, malattia, matrimoni o funerali
- possono contribuire a creare un senso di comunità condivisa.
Tutto ciò che contribuisce a promuovere un clima di comprensione
e di pace tra cristiani e musulmani, ogni segno di fraternità,
può essere considerato un modo di praticare il dialogo della
vita.
Ma
è necessario sviluppare una collaborazione
più organizzata. Non dobbiamo dimenticare qui le istituzioni
cristiane, scuole, ospedali, centri sociali, dove i musulmani
operano a fianco dei cristiani, e neanche la presenza di
cristiani negli ospedali di paesi a prevalenza musulmana. Ci sono
anche associazioni per il dialogo tra cristiani e musulmani che
intraprendono delle attività in favore di tutta la popolazione.
Il
dialogo teologico è senza dubbi il più
difficile, poiché sono grandi le suscettibilità. Anche qui si
deve spiegare bene lo scopo del dialogo. Non si tratta certo di
distruggere la posizione dell'altro o di convincerlo dei suoi
errori. Fare questo sarebbe cadere nella trappola della polemica.
Il vero dialogo teologico mira ad un chiarimento di idee, a
collocare con esattezza le convergenze e le divergenze. È un
lavoro che richiede molta pazienza ed anche un clima di fiducia.
Ma gli scambi intellettuali non si limitano ai temi teologici,
possono vertere su temi sociali, per esempio l'educazione
religiosa, i diritti umani, il ruolo della donna nella società,
i mass-media e la religione... Qui si cerca di individuare punti
comuni che possono rendere una collaborazione pratica.
A
livello spirituale il dialogo tra cristiani
e musulmani non è forse molto sviluppato, ma esiste. Il
Movimento dei Focolari ha, in diversi paesi, degli amici
musulmani che s'ispirano alla Parola di Vita
inviata dalla fondatrice, Chiara Lubich, ai membri dei Focolari
ogni mese. Condividono dopo con i cristiani ciò che hanno
trovato sul tema nel Corano o nei testi della tradizione Islàmica.
Con certi musulmani della tendenza sufi tali scambi a livello
spirituale sono più facili. Quasi un bisogno di unirsi per
pregare Dio in favore della pace si è fatto sentire durante la
Guerra del Golfo. E nel 1993, quando il Papa Giovanni Paolo II,
con i Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa, hanno
indetto un week-end di preghiera ad Assisi per la pace in Europa,
specialmente nei paesi balcanici, un buon numero di musulmani ha
risposto all'invito. Ma pregare insieme non è cosa semplice. Si
deve evitare ogni apparenza di sincretismo; si deve avere cura di
non utilizzare parole o simboli che potrebbero urtare la
sensibilità degli uni o degli altri.
4.3.
Come dialogare?
Un
altro problema è che non si sa come fare il dialogo, da dove
iniziare. C'è spesso una ignoranza della religione dell'altro e
talvolta della propria che inibisce ogni iniziativa. Si sente il
bisogno di preparazione, di buone informazioni sull'Islàm e sui
rapporti tra cristiani e musulmani.
Ci
può essere inoltre una mancanza d'interesse per il dialogo con
altri credenti, per uno spirito di autosufficienza, o di sfiducia
verso l'altro. Per avere rapporti fruttuosi è necessario una
certa apertura di cuore, ma in maniera equilibrata, né troppo
ingenui né ipercritici. Entrare in dialogo non significa mettere
da parte le proprie convinzioni religiose. Al contrario, il
partner nel dialogo vuol sapere ciò che il suo interlocutore
crede realmente. Più radicato uno è nella sua fede, più è
possibile aprirsi ed apprezzare le ricchezze di una altra
tradizione.
Ma
ci sono altre difficoltà nel dialogo tra cristiani e musulmani.
C'è il peso della storia. La Nostra Ætate parla
di dissensi e inimicizie sorti tra cristiani e musulmani nel
corso dei secoli. Pensiamo alle Crociate e al colonialismo, ma
dall'altra parte c'è la storia dell'espansione Islàmica e la
situazione del dhimmi (suddito ebreo
o cristiano), quando viene applicata la legge Islàmica. Forse
non è possibile dimenticare il passato, come esortava il
Concilio, ma sarebbe molto utile preparare degli studi oggettivi
e sereni, per facilitare uno sguardo comune sulla storia.
4.4.
Qual è il fine del dialogo?
L'ultima
domanda è sullo scopo del dialogo. La mancanza di chiarezza su
questo punto impedisce un rapporto sano. Il dialogo
interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della
Chiesa dichiara il Papa nella Redemptoris Missio (RM
55). Ma i musulmani fraintendono queste parole: dialogo è il
nuovo nome della missione, intenta a convertire al cristianesimo.
Il Papa risponde lui stesso all'obiezione: Il
dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività
che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal
profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo
Spirito, che soffia dove vuole (RM 56).
Occorre
ribadire che la missione evangelizzatrice della Chiesa è difatti
la vita della Chiesa. È una realtà complessa costituita dalla
presenza e dalla testimonianza dei cristiani, dalla vita di
preghiera, di contemplazione, di celebrazioni liturgiche,
dall'impegno di carità e di servizio, dal dialogo rispettoso con
persone di altre tradizioni spirituali, e dall'annuncio del nome
di Cristo Signore e Salvatore. Ognuno di questi elementi ha la
sua importanza e nessuno è subordinato ad un altro.
Il
dialogo, definito come un camminare insieme verso la verità e un
collaborare insieme in opere di interesse comune, non mira alla
conversione nel senso di cambiamento da una religione ad
un'altra, dall'Islàm al cristianesimo. Ma possiamo dire che il
fine del dialogo è la conversione nel senso della purificazione
del cuore per avvicinarsi a Dio e compiere più pienamente la sua
volontà. Per questo il documento Dialogo e Annuncio esplicita:
Il dialogo interreligioso non tende semplicemente
a una mutua comprensione e a rapporti amichevoli. Raggiunge un
livello assai più profondo, che è quello dello spirito, dove lo
scambio e la condivisione consistono in una testimonianza mutua
del proprio credo e in una scoperta comune delle rispettive
convinzioni religiose. Mediante il dialogo, i cristiani e gli
altri sono invitati ad approfondire il loro impegno religioso, e
a rispondere, con crescente sincerità, all'appello personale di
Dio e al dono gratuito che egli fa di se stesso, dono che passa
sempre, come lo proclama la nostra fede, attraverso la mediazione
di Gesù Cristo e l'opera del suo spirito (DA 40).
5.
Prospettive
Dopo
queste considerazioni desidero indicare alcune nuove prospettive
per il dialogo Islàmo-cristiano. Spesso si dice che sono sempre
i cristiani ad iniziare il dialogo, a fare i primi passi. Mi
sembra che in questi ultimi anni ci sono state delle iniziative
da parte musulmana, segni di una nuova apertura. Si sono
stabilite alcune strutture per il dialogo tra cattolici e
musulmani. Il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso
ha formato due comitati, uno nel 1995 con rappresentanti di
organizzazioni internazionali Islàmiche, e l'altro nel 1998 con
l'istituto d'al-Azhar al Cairo. Inoltre, ha istituito la
Fondazione "Nostra Aetate" per offrire borse di studio
a persone di altre religioni che vogliono studiare il
cristianesimo negli Atenei Pontifici. Ogni anno ci sono due o tre
musulmani che si avvalgono di questa possibilità. La nostra
speranza è di vederli protagonisti del dialogo nel futuro.
Un
altro segno di apertura è il desiderio di varie università nei
paesi a maggioranza musulmana di avere contatti con delle
università cattoliche. Già da qualche anno esiste un accordo
accademico tra l'Università di Ankara, Turchia, e la Pontificia
Università Gregoriana a Roma, con scambi di professori e di
tanto in tanto un simposio. Più recentemente l'Università al-Zaitouna,
l'antica università religiosa della Tunisia, ha iniziato dei
rapporti con l'Università Gregoriana e il Pontificio Istituto di
Studi Arabi e d'Islàmistica a Roma.
6.
Conclusione
In
una Udienza Generale, Giovanni Paolo II ha ribadito l'importanza
del dialogo tra cristiani e musulmani. Le sue parole formano la
migliore conclusione a quanto detto: Nel mondo di
oggi, segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio, cristiani e
musulmani sono chiamati a difendere e promuovere sempre, in uno
spirito d'amore, la dignità umana, i valori morali e la libertà.
Il comune pellegrinaggio verso l'eternità deve esprimersi nella
preghiera, nel digiuno e nella carità, ma anche in un solidale
impegno per la pace e la giustizia, per la promozione umana e la
protezione dell'ambiente. Camminando insieme sulla via della
riconciliazione e rinunciando, nell'umile sottomissione alla
volontà divina, ad ogni forma di violenza come mezzo per
risolvere le differenze, le due religioni potranno offrire un
segno di speranza, facendo risplendere nel mondo la sapienza e la
misericordia di quell'unico Dio che ha creato e governa la
famiglia umana (Osservatore Romano, 6.5.99).