DIALOGO TRA CRISTIANI E MUSULMANI

 

 

Situazione

 

    L'Islàm è ormai la seconda religione in molti paesi occidentali di tradizione cristiana come la Francia, il Belgio, la Germania e l'Italia. Complessivamente vivono in occidente circa venti milioni di credenti in Allàh e nel suo Profeta Muhammad (Maometto). In tutto il mondo superano il miliardo di persone. Questo spiega l'attenzione di studiosi, politici e operatori sociali verso l'Islàm. Anche la comunità cristiana, visto il continuo afflusso di immigrati nel continente europeo, si interessa con rinnovata attenzione a questa presenza islamica: si calcola che in Italia, tra immigrati naturalizzati, irregolari e italiani convertiti all'Islàm, i musulmani arrivino a circa 750 mila persone. Di fronte ai musulmani nasce la domanda: in che cosa credono, come orientano la loro vita?

Con il termine Islàm, che vuol dire “sottomissione”, dedizione a Dio (Allàh), il Corano intende la religione rivelata a Muhammad - tramite l'arcangelo Gabriele - a colui che si sottomette a Dio e ai suoi decreti: musulmano deriva appunto da mùslim, che significa sottomesso.

Il Corano (o recitazione, lettura ad alta voce) è l'unica Parola di Dio, contenuta in un Libro celeste, presente nella sostanza di Dio, coeterno come i suoi attributi (Cor 13,39), e letteralmente dettato a Muhammad. In esso sono contenuti i cinque pilastri della fede musulmana.

Innanzitutto la professione di fede nell'unità e unicità di Dio (Cor 3,18), per la quale viene negata la trinità di Dio (che non ha nulla a che vedere con la Trinità cristiana. Infatti, essa sarebbe composta da tre dèi: Dio, Maria e Gesù: «O Gesù, figlio di Maria! Sei tu che hai detto agli uomini: “Prendete me e mia madre come dèi oltre a Dio? Rispose Gesù: “Gloria a Te! Come mai potrei dire ciò che non ho il diritto di dire?” Cor, 5,116). In realtà, il Corano non riesce ad ammettere la figliolanza divina di Gesù poiché l'unica filiazione che comprende è quella fisico-carnale, per cui Maria sarebbe la compagna fisica di Dio. Inammissibile!

Il secondo pilastro è la preghiera rituale fatta cinque volte al giorno: all'alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al tramonto e alla sera.

Il terzo pilastro è l'elemosina, una decima a favore dei bisognosi.

Il quarto è il digiuno nel mese del Ramadàn. Consiste nell'astenersi, durante il giorno, da ogni cibo, bevanda e pratica sessuale, per onorare Dio che in questo mese ha rivelato il Corano.

Il quinto è il pellegrinaggio alla Mecca, cui è tenuto ogni musulmano adulto almeno una volta nella vita. Mèta del pellegrinaggio è la Ka'ba, un edificio cubico vuoto all'interno a simboleggiare il vero culto rivolto a Dio (i musulmani credono che Dio abbia fatto scendere dal cielo la Ka'ba per Adamo, poi ricostruita dopo il diluvio da Abramo e definitivamente da Muhammad). La Ka'ba è coperta da un panno nero preparato ogni anno in Egitto e offerto dai pellegrini, esso viene tolto durante il periodo del pellegrinaggio e sostituito con un panno bianco.

Come si vede, la religione Islàmica contiene dottrine che sono incompatibili con la fede cristiana e che segnano un muro invalicabile che divide le due religioni: la negazione della tripersonalità divina, della divinità di Gesù, della Redenzione salvifica degli uomini dal peccato, la negazione della stessa morte di Gesù sulla croce. Invece, la professione di fede in Gesù Cristo non solo specifica la fede cristiana, ma ne costituisce il centro. Egli è confessato come il Verbo di Dio, «la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre» (CCC n. 65). «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16); «lo sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6).

Eppure, con il Concilio Vaticano II assistiamo ad una rivalutazione delle altre tradizioni religiose, e quindi anche dell'Islàm, un tempo considerate come dispensatrici solo di errori e di falsità. Il Concilio «nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. [La Chiesa cattolica] considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini" (Nostra Ætate, n. 2), riconoscendo in esse la presenza dei “semi del Verbo” (Ad Gentes, n. 11). Il Vaticano II parla delle altre religioni in modo positivo, esortando i discepoli di Gesù «affinché con prudenza e carità, per mezzo del dialogo e della collaborazione con i seguaci delle altre religioni, sempre rendendo testimonianza alla fede e alla vita cristiana, riconoscano, conservino e facciano progredire i valori spirituali, morali e socio-culturali che si trovano in essi» (Nostra Ætate, n. 2).

Una chiara presentazione del dialogo interreligioso ci viene offerta dal documento Dialogo e Annuncio, pubblicato nel 1991 dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, che al n. 9 recita: «Il dialogo può essere compreso in vari modi. In primo luogo, a livello puramente umano, significa comunicazione reciproca, per raggiungere un fine comune o, a un livello più profondo, una comunione interpersonale. In secondo luogo, il dialogo può essere considerato come un atteggiamento di rispetto e di amicizia, che penetra o dovrebbe penetrare in tutte le attività che costituiscono la missione evangelizzatrice della Chiesa. Ciò può essere chiamato “lo spirito del dialogo”. In terzo luogo, in un contesto di pluralismo religioso, il dialogo significa l'insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento, nell'obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà. Ciò include sia la testimonianza che la scoperta delle rispettive convinzioni religiose». In definitiva, con il dialogo interreligioso la Chiesa intende scoprire i semi del Verbo e i raggi di verità (Redemptoris Missio, n. 56) presenti nelle diverse tradizioni religiose.

Come si accennava, il dialogo con gli Islàmici è divenuto una necessità storica dettata non solo dalla vicinanza in cui cristiani e musulmani si trovano in seguito ai flussi migratori, ma anche perché Cristianesimo e Islàm contengono troppe affinità per ignorarsi e troppe differenze per sovrapporsi. La ricerca del dialogo mira a volorizzare gli elementi di convergenza che li accomunano e che non vengono annullate da quelle dottrine e consuetudini che differenziano le due fedi.

Il dialogo con l'Islàm intende favorire una corretta conoscenza reciproca e stabilire mutue relazioni di stima, rispetto e amicizia tra i credenti delle due fedi, indirizzate al progresso religioso e spirituale di ciascuno e alla collaborazione per la difesa e la promozione della giustizia sociale, dei valori morali e della pace. La promozione dei valori umani è la sola base per creare una società multietnica e plurireligiosa.

 

Problemi e prospettive del dialogo islamo-cristiano

 

A che punto sono oggi i rapporti tra cristiani e musulmani, quali sono i problemi che sorgono e quali le prospettive per un dialogo fruttuoso?

 

1.               Due religioni mondiali

 

Una motivazione per il dialogo con l'Islàm potrebbe essere quella del numero. I cristiani sono circa un terzo della popolazione mondiale, i musulmani un quinto. Insieme dunque costituiscono circa la metà degli abitanti del mondo. Purtroppo, sappiamo che la pace non c'è in nessuna parte del nostro pianeta. È certo che l'intesa tra cristiani e musulmani sarebbe un grande contributo per una pace tanto desiderata.

Fino a qualche decennio fa, il mondo dell'Islàm e quello del cristianesimo erano due mondi divisi, come due blocchi nemici l'uno contro l'altro. Oggi tale divisione non è possibile. È difficile trovare un paese in cui cristiani e musulmani non sono a contatto fra di loro. In Medio Oriente e nell'Africa occidentale, in Iraq e in Iran vi sono comunità cristiane molto vivaci. Così pure negli altri paesi a maggioranza musulmana, come in Sud Asia, India, Bangladesh, Pakistan e Idonesia...

In Europa, siamo coscienti della crescita del numero dei musulmani negli ultimi decenni. Se all'inizio dell'immigrazione in Europa dal Nord Africa, o dalla Turchia, esisteva il “mito” del ritorno nel paese d'origine, ben presto gli immigrati hanno fatto venire le loro famiglie. Le comunità si sono formate, con le loro esigenze sociali e religiose, a tale punto che un recente documento dei vescovi francesi dice che se prima si incontravano dei musulmani oggi l'incontro è con l'Islàm.

 

2. I fondamenti del dialogo Islàmo-cristiano

 

La dichiarazione Nostra Ætate dice che si deve guardare ai musulmani con stima. La parola è importante se si pensa all'inimicizia del passato e alla sfiducia che permane ancora. Fondamento per tale stima è il credo dei musulmani che si avvicina a quello dei cristiani: un Dio unico, Creatore, il credere negli angeli, nei profeti, nei libri sacri, nel giudizio universale - anche se il documento conciliare non nasconde l'essenziale differenza tra cristiani e musulmani riguardo alla persona di Cristo. Quanto alle pratiche religiose, si fa riferimento in senso positivo alla preghiera, al digiuno e all'elemosina. Infine il Concilio esorta cristiani e musulmani a dimenticare il passato con i suoi conflitti ed a lavorare insieme per promuovere i valori morali, la giustizia e la pace.

 

3. La famiglia abramitica

 

Ebrei, cristiani e musulmani, hanno, in senso lato, una tradizione comune. Il cristianesimo, nato all'interno dell'ebraismo, ha fatto proprie le Scritture ebraiche. L'Islàm, divenuto una religione organizzata in contraddistinzione all'ebraismo e al cristianesimo, mostra nel Corano riferimenti ad entrambe le Scritture ebraiche e cristiane.

Una figura comune per tutte e tre le religioni si trova in Abramo. Non è casuale l'accenno che ne fa la Nostra Ætate n.3. Parlando dei musulmani, dice: “Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai decreti anche nascosti di Dio, come si è sottomesso Abramo, al quale la fede Islàmica volentieri si riferisce”. Non dobbiamo nascondere le differenze, anche riguardo a questa figura, patriarca per gli ebrei e i cristiani, profeta per i musulmani, padre dell'alleanza con Dio così importante nelle religioni ebraica e cristiana, modello di difensore del monoteismo nell'Islàm. Queste differenze però non impediscono lo sviluppo di un dialogo proficuo nella “famiglia abramitica”.

 

4. Problemi che rendono difficile l'incontro islamo-cristiano

 

4.1. Con chi dialogare?

 

Molte volte si sente un disagio nel dialogo con i musulmani perché non si sa con chi dialogare. Ci si chiede spesso: chi rappresenta questo imàm, o questo professore? Quale autorità copre nella sua comunità? Forse vogliamo troppo quando domandiamo che il mondo dell'Islàm rispecchi le strutture della Chiesa alle quali noi siamo abituati. Credo che dobbiamo accettare la realtà com'è. È una delle regole del dialogo: non dobbiamo imporre le nostre idee sul partner. Sarà dunque necessario accettare che non c'è una voce autorevole nell'Islàm, non c'è un magistero. Non dovrebbe dunque causare sorpresa se incontriamo posizioni diverse riguardo al dialogo con i cristiani.

Spesso vediamo l'Islàm come un blocco monolitico. Ma non lo è. Dall'inizio, dalla morte di Muhammad, l'Islàm si è spaccato tra sunniti e sciiti, e nello sciismo esistono diverse correnti. Il successo dell'Islàm, la sua espansione in diverse regioni del mondo, ha dato origine ad una grande varietà nell'Islàm vissuto. Si può distinguere tra diverse aree culturali: l'Islàm arabo, l'Islàm persiano che ha avuto il suo influsso nel sotto-continente indiano, l'Islàm turco che si estende nelle repubbliche asiatiche dell'ex-Unione Sovietica e fino alla Cina, l'Islàm malaysiano del Sud-Est Asiatico, con l'Indonesia, il paese nel mondo con il più gran numero di musulmani, l'Islàm africano, e l'Islàm della diaspora. In ognuno di queste zone l'Islàm ha una fisionomia diversa. Si possono aggiungere alle diversità culturali le differenze ideologiche tra musulmani moderati e radicali, tra quelli che hanno una visione più legalista e quelli che appartengono ai movimenti sufi.

Anche in Europa, e forse in modo speciale, si evidenzia la natura frammentaria della comunità Islàmica. I musulmani provengono da paesi diversi, molti conservano dei legami con i paesi d'origine. C'è persino una interferenza dei governi dei paesi d'origine che, mettendo a disposizione delle comunità un personale religioso, degli imam per le moschee, possono esercitare un certo controllo. In Italia, si nota la diversità d'origine, Tunisini, Marocchini, Egiziani, "Senegalesi" (provenienti da diversi paesi dell'Africa Occidentale), Albanesi. Si trovano anche in Italia diverse associazioni di musulmani che non sono sempre unite tra di loro, ciò ha reso difficile arrivare all'intesa col governo.

Come operare in questa frammentarietà dell'Islàm? Credo che sia necessario curare i rapporti con i vari gruppi. Sarebbe controproducente puntare su di un gruppo solo, escludendo gli altri. Il dialogo dovrebbe essere aperto a tutti. Non sarà facile, ma forse i cristiani possono servire come mediatori per riunire musulmani di diverse tendenze. Un certo "ecumenismo" può venire come un frutto del dialogo.

 

4.2. Su che cosa dialogare?

 

La parola “dialogo” evoca per molti scambi formali, dibattito, discussione teologica. Un tale modo di considerare il dialogo è unilaterale, può condurre al rifiuto dell'incontro con l'altro, nasce da una mancata comprensione della vera natura del dialogo interreligioso e del suo obiettivo. Sarà bene riprendere la definizione data nel citato documento Dialogo e annuncio: dialogo è “l'insieme dei rapporti interreligiosi, positivi e costruttivi, con persone e comunità di altre fedi per una mutua conoscenza e un reciproco arricchimento”, nell'obbedienza alla verità e nel rispetto della libertà. Ciò include sia la testimonianza che la scoperta delle rispettive convinzioni religiose (DA 9). Su questa base si hanno tutte le possibilità per avviare un dialogo fruttuoso con i musulmani: dialogo di vita, collaborazione, scambi teorici e scambi di tipo spirituale.

Il dialogo della vita è ben più che vivere fianco a fianco, sebbene questa condizione non sempre significa avere effettivamente molti contatti. Il dialogo della vita richiede un'attitudine di apertura, di rispetto e di stima reciproca. Ci si deve sforzare per approfondire la conoscenza dell'altro e della religione dell'altro così che non rimanga a livello superficiale dove spesso abbondano i pregiudizi. Gli scambi di visite in occasione di feste o per circostanze familiari - nascita di un bambino, malattia, matrimoni o funerali - possono contribuire a creare un senso di comunità condivisa. Tutto ciò che contribuisce a promuovere un clima di comprensione e di pace tra cristiani e musulmani, ogni segno di fraternità, può essere considerato un modo di praticare il dialogo della vita.

Ma è necessario sviluppare una collaborazione più organizzata. Non dobbiamo dimenticare qui le istituzioni cristiane, scuole, ospedali, centri sociali, dove i musulmani operano a fianco dei cristiani, e neanche la presenza di cristiani negli ospedali di paesi a prevalenza musulmana. Ci sono anche associazioni per il dialogo tra cristiani e musulmani che intraprendono delle attività in favore di tutta la popolazione.

Il dialogo teologico è senza dubbi il più difficile, poiché sono grandi le suscettibilità. Anche qui si deve spiegare bene lo scopo del dialogo. Non si tratta certo di distruggere la posizione dell'altro o di convincerlo dei suoi errori. Fare questo sarebbe cadere nella trappola della polemica. Il vero dialogo teologico mira ad un chiarimento di idee, a collocare con esattezza le convergenze e le divergenze. È un lavoro che richiede molta pazienza ed anche un clima di fiducia. Ma gli scambi intellettuali non si limitano ai temi teologici, possono vertere su temi sociali, per esempio l'educazione religiosa, i diritti umani, il ruolo della donna nella società, i mass-media e la religione... Qui si cerca di individuare punti comuni che possono rendere una collaborazione pratica.

A livello spirituale il dialogo tra cristiani e musulmani non è forse molto sviluppato, ma esiste. Il Movimento dei Focolari ha, in diversi paesi, degli amici musulmani che s'ispirano alla Parola di Vita inviata dalla fondatrice, Chiara Lubich, ai membri dei Focolari ogni mese. Condividono dopo con i cristiani ciò che hanno trovato sul tema nel Corano o nei testi della tradizione Islàmica. Con certi musulmani della tendenza sufi tali scambi a livello spirituale sono più facili. Quasi un bisogno di unirsi per pregare Dio in favore della pace si è fatto sentire durante la Guerra del Golfo. E nel 1993, quando il Papa Giovanni Paolo II, con i Presidenti delle Conferenze Episcopali d'Europa, hanno indetto un week-end di preghiera ad Assisi per la pace in Europa, specialmente nei paesi balcanici, un buon numero di musulmani ha risposto all'invito. Ma pregare insieme non è cosa semplice. Si deve evitare ogni apparenza di sincretismo; si deve avere cura di non utilizzare parole o simboli che potrebbero urtare la sensibilità degli uni o degli altri.

 

4.3. Come dialogare?

 

Un altro problema è che non si sa come fare il dialogo, da dove iniziare. C'è spesso una ignoranza della religione dell'altro e talvolta della propria che inibisce ogni iniziativa. Si sente il bisogno di preparazione, di buone informazioni sull'Islàm e sui rapporti tra cristiani e musulmani.

Ci può essere inoltre una mancanza d'interesse per il dialogo con altri credenti, per uno spirito di autosufficienza, o di sfiducia verso l'altro. Per avere rapporti fruttuosi è necessario una certa apertura di cuore, ma in maniera equilibrata, né troppo ingenui né ipercritici. Entrare in dialogo non significa mettere da parte le proprie convinzioni religiose. Al contrario, il partner nel dialogo vuol sapere ciò che il suo interlocutore crede realmente. Più radicato uno è nella sua fede, più è possibile aprirsi ed apprezzare le ricchezze di una altra tradizione.

Ma ci sono altre difficoltà nel dialogo tra cristiani e musulmani. C'è il peso della storia. La Nostra Ætate parla di dissensi e inimicizie sorti tra cristiani e musulmani nel corso dei secoli. Pensiamo alle Crociate e al colonialismo, ma dall'altra parte c'è la storia dell'espansione Islàmica e la situazione del dhimmi (suddito ebreo o cristiano), quando viene applicata la legge Islàmica. Forse non è possibile dimenticare il passato, come esortava il Concilio, ma sarebbe molto utile preparare degli studi oggettivi e sereni, per facilitare uno sguardo comune sulla storia.

 

4.4. Qual è il fine del dialogo?

 

L'ultima domanda è sullo scopo del dialogo. La mancanza di chiarezza su questo punto impedisce un rapporto sano. “Il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” dichiara il Papa nella Redemptoris Missio (RM 55). Ma i musulmani fraintendono queste parole: dialogo è il nuovo nome della missione, intenta a convertire al cristianesimo. Il Papa risponde lui stesso all'obiezione: “Il dialogo non nasce da tattica o da interesse, ma è un'attività che ha proprie motivazioni, esigenze, dignità: è richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo Spirito, che soffia dove vuole” (RM 56).

Occorre ribadire che la missione evangelizzatrice della Chiesa è difatti la vita della Chiesa. È una realtà complessa costituita dalla presenza e dalla testimonianza dei cristiani, dalla vita di preghiera, di contemplazione, di celebrazioni liturgiche, dall'impegno di carità e di servizio, dal dialogo rispettoso con persone di altre tradizioni spirituali, e dall'annuncio del nome di Cristo Signore e Salvatore. Ognuno di questi elementi ha la sua importanza e nessuno è subordinato ad un altro.

Il dialogo, definito come un camminare insieme verso la verità e un collaborare insieme in opere di interesse comune, non mira alla conversione nel senso di cambiamento da una religione ad un'altra, dall'Islàm al cristianesimo. Ma possiamo dire che il fine del dialogo è la conversione nel senso della purificazione del cuore per avvicinarsi a Dio e compiere più pienamente la sua volontà. Per questo il documento Dialogo e Annuncio esplicita: “Il dialogo interreligioso non tende semplicemente a una mutua comprensione e a rapporti amichevoli. Raggiunge un livello assai più profondo, che è quello dello spirito, dove lo scambio e la condivisione consistono in una testimonianza mutua del proprio credo e in una scoperta comune delle rispettive convinzioni religiose. Mediante il dialogo, i cristiani e gli altri sono invitati ad approfondire il loro impegno religioso, e a rispondere, con crescente sincerità, all'appello personale di Dio e al dono gratuito che egli fa di se stesso, dono che passa sempre, come lo proclama la nostra fede, attraverso la mediazione di Gesù Cristo e l'opera del suo spirito” (DA 40).

 

 

5. Prospettive

 

Dopo queste considerazioni desidero indicare alcune nuove prospettive per il dialogo Islàmo-cristiano. Spesso si dice che sono sempre i cristiani ad iniziare il dialogo, a fare i primi passi. Mi sembra che in questi ultimi anni ci sono state delle iniziative da parte musulmana, segni di una nuova apertura. Si sono stabilite alcune strutture per il dialogo tra cattolici e musulmani. Il Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso ha formato due comitati, uno nel 1995 con rappresentanti di organizzazioni internazionali Islàmiche, e l'altro nel 1998 con l'istituto d'al-Azhar al Cairo. Inoltre, ha istituito la Fondazione "Nostra Aetate" per offrire borse di studio a persone di altre religioni che vogliono studiare il cristianesimo negli Atenei Pontifici. Ogni anno ci sono due o tre musulmani che si avvalgono di questa possibilità. La nostra speranza è di vederli protagonisti del dialogo nel futuro.

Un altro segno di apertura è il desiderio di varie università nei paesi a maggioranza musulmana di avere contatti con delle università cattoliche. Già da qualche anno esiste un accordo accademico tra l'Università di Ankara, Turchia, e la Pontificia Università Gregoriana a Roma, con scambi di professori e di tanto in tanto un simposio. Più recentemente l'Università al-Zaitouna, l'antica università religiosa della Tunisia, ha iniziato dei rapporti con l'Università Gregoriana e il Pontificio Istituto di Studi Arabi e d'Islàmistica a Roma.

 

6. Conclusione

 

In una Udienza Generale, Giovanni Paolo II ha ribadito l'importanza del dialogo tra cristiani e musulmani. Le sue parole formano la migliore conclusione a quanto detto: “Nel mondo di oggi, segnato tragicamente dalla dimenticanza di Dio, cristiani e musulmani sono chiamati a difendere e promuovere sempre, in uno spirito d'amore, la dignità umana, i valori morali e la libertà. Il comune pellegrinaggio verso l'eternità deve esprimersi nella preghiera, nel digiuno e nella carità, ma anche in un solidale impegno per la pace e la giustizia, per la promozione umana e la protezione dell'ambiente. Camminando insieme sulla via della riconciliazione e rinunciando, nell'umile sottomissione alla volontà divina, ad ogni forma di violenza come mezzo per risolvere le differenze, le due religioni potranno offrire un segno di speranza, facendo risplendere nel mondo la sapienza e la misericordia di quell'unico Dio che ha creato e governa la famiglia umana” (Osservatore Romano, 6.5.99).

 


Indice