EUGENIO MONTALE

 

Nasce nel 1896, nel 1975 ottiene il Nobel e muore nel 1891. E' considerato il piu' grande poeta italiano del '900. La sua opera e' piu' omogenea di quella di Ungaretti, infatti non passa attraverso fasi diverse, ma si muove per approfondimenti di tematiche e stati d'animo, presenti dall'inizio della sua opera.

CONCEZIONE DELLA VITA

Gli elementi fondamentali sono la cupa angoscia, un senso di profonda estraneita' alla vita, un fermo rifiuto di ogni consolazione, di fedi positive: per questo troviamo riferimenti con Leopardi. Forte e' la consapevolezza del male di vivere, della sconfitta dell'uomo: l'uomo montaliano e' inetto a vivere. In queste condizioni la poesia non e' piu' in grado di dare risposte o certezze, di indicare una strada. Gia' con i crepuscolari c'era stato un ridimensionamento della funzione del poeta. La poesia puo' limitarsi a descrivere o trascrivere la condizione di malessere cosmico. Si parla di teologia negativa: se si possono individuare i principi fondamentali, questi sono negativi: "Oggi solo possiamo dire/ cio' che non siamo, cio' che non vogliamo." La poesia puo' spiegare la mancata realizzazione dell'uomo ("Non chiederci la parola"). Questa posizione si riflettera' in una scelta politica di assenza dal fascismo. Frequenta Gobetti a Torino, firma il manifesto Croce. Con pochi atti e un comportamento dignitoso - non di compromesso - diventa un esempio di decenza quotidiana, per molti giovani egli e' colui che porta avanti la vita senza scendere a compromessi. Il suo esempio fu anche stimolo per passare all'azione (vedi Leopardi, Verga, Pirandello), anche il suo pessimismo piu' che storico e' di carattere metafisico. "Davanti al fascismo - disse - ho optato come uomo, ma come poeta sapevo che il combattimento avveniva in un altro fronte". Anche nel secondo dopoguerra, non ha mai preso posizioni nette, ha continuato a sentire il disagio di vivere. Il disagio del mondo contemporaneo e' presente nella raccolta "La Bufera". La visione di Montale si esprime attraverso l'oggettivazione del sentimento che vuol comunicare in un elemento della realta': poetica dell'oggetto o del correlativo aggettivo. Le situazioni, gli oggetti diventano simboli, rappresentano la formula delle emozioni, il distillato degli stati d'animo. Nella prima raccolta, a questa poetica del correlativo aggettivo aggiunge una spiegazione in chiave psicologica che aiuta il lettore a capire. Nella seconda opera elimina questo commento.

OSSI DI SEPPIA (1925)

E' la prima e piu' alta raccolta, il cui titolo significa relitti. Vi parla di poesia spaziale, perche' il protagonista e' il paesaggio ligure, duro, assolato, simbolo della condizione umana. Il linguaggio e' duo, antilirico a volte tecnico; non mancano accostamenti fra parole auliche e termini secchi: non per un gusto estetizzante, ma per mettere in rilievo un senso di estraniamento fra lui e la realta' che rappresenta. Fa un uso esperto di strumenti retorici tradizionali, come il chiasmo, l'ossimoro, la domanda retorica, che servono a svelare le illusioni della vita. La negativita' della vita in Montale e' dialettica in quanto c'e' una tensione verso il superamento espressa nella ricerca di un varco. Egli non sa cosa sia questo varco, ma dice di sentirne la possibilita'. Lo descrive attraverso metafore come "la maglia rotta nella rete che ci stringe" o "L'anello che non tiene". A volte ricerca un colloquio, si rivolge ad un "tu" ideale. Egli si definisce "uno della razza di chi rimane a terra". Il mare e' simbolo di cio' che non si e' realizzato nella vita.

LE OCCASIONI (1939)

Si parla di poesia temporale perche' rientra il tema della memoria. Infatti sembra a lui affidata la possibilita' di capire, di trovare il varco. La poetica dell'oggetto si fa piu' oscura perche' Montale elimina la parte esplicativa e lascia l'oggetto isolato nel simbolismo. E' il suo momento piu' oscuro, cui hanno fatto riferimento gli ermetici.

LA BUFERA (1956)

Con questa raccolta penetra nella sua poesia la realta' politica - storica che gli appare insensata. Appare una tensione religiosa, una ricerca di un varco. Cerca dei colloqui con Cristo, quasi fosse l'ultima via d'uscita. Il messaggio finale e' che non c'e' scampo, se non in una resistenza umana (vedi "La Ginestra"): bisogna restare attaccati alle minime certezze. Nella sua ultima produzione (costituita anche da saggi) appare l'ironia, la satira per descrivere il mondo sempre piu' insensato (vedi Svevo "La coscienza di Zeno").

          NON CHIEDERCI LA PAROLA

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato

L'animo nostro informe, e a lettere di fuoco

Lo dichiari e risplenda come un croco

Perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che s e ne va sicuro,

agli altri ed a se stesso amico,

e l'ombra sua non cura che la canicola

stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,

si' qualche storta sillaba e secca come un ramo.

Codesto solo oggi possiamo dirti,

cio' che non siamo, cio' che non vogliamo.

Questa poesia e' il primo componimento della raccolta "Ossi di seppia" e costituisce un manifesto di poetica rivolto al lettore (tu). Il poeta riesce a comunicare soltanto messaggi negativi in cui viene denunciato il male di vivere e l'insignificanza del mondo.  Il testo e' costituito da un insieme di radicali opposizioni che permettono di capire due diverse visioni della natura, della psicologia dell'uomo e la sua condizione, la funzione e la possibilita' della poesia.

SPESSO IL MALE DI VIVERE HO INCONTRATO

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l'incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio

Che schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

In questa poesia si trova la contrapposizione fra male e bene: il primo viene rappresentato con tre emblemi del male di vivere (il rivo strozzato, la foglia riarsa e il cavallo stramazzato); il secondo da tre emblemi di indifferenza (la statua, la nuvola, il falco) quindi rispettivamente la distanza, l'imperturbabilita' e la chiaroveggenza.

LA CASA DEI DOGANIERI

Tu non ricordi la casa dei doganieri

Sul rialzo a strapiombo sulla scogliera:

desolata t'attende dalla sera

in cui v'entro' lo sciame dei tuoi pensieri

e vi sosto' irrequieto.

Libeccio sferza da anni le vecchie mura

e il suono del tuo riso non e' piu' lieto:

la bussola va impazzita all'avventura

e il calcolo dei dadi piu' non torna.

Tu non ricordi; altro tempo frastorna

la tua memoria; un filo s'addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana

la casa e in cima al tetto la banderuola

affumicata gira senza pieta'.

Ne tengo un capo; ma tu resti sola

ne' qui respiri nell'oscurita'.

Oh l'orizzonte in fuga, dove s'accende

rara la luce della petroliera!

il varco e' qui? (Ripullula il frangente

ancora sulla balza che scoscende…).

Tu non ricordi la casa di questa

mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

Questa poesia e' dedicata ad Arletta, una fanciulla che aveva vissuto con Montale nella casa dei doganieri e dalla quale si era allontanata (forse era morta). Non e' possibile scoprire chi dei due sia davvero vivo e dunque fedele all'autenticita' di quell'incontro lontano perche' il trascorrere del tempo costituisce una minaccia che puo' cancellare i valori e i significati del passato, custoditi invece nella memoria.

HO SCESO, DANDOTI IL BRACCIO, ALMENO UN MILIONE DI SCALE

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

e ora che non ci sei e' il vuoto ad ogni gradino.

Anche cosi' e' stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, ne' piu' mi occorrono

le coincidenze, le prenotazioni,

le trappole, gli scorni di chi crede

che la realta' sia quella che vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio

non gia' perche' con quattr'occhi forse si vede di piu'.

Con te le ho scese perche' sapevo che di noi due

le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,

erano le tue.

La poesia suggerisce subito il senso della perdita causato dalla morte della moglie, con cui, durante tutta la vita, aveva sceso passeggiando milioni di scale. Nonostante fosse molto miope, la moglie di Montale insegno' al marito la vera arte d vedere che non consiste nel credere alla superficie visibile delle cose, ma nel guardare in profondita' sotto di essa. La moglie di Montale era quindi provvista di una saggezza innata con cui comprese che il senso profondo della vita coincide con la percezione e con l'accettazione della nullita' dell'esistenza e dunque non ha niente a che fare con il senso moderno del tempo.

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