La
bellezza: un mercato e una contraddizione. Il mito della bellezza
All’avvio dell’estate i giornali femminili offrono
un’ampia gamma di pubblicità cammuffate da servizi, il cui tema centrale è la
cura della pelle. Proteggi la tua pelle; idrata la tua pelle; esfolia la tua
pelle; pensa alla tua pelle…La pelle dice chi sei, abbine cura. Certo, non solo
nei mesi estivi impazzano questi messaggi, ma ora diventano più pressanti dato
l’aumento esponenziale della porzione di pelle che viene esposto all’altrui scrutinio.
Ecco allora, che per riguadagnare un equilibrio può
risultare “utile” o quanto meno confortevole leggere Il mito della bellezza della
scrittrice statunitense Naomi Wolf. Non è certo un best seller degli ultimi
anni essendo uscito nel 1990 negli States e l’anno successivo in Italia
(edizioni Mondadori). Acclamato all’epoca come un nuovo classico del
femminismo, ha il pregio di dare occasionalmente voce a certi dubbi che possono
catturare, quasi per caso, la mente tra uno spot e l’altro.
Basti pensare per un attimo a quelle creme volte ad
elimare le rughe non visibili (quelle piccole piccole, che potrebbero diventare
grandi grandi, ma che al momento tali non sono e non sono nemmeno individuabili
dall’occhio umano). Che riflessione propone a riguardo Naomi Wolf? …Se il
“nemico” (le rughe, ndr) è invisibile…allora anche l’effetto della “crema
santa” (il prodotto di bellezza, ndr) non può essere colto ad occhio nudo. Ci
si muove quindi in una dimensione di pura fede…(adattamento dal testo originale
in inglese).
Affinchè questa fede nell’utilità, se non nel
carattere indispensabile, dei prodotti di bellezza si possa ingenerare è
necessario andare ad alimentare insicurezze. Conducendo forse all’estremo il
suo ragionamento, l’autrice statunitense, classe 1962, sostiene che…I prodotti
di bellezza promettono alle donne quella protezione/attenzione, che per varie
ragioni, esse non ricevono dagli uomini e dalla legge…
Ma qui, in questo clima da ombrellone, non si
vogliono rinvangare vecchi malumori femministi. Il mito della bellezza offre,
per dirla banalmene, spunti di riflessione, appigli dai quali partire per
un’analisi personale e autonoma sulla grande bagarre della pubblicità e del
mito dell’apparire. … le donne sono educate a considerare se stesse delle imitazioni
non perfette delle modelle, piuttosto che a considerare le modelle come una
loro imitazione mal riuscita… Naomi Wolf cerca quindi di ridare centralità alla
donna vera, non a quella idealizzata o pubblicizzata e giunge a realizzare un
parallelo tra l’odierno operare dell’industria della bellezza e il rapporto tra donna e Chiesa nel
Medioevo.
Nel testo si indaga anche il rapporto tra i sessi
ed il sesso, il problema dell’anoressia e quello della violenza sulle donne.
Viene riportato il caso di una donna statunitense che aveva citato in giudizio
il suo psicoanalista per presunta violenza sessuale. Il verdetto? Non
colpevolezza, dato che la donna, durante una delle sedute, aveva riferito che
una delle sue fantasie sessuali era quella di essere violentata. Ma Naomi Wolf
va oltre, ricomprendendo nel capitolo sulla violenza anche la chirurgia
estetica, considerata colpevole di non dare adeguata visibilità ai rischi ad
essa connessi. Certo, nelle riviste femminili si parla dei possibili rischi, ma
scarsa è l’informazione sulla probabilità di tale complicazioni.
Inoltre…il mercato della chirurgia estetica è (più
che altro, ndr) immaginario, dato che non c’è nulla di talmente sbagliato nelle
facce o nei corpi delle donne che una diversa percezione sociale non possa
curare… Ossia, si controribatte all’usuale “ma se uno/a non riesce ad
accettarsi?” con l’osservazione lapidaria “ma chi gli fa credere questo? Il suo
malessere non è fondato su qualcosa di oggettivo, ma su una sorta di capriccio
estetito a livello sociale. Eliminiamo tale capriccio, piuttosto che modificare
il corpo.”.
L’autrice statunitense affronta tali temi anche dal
punto di vista economico, ponendo insieme il fatto che la “bellezza costruita”
costa e che in linea generale le donne sono meno ricche degli uomini, afferma
che …Le donne sono povere, la gente povera ha bisogno dei lussi…quasi come una
specie di specchietto per le allodole. Se la “bellezza” richiede tempo e soldi,
le donne sottraggono tale tempo e soldi ad altre attività, rischiando di finire
in una nicchia del mercato del lavoro.
A tratti il testo è pesante per una leggera
lettura, anche distratta, estiva, ma certo vale la pena di ricercarlo in
qualche libreria. Non è recente, ma conforta notare che certe realtà/idee sulle
donne nascondono al loro interno delle contraddizioni da più parti riscontrate.
Per sentirsi meno sole, se donne; per capire certe (presunte) incoerenze
femminili, se uomini.
Rossella Di Bidino
30 Giugno 2002