ZATOICHI di Takeshi Kitano

Cinema

XIX secolo. In un villaggio giapponese, la cui vita è scandita dal ritmo del lavoro nei campi  e dalla tirannia della banda del crudele Ginzo, arriva Zatoichi; vagabondo anziano e cieco dai capelli biondo platino, con il suo bastone laccato rosso sangue che lo aiuta nella camminata lenta ma costante e che nasconde un segreto. Una spada da samurai che sa chi e come colpire. Il “massaggiatore”, così è conosciuto Zatoichi dagli abitanti del villaggio, stringe amicizia con una  delle famiglie contadine che lo ospita nella propria casa e lo introduce alla piccola e difficile realtà locale dominata dalla quotidiana violenza da parte di Ginzo e dei suoi uomini.

Il “massaggiatore” è lì per estirpare quella violenza individuandone la fonte. Lui è cieco per scelta poiché nella realtà  potrebbe vedere, ma preferisce guardare oltre affinando i sensi e coltivando la saggezza del movimento in ogni momento, sia come combattente durante la lotta neutralizzando ogni avversario sia come giocatore d’azzardo in una bisca ascoltando il rumore dei dadi. Il massaggiatore come il samurai usa con cura e precisione le proprie armi, mani e spada, conosce davvero i punti vitali e sapientemente li tocca dispensando ora il sollievo ora la morte. L’eroe positivo Zatoichi può pre-vedere il pericolo come nel caso delle due giovani finte geishe che adescano i clienti per poi ucciderli e derubarli. Anche loro, in verità fratello e sorella, nascondono un segreto: il massacro della propria famiglia la cui memoria sempre viva alimenta la sete di vendetta. Un nome riecheggia da dieci interminabili anni nella loro mente: Kuchinawa, il capo dei capi. Il terribile ricordo  viene  confessato a Zatoichi che ne comprende tutto il dolore. E agisce.

E’ l’undicesimo film di Kitano, ma il primo film d’epoca e in costume che il geniale Takeshi-tuttofare ha diretto e ha “inventato” sebbene si tratti di un adattamento cinematografico di un racconto di Kan Shimozawa. Tutta la cornice è magistralmente definita, non ci sono sbavature nonostante il sangue sgorghi generosamente in molte occasioni. Dopotutto un’arma antica e  sapiente come la spada di un samurai non ammette inopportuni, superflui e volanti brandelli di carne, ma al contrario contempla solo determinati bersagli. Zatoichi apparve un giorno in un villaggio, “servì” un’intera comunità e andò via permettendo ai contadini e non solo di respirare la libertà attraverso una danza finale a suon di tip-tap, rituale celebrato, tranne ovviamente dal leggendario eroe, da tutti gli abitanti, anche dal giovane “matto” che più volte a sorpresa irrompe sulla scena urlando perché si crede un samurai. Forse è proprio la sua figura buffa che racchiude l’essenza, almeno nella dimensione più evidente, del tragico e del comico, sempre così visceralmente uniti. Nei film quando volete. Nella vita reale…anche.  

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Regia: Takeshi Kitano

Sceneggiatura: Takeshi Kitano – da un racconto di Kan Shimozawa

Interpreti: Beat Takeshi, Tadanobu Asano, Saburo Ishikura, Daigoro Tachibana, Yuko Daike, Michiyo Oguso, Yui Natsukawa, Guadalcanal Taka, Ittoku Kishibe, Akira Emoto

Fotografia: Katsumi Yanagishima

Scenografia: Norihiro Isoda

Costumi: Kazuco Kurosawa

Musiche: Keiichi Suzuki

Produzione: Office Kitano

Distribuzione: Mikado

Origine: Giappone, 2003

Durata: 115’

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione di: Mattea Olimpia Di Fabio

Data: 28/11/2003

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