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Intervista n. 4 a cura di Mariella Nocenzi

Giornalista Radio-Rai in programma su tematiche ambientali

Roma, 30/10/2000

 

Domanda: Vorrei chiederle, in maniera generale, come e quando è venuto a conoscenza del problema dell’inquinamento elettromagnetico?

Risposta: Dunque, la mia fonte principale sono gli ascoltatori, quindi sono venuto a conoscenza del problema, oltre che dalle fonti tradizionali, le agenzie, gli organi specializzati e le associazioni dei consumatori, soprattutto attraverso le telefonate dei nostri ascoltatori, con tutto l’allarme sociale che ne consegue. I loro messaggi affrontavano situazioni disparate, dalla preoccupazione sugli effetti del telefonino, alla preoccupazione per l’inquinamento elettromagnetico generato dalle stazioni radiofoniche, come per il caso clamoroso di Radio Vaticana, a cui abbiamo dedicato una trasmissione intera. In questo e negli altri casi ho visto che c’è stata una mobilitazione popolare vastissima, quindi una sensibilità molto radicata nella comunità. Ripeto, quindi, abbiamo scoperto attraverso le telefonate allarmate della gente, attraverso la loro paura, l’inquinamento elettromagnetico come problema sociale.

Domanda: È un fatto recente, oppure è già da qualche anno che avvertite questa sensibilità?

Risposta: No, da diversi anni, almeno dal 1996. I primi allarmi sono arrivati nel 1996 e, ovviamente, poi, si sono sovrapposti a vari altri allarmi. Dapprima, c’era un allarme molto vago, molto generico, per l’inquinamento elettromagnetico dato dagli elettrodotti, quindi da radiazioni a bassa frequenza. Poi, successivamente, si è aggiunto il problema dei forni a microonde e dei telefonini. Ecco, questa è stata un po’, cronologicamente, l’evoluzione del problema. Ultimamente si confondono un po’ i livelli di rischio, si sovrappongono continuamente.

Domanda: Lei nota, come tanti osservatori registrano, che in quest’ultimo periodo forse si stia avvertendo a livello sociale un’assuefazione al problema?

Risposta: Guardi, la sensazione mia è che il grosso della popolazione sia estranea a questi problemi e non ne sappia praticamente nulla. Adesso non so quantificare, ma secondo me circa il 60-70% della popolazione non si pone questi problemi. Attenzione: non si pone i problemi principali che li riguardano, che riguardano il problema dell’inquinamento elettromagnetico e, quindi, che riguardano le singole famiglie e le singole comunità, sino a quando non succede qualcosa di preciso, cioè fin quando non arriva la Società di telefonia che ti mette l’antenna sopra il tetto, cosicché la radio ti sposta i segnali dei telecomandi e non fa funzionare il citofono, fino a quando non succede qualcosa di preciso. Però ultimamente, secondo me, questa sensibilità è aumentata con la diffusione e la penetrazione spaventosa dei telefonini. Ecco, con questi si è maggiormente diffuso, secondo me, l’allarme. Però devo dire che il beneficio del consumo del telefonino fa passare in secondo piano le preoccupazioni. Ciò anche perché, bisogna dire, che non c’è oggettivamente una notizia che non sia controversa e che non sia discutibile circa gli effetti nocivi dei telefonini. Per fortuna o purtroppo, o perché le case produttrici li censurano o perché le Società di distribuzione dei segnali non fanno arrivare questi problemi. Per una serie di motivi, cui si aggiunge la mancanza di educazione ambientale, secondo me, ancora effettivamente il beneficio e la comodità del cellulare stanno mettendo in secondo piano il problema degli effetti nocivi sulla salute.

Domanda: Che tipo di rapporti ha potuto instaurare con altri attori sociali? Lei, per esempio, ha parlato delle sollecitazioni da parte del pubblico. Ma per esempio dal mondo scientifico? Ha ricevuto qualche pressione o instaurato specifici rapporti?

Risposta: No, devo dire no. Con il mondo scientifico, direttamente, non abbiamo mai avuto rapporti, se non molto mediati da associazioni di consumatori, oppure da gruppi di cittadini che ci telefonavano. Ma sempre sotto forma di pubblicazioni che poi noi andavamo a controllare telefonicamente e la cui veridicità era quasi sempre accertata, ma che non dava luogo a partecipazioni dirette di questi scienziati, perché c’è sempre molta prudenza, in questo senso, a parte alcuni casi di scienziati con i quali ho parlato direttamente, medici tipo … Però c’è sempre molta prudenza nel partecipare alle trasmissioni e dire "Sì, fa male" o "No, non fa male". Questo lo posso dire con assoluta certezza.

Domanda: Con il mondo politico?

Risposta: Qui la domanda è interessante, perché il problema nostro, cioè di chi fa il lavoro di giornalista, è quasi sempre quello di incrociare la rotta, il lavoro dei politici. I nostri referenti principali, dopo i consumatori, dopo i cittadini (questo ci tengo a dirlo) sono loro. Essi dovrebbero dare alla cittadinanza una normativa, un quadro legislativo che tenga conto delle preoccupazioni che gli sono arrivate, ma ciò, in realtà, non sempre succede. Devo dire che, da questo punto di vista, c’è molta disponibilità a partecipare a trasmissioni nelle quali i politici sono il punto di riferimento, ma non c’è mai molta disponibilità da parte dei politici a rispondere sulle leggi o le iniziative prese o non prese. C’è sempre un po’ più di reticenza, perché purtroppo il problema del quadro politico in Italia è un problema determinato innanzi tutto da una clamorosa instabilità, da un fermento politico continuo, che fa passare quasi sempre in secondo piano il problema delle normative determinate dalle urgenze. Questo contribuisce ad un quadro ambientale problematico, ad una legislazione ambientale problematica. Come sempre succede, il problema della legislazione ambientale viene quasi sempre sottoposto, subordinato ad altre priorità. La mia principale preoccupazione, in primo luogo come cittadino prima ancora che di giornalista, è data dalla sostanziale mancanza di trasparenza e di sincerità, di lealtà dei politici nei confronti dei cittadini, laddove proprio il potere politico è la principale cassa di risonanza, il principale lettore delle azioni lobbistiche. È quindi inevitabile che poi tutto ciò si traduca in certe forze politiche nel "gioco dei due piedi in una staffa". Queste forze politiche da una parte mostrano di avere sensibilità nei confronti delle richieste dei cittadini, dall’altra sono molto sensibili e mostrano di tenere conto delle pressioni dei produttori. Questo però - bisogna distinguere - a livello di classe politica e di istituzioni politiche centrali, statali. Dal punto di vista degli enti locali è diverso. In quel caso c’è un atteggiamento di maggiore partecipazione. L’amministratore locale è sempre molto vicino ai cittadini che protestano: se non lo facesse rischierebbe moltissimo. Quello che ho notato io, ad esempio trattando giornalisticamente il caso di Alassio, è che il sindaco che vuole costruire un asilo vicino a una cabina di trasformazione, dove l’inquinamento supera i famosi 0,2 microtesla previsti dalla legge e dove i bambini soggiornerebbero 6-7 ore, in chiara violazione delle norme accolte anche dal Ministero dell’Ambiente, decretate da una nota sentenza del TAR del Veneto, è un sindaco in netta difficoltà. Io credo che in molti casi gli amministratori locali ci pensino prima di forzare l’interpretazione della legge e il parere dei cittadini. Non c’è effettivamente una forza politica che è più a contatto con la popolazione di un amministratore locale, del sindaco, dell’assessore. Non ho mai visto un sindaco che ha ignorato totalmente le pressioni della popolazione. Non è successo neanche a Roma, dove l’istituzione è più lontana dai cittadini, come ha dimostrato il caso delle antenne situate su Montemario. Posso pure far riferimento a quanto, preparando la trasmissione dedicata all’inquinamento elettromagnetico, ho scorso nella giurisprudenza, negli atti, nelle iniziative dei vari Comuni: generalmente ho letto sempre di Comuni che hanno revocato il permesso alla Omnitel, ho sempre visto assessori che si sono battuti contro questo o quell’elettrodotto dell’ENEL, quindi sia alta che bassa frequenza: insomma, una classe politica locale sempre molto vicina ai problemi della gente.

Domanda: Questo nel mondo politico. Invece cosa può dire per quanto concerne il mondo economico che ha interessi che giocano un ruolo fondamentale in queste scelte?

Risposta: In questo settore domina soprattutto il semiprivato, ossia l’ENEL. Devo dire che il comportamento dell’ENEL è stato sempre molto discutibile per quanto riguarda il problema dell’inquinamento elettromagnetico ed educo questa mia osservazione dalla lettura delle notizie. Per fare un caso preciso osservo con perplessità il problema della Legge quadro che dovrebbe essere varata a breve e il cui ritardo è uno dei motivi di diffidenza di tutte le associazioni dei consumatori nei confronti del mondo politico. Dopo che il Parlamento ha deciso, a seguito di una mozione del centro-destra, di sottrarre alla Commissione competente la parte deliberativa, cosa che avrebbe molto accelerato l’iter della legge, oggi essa è ferma in Senato e da quanto mi diceva in trasmissione l’onorevole … , forse non si farà in tempo ad approvarla. Ecco, proprio a tal proposito, posso dire che ho saputo che ci sono state parecchie pressioni dell’ENEL per allungare i tempi di bonifica degli elettrodotti. Il progetto di legge dà moltissimi anni di tempo, mi pare dieci anni di tempo - in alcuni casi controversi anche otto, quindi sette quando entrerà in vigore la legge, per le bonifiche degli elettrodotti e ciò nasce dalle pressioni dell’ENEL. Mi pare che proprio per questo ci siano stati partiti come Rifondazione Comunista che hanno fatto proprio una dura battaglia contro queste pressioni e contro la decisione di allungare così tanto i termini se c’è un elettrodotto che inquina. A ciò si aggiunge che c’è un ennesimo problema in quella legge - un altro errore del potere politico e in questo caso legislativo - nell’aver deciso di non mettere le indicazioni concrete di inquinamento, cioè i valori inquinanti, per i quali si dovrà aspettare una serie di decreti ministeriali, che verranno quando verranno, attuativi e simili. Se non per questo problema, per quello dell’allungamento dei termini ci sono state forze politiche che hanno protestato, perché, è ovvio che, se c’è un elettrodotto che inquina, il termine di dieci anni è troppo lungo, lunghissimo per chi ci vive sotto. Un sindaco non può disporre del territorio, quindi è giusto che si parli dell’interramento, che è un processo io credo inevitabile al quale si deve andare incontro e che già dal punto di vista economico ha costi altissimi e ha incominciato a preoccupare l’ENEL. Tanto è vero che la Società energetica ha già sottoposto, credo, delle richieste di aumenti tariffari proprio per sostenere tutte le spese di bonifiche degli elettrodotti. Quindi mi pare di poter dire che ci sia una pressione dei produttori, dei "presunti inquinatori", molto forte. Le faccio un altro caso molto grave, che riguarda l’Istituto Superiore di Sanità. Questo penso sia di un paio di anni fa, mi pare di ricordare. Un dirigente molto importante dell’Istituto Superiore di Sanità del Dipartimento di Fisica che si occupa di rilevamento dell’inquinamento dei telefonini e di antenne, si è scoperto avere una associazione privata in cui uno dei finanziatori era la … (nota fabbrica produttrice di telefonini), cioè una casa produttrice di telefoni cellulari, forse la prima casa produttrice del mondo. Questo ha prodotto una denuncia del Codacons, cui ha fatto seguito la querela dello scienziato e a cui ha provveduto il giudice decidendo di archiviare la querela. Questa è una notizia molto importante, sia dal punto di vista giornalistico, sia, però, perché tira fuori una cosa gravissima, cioè la sostanziale collusione, non voglio dire corruzione, perché sarebbe esagerato non essendoci stato concretamente un reato di corruzione, ma una sostanziale collusione di chi dovrebbe vigilare in modo neutrale su certi comportamenti e che invece si fa finanziare da chi dovrebbe essere sottoposto a questi controlli. Questa è una cosa gravissima. Questo esempio per inquadrare un po’ il problema della funzione delle industrie, del loro comportamento concreto nel problema dell’elettrosmog.

Domanda: Lei personalmente, anche per esperienza diretta, sa se sul mondo della comunicazione, dell’informazione ci sia una pressione diretta di questi attori, siano politici o economici?

Risposta: No, noi non ne abbiamo mai avute. Tenga conto che la nostra è una rubrica radiofonica talmente caratterizzata dall’ospitare denunce dei cittadini che forse neanche ci provano ad avvicinarci e a farci delle pressioni. Quindi io posso dire che a noi pressioni non sono mai arrivate. A noi arrivano altri tipi di pressioni. Non escludo che possano essere avvenute presso altri organi di stampa, ma purtroppo non posso escludere che molti miei colleghi, conoscendo l’ambiente, siano sensibili a queste pressioni, a tentativi di regalo di cellulari, a viaggi, che è il solito modo che le grandi aziende utilizzano per blandire i giornalisti. Però non ho casi concreti, da denunciare.

Domanda: Tornando al mondo della comunicazione, lei crede che davanti a rischi ambientali come quello dell’inquinamento elettromagnetico si possa profilare un nuovo modo di fare informazione? Si è di fronte a rischi invisibili, anche se l’antenna è visibile, come pure lo è il telefonino, però c’è forse una consapevolezza maggiore della gente davanti a un problema che non è direttamente percepibile, è un’onda…

Risposta: Che cosa diceva Einstein? "Le onde sono una cosa reale esattamente come la sedia su cui sono seduto". Quindi, se lo diceva Einstein che non conosceva l’uso di forni a microonde, telefoni cellulari, si può stare tranquilli: se erano vere allora, figuriamoci adesso. Per quanto riguarda l’invisibilità, secondo me, insieme alla mancanza di dati certi della ricerca scientifica, è uno dei problemi, dei fattori che crea più paura: è il vero problema, cioè la paura della gente di fronte a forni a microonde, di fronte al problema, addirittura, se stare o meno vicini a lampadine, se assumere tutte le più elementari precauzioni, cioè non guardare la televisione a due metri di distanza, non stare più di cinquanta-settanta centimetri vicini al computer, non dormire con una radiosveglia a meno di settanta centimetri, parlare con il cellulare con l’auricolare e non tenerlo per più di cinque minuti attaccato all’orecchio, oppure cambiare continuamente orecchio. Ecco, queste precauzioni che sono diventate, ormai, di dominio comune e si leggono su tutti i giornali - fermo restando che in Italia i giornali si leggono pochissimo - e si ascoltano dalla televisione, creano paura, creano ansia, non c’è niente da fare. Questa paura, questa ansia mette il giornalista, l’organo di stampa in una situazione di potere che, secondo me, deve essere valutata molto bene, deve responsabilizzare molto. Le faccio un esempio che, in realtà, non ho mai rivelato. Quando sono andato personalmente con il rilevatore di campi magnetici a Ponte Galeria, dove c’è il comitato di cittadini che protesta contro l’inquinamento elettromagnetico di Radio Vaticana, io mi sono trovato di fronte a una popolazione imbestialita che è venuta a Roma, ha fatto manifestazioni. Io stesso li ho consigliati in tal senso: "Vedete, se non fate qualcosa di eclatante non sarete ascoltati. Non c’è niente da fare: c’è una sostanziale indifferenza e soprattutto c’è quell’enorme mastodonte che è uno stato straniero, uno stato estero dal quale voi non potete pretendere nulla, perché c’è una procedura di natura diplomatica complicatissima". Tuttavia mi pare che qualche risultato lo stiano ottenendo. In quel caso, io andando in giro con lo strumento del rilevatore, mi sono accorto che l’inquinamento era molto meno preoccupante di quanto pensassero gli stessi abitanti. Attenzione, cosa voglio dire? Con il rilevatore io ho sforato i limiti previsti dalla legge. La legge dice che non si dovrebbe superare il limite di emissione di 6 volt al metro e quando ciò accade il rilevatore suona, comincia a lampeggiare sonoramente. Ecco, io ho superato i 6 volt al metro solo in un determinato punto, in una palazzina, precisamente nella terrazza di una palazzina parecchio alta - saranno stati 15-20 metri - ma non all’interno: solo all’esterno e solo in una determinata posizione di questo terrazzo, in diretta corrispondenza con l’antenna di Radio Vaticana. In altri posti, dentro le case degli abitanti, dentro lo stesso terrazzo, in una zona coperta e non all’esterno, in basso, cioè nella strada, e in altri luoghi del palazzo, intorno alla palazzina e nei marciapiedi attigui, io non avevo sforamenti del limite: si era sempre sotto i 6 volt per metro. Io questo ai cittadini l’ho fatto notare. Questo non li ha tranquillizzati per niente, ma io per correttezza e completezza di informazione devo dire questo. Però è chiaro che a me manca l’informazione successiva, cioè: "È sufficiente che questi dati non sforino dentro casa oppure in terra e a piano terra e che passeggiando non ci sia questo inquinamento per la salute? È sufficiente perché si possa dire che non c’è pericolo di inquinamento elettromagnetico?". Non lo so. Io questa domanda la devo girare ad un esperto, ad uno scienziato o a un medico, insomma, che faccia un monitoraggio molto organico, temporalmente soddisfacente e rassicurante. Io mi limito a rilevare e a riportare questi dati che sono assolutamente oggettivi. Tutto questo vuol dire per me fare una informazione molto concreta, molto dettagliata e soprattutto molto trasparente, se non altro per far vivere più tranquille queste persone. Mi rendo conto che lì la situazione andava affrontata in modo molto vivace, ecco, però per far vivere meglio queste persone io mi ricordo che usai questi argomenti, cioè dissi: "Ricordatevi che se state in casa l’inquinamento elettromagnetico di cui tanto vi preoccupate non c’è". Io, per esempio, sono andato sotto una delle antenne di Radio Vaticana, proprio nel muro di cinta, con questo rilevatore e ho visto che ad altezza d’uomo non c’era affatto inquinamento. Mi ricordo benissimo che sotto il muro di cinta, a venti metri dall’antenna, da una delle antenne io avevo un’emissione elettromagnetica di 0,2 volt per metro e quindi il rilevatore non lampeggiava. Poi, in alcuni punti, alzandomi sopra la macchina, arrivava a 0,5, ma non oltre. Quindi è chiaro che dipende dall’orientamento delle antenne, e poi, in particolare, quell’antenna ruota molto, perché ha un sistema molto complicato, che le permette di comunicare a tutto il mondo. Tutto questo per dire che c’è un problema di responsabilità dell’informazione che secondo me deve anche e soprattutto in questo caso, ispirarsi ai criteri di completezza e trasparenza: senza censurare, da un parte, ma senza usare toni allarmistici. Questa è un’esperienza che io ho fatto, molto reale. Devo dire che nessun giornalista la fa, cioè nessun giornalista quando si occupa di un problema di inquinamento elettromagnetico noleggia un rilevatore di campi magnetici, se lo porta dietro e va a fare un’inchiesta come abbiamo fatto noi. Io questo lo posso vantare.

Domanda: Quindi lei trova che il mondo dell’informazione è un po’ legato a degli schemi tradizionali nel gestire certi scenari?

Risposta: Sì, se gli schemi tradizionali sono censure da una parte, e allarmismo dall’altra, credo di sì.

Intervistatore: Spesso si è tacciata l’informazione di fare solo da amplificatore…

Intervistato: Certo, certo: senz’altro continua ancora così, non c’è dubbio.

Domanda: Una sola altra domanda sul mondo dell’informazione. Questi scenari, oltre a essere spesso invisibili, sono anche caratterizzati da molta tecnologizzazione, cioè, si usa un linguaggio molto tecnico e poco accessibile al pubblico. Cosa può fare il mondo dell’informazione, in questo caso? Semplificare è sufficiente?

Risposta: Sì, secondo me il mondo dell’informazione può semplificare molto. Prima di tutto deve tenere conto di un fatto quasi meccanico, direi. Mediamente il giornalista o è laureato in Legge, anzi, in molti casi non è nemmeno laureato, o in Filosofia, oppure in Scienze Politiche, Sociologia e corsi affini. Quindi, quasi mai è un ingegnere, un fisico o un matematico. Anzi, le potrei tranquillamente dire mai. Meno che mai in Italia. Quindi è evidente che non ha competenze di natura tecnica così avanzata e così dettagliata. Io stesso non padroneggio, se non perché ci perdo parecchio tempo studiando e facendomi spiegare da un tecnico, come si propagano le onde elettromagnetiche: io posso saperlo, ma non riesco a penetrare nello specifico scientifico, e non ci provo neanche, perché perderei un sacco di tempo, mentre mi debbo occupare di altre cose. Quindi il problema della traduzione di certi termini è semplicemente legato alla mancanza di tempo e cioè alla possibilità di poter approfondire certe nozioni, farsele spiegare, chiarirsele e tradurle in un linguaggio quotidiano. Secondo me lo sforzo lo fanno i giornalisti, perché sono i primi ad avere una certa ritrosia a scrivere cose che non capiscono, se non virgolettandole perché sono citazioni. Però è questo, secondo me, uno sforzo in questo caso dell’inquinamento elettromagnetico, che è molto complicato, non è di facile attuazione.

Domanda: Può essere un po’ di impedimento nella diffusione del messaggio?

Risposta: Beh, certo. A meno che non ci si trovi di fronte a giornalisti specializzati. Ecco, in quel caso già va meglio. Però uno, avendo a che fare anche con giornalisti specializzati, poi va a vedere, leggendo i loro articoli che la sintesi sacrifica molto gli argomenti, si lasciano fuori molte cose, per cui finiscono per occuparsi di problemi legislativi.

Domanda: È dunque il fatto di cronaca, che secondo lei spinge ad informare sull’inquinamento elettromagnetico?

Risposta: La cronaca nel senso della cronaca delle istituzioni e dell’atteggiamento comune, oppure la cronaca del mondo scientifico, con l’ultima scoperta. Se c’è lo scienziato che ha scoperto che i topi, se pur geneticamente disposti, se sottoposti ad onde al alta frequenza, contraggono dei linfomi, cioè dei tumori dei globuli bianchi del sangue, io racconto della scoperta, intervisto lo scienziato, mi faccio dire qualcosa di chiaro che, peraltro, lo scienziato già dice, perché lo scienziato, se mi concede un’intervista, già semplifica il suo linguaggio. Quindi cerco di raccontare questo fatto, perché so che immediatamente fa presa sul pubblico. Al pubblico interessa principalmente sapere sugli effetti di queste onde e che cosa deve fare per limitarli, perché tanto sa benissimo che non scompariranno. Anzi, le fonti di inquinamento elettromagnetico sono destinate ad aumentare con lo sviluppo. Peraltro, adesso noi sappiamo che ci saranno altre 10.000 antenne dell’UMTS che si sovrapporranno alle 60.000 che già esistono tra antenne cellulari e radiofoniche. Ecco, il cittadino sa benissimo che ci deve convivere e, quindi, vuole sapere che cosa deve fare per non farsi venire un tumore.

Domanda: Però è difficile che il mondo dell’informazione faccia presente che magari ci sono dei progetti per far sì che queste antenne dell’UMTS, per esempio, siano in numero inferiore di quelle programmate. Spesso l’informazione è molto più allarmistica…

Risposta: Questo senz’altro. Però devo dire che anche per quanto riguarda questa tecnologia innovativa dell’UMTS, l’informazione, presa nel suo insieme è sufficiente. Io faccio sempre l’esempio degli autobus: io sono sicuro che nessun cittadino romano conosce l’offerta totale del servizio pubblico a Roma, e magari protesta, anche giustamente, se magari l’autobus sotto casa non arriva. Però per andare in un posto dice: "L’autobus non arriva, faccio tardi, quindi vado in macchina o mi faccio portare da un taxi". Molto spesso, invece, il servizio di mezzi pubblici, a Roma come in altre città, è molto più diffuso di quanto ne sappia il cittadino. Così l’informazione. In realtà, uno parla male dei giornali, o dei telegiornali e dei radiogiornali, perché ne conosce due o tre. C’è chi compra un solo giornale - la maggior parte non compra neanche quello - ma la maggior parte di persone compra un solo giornale. Se uno potesse, ma nella realtà questo è impossibile, leggere tutti i giornali possibili che si offrono sul mercato, o quantomeno non tutti, ma quelli in grado di rappresentare un più vasto arco possibile di offerta dal punto di vista ideologico e dal punto di vista economico - un conto è il Corriere della Sera e un conto è Liberazione, per intenderci - si accorgerebbe che in realtà questo sforzo c’è, cioè esiste la possibilità di una informazione completa, che non è accessibile solo perché nessuno può leggere quindici giornali al giorno. Con Internet, adesso, si può tentare di avere informazioni un po’ più scalate, un po’ meno episodiche, meno gridate e allarmistiche. Però Internet quanti italiani lo usano? Non so se arriviamo a cinque milioni. Cinque o sette milioni, adesso non ricordo. Questo è il problema. Secondo me questo genere di informazioni ci sono, ma sono raramente, difficilmente reperibili dal lettore medio. Solo i tecnici, gli addetti ai lavori ci arrivano, perché sanno a quali mezzi rivolgersi.

Domanda: Le faccio un’ultima domanda, un po’ più ampia rispetto alla limitata tematica dell’inquinamento elettromagnetico. Il mondo della cultura spesso parla di questa società come una società del rischio, dell’incertezza. Lei è d’accordo che, più che in passato, si configuri questo modello?

Risposta: Sì, sì. Assolutamente sì. Il vero problema di questa società è proprio questo, cioè che questa è la società non solo del rischio, ma anche della precarizzazione crescente di tutto. Non solo dei rapporti di lavoro, ma anche di quelli umani. Credo che sia più che altro la conseguenza di questo aumento dei rischi, ma oggi viviamo in una società della deresponsabilizzazione. Non so se è una conseguenza di questo aumento del rischio, però c’è una tendenza a deresponsabilizzarsi dal punto di vista etico. Però questo, devo dire è un processo che sarà messo in discussione. Sento che è già messo in discussione da alcuni fenomeni come, ad esempio, il volontariato, che sicuramente contravviene alla tendenza alla deresponsabilizzazione. Quando penso alla deresponsabilizzazione mi viene in mente immediatamente la mancanza di consapevolezza dei gesti quotidiani, ecco. Un’immagine forte che io ho come cittadino è il rapporto tra i Paesi sviluppati e non sviluppati. Quando io penso al rischio, vedo questo concetto come un problema che viene vissuto quasi orgogliosamente dal cittadino medio della civiltà occidentale sviluppata, non sapendo che quel suo rischiare, quel suo osare, lo mette nelle condizioni di aumentare lo sfruttamento, il divario, la pressione sui Paesi poveri, i Paesi in via di sviluppo che non riusciranno mai ad affrancarsi dalla fame, dalla schiavitù e dalla malattia. Accetto la definizione di società del rischio solo se si considera anche questo come rischio. Però penso che ci siano, appunto, altre definizioni forse più esaustive, che spieghino meglio il disagio che vive l’uomo contemporaneo delle società avanzate.

Domanda: Questo cittadino è vittima o magari si vuole sentire vittima e non promotore di un’azione per fare qualcosa che cambi questo stato di cose?

Risposta: Si, i cittadini che si sentono vittime di solito protestano e magari si sentissero sempre vittime … ciò già sarebbe uno stadio di consapevolezza avanzato, secondo me, già potrebbe portare a dei risultati civili notevoli, a meno che non ci sia una tendenza al vittimismo bello e buono di tipo psicologico, e quindi all’isolazionismo; ma quella è un’altra cosa. Però i cittadini che si sentono vittime di ingiustizie hanno - ed io l’ho sperimentato personalmente attraverso la mia professione - ormai moltissimi canali per essere ascoltati, moltissimi. L’importante è che abbiano consapevolezza di essere vittime di un ingiustizia. L’importante è che ci sia questo processo di consapevolezza, e se c’è questa consapevolezza, c’è anche il senso di responsabilità del cittadino: il cittadino così assume quella responsabilità di mettere in campo un cambiamento o di non provocare un cambiamento, in un senso o in un altro. Ecco, questo secondo me è il problema di fondo.

Domanda: Attraverso la sua professione lei dà una prova di questa consapevolezza costruttiva?

Risposta: Beh, si, sicuramente. Io collaboro ad una trasmissione particolare, a contatto con le denuncie dei cittadini. È il grado di consapevolezza dei cittadini - che è la cosa fondamentale - sui loro diritti, sulle loro conoscenze per evitare problemi a sé stessi e agli altri. Perché poi il problema è sempre quello: non solo rivendicare dei diritti che si hanno, ma anche mettere in campo una serie di percorsi per il riconoscimento dei problemi degli altri: questo sarà sempre più inevitabile.

 


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