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Note

Mediterraneo

di Umberto Cerroni


1. In cerca di una definizione

    Sono molte le definizioni che sono state date del Mediterraneo male più significative le ha certamente date Fernand Braudel. Sono definizioni che presentano il Mediterraneo come un contenitore storico. Eccone qualcuna: "Che cos'è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre". E poi: "il Mediterraneo è un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: bestie da soma, vetture, merci, navi, idee, religioni, modi di vivere". Ecco una poetica definizione della estensione fisica del Mediterraneo: "Il Mediterraneo si estende dal primo ulivo che si raggiunge arrivando dal Nord ai primi palmeti che si levano in prossimità del deserto". Ecco una definizione prosaica e cruda: "Il Mediterraneo non è mai stato un paradiso offerto gratuitamente al diletto dell'umanità. Qui tutto ha dovuto essere costruito, spesso più faticosamente che altrove". Ecco una definizione dei contrasti che caratterizzano il Mediterraneo: "siamo di fronte a due Mediterranei: il nostro e l'altrui". Una bella definizione alimentare-gastronomica: "Si può dire, semplificando, che il Mediterraneo realizza il proprio equilibrio vitale a partire dalla triade ulivo-vite-grano". Una asciutta definizione fisica: "il Mediterraneo non è che una fenditura della crosta terrestre". Una definizione prettamente dinamica: "Il Mediterraneo è un insieme di vie marittime e terrestri collegate tra loro, e quindi di città che, dalle più modeste alle medie, alle maggiori si tengono per mano. Strade e ancora strade, ovvero tutto un sistema di circolazione". Una definizione coloristica che può fare la gioia di una moderna agenzia turistica: "Il Mediterraneo è un mosaico di tutti i colori".

    Ognuna di queste definizioni mette a fuoco un aspetto del Mediterraneo, ma se dovessi scegliere sceglierei questa definizione: "Il Mediterraneo è uno spazio-movimento". Naturalmente ogni spazio del pianeta Terra è al tempo stesso - nella prospettiva della storia - uno spazio-movimento. Ma il Mediterraneo è quasi certamente la regione in cui il rapporto fra spazio e movimento è da sempre più intenso che altrove, la zona ove lo spazio ristretto viene da sempre come intensificato e allargato dal movimento che vi si svolge e ove la dinamica storica intensissima e veloce opera come un dilatatore dello spazio. Direi, appunto, che la piccola fenditura della crosta terrestre che chiamiamo Mediterraneo è stata smisuratamente dilatata e modificata dal moltiplicatore di una ricchissima storia di diecimila anni. Sempre Braudel ha scritto che "il passato del Mediterraneo è una storia accumulata in strati tanto spessi quanto quelli della lontana Cina". Ecco perché lo storico Braudel rifiuta la definizione del Mediterraneo come un lago, ecco perché gli viene in mente, piuttosto, il paragone con la sterminata Cina antichissima e popolarissima.

    Concludendo sulla definizione potremmo azzardare che Mediterraneo è la regione nella quale più che in ogni altra parte del pianeta Terra la storia ha modificato la natura, moltiplicandone grandiosamente la ricchezza.

 

2. Il principio del movimento

    Il principio del movimento sembra davvero il motore della civiltà mediterranea e anzi delle civiltà mediterranee. In ogni senso. il movimento fisico, per esempio, contrassegna tutte le grandi fasi della storia del Mediterraneo, che è una storia di immigrazioni e di emigrazioni, di invasioni e di conquiste, di arrivi e di partenze: dai Persiani ai Mongoli, dagli Arabi ai Turchi, ai Germani, ai Franchi il Mediterraneo fu una meta da raggiungere, mentre da Alessandro Magno a Cesare a Marco Polo a Cristoforo Colombo esso fu anche - sempre - un luogo da cui partire e a cui tornare dopo la scoperta di nuovi mondi. Forse proprio la struttura chiusa dello spazio mediterraneo, la sua apparente natura lacustre, ha suscitato o alimentato con particolare impulso la curiosità del confine, il gusto di scavalcare l'orizzonte. Il pensiero greco incomincia da qui: la conoscenza come meraviglia, la meraviglia come conoscenza di sé e degli altri.

    "Tutti gli uomini - generalizza Aristotele e ripeterà Dante- naturalmente desiderano conoscere". La curiosità spinge a sperimentare il nuovo, fa esprimere la meraviglia e sistematizza la ricerca: il logos da parola parlata diventa racconto poetico e poi discorso scientifico. E così nascono la lingua, la poesia e la scienza: l'essere umano si misura con le cose e diventa soggetto che deve mediare natura e umanità, essere e non essere, per diventare interamente umano. La natura umana diventa movimento, tensione, storia. La vita si accelera perché si intensifica: dal mondo chiuso si passa all'universo infinito.

    Si capisce che il primo eroe mediterraneo e il prototipo più durevole della civiltà diventi Ulisse. L'Ulisse omerico, navigatore avventuroso che investe la sua straordinaria energia distribuendola equamente fra la scoperta entusiastica del nuovo e la malinconia dolce del ritorno alla patria. E si capisce che Ulisse diventi, nella versione di Dante, lo scopritore di mondi che incarna la spinta civile "a divenir del mondo esperto, / e de li vizi umani e del valore". Appunto da questa crescente, molteplice esperienza del mondo nascerà la convinzione laica che "fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza". Ulisse diventa così il capostipite della schiera mediterranea che tenterà, generazione dopo generazione, il superamento delle colonne d'Ercole, simbolo di ogni confine fisico e di ogni limite intellettuale della conoscenza. Lo canterà anche Tasso: "Tempo verrà che fian d'Ercole i segni / Favola vile ai naviganti industri... Un uomo della Liguria avrà ardimento /All'incognito corso esporsi in prima... Tu spiegherai, Colombo, a un nuovo polo / Lontano sì le fortunate antenne / Ch'a pena seguirà con gli occhi il volo / La fama ch'ha mille occhi e mille penne".

    Non è azzardato pensare che da questa realtà mediterranea, da questo non-mito di Ulisse è nata, diffondendosi in ogni direzione del pianeta, l'ansia del mondo propria dell'homo sapiens, divenuta specifica natura del moderno Robinson, di Faust, di Don Giovanni, di Gulliver, di Achab, di Lord Jim. Vien da pensare che sulle rive dell'Adriatico, a Trieste - fra una lezione d'inglese e l'altra - anche Joyce abbia risciacquato nelle acque mediterranee i panni del suo Leopold Blum, Ulisse moderno vestito da irlandese. Persino Pikolo, il compagno di Lager di Primo Levi, capirà chi è Ulisse "nonostante la traduzione scialba e il commento pedestre e frettoloso" che tristemente gli si fa in attesa della zuppa. Anche lui - abbrutito dalla nostra barbarie di ritorno - riscopre Ulisse e la civiltà nel dialogo con l'intellettuale italiano e riceve il messaggio: "ha sentito che lo riguarda, che riguarda tutti gli uomini in travaglio, e noi in specie: e che riguarda noi due, che osiamo ragionare di queste cose con le stanghe della zuppa sulle spalle".

 

3. Densità della civiltà mediterranea

    Certo, il Mediterraneo è un mare di contrasti grandi e lo sviluppo della civiltà avviene in dura lotta contro la barbarie altrui e propria. La conquista della civiltà è sempre contemporaneamente uno smantellamento della propria barbarie: è uno star sveglio per impedire il sonno della ragione, che genera mostri. E la ragione stessa è Figlia di questa vegliante esperienza. Lo dirà in sintesi vigorosa Leonardo da Vinci, che più di ogni altro rappresenta questa mediterranea congiunzione fra l'esperienza della vita e del mondo e l'ordine sistematico della ragione: "Mia intenzione è allegare prima l'esperienza, e poi con la ragione dimostrare".

    La densità della esperienza è nel Mediterraneo tanto il principio del contrasto fra quiete e movimento quanto la causa profonda della costante e invincibile ripresa di umanità che segue ogni imbarbarimento: su questo piccolo specchio d'acqua si congiungono tre continenti, come non avviene - pare - in nessun' altra parte del mondo, si parlano forse duecento lingue profondamente diverse, nascono le filosofie e le letterature più grandi della storia, si organizzano i fondamenti della matematica e dell'alfabeto, della astronomia e della medicina, del diritto e della economia, della scienza naturale.

    In una area tanto ristretta e in una storia tanto densa contrasti e scontri sono difficilmente evitabili, se non proprio fatali. Possono essere soltanto inquadrati in un sistema di ragionevole convivenza e di umana tolleranza. Persino dal punto di vista fisico l'area si presenta diversificata come nessun'altra: comprende le vette delle Alpi e le bassure del Nilo, i ghiacciai e il deserto, il rigido inverno dei Pirenei e la eterna primavera delle Isole egee. Ma la multiformità è specialmente biologica: comprende le piante più dissimili e gli animali più diversi. Quanto agli uomini basta notare che qui si incrociano da millenni alcuni ceppi antropici fondamentali: quello ebraico e quello arabo, quello greco e quello latino, quello egizio e quello macedone, con presenze di albanesi, di turchi e di slavi. Senza dire che da questi ceppi si diramano storicamente rami di civiltà assai articolati come sono le componenti della civiltà ellenistica e bizantina, le molte sfumature del Maghreb arabo, le forti differenze delle civiltà romanze di Spagna, Francia, Italia. Sul piano ideale la complessità è ben resa dal fatto che qui sono nati e hanno convissuto lo spirito laico più precoce della storia umana - dal naturalismo presocratico al materialismo di Lucrezio all'etica stoica di Seneca - e le tre grandi religioni monoteiste: ebraismo, cristianesimo, islam.

 

4. Fecondità della convivenza

    La convivenza, si badi, è stata tanto la fonte più ricca della reciproca fecondazione quanto, spesso, la causa di scontri tremendi, acuiti dalla ristrettezza degli spazi ma ancor più dalla intensità delle convinzioni. Bisogna pertanto mettere bene in chiaro che la convivenza mediterranea è essenziale fondamento della civilizzazione, ma al tempo stesso una difficilissima conquista.

    Incominciamo dalla fecondità della convivenza. Su questo tema non si è riflettuto a sufficienza, spesso a causa dei fanatismi etnici e religiosi, ma anche a causa del dislivello raggiunto dalle diverse civiltà mediterranee nelle differenti fasi storiche. Tutta la prima parte della storia mediterranea ha registrato un moto propulsivo di civilizzazione che si muoveva sull'asse est/ovest. la civiltà orientale nelle sue varie diramazioni ha stimolato la civiltà greca, questa ha influito sulla civiltà romana e quest'ultima ha fornito elementi essenziali alla civiltà occidentale e alla cristianità. In una seconda fase, invece, si è avuto un moto di propulsione ovest/est che produsse le conquiste romane in Oriente, le Crociate e la cristianizzazione dell'Oriente. In una terza fase, dopo il XII secolo si ebbe un nuovo impulso da est e da sud stimolato dalla espansione intellettuale araba e su questa onda avvenne la riscoperta del mondo greco.

    Il Duecento segnò forse il culmine della influenza arabo-greca generando, con la riscoperta di Aristotele, un rinnovamento straordinario della cultura, che è stato gravemente sottovalutato. Basti pensare che la riscoperta di Aristotele fu dovuta principalmente alle interpretazioni e alle traduzioni di arabi ed ebrei e specialmente al benefico intellettuale fra la tradizione mistica di Avicenna e Al Cazali e quella nazionalistica di Averroè. Non è esagerato dire che quel contrasto penetrò nella cultura europea, ancora prigioniera del dogmatismo medievale, e provocò la rottura della vecchia teologia di matrice agostiniana e la fioritura di quel nuovo cristianesimo speculativo che annovera i nomi di Alberto Magno e di Tommaso d'Aquino. Al tempo stesso il cosiddetto averroismo latino avviò quella grande stagione protoilluministica, come è stata chiamata, che costituisce la prima, precoce fase della secolarizzazione intellettuale e politica dell'Europa. Il fulcro di questo rinnovamento si ebbe proprio in Italia, alla corte di Federico II, ove si concentrarono sia i primi cultori dell'aristotelismo arabo, sia i primi giuristi laici, sia i primi funzionari dello Stato assoluto moderno, sia i primi poemi europei nei quali il linguaggio poetico-letterario si separava dalla musica e dal canto.

 

5. Un laboratorio di integrazione

    La rivoluzione nazionalistica indotta dalla riscoperta di Aristotele mediata dal pensiero arabo è stata, dicevo, sottovalutata gravemente. Eppure senza di essa sarebbe incomprensibile, oltre che il ricordato rinnovamento della cultura teologica e filosofica cristiano-cattolica, la formazione culturale di Dante, primo poeta moderno ma al tempo stesso primo filosofo etico-politico della modernità. Sua è la grande intuizione delle "due felicita di" e perciò di una ricerca terrena e laica della felicità, della virtù, della tolleranza e della convivenza pacifica nonché della missione pacificatrice e felicitante della politica. Al centro di questa visione laica sta per un verso la centralità e autonomia della ragione e della conoscenza razionale e per un altro la riscoperta del grande retaggio della politica e del diritto di Roma, resa possibile dalla mediazione orientale di Giustiniano. Sul corpus iuris di Giustiniano lavorano appunto i nostri glossatori: quella schiera straordinaria di ingegni - da Irnerio ad Accursio - che daranno all'Europa la prima teoria della politica laica, autonoma dalla religione secondo le formule "rex in regno suo est imperator" e "civitas sibi princeps": tanto il re di un regno quanto i consoli di una città, cioè, possono e debbono assumere la piena titolarità e gestione della sovranità.

    Dante è un po' l'epicentro di questo incontro fra oriente e occidente e fra classico e moderno, che travolge il Medioevo. Ed è giusto sottolinearlo con forza perché l'ignoranza di questa svolta è forse all'origine della boria occidentalistica nei confronti del mondo greco-arabo e in genere orientale che registriamo in seguito. Dante pone al vertice della sua concezione del mondo la ratio come capacità di conoscere che è propria di ogni uomo. Cosi per la prima volta è scavalcata la divisione del genere umano secondo le etnie e secondo le religioni: essere uomo non è più la qualità dei greco o delcivis romanus e neppure del cristiano battezzato, dell'ebreo circonciso o del fedele musulmano. E perciò scompaiono i concetti stessi di barbaro, di eretico, di miscredente, di infedele e si impone la idea di una comune Humana civilitas, ben più ampia della Christianitas. In essa si disgregano le strutture mentali medievali della Res publica Dei, della Civitas Ecclesia e del Sacro Romano impero. Il maestro della ragione, per il cristiano Dante,è il non-cristiano Aristotele, il patrono poetico è il pagano Virgilio mentre proprio l'Ulisse greco, che era degenerato nel tecnicismo dell'astuzia, si riscatta come scopritore del mondo.

    Ma nell'età di Dante, che è di profonda commissione fra Oriente e Occidente, fra mondo pagano classico e cristianità medievale, fra cultura araba e civiltà romanze nascenti, abbiamo altri segnali di stimolazione critica della modernità ad opera dell'Oriente. Ho già parlato della rielaborazione del diritto rornano-giustinianeo in Italia (unico lembo dell'Occidente ove il diritto romano perdura sotto la tutela bizantina). Ma bisogna anche pensare alla rivoluzione artistica che nel Duecento scuote l'Italia e l'Occidente grazie al confronto-scontro con l'arte bizantina. Del resto questo rapporto fecondo con l'Oriente aveva una lunga storia nell'arte: si pensi ai templi grandiosi della Magna Grecia, autentico prolungamento italico della civiltà greca. Se si considera che in Italia si svolge tanta parte del cosiddetto pensiero greco (Pitagora, Scuola di Elea, Empedocle, Gorgia di Lentini) si ha il quadro di una forte, feconda interazione fra Occidente e Oriente in età preromana. Ma c'è poi tutta l'epoca bizantina che vede un forte influsso orientale specie sulla pittura: proprio in Italia si opera un innesto fecondo fra arte bizantina arte romanica e arte gotica da cui nasceranno le grandi scuole rinnovatrici della pittura senese, fiorentina e umbra. Forse bisogna dire che una importante componente della originalità e fantasia dell'arte italiana sta proprio in questo incontro Occidente-Oriente su cui si innesta anche un notevole impulso arabo-meridionale proveniente dalla Sicilia. Se si pensa, infine, alla presenza di un ramo nordico importato dai Normanni si può comprendere che cosa abbia causato la ricchezza artistica di città come Palermo, Siracusa, Taormina e la sorprendente potenza delle architetture normanne, sveve e angioine. L'Italia, per molti aspetti, costituisce un autentico laboratorio di integrazione e rifusione in cui tutte le civiltà mediterranee (e non solo queste) si incontrano e si fecondano reciprocamente. Non nasce da qui la fantasia italiana?

 

6. Politica e cultura

    Veniamo agli scontri. È vero che la convivenza di civiltà diverse non è facile e spesso è fonte di grandi difficoltà. Ed è altrettanto vero che questi scontri attraversano tutte le epoche e tutte le dimensioni del bacino mediterraneo: Greci/Persiani, Greci/Romani, Romani/Cartaginesi, invasioni barbariche e saracene, guerre gotico-bizantine in Italia, invasioni franco-germaniche, conquista araba della Spagna, invasioni turche, crociate cristiane in Palestina, conquiste coloniali franco-italiane-spagnole sulle rive sud e est del Mediterraneo.

    Questi scontri sono spesso non soltanto duri ma catastrofici sul piano economico-politico. Non lo sono invece sotto il profilo delle influenze culturali, linguistiche, artistiche, come si è già visto. Ciò deve indurre a una più netta distinzione fra politica e cultura, fra conquista politica e influenza culturale e quindi anche a una più netta distinzione fra orientamento della classe politica che dirige l'operazione di invasione o di conquista e orientamento degli operatori di civiltà che seguono la penetrazione politica. Le terre conquistate da Roma furono certo sottoposte a saccheggio, ma i resti della architettura romana nei paesi arabi sono un deposito di civiltà non minore delle costruzioni lasciate dagli arabi invasori in Spagna o delle chiese di Ravenna costruite sotto la dominazione bizantina.

    Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma si può forse già concludere che il segreto di una convivenza tra i popoli, nel Mediterraneo e nel mondo, consiste proprio nell'impedire invasioni, conquiste, dominazioni straniere e nel favorire tuttavia scambi, influssi reciproci, comunicazioni civili intense fra i popoli e le nazioni. In termini semplici ciò significa che teoricamente si impone una rigorosa pace e un interscambio multiforme.

 

7. Problemi urgenti

    Oggi questa soluzione teorica si impone anche come un programma pratico, ineliminabile e insostituibile.

    Pochi dati basteranno a sottolineare l'urgenza. Attorno allo specchio d'acqua mediterraneo che costituisce soltanto lo 0,7% della superficie liquida del pianeta vivono circa 350 milioni di uomini che- si calcola - diventeranno 540 milioni nel 2025. Ma la composizione interna di questa popolazione è in via di rapido mutamento: mentre la popolazione della riva nord, a basso tasso demografico, resterà pressoché inalterata, la crescita avverrà quasi esclusivamente sulle rive meridionali e orientali, abitate prevalentemente da arabi e turchi. Se si aggiunge che in tutta Europa è già presente anche una forte immigrazione araba e turca si può prevedere che questa componente diventerà una grande presenza fisica e culturale. Gli europei saranno forse soltanto i 2/5 della popolazione mediterranea. Corrispondentemente muterà il rapporto fra le tradizioni: crescerà la presenza delle tradizioni arabe e della religione musulmana di varia confessione, e quindi anche del contrasto che caratterizza i vari gruppi religiosi e la contrapposizione almeno mentale alle altre tradizioni e alle altre religioni. La odierna situazione della Bosnia contesa fra forze politiche che sono anche divise da contrasti etnici e religiosi è un significativo segnale di allarme. Il contrasto fra arabi palestinesi e ebrei israeliani è un altro segnale, che si aggiunge a tanti altri segni di disagio etnico e politico.

    Sul piano politico i problemi che si annunciano sono grandissimi, dunque. C'è innanzitutto da garantire che in questa situazione di profondo dinamismo fisico e demografico e culturale sia rigorosamente garantita la pace. Ma la pace può essere davvero assicurata solo se si garantisce preventivamente uno statuto di libertà, di democrazia, di rispetto dei diritti umani entro la cornice di Stati laici che riconoscono le carte fondamentali della democrazia moderna e dell'ONU. Ciò non sarà facile sia per i contrasti tradizionali che ci sono stati in passato e che sono in parte ancora accesi, sia perché la crescita demografica si unisce ad altri elementi di turbamento. Si pensi alla profonda disuguaglianza delle due grandi sponde mediterranee: quella europea registra un PIL pro capite di 6.000 dollari, quella afro-asiatica un livello di soli 1.000 dollari. In prospettiva la popolazione minoritaria sarà ancora più ricca - si può prevedere - e quella maggioritaria sempre più povera. Né si tratta di povertà poco rilevante, se è vero che nella sponda non europea soltanto un terzo del fabbisogno alimentare minimo è oggi garantito.

 

8. "Venite, amici miei"

    La garanzia di una convivenza pacifica e tollerante è dunque essenziale tanto per assicurare la ulteriore progressione della civiltà mediterranea, quanto per assicurare la sopravvivenza fisica del nostro mare in cui ogni anno si scaricano già oggi 350 milioni di tonnellate di materiali solidi. Secondo Cousteau, in queste condizioni e senza altre cause di aggravamento, in venti anni il Mediterraneo potrebbe morire. Se infine consideriamo che il Mediterraneo è l'epicentro di alcuni dei grandi conflitti che coinvolgono il mondo (Jugoslavia, Palestina, Iraq) abbiamo molte ragioni per affrettare un'opera di costruzione della pace e della convivenza pacifica. Forse proprio dal Mediterraneo deve oggi partire il primo segnale della possibilità di organizzare, nell'epoca che succede alla guerra fredda, un nuovo ordine internazionale fondato sulla solidarietà universale degli uomini.

    Del resto proprio qui, in questo piccolo e straordinario ombelico del mondo, sono nate alcune idee portanti della civiltà universalistica del genere umano. E se qui questo universalismo teorico è nato dovrebbe anche poter nascere un universalismo pratico che sia di esempio al mondo intero. Qui, con l'universalismo, sono anche nate mode idee essenziali della libertà moderna. Ricordarlo serve a recuperare certezze, ideali, speranze. Soprattutto l'idea dantesca intramontabile che "il genere umano quando ha raggiunto la massima libertà, si trova nella condizione migliore": Et humanum genus potissime liberum optime se habet. Con l'Ulisse moderno di Tennyson possiamo dunque dire: "Come my friends, it is not too late to seek a newer world": Venite amici, non è troppo tardi per cercare un più nuovo mondo.

 


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