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Recensioni

Gallino L., Globalizzazione e disuguaglianze, Roma-Bari, Laterza, 2000.


    Il volume di Luciano Gallino esemplifica il più diffuso atteggiamento dei sociologi oggi nei confronti della globalizzazione. Dopo un primo momento di enfasi definitoria e di delimitazione del fenomeno nei differenti settori, culturale, sociale, economico e politico, è ora giunto il tempo della riflessione sui limiti egli ostacoli che la globalizzazione comporta nella rappresentazione e nella gestione delle società e degli ambiti di riferimento "locali". Luciano Gallino, analizza, con il consueto pragmatismo e con la peculiare vivacità, le caratteristiche della globalizzazione economica fondata sulla diffusione universale del paradigma del mercato. L'autore ci ricorda come il mercato sia nato da una costruzione sociale e abbia avuto una importante funzione di strumento di informazione e regolazione della società fino all'avvento della rivoluzione infotelematica.

    La trasformazione dal mercato-luogo, con il suddetto ruolo sociale, al cyber-mercato, attraverso l'applicazione delle NICT, New Information and Telecommunication Technologies, ha segnato profondamente il contesto societario, annullandone le dimensioni spazio-temporali e apportando un'astrattezza degli scambi assoluta, in quanto sciolta da riferimenti concreti e tangibili (come nel caso della finanziarizzazione dell'economia), ma densa di effetti per individui, stati e società. Inoltre, i fenomeni legati alla globalizzazione economica hanno causato un riemergere della dimensione locale come contraltare e complemento alla mondializzazione. Con le parole di Gallino: "Il mercato come istituzione sociale è unico; ma entro di esso si formano di continuo, scompaiono e si ricostituiscono innumerevoli mercati".(p.21) Ciò che è interessante notare, in questa eterogenesi dei fini tra economia e politica, è il ruolo che lo Stato assume o dovrebbe assumere di fronte al nuovo ordine mondiale. Se l'autorità dello Stato non è più in grado di governare la politica a fronte di decisioni assunte da attori diversi, quali le aziende multinazionali o le organizzazioni sovranazionali dotate di poteri di intervento nelle economie dei singoli paesi, molte tradizionali funzioni statuali in materia economica perdono di senso. Sostiene a questo proposito l'autore: "Non pare azzardato affermare che se uno Stato ha perso il potere di governare l'economia anche la sua sovranità politica risulterà fortemente sminuita. V'è quindi da attendersi che il mercato e i mercati oggi configurati come reti senza confini… prima o poi solleciteranno per reazione e necessità di reciproci adattamenti, nel corso del XXI secolo, lo sviluppo di una nuova configurazione dello Stato". (BihrA./Pfefferkorn, Déciffrer les inégalités, Paris,p.512).

    Ma il problema del ruolo dello Stato non è l'unica questione politica che la globalizzazione pone; ad essa si affiancano il tema controverso del nuovo mercato del lavoro, con la sperequazione tra i livelli salariali del Nord e del Sud del mondo, il mutato legame tra attività produttiva, livello tecnologico ed esigenze di formazione dei lavoratori (problematiche affrontate con preoccupazione dalla Commissione europea con le iniziative e-Europe ed e-Learning), le condizioni di lavoro presenti nelle differenti aree locali del mondo globalizzato (si pensi al lavoro minorile, alle attività sommerse non strutturate e al fenomeno della sottoccupazione). Dunque, tali condizioni, capaci di provocare migrazioni di portata decisamente nuova e rilevante nel mondo occidentale, pongono problemi politici, cui le tradizionali strutture dello Stato non sono più in grado di fornire risposta. Uno degli effetti più rilevanti e a portata di osservazione è il radicalizzarsi della stratificazione delle disuguaglianze nel mondo globalizzato. E qui risiede uno degli argomenti più interessanti del testo di Gallino: l'autore, infatti, riesce a valutare in termini di misurazione della stratificazione socio-economica l'attuale ordine internazionale frutto della globalizzazione.

    Tale stratificazione, elaborata basandosi su elementi delle diverse tradizionali teorie individualistiche, storico-materialiste e funzionalistiche, è caratterizzata non solo dalla tipologia di attività che gli individui svolgono, ma anche da indicatori quali condizione formativo-culturale, integrazione nella società o nella collettività locale, appartenenza ad aree geografiche più o meno protagoniste del mercato globale. Il mix sbagliato di questi co-fattori (lavoro a basso contenuto di professionalità, scarsa istruzione/formazione professionale, localizzazione della produzione in un contesto geo-economico in recesso o tagliato fuori dalle rotte della globalizzazione, mancanza di comunità intermedie di sostegno in caso di disoccupazione) può portare a condizioni di esclusione e marginalità anche per la popolazione recentemente classificata da ricercatori francesi come "economicamente e socialmente integrata". Dunque, il rischio di passare attraverso una mobilità verticale discendente è presente per tutti gli individui, anche nelle società più avanzate, mentre è solo il caso di ricordare di nuovo le immense disuguaglianze che la globalizzazione ha evidenziato tra paesi e strati sociali in tutto il mondo.

    Dunque, che fare? Volendo escludere la tentazione di essere"globalofobi" (pittoresca definizione attribuita dal Presidente messicano Ernesto Zedillo a coloro che vedono nella globalizzazione esclusivamente elementi negativi) e con la consapevolezza che la globalizzazione non è un processo che apporta irreversibilmente solo benefici, occorre far riferimento alle teorie della global governance elaborate dalla Commission on Global Governance delle Nazioni Unite, attiva sin dal 1995. Con la global governance si intende introdurre una politica di gestione delle dinamiche relative al fenomeno della globalizzazione, finora regolato dal solo andamento dei mercati con le già enunciate conseguenze sul radicalizzarsi della stratificazione sociale del pianeta.

    L'Onu, in cooperazione con diversi attori collettivi, quali organizzazioni non governative, organismi internazionali a carattere regionale, amministrazioni pubbliche, distretti industriali, regioni e sindacati, dovrebbe sviluppare accordi multilaterali per monitorare lo stato dell'economia del mondo, fornire politiche strategiche a lungo periodo, supportare l'azione delle esistenti organizzazioni a carattere economico (Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, per esempio) e promuovere il consenso su temi economici internazionali (obiettivi enucleati e attribuiti a un mai realizzato Consiglio di sicurezza economica nell'ambito del Rapporto della Commission on Global Governance dal titolo Il nostro vicinato globale del 1995). Gallino si interroga sulla possibilità di realizzare obiettivi tanto astratti e propone delle alternative non necessariamente più concrete ma certamente più utili ai fini enunciati; esse consistono nella riduzione dello squilibrio di rapporti tra economia finanziaria ed economia reale, nel contenimento delle disuguaglianze a livello internazionale e nazionale, nella garanzia di una reale concorrenza tra le imprese e nella promozione dello sviluppo locale. Inoltre, l'autore auspica un incremento e una maggiore organizzazione delle iniziative dal basso contro il dilagare dell'economicismo del mercato. Ma tale elemento, considerato lo scarso livello di consapevolezza, nei confronti dei fenomeni economici, politici, sociali e culturali legati alla globalizzazione, manifestato nelle recenti manifestazioni di protesta, sembra un obiettivo che sarà possibile conseguire solo nel futuro, sulla scorta della lucida analisi offerta da volumi come questo.

 

Maria Cristina Antonucci


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