Home | La rivista | Ricerca | Autori | Approfondimenti | I nostri link | Iniziative | Forum | Servizi | Chi siamo

 

SAGGI

Diritti umani e disagio giovanile: un'ipotesi di analisi

di Cristina Mariti

"Soggetti capaci di comunicare e di agire pervengono a costituirsi come individui solo se imparano a riferirsi a se stessi in quanto esseri a cui, dalla prospettiva di altri che approvano, appartengono determinate qualità e capacità" (A. Honneth)

Coniugare diritti umani e disagio giovanile può apparire un'operazione azzardata, ciononostante, è attendibile l'esistenza di una connessione tra (auto)riconoscimento consapevole di essere titolari di diritti umani ed il disagio che il disconoscimento degli stessi produce.

Peraltro, la percezione del fenomeno della violazione dei diritti umani consente all'individuo in formazione di possedere quei paradigmi utili per meglio comprendere e valutare le dimensioni dei sistemi di significato del proprio vissuto, riducendo il rischio di comportamenti orientati al relativismo culturale.

L'esistenza del postulato che la conoscenza dei diritti umani può essere funzionale al superamento del disagio, dal momento che le categorie di riferimento sono comuni, costituisce lo spazio in cui si manifesta l'interdipendenza delle due dimensioni fenomeniche. Difatti, i campi di applicazione dei diritti umani rimandano alle relazioni familiari, alla libertà di espressione, all'istruzione, alla salute, al rispetto della dignità dell'individuo, che sono poi gli ambiti in cui il disagio trova alimento.

La crescente complessità sociale, peraltro, induce al proliferare dei diritti, in una sorta di iperdilatazione e richiesta di legittimazione di nuove categorie, delle quali viene reclamata la tutela. Simultaneamente a questo fenomeno, vi è la crescente sensibilizzazione del mondo occidentale rispetto alla questione della violazione dei diritti umani fondamentali, che si perpetua in larga parte del pianeta, specificamente in quello semi o sottosviluppato.

 

1. Le caratteristiche dei diritti umani: "occidentalizzazione"

Le caratteristiche della moltiplicazione e dell'universalizzazione dei diritti umani configgono tra di loro e, più ancora, con la specificità dell'individualismo e della soggettività, contenuti altrettanto ineludibili, dalla cui centralità i diritti stessi hanno tratto la loro essenza.

Pertanto, dato il fenomeno, nelle società occidentali, della crescente espansione delle aree suscettibili di istanze "garantiste" - tanto da divenire spesso laboratori di avanguardia - si rileva un triplice ordine di osservazioni: la prima rimanda al ruolo dell'Occidente quale promotore di progetti e iniziative emancipatorie in materia di diritti umani, i quali vanno ascritti fra le conquiste del pensiero occidentale e della sua evoluzione storica, ma sono conformati sul modello egemonico occidentale.

A questo proposito, fortunatamente, le generalizzazioni occidentali altrove appaiono rielaborate, a motivo della sovra e transnazionalità degli elementi culturali, delle caratteristiche strutturali e dei sistemi di valori, da altri soggetti storici e da altre espressioni culturali, in modo tale da eludere forme pericolose di sincretismi.

D'altro canto, la colonizzazione che le culture dei paesi sviluppati esportano nel resto del mondo, ha indotto rischi (e realtà) di omogeneizzazione culturale non trascurabili se, nel caso specifico, non fossero compensati dall'acquisizione di prerogative in difesa dell'individuo.

Eppure, essendo i diritti umani, il prodotto di una cultura e di una maturazione storica, non possono essere imposti - proprio in virtù del loro essere "diritti" - ma solo proposti, auspicati e legittimati "in un contesto internazionale di stati e di relazioni in continuo movimento: non a caso ogni rivendicazione di diritto nasconde già una condanna di fatto" (Gasbarro 1998).

 

2. "Internazionalizzazione"

Ciò conduce alla seconda considerazione, vale a dire all'internazionalizzazione dei diritti umani, processo di grande trasformazione del sistema giuridico: si è passati, infatti, da una concezione statocentrica, per cui le norme sono state basate sul privilegio della sovranità statale, ad una visione umanocentrica, che pone l'individuo e la sua dignità al centro del rapporto tra stati e popoli (Papisca 1996).

L'internazionalizzazione dei diritti umani è quel processo transnazionale, che tendenzialmente pone la questione della contrapposizione tra cittadinanza e cosmopolitismo dei diritti e che si è proposto di adeguare giuridicamente le garanzie costituzionali, in modo tale che fossero riconosciuti in tutto il pianeta i diritti fondamentali dell'uomo: l'imprinting della cultura occidentale, va da sé, ha orientato e condizionato il movimento transnazionale, sebbene importanti iniziative siano state promosse e realizzate da organismi panafricani, sudamericani e del mondo arabo.

Il processo che ha portato al principio dell'internazionalizzazione dei diritti umani, si è avvalso dell'impegno personale di individui che si sono mobilitati per il riconoscimento ed il rispetto dei diritti umani anche al di là dei confini nazionali di appartenenza, in una forma di movimento sovranazionale. I diritti umani sono divenuti, pertanto, presenza sostanziale nelle culture e nelle legislazioni di popoli e paesi fra di loro oltremodo diversificati.

Il riconoscimento (formale) dei diritti umani fondamentali, che, per l'appunto, si riscontra nelle carte costituzionali di tutti i paesi, è a tal punto diffusa da presentare la tendenza a considerare gli stessi diritti come "basic needs" e non come una "costruzione legalistica" (Papisca 1996) e il disconoscimento degli stessi come una violazione ai bisogni "per la vita".

La valenza implicita dei diritti umani come indicatori del progresso sociale, si è manifestata proprio con l'universalizzazione degli stessi, ossia quando le rivendicazioni dei soggetti, deboli o emarginati, sono state legittimate (parità uomo/donna, maggioranza/minoranze, sani/malati, liberi/schiavi): il contributo etico al progresso sociale non ha escluso e non esclude, peraltro, la combinazione con il fattore economico e tecnologico; vale per tutti, l'esempio dell'affrancamento dalla schiavitù e dai lavori forzati, disposto in nome di una conquista morale, ma reso praticabile dall'introduzione e dallo sviluppo della tecnologia.

Il richiamo pervasivo ad un'etica globale rende ancor più manifesta la discrasia tra collettività promotrici di nuovi diritti umani e comunità dove la discriminazione trova alimento su base etnica, religiosa, culturale, politica o dove il percorso legislativo ha solo esplorato il "diritto ad avere diritti".

 

3. "Specificazione"

La biografia dei diritti umani e le successive sistematizzazioni sono espresse secondo modalità diverse e sono passate dalla tutela delle libertà all'estensione degli ambiti delle libertà stesse: diritti civili, politici, economici, sociali, ambientali; oppure diritti di prima, seconda, terza, quarta e quinta generazione.

I soggetti fruitori divengono elementi caratterizzanti e distintivi del fenomeno della moltiplicazione e specificazione dei diritti umani: si parla, difatti, di distinzione in base al genere (uomini, donne, omosessuali), all'individuazione generazionale (minori, anziani), allo stato di salute (normodotati, disabili, sani, malati), al sistema di valori o disvalori (abortisti, antiabortisti, sostenitori del diritto all'eutanasia e alle modificazioni genetiche).

Il riconoscimento dei diritti "funzionali" comporta, non di rado, la somministrazione di sanzioni nel caso di inosservanza; il che significa che il riconoscimento di determinati diritti comporta l'esclusione dei diritti contrapposti: "il diritto è una struttura portante dell'esperienza comune, ma è altresì una tecnica di promozione, di controllo, di repressione dei comportamenti umani" (Frosini 1993).

Per quanto riguarda i diritti civili, politici e sociali, essi interessano l'agire sociale interrelazionale tra soggetti e tra questi e i poteri pubblici - rispetto ai primi (civili) l'individuo è protagonista nel suo ruolo di persona, ai secondi (politici) nel suo ruolo di cittadino, ai terzi (sociali) nel doppio ruolo di cittadino e persona - allorquando i diritti d'opinione e di espressione rimandano all'individuo nel suo solo essere persona.

Ciò riporta al terzo ordine di riflessioni, vale a dire il rilievo che ha nel dibattito il binomio universalismo/specificazione dei diritti, i quali "vengono reclamati e riconosciuti non più in nome dell'uguaglianza, ma in nome della diversità" (Bobbio 1990), avendo, nelle società occidentali, esaurito la prima fase dell'universalizzazione e rappresentando, in fondo, la stessa cultura che, oggi, è più organizzazione delle diversità che non riproduzione delle uniformità.

D'altronde, l'elaborazione dei progetti in tema di "liberazione" ha avuto due strumenti differenti, l'uno facente capo ai concetti di nazionalità e di cultura, l'altro all'idea di società civile e di civiltà e l'Occidente ha, di conseguenza, sviluppato due diversi modelli con presupposti fra di loro assai diversi: il primo - fondato sull'idea dello Stato-Nazione, con una cultura legata al territorio ed a un'identità autoreferenziale - incline alla conservazione per non pregiudicare il proprio patrimonio identitario, modello che tende a rapportarsi con l'esterno attraverso la riproduzione dei propri contenuti. Il secondo, che propone il concetto di popolo civile e di cultura, intesa come sistema di valori globali e che, attraverso le relazioni prodotte e sviluppate con la generalizzazione di metodo, costruisce una propria identità aperta alle logiche ed alle significanze relazionali, manifestando disponibilità alla revisione ed alla ricomposizione identitaria (Gasbarro 1998).

Più i diritti umani si diramano nelle specificazioni dei "mondi vitali", in virtù della centralità dell'individuo e delle sue esigenze e istanze poliformi, tanto più configgono con l'essenza cogente degli stessi, vale a dire l'universalità: la difficoltà, quindi, di armonizzare universalismo e relativismo produce effetti anche nella dimensione uguaglianza/diversità, poiché quanto più si rivendica il proprio particolare, tanto più si infrange il particolare altrui, proprio in nome della diversità. E' questo il nodo cruciale che la proliferazione degli ambiti dei diritti umani ha, in un certo senso, prodotto, in una sorta di dequalificazione della valenza universalistica ed un sovrariconoscimento dei particolarismi.

In quest'ottica, l'universalità dei diritti umani e la salvaguardia dell'identità individuale sono, assiomaticamente, inconciliabili, l'uno esclude l'altro se non si pongono in relazione gli stessi diritti umani dell'eguaglianza e del rispetto della diversità. Questo invoca il riconoscimento del proprio essere ineguale in forza della propria appartenenza ad un gruppo dotato di un sua specifica identità.

Da ciò, la deduzione che la iperproduzione di rivendicazioni non fa che acuire i conflitti tra detentori di diritti acquisiti e promotori di nuovi diritti che contraddicono i precedenti: l'antinomia rimanda al diritto alla vita e all'aborto, al diritto alla famiglia e al divorzio o all'evoluzione del modello familiare tradizionale, al diritto alla libertà individuale e alla tolleranza, al diritto alla tutela della salute e alla promozione delle nuove frontiere della bioetica, della manipolazione genetica fino all'ipotesi della morte per eutanasia.

Il dibattito, vivace e produttivo, non può tuttavia prescindere dall'aspetto speculare, vale a dire dalle violazioni di cui i diritti umani, in primis quelli fondamentali, sono oggetto in tanta parte del pianeta: il significato, il riconoscimento e il rispetto dei diritti umani appaiono come paradossi storici per la disomogeneità tra i vissuti "ipergarantiti" dell'Occidente e le esistenze marginali e disperate dei paesi sottosviluppati.

 

4. I diritti umani disconosciuti e violati

E' il tema del disconoscimento e della violazione dei diritti umani, che si presenta alle coscienze occidentali e si dipana in quel meccanismo perverso che vede l'Occidente procedere tra certezze, anomie e nichilismi, tra culto dell'individualismo e riscoperta dell'altruismo, tra sofisticati sistemi militari e movimenti trasversali di pacifismo, tra la competizione esasperata dettata da modelli vincenti e il recupero di una pace interiore; il tutto in un sistema massmediologico che alimenta l'ambiguità offrendo immagini che inducono all'incomprensione e ostentando, da una parte, i modelli da imitare delle società post-moderne e, dall'altra, le tremende deprivazioni di tanta parte dell'umanità.

Va da sé che la questione dei diritti umani è quella del riconoscimento dell'Altro - soggetto distinto ma portatore di pari dignità e di pari diritto a realizzare il suo dover-essere ed il suo progetto di esistenza, anch'esso unico ed irripetibile - e dell'affermazione del Sé, individuale e collettivo, che può, a sua volta, realizzarsi compiutamente solo con il raggiungimento del riconoscimento altrui (Honneth 1993)

L'individuo matura e raggiunge la propria autoaffermazione attraverso la propria autocoscienza ma, altresì, con l'intensificarsi dei rapporti di riconoscimento con il mondo sociale in cui vive: il modello, in caso di privazione, risulta incompleto poiché il riconoscimento di Sé dipende dall'Altro ed il soggetto arriva a costituirsi come individuo solo se impara a riferirsi a Sé in quanto essere a cui - dalla prospettiva altrui - appartengono determinate qualità e capacità (Honneth 1993).

E' un rapporto speculare, in cui ogni tentativo di violazione produce effetti affatto gratificanti, anzi lesivi dell'integrità del soggetto nella sua fisicità e nel rapporto che egli ha stabilito con se stesso; questo processo di autoriconoscimento viene conosciuto, elaborato e portato a termine durante le fasi della socializzazione primaria e secondaria, che implica le interazioni con la famiglia, la scuola ed il gruppo dei pari.

La piena e proficua consapevolezza dei soggetti giovanili di essere "Soggetti per Sé e custodi per l'Altro" è la precondizione per identificare il disagio e intervenire su quelle forme di malessere - che generalmente si produce nelle relazioni interpersonali tra mondo adolescenziale e agenzie della socializzazione - in modo tale da divenire strumento funzionale al superamento del disagio stesso.

Similmente, l'esistenza dei bisogni di affetto, stima, rispetto, che accompagnano la costruzione del Sé, riportano anch'essi al più generale ambito del riconoscimento ad opera dell'Altro: la regola umana di vivere, sentendosi e volendosi sentire centro - in senso relativo rispetto agli oggetti, ma in senso assoluto rispetto al Sé - si prolunga nel tempo del vissuto individuale. Il soggetto, nella sua opera di riconoscimento dell'altrui soggettività (di diritto attraverso il rispetto e la stima, di fatto attraverso l'affetto e il desiderio), tende a consolidare ed allargare la centralità del proprio Io rispetto all'ambito di riferimento contingente, proprio in virtù del meccanismo di autoalimentazione del riconoscimento di Sé e dell'Altro (Morin 1996).

 

5. Giovani e identità

La combinazione delle dinamiche che intervengono nella fase adolescenziale - durante la quale la relazione educativa si propone di trasferire, da generazione a generazione, il patrimonio comportamentale in una sorta di sistema di rete, perlopiù adultocentrica - sono divenute ulteriormente complesse per l'insorgere e la stabilizzazione del fenomeno di "adolescenza protratta", che, per contingenze legate perlopiù all'ambito economico, con ricadute su quello familiare e sociale, ritarda l'ingresso nell'età adulta.

La maturità "anagrafica", che sopraggiunge "ope legis", non coincide con la conclusione del processo formativo e, troppo spesso, sembra sempre più stemperarsi nel tempo, con indefinibili indugi nel compimento del processo di autocostituzione: il che allude, tra l'altro, anche alla necessità di valorizzare il dualismo diritti/doveri e renderlo operativo nell'agire sociale.

Non è affatto estranea a questo fenomeno, la crisi delle tradizionali agenzie di socializzazione e la contemporanea progressiva rilevanza del gruppo dei pari, i cui stili di vita, i valori e comportamenti divengono patrimonio comune ed esclusivo della generazione di appartenenza, con l'effetto di una sostanziale autonomia dai modelli tradizionali degli adulti: lo "strappo" si produce dopo lunghi anni di conformazione alla volontà altrui, di rapporti di subordinazione, di insufficiente senso di "autorità", di "anticamera" del loro futuro.

Il percorso identitario, che nel passato rappresentava la sintesi delle molteplici esperienze vissute individualmente e collettivamente, viene, invece, sperimentato attraverso un'operazione di riduzione della complessità e di affermazione della propria soggettività: il comune sentire dei giovani, eterni adolescenti, portatori spesso di identità posticce, li porta a considerare se stessi, anche con il concorso del riconoscimento altrui, come "categoria" a sé.

La tendenza dei giovani a percepire le norme come imposte dall'alto è elemento del processo di interiorizzazione, eppure i nuovi modelli legislativi in materia di diritti umani raccolgono, viceversa, le istanze provenienti dal basso, in virtù delle mutate condizioni sociali e dell'evoluzione dei comportamenti individuali e collettivi.

Questo orientamento giovanile va attribuito alla scarsa propensione, emblematica della fase generazionale, a non riconoscere e, in un certo senso, a non legittimare l'autorità, in quanto ostacolo al processo di autoaffermazione della propria soggettività.

In forza di ciò, è ipotizzabile nell'universo giovanile, un percorso di maggiore attenzione e, conseguentemente, di maggiore consapevolezza nell'esercizio dei diritti umani che prevedono relazioni interpersonali, consentendo l'espressione della propria soggettività e della propria identità in formazione.

 

6. I diritti umani: una proposta di categorizzazione

Lo schema sinottico, non tenendo conto del confine tra età minorile e maggiorenne, attiene ai diritti umani più significativi per i giovani1, che sono stati sistematizzati secondo l'ambito di riferimento:

 

Categoria

Proposta

Ambito

di riferimento

Diritti "contrapposti"/

Diritti "riparatori"

Forme di disagio/

Violazione dei diritti

 

Diritto alla famiglia

Diritto al divorzio

Abbandono familiare

Deleghe affettive

Abuso di minori

Diritti "interazionali"

Diritto alla riunione ed associazione pacifica

Diritto

alla legalità

Marginalizzazione

Isolamento

 

Diritto

alla pace

Diritto all'intervento umanitario

Utilizzo di minori

in guerra

 

Diritto

alla vita

Diritto all'aborto

Proposte sull'eutanasia

Pratica dell'aborto

Ricorso al suicidio

Diritti "identitari"

Diritto all'uguaglianza

Diritto alla diversità

(disabili,omosessuali)

Diritto alle pari opportunità

Discriminazione

ed emarginazione sociale

 

Diritto al pensiero, alla coscienza, alla religione

Diritto

alla libertà

Discriminazione

ed emarginazione sociale

 

Diritto all'opinione

e all'espressione

Diritto

Alla tolleranza

Discriminazione

ed emarginazione sociale

 

Diritto

all'istruzione

 

Abbandono scolastico

Lacunosità nel percorso formativo

Diritti "funzionali"

Diritto

alla salute

Diritto alla

Contaminazione ambientale

Tossicodipendenza

 

Diritto

al lavoro

 

Avvio al lavoro

in età minorile

 

7. Diritti umani e disagio

Il disagio che emerge dall'universo dei giovani va opportunamente contestualizzato attraverso la duplice distinzione tra coloro che rientrano nella fascia minorile - per la quale l'esigenza prevalente è quella di vedersi tutelati e garantiti dall'adulto, in quanto soggetti di diritti, ma non legittimati a rivendicarli personalmente - e coloro che, viceversa, con il passaggio anagrafico alla maggiore età, acquisiscono la titolarità dei propri diritti.

Una seconda distinzione, assai più emblematica, rimanda al confine tra normalità e patologia: i ragazzi borderline, che vivono la frontiera tra situazioni abituali di difficoltà ed eccezionali di devianza, meritano attenzione ed interventi notevolmente differenziati.

I problemi del malessere si manifestano con le difficoltà a maturare relazioni umane e sociali, a sviluppare il processo di identificazione individuale e collettiva, a esprimere e soddisfare i bisogni relativi all'affettività e alla solidarietà, dimensioni che, seppur con toni più sommessi, sono presenti altresì nel mondo giovanile che rientra nei canoni della normalità.

Dato che il postulato ineludibile è quello della costruzione identitaria, cioè "di differenziarsi elaborando la diversità", il bisogno di identificazione assume una valenza oltremodo significativa, ma la complessità, l'instabilità e la differenziazione sociale non ne facilitano il percorso. Difatti, le logiche motivazionali dell'agire umano spesso appaiono messe in discussione e l'operazione di riduzione della complessità deve coniugarsi con elementi quali la frammentarietà dei ruoli, l'inevitabile ampliamento dei mondi vitali, il sistema esasperato delle aspettative familiari e sociali, la tendenza alla mobilità, la pluralità delle opportunità e delle scelte, la crescente esigenza di autonomia, in una società "globale" in cui i "saperi" e la neutralità dei dati hanno sostituito la sapienza

In quest'ottica, nodale è il passaggio dalle relazioni "verticali" familiari e scolastiche a quelle "orizzontali" con il gruppo dei pari, caratterizzate da un'angolazione "privatistica", impermeabile, in cui prevale l'incompiutezza progettuale, l'indeterminatezza e la variabilità degli obiettivi, la condivisione delle esperienze come forma principe di comunicazione relazionale (Ranci 1985).

E' quindi prevalentemente nel rapporto con le agenzie di socializzazione, che sono poi quelle assegnate alla costruzione identitaria (famiglia, scuola, gruppo dei pari) che si sviluppa il disagio.

In sintesi:

Peraltro, l'errata o incompleta fruizione dei diritti o le circostanze che si producono con la fruizione dei diritti "contrapposti" o "riparatori" producono forme di disagio: abbandono e marginalizzazione scolastica che inficia il diritto allo studio, isolamento dal gruppo dei pari che non permette l'ancoraggio al diritto alla libera associazione, impropria educazione alla salute ed uso di sostanze stupefacenti che contrastano con il diritto alla salute, una scorretta educazione alla sessualità e il ricorso alla pratica abortiva che vanno in una direttrice che configge con una configurazione religiosa.

 

8. Conclusioni

Il nodo cruciale di produzione di malessere, riguarda, come più volte evidenziato, l'autoaffermazione attraverso il riconoscimento di e dall'Altro e, conseguentemente, il ruolo di agente attivo o passivo dell'azione di diritto: centrali, in quest'ottica, sono i diritti alla diversità (disabili, omosessuali) e alla tolleranza, vale a dire l'incontro con il "diverso" dal Sé e il suo diritto a godere delle stesse prerogative.

Da verifiche empiriche è emersa sostanzialmente una maggiore "obbedienza" dei giovani a quelle norme, e quindi a quei diritti, che afferiscono sia alla sfera relazionale (privata e pubblica), condizionate da scelte di coscienza che si ispirano a "regole" superiori, sia a quelle fondate sul principio di sinallagmaticità, che prevede cioè prestazioni corrispettive (Ferrari 1995).

Parimenti, il disagio emerge nelle aree che rimandano alla percezione del proprio futuro, al senso di appartenenza ed identificazione nel proprio territorio e alle dinamiche, queste solitamente efficaci, stabilite con il gruppo dei pari: la matrice culturale diviene in gran parte confine della differenziazione sociale e responsabile della produzione e manifestazione del disagio (De Nardis 1998).

Le rappresentazioni sociali, che divengono realtà condivise, e sono prodotte dalle relazioni sociali, politiche, economiche significano, non di rado, un esempio ambiguo e contraddittorio di valori e disvalori "adulti" per la coscienza giovanile che abbisogna, viceversa, di costruirsi una visione del mondo con opportunità e garanzie troppo spesso sconosciute.

Di contro, corre l'obbligo di orientare la sensibilità, l'attenzione e la consapevolezza dei giovani - che, per l'appunto, sono potenzialmente titolari e fruitori di molteplici ed eterogenei diritti umani - verso quelle moltitudini di individui, da loro molto o poco diversi per "razza, colore, religione, lingua, opinione politica, origine nazionale e sociale, ricchezza, nascita" (ONU 1948) e che i mezzi di comunicazione lasciano, di tanto in tanto, "affacciare" alla loro quotidianità: l'Altro è anche lì.

 

Note

1. Sono stati stralciati i diritti umani che non sono correlabili al disagio giovanile (sicurezza, equa giustizia, proprietà, partecipazione politica).

 

Riferimenti bibliografici

Bobbio N., L'età dei diritti, Torino, Einaudi, 1990.

De Nardis P., Profondo Centro. La mancata promessa nella terra promessa, Roma, SEAM, 1998.

De Finis G., Scartezzini R. (a cura di) - Universalità e differenza. Cosmopolitismo e relativismo nelle relazioni tra identità sociali e culture - F. Angeli, Milano 1996.

Ferrari V., Giustizia e diritti umani. Osservazioni sociologico-giuridiche, Milano, F. Angeli, 1995.

Frosini V., Teoria e tecnica dei diritti umani, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1993.

Gasbarro N., Ripensare i diritti umani. Per un'antropologia delle compatibilità culturali, in A. Santiemma (a cura di) Diritti umani. Riflessioni e prospettive antropologiche, Roma, La Goliardica, 1998.

Honneth A., Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di un'etica post-tradizional, Messina, Rubbettino, 1993.

Morin E., La vita della vita, Milano, Feltrinelli, 1987.

ONU, Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, New York, 1948.

Papisca A., Diritti umani. Il paradigma dell'universale, in De Finis G:, Scartezzini R. (a cura di), Universalità e differenza. Cosmopolitismo e relativismo nelle relazioni tra identità sociali e culture, Milano, F. Angeli, 1996.

Ranci C., La solitudine del gruppo. Ricerca sulle forme di aggregazione spontanea degli adolescenti, in <Sociologia e Ricerca Sociale>, 17/18, 1985.

 


Home | La rivista | Ricerca | Autori | Approfondimenti | I nostri link | Iniziative | Forum | Servizi | Chi siamo