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Note

Ufficio Relazioni Interne.

Un antidoto all'alienazione del dipendente pubblico

di Barbara Sabella

 "Le risorse umane vanno al di là di ogni immaginazione.

Esse si espandono illimitatamente quando le persone cominciano a pensare".

Taiichi Ohno

Viviamo in un contesto globalizzato. Il mercato ne porta le tracce più visibili nei macro-obiettivi di innovazione e adattamento che le aziende pubbliche e private hanno assunto a imperativo. Il cambiamento spazio-temporalmente accelerato del mercato in tutte le sue componenti (tecnica, cliente, fornitore, prodotto, territorio, ecc.) impone nuove regole del gioco da cui nessuna realtà organizzativa può esimersi. L'amministrazione pubblica, nel nostro paese come altrove, negli ultimi decenni ha dovuto ripensare se stessa, valutando un cambiamento che investisse ogni sua componente.

In particolare, a cominciare dagli anni '90 in Italia si è avviata una produzione normativa indirizzata all'ottenimento dell'inscindibile binomio efficienza-efficacia dell'azione amministrativa attraverso la sua semplificazione. Semplificazione come delegificazione, in altri termini, semplificazione delle fonti dell'azione amministrativa; come liberalizzazione, riducendo materialmente il numero dei procedimenti (di ogni attività privata soggetta al regime amministrativo); infine, come semplificazione procedimentale in senso stretto, attraverso la riduzione delle fasi procedimentali e l'accelerazione dei processi decisionali (ci si riferisce essenzialmente alla Legge 241/90 e Leggi 'Bassanini' 59/97, 127/97, 191/98, 50/99).

La normativa ha offerto le leve per il cambiamento, un cambiamento che partisse dall'alto, dalla dirigenza, dai manager. A loro l'impegno di realizzare obiettivi specifici in tempi determinati, la responsabilità dei risultati conseguiti, la capacità di motivare i propri dipendenti. Tutto questo senza però un'adeguata formazione degli stessi, senza un bagaglio culturale appropriato. Ne consegue la comparsa di inedite forme di alienazione.

Per dirla con Marx, la forma estrema di alienazione si raggiunge quando i risultati degli eventi sono parzialmente determinati dagli interessi degli attori coinvolti nell'azione. Se ogni individuo è responsabile al minimo dei risultati che raggiunge, significa che l'attore collettivo (l'organizzazione e/o la società) funziona sempre di meno sulla base degli interessi di coloro che lo costituiscono.

Questa è la patologia più insidiosa e pericolosa delle organizzazioni contemporanee in particolare pubbliche. Con il termine-concetto alienazione si identifica sia il senso di impotenza e di estraniazione da sé sia la condizione in cui il lavoratore ha perso il controllo sul prodotto o sui valori del proprio lavoro. L'aspetto scientificamente più interessante dell'alienazione è la sua variabilità in relazione al tipo di occupazione e il fatto che una stessa posizione funzionale, il più delle volte, è vissuta in maniera completamente diversa da individuo a individuo.

L'alienazione determina insoddisfazione legata al lavoro, bassi livelli di impegno e di interesse e un comportamento assenteista. Spesso causa di vere e proprie malattie fisiche e/o psichiche essa determina simultaneamente un disagio personale, organizzativo e sociale (in famiglia, nella vita sociale, eccetera).

Un'azienda che non si accorge che i suoi membri o parte di essi vivono uno stato di 'alienazione' dimostra di non saper curare i propri interessi, perché ogni organizzazione è fatta principalmente dagli individui che la compongono. Non esiste organizzazione senza risorse umane, non c'è efficacia né efficienza dove un gran numero di lavoratori è insoddisfatto del proprio lavoro e immotivato. Come ci ricordano Negro e Susio, "le persone desiderano recuperare il loro ruolo sociale, la loro credibilità, la loro immagine non positiva che la situazione attuale pone" (G.Negro, B.Susio, 2001). Essi ricercano maggior potere esclusivamente per poter dare attraverso il lavoro un contributo all'organizzazione, per sentirsi utili, per dimostrare a se stessi di essere capaci ed esperti e ricevere riconoscenza. Prevale in ogni realtà organizzativa un grande bisogno di riconoscimento e di merito che andrebbe accolto e soddisfatto per il benessere dell'intera organizzazione. Una soluzione potrebbe essere ricercata attraverso una gestione flessibile delle risorse umane che preveda tra i suoi obiettivi primari l'ottimizzazione delle allocazioni.

Un'organizzazione, pubblica o privata, inserita nel mercato globale non può permettersi, e questo non solo a parere dei teorici delle contingenze1, di procurare alienazione tra gli attori singoli che compongono la sua 'essenza' se ha come obiettivo quello di rimanere sul mercato e di farlo perseguendo uno sviluppo all'insegna di sempre più efficienza ed efficacia, in una parola sola, essere concorrenziale. Allora, quale suggerimento si propone?

Oggi, sembra prevalere il modello di sviluppo total quality. Una volta implementato, si dovrebbe seguire passo passo la vita del prodotto o servizio dell'azienda curando un insieme di sottosistemi base quali il sistema organizzativo, il management, le "risorse umane", il cliente, oltre che alcuni meccanismi propri della qualità. Le risorse umane perciò essendo uno dei sottosistemi base dell'organizzazione devono ricevere da parte della stessa una 'cura' costante, cosa che nelle realtà organizzative pubbliche sembra poco presente.

Curare le risorse umane significa puntare su una gestione flessibile delle stesse. La gestione flessibile si ottiene oltre che dall'allentamento dei vincoli contrattuali e normativi (pensiamo per esempio alla legislazione e ai contratti dell'ultimo decennio indirizzati al cambiamento della pubblica amministrazione) e anche, se non soprattutto, dalla capacità di impiegare e allocare le risorse umane sulla base delle competenze realmente possedute, sulle attitudini, sugli interessi, sulle aspirazioni e sulle potenzialità che andrebbero incoraggiate e stimolate. Tutto ciò dovrebbe realizzarsi indipendentemente da ogni forma di consuetudine o automatismo, legando ad esse sia la valutazione delle prestazioni2 sia gli altri processi di politica retributiva, equa rispetto al contributo dei singoli membri.

Come osserva Battistelli (1998), nella rivalutazione del Total Quality Management3, scaturisce l'importante distinzione tra "cliente esterno", tipico interlocutore che qualsiasi fornitore può incontrare nel mercato e "cliente interno", che ha funzioni direttamente produttive (acquisti, gestione del personale, magazzino, amministrazione). Se il prodotto, nel passaggio da un'unità organizzativa all'altra (da un dipendente a un altro), rispetta i criteri di qualità, nel senso che nel tragitto incontra esclusivamente lavoratori, ad esempio bene allocati e bene 'fomati-informati', ne risulterà avvantaggiata l'intera produzione e, in ultimo, il cliente esterno.

Nel privato è sempre esistito un certo interesse per la cura delle relazioni intraziendali (marketing interno), mentre, nel pubblico, se è recentissimo l'interessamento per il cliente-utente, realizzatosi concretamente con l'istituzione dell'Ufficio per le Relazioni con il Pubblico (U.R.P.), dello sportello unico per le imprese e con l'introduzione della carta dei servizi (decreto legislativo 29/93), sono ancora del tutto assenti forme di marketing interno che valutino lo stato delle risorse umane curandone i diversi aspetti lavorativi, sociali, umani. Ci si è preoccupati di istituire uffici atti alla soluzione dei problemi e al soddisfacimento dei bisogni dei clienti esterni e si è del tutto trascurata l'ipotesi di fare altrettanto per coloro che in qualche modo sono lo specchio della realtà organizzativa pubblica, i clienti interni. Questa distrazione ha con molta probabilità continuato ad alimentare quella retorica prevalente e per nulla promettente che vede l'organizzazione pubblica come il 'cattivo' e il privato come il 'buono'.

Qualcosa si è fatto, molto altro si dovrà fare. Nell'ultimo decennio del secolo scorso si sono presi provvedimenti normativi che hanno iniziato ad apportare modifiche sostanziali per la ristrutturazione dell'amministrazione pubblica coinvolgendo responsabilmente la dirigenza e concentrandosi sulle richieste provenienti dai clienti-utenti .

Per esempio si può menzionare la riforma sanitaria introdotta dal D.Lgs. 502/92 (mod. in D.Lgs. 517/93), e successivo D.lgs 299/99 (decreto Bindi) che trasforma le Unità Sanitarie Locali in Aziende, puntando all'avvio di un processo di cambiamento non esclusivamente organizzativo, ma anche e soprattutto 'culturale'. L'elemento trascurato è proprio il dipendente. A nostro avviso è poco probabile che si realizzi un cambiamento culturale se non c'è un coinvolgimento totale delle risorse umane, dal top manager all'ultimo dei dipendenti. La squadra risulta sempre 'vincente'.

E' auspicabile perciò un'armonizzazione tra pubblico e privato che permetta all'amministrazione di creare al suo interno le condizioni necessarie al miglior utilizzo degli individui che abbiano evidenziato certe attitudini e competenze4, in altre parole, di creare le condizioni che favoriscano lo sviluppo delle naturali tendenze lavorative del singolo e un cambiamento il più possibile coerente.

La membership di qualunque organizzazione deve essere guidata e incentivata e questo è certamente uno dei compiti primari della dirigenza. Essa è depositaria del codice morale dell'organizzazione e potenziale interprete del codice morale di ogni membro e dunque l'unica capace di coinvolgere la membership nella vision dell'organizzazione e nella superiorità di questa sugli interessi personali (Barnard 1970).

In Italia, negli ultimi decenni, l'amministrazione pubblica si è trovata costretta, alla stregua dell'impresa privata, a dover fronteggiare un ambiente incerto e instabile. Dal D.lgs. 29/93 va assumendo un peso sempre più rilevante il controllo di gestione (D.lgs. 286/99) e la dirigenza pubblica è investita di una responsabilità diretta. Essa, alla luce dei più recenti provvedimenti legislativi, è sottoposta a valutazione ex-ante ed ex-post; possiede un nuovo sistema di retribuzione calcolato sulla base di specifiche posizioni organizzative (disposte attraverso l'affidamento di un incarico) e calibrato sui risultati raggiunti.

Questo nuovo assetto affida ai manager (si pensi ai direttori generali degli enti locali) piena responsabilità gestionale. Inoltre, il profilo giuridico ed economico del rapporto di lavoro della dirigenza risulta sostanzialmente conforme ai canoni privatistici, in alcuni aspetti è innovativo e fortemente avanzato, anche rispetto ai contratti di aziende private, soprattutto per il "peso" quantitativo dato alla retribuzione accessoria e per la completa abolizione degli scatti d'anzianità.

A questo punto, la domanda che sorge spontanea è questa: I dirigenti pubblici sono dotati di sufficienti skill5 di direzione? Possono essere considerati dei veri leader? E ancora: la politicità di questo genere di organizzazioni consente loro di agire con autonomia? La cultura del dirigente, nato e cresciuto nel vecchio sistema burocratico, non è forse un freno al cambiamento? I leader naturali (informali), che si creano all'interno di un'azienda pubblica, sono messi nelle condizioni di poter emergere o comunque di operare bene, al fine di favorire l'organizzazione? E poi, quali sono gli strumenti tecnici e il capitale umano a disposizione dell'amministrazione pubblica e dei propri manager, in questa fase di cambiamento continuo? E, soprattutto, in quali condizioni lavorano i membri delle realtà organizzative pubbliche?

Molto è stato fatto per curare il rapporto che l'azienda pubblica ha con il cliente-utente. Per esempio, l'istituzione degli U.R.P. ha consentito all'utente di essere maggiormente compreso nei suoi bisogni specifici e all'azienda di fornire un servizio concorrenziale. Eppure, a nostro avviso, è visibilmente paradossale l'abisso esistente tra apparato normativo-contrattuale e realtà struttural-culturale della amministrazione pubblica. Per questo è auspicabile un intervento organizzativo che si preoccupi anche del cliente interno: il dipendente che non di rado risulta male allocato, perciò incapace di offrire la migliore prestazione, rappresenta spesso un ostacolo al raggiungimento degli standard di efficienza ed efficacia attesi dalla azienda. Quale strategia adottare?

Un'idea è quella di istituire Uffici che si curino delle relazioni interne per mezzo del lavoro interdisciplinare di un team di professionisti con competenze ed esperienze professionali diverse (psicologi e sociologi del lavoro, esperti di normativa e contrattualistica aziendale, programmatori informatici, eccetera). Accanto agli Uffici di Relazione con il Pubblico ci sarebbero Uffici preposti alle Relazioni Interne (U.R.I.).

Il team dell'U.R.I. avrebbe come primo obiettivo quello di allocare in maniera ottimale le risorse umane per creare più servizio a pari risorse e raggiungere con successo gli obiettivi aziendali puntando non solo sui finanziamenti, sulle tecniche e sulla buona capacità di progettazione e amministrazione, ma anche e soprattutto sulla dotazione di beni relazionali, sulle coalizioni tra soggetti, su reti collaborative, sulla cultura civica e su una buona allocazione delle proprie risorse umane.

Il Potere burocratico descrittoci da Max Weber e più tardi da Crozier è stato minato e cosi la sua tendenza al livellamento e alla impersonalità formalistica. Il tipo ideale di funzionario che adempie la propria funzione sotto la pressione del semplice concetto di 'dovere', senza senso etico passione, oggi non è in grado di affrontare e tanto meno superare efficientemente le richieste di continuo cambiamento provenienti dal mercato.

Essere motivati, per il nuovo dipendente pubblico, significa trovarsi ad operare nel 'posto giusto', perché messo nelle condizioni di realizzare le proprie competenze e la propria professionalità alimentando gli skill che possiede.

L'obiettivo di un eventuale team che operi in materia sarebbe quello di realizzare le condizioni per un personale aziendale non più minimamente alienato ma sempre più motivato e coinvolto, che senta come proprio il risultato del miglioramento, determinando una serie di benefici, tra cui: una corretta realizzazione delle direttive dell'azione amministrativa impartite dai decisori politici; una realizzazione efficiente ed efficace degli obiettivi da parte dei responsabili di struttura; un'alta qualità dei servizi offerti al cliente esterno; un clima aziendale favorevole.

Nello specifico, sarebbe possibile curare: la quantità e qualità delle informazioni a disposizione della Dirigenza aziendale; la creazione di un comune linguaggio per la gestione del personale; la conoscenza approfondita delle diverse condizioni proprie dei sottosistemi organizzativi; la valorizzazione e conseguente sviluppo delle competenze individuali in rapporto a determinati ambiti organizzativi; lo sviluppo simultaneo delle risorse umane; infine, un forte stimolo e un supporto all'innovazione.

 

Note

1. La Teoria delle contingenze fa la sua comparsa tra gli anni '50 e gli anni'70 a cominciare soprattutto dalla Gran Bretagna con lo scopo di esaminare le connessioni esistenti tra il variare di alcuni aspetti della struttura interna delle organizzazioni e il variare di una serie di fattori contingenti, sia interni sia esterni alle organizzazioni stessa, quali: dimensioni, tecnologia, settore di attività, divisione del lavoro, esercizio dell'autorità, controlli e gerarchie e altro ancora. Gli esponenti più noti: J. Woodward; Lawrence e Lorsch; J. Thompson (1967) -

2. Valutazione da intendersi come scambio costruttivo fra le parti e come contributo per apportare continue migliorie all'attività di cui si tratta.

3. modello tipicamente giapponese, in Italia comincia ad essere usato, sempre più di frequente, in relazione alla produzione e alla fornitura di servizi pubblici. Per la filosofia della qualità totale l'obiettivo aziendale è innanzi tutto quello di incorporare la qualità "all'interno d'ogni singola fase del processo produttivo".

4. Le caratteristiche della competenza sono: a) proprietà fisiche e mentali che gli individui acquisiscono lungo la loro storia; b) proprietà di ordine affettivo, caratteriale, etico (spirito d'iniziativa, lealtà, costanza, senso della disciplina, pragmatismo, eccetera).

5. Con Il termine Skill ci si riferisce alle capacità. Skill e competenze insieme danno vita al comportamento.

 

Bibliografia

Barnard C., Le funzioni del dirigente, Torino, Utet, 1970.

Battistelli F., Burocrazia e mutamento, FrancoAngeli, Milano, 1998.

Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, FrancoAngeli, Milano, 1998.

Crozier M. , Le monde des employés de bureau, 1969, (trad. It.) Il mondo degli impiegati, Angeli, Milano, 1970.

G. Negro, B. Susio, "Le nuove rotte organizzative: modelli ed esperienze per gli enti locali", FrancoAngeli, Milano, 2001.

M. Basetti, Un sistema integrato di gestione delle risorse umane, FrancoAngeli, Milano, 2001

Mintzberg H., Structure in Fives. Designing Effective Organizations, Prentice-hall, (trad.it.) La progettazione dell'organizzazione aziendale, Il Mulino, Bologna, 1985.

Weber M. (1922), (trad.it.) Economia e Società, 2 voll., Comunità, Milano, 1961.

 


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