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Saggi
Il ruolo del tempo nella sociologia di Giddens: alcune riflessioni
di Andrea Valzania
Le tematiche temporali sembrano aver svolto per lo più un ruolo secondario nella teoria sociale fino a quando non si è in qualche misura cominciato a distinguerle da una loro troppo stretta identificazione con i concetti di mutamento e di evoluzione predominanti nelle grandi narrazioni e nella maggior parte delle scuole sociologiche classiche.
In questa sede analizzeremo il lavoro del sociologo, Anthony Giddens, che forse si è caratterizzato più di altri nel corso degli anni per avere cercato di avvalorare questa operazione, costruendo la sua riflessione scientifica nella direzione di un superamento di tutte quelle contrapposizioni dicotomiche che hanno storicamente condizionato il cammino della disciplina e impedito, nella sostanza, un corretto uso del concetto di tempo all'interno della teoria sociale.
Come è stato proposto in maniera assai suggestiva, gli scritti dello studioso inglese possono essere considerati come un complesso research programme all'interno del quale la teoria della strutturazione appare inserirsi come una "rete a maglie larghe" ("a loose-knit web") di concetti, uno dei quali, sicuramente tra i più importanti, risulta essere la temporalità1. Seguendo la strada indicata da questa metafora, il presente lavoro ha scelto di sviluppare la propria riflessione senza affrontare direttamente la teoria della strutturazione. E' stata nostra intenzione, infatti, quella di circoscrivere il campo di analisi, per quanto possibile, intorno al solo uso del concetto di tempo, alla ricerca esclusiva delle radici teoriche di questa scelta.
Per questa ragione si è ritenuto utile procedere cercando di ricostruire una sorta di percorso critico del cammino che il tempo ha compiuto fino a diventare un elemento primario nella interpretazione giddensiana della società.
La riflessione è stata articolata in tre parti: la prima dedicata ad una analisi dell'iter storico del concetto (par. 1,2,3); la seconda alla natura del tempo nella cosiddetta fase radicale della modernità (par.4); la terza, infine, ad alcune considerazioni finali (par.5).
1. Il tempo come critica delle impostazioni dicotomiche
Il primo lavoro nel quale, seppur marginalmente, compare una certa attenzione per la dimensione temporale può essere individuato nelle Nuove regole del metodo sociologico, dove Giddens prende le distanze soprattutto da quelle teorie che, in maniera tendenziale, sembrano avere privilegiato una concezione della realtà sociale come qualcosa di oggettivamente precostituito e hanno puntato ad assimilare la loro epistemologia e i loro obiettivi a quelli della scienza della natura (Bernstein, 1989)2. Ciononostante, l'autore ha ben presente anche il rischio di contrapporre a queste insoddisfacenti soluzioni quelle, altrettanto insoddisfacenti, di un soggettivismo idealistico che ignori del tutto l'analisi strutturale, imputabile prevalentemente alla filosofia della azione anglo-americana (Giddens, 1976).
La prima formulazione della nozione di strutturazione quindi, perché questo è uno dei nodi centrali del saggio, deve essere vista anche alla luce di questa tensione critica verso un superamento della visione dualistica della realtà sociale, superamento che può avvenire soltanto se il nuovo concetto rappresenta la costruzione della vita sociale come prodotto di soggetti attivi (cosa che è assente nel concetto di struttura). Per il momento, tuttavia, lo sforzo di Giddens sembra essere concentrato prevalentemente sul confronto teorico con i classici della disciplina, e il concetto di strutturazione (così come la sua temporalità) sembra essere concepito più come uno strumento utile ad interpretare alcuni passaggi teorici propri dell'analisi delle differenti tradizioni sociologiche che non, come invece diverrà più tardi, il concetto centrale di una teoria.
Tre anni dopo, lo studioso introduce invece il concetto di strutturazione spazio-temporale sostenendo la centralità dello spazio e del tempo nella teoria sociale e caratterizzando quindi tutta l'analisi sulla dimensione spazio-temporale:
"A prima vista niente sembra essere più banale del fatto di asserire che l'attività sociale si sviluppa nel tempo e nello spazio. Ma nessun tempo o spazio sono stati incorporati al centro di una teoria sociale; piuttosto sono di solito considerati come 'condizioni ambientali' (environments) nelle quali la condotta sociale si svolge" (Giddens, 1979, p.202)3.
Proprio per questo allora, Central Problems in Social Theory ricopre per il nostro particolare oggetto di analisi una importanza centrale, nonostante l'evidente "complementarietà" (Giddens, 1991) con la successiva elaborazione propria della Costituzione della società.
Come è stato osservato (Perulli, 1996), Giddens sembra imputare la responsabilità maggiore per la assenza della dimensione temporale nella teoria sociologica al pensiero funzionalista (Giddens, 1977) e, seppure in termini diversi, anche allo strutturalismo4, reo di avere identificato il tempo con il mutamento sociale attraverso l'opposizione dualistica "statico/dinamico" che presuppone "la possibilità di una analisi statica e atemporale dei fenomeni sociali"5. Questa dicotomia, a sua volta, ha tendenzialmente contribuito a favorire una sorta di equazione meccanicistica tra stabilità e statica, come se la prima fosse estranea al cambiamento. In realtà, il concetto di stabilità sembra essere strettamente legato a quello di mutamento dal momento che "perfino a livello teorico l'assimilazione di statico con stabilità incorpora furtivamente un elemento del tempo. Parlare di stabilità sociale non può generare un'astrazione dal tempo, dato che stabilità significa continuità nel tempo" (Giddens, 1979, p.199).
Giddens sembra così auspicare una rottura con questa interpretazione della realtà sociale, da una parte attraverso l'introduzione della temporalità nella analisi (che in un certo senso sembra far decadere consequenzialmente la dicotomia), dall'altra, attraverso la teorizzazione della cosiddetta dualità della struttura, che è insieme il mezzo e il risultato della riproduzione delle pratiche.
Inoltre, per integrare questa analisi spazio-temporale dei sistemi sociali, essendo questi ultimi considerati come sistemi di interazione, Giddens sembra servirsi in maniera assai cospicua dei contributi dell'etnometodologia, che ha evidenziato la serialità dell'attività dei partecipanti nello studio del turn-talking nella conversazione6:
"(...) nell'interazione face to face, la presenza di altri è la maggiore fonte informativa utilizzata nella produzione di incontri sociali. La distinzione sociologica "micro/macro" pone l'enfasi nel contrasto tra piccoli gruppi o larghe collettività o comunità; ma una più profonda differenza è tra interazione face to face e interazione con altri che sono fisicamente assenti (e spesso anche temporalmente assenti). L'estensione dei sistemi sociali nello spazio e nel tempo è un'evidente caratteristica del completo sviluppo della società umana" (Giddens,1979, pagg. 203-204)
In questo modo, infatti, è possibile evidenziare il carattere spazio-temporale non solo dell'interazione ma anche dello scambio epistolare o di una semplice telefonata provando realmente come tempo, spazio e ripetizione siano indissolubilmente intrecciati nella vita sociale e nella sua riproduzione quotidiana.
Tuttavia, è anche vero che sembrano esistere alcune differenze tra la percezione temporale nelle società moderne e la percezione temporale di società nelle quali la tradizione ha un ruolo predominante. Ma se la tradizione sembra subire una profonda trasformazione non appena cessa di essere "pura" riproduzione sociale a causa dell'avvento dell'alfabetizzazione e, per certi versi, anche dello sviluppo della scrittura, il concetto di tempo assume significati ed implicazioni differenti proprio nel momento in cui diventa un fenomeno distinguibile in sé:
"E' allora probabilmente ragionevole dire che, come per la tradizione, il tempo non è distinguibile come una 'dimensione' separata nelle culture tradizionali nei termini di conoscenza temporale: la temporalità della vita sociale si esprime nell'intreccio tra presente e passato che la tradizione promuove, nella quale il carattere ciclico dell'attività sociale è predominante. Non appena il tempo viene riconosciuto come un fenomeno distinguibile nel suo stesso interesse, e come inerentemente quantificabile, così diventa anche osservabile e sfruttabile come risorsa scarsa" (Giddens, 1984, p.201).
2. Dalla critica della teoria della storia alla nozione di distanziazione spazio-temporale
Le problematiche temporali sembrano essere al centro anche della riflessione critica di Giddens sul materialismo storico (Giddens, 1981), ritenuta dallo stesso autore strettamente connessa con Central Problems in Social Theory (Giddens, 1984). Come sappiamo, il sociologo inglese affronta in quest'opera il pensiero di Marx senza alcuna volontà 'distruttiva', né tantomeno 'ricostruttiva', nella convinzione che sia più interessante e proficuo per le scienze sociali, nonché meno velleitario, mettere in luce ciò che dell'opera di Marx sembra essere ancora oggi un importante contributo di analisi e ciò che invece appare ormai inutilizzabile e sociologicamente fuorviante.
La stessa struttura del libro, quindi, tende ad orientare tutti gli argomenti trattati in una sorta di confronto dialettico con il materialismo storico, dai concetti di tempo e di spazio alle analisi del potere e della sua riproduzione, fino alle critiche del funzionalismo e dell'evoluzionismo. Differentemente dalle altre opere, qui l'Autore sembra delimitare strumentalmente l'analisi critica delle due teorie sociali appena citate in funzione marxiana. Del resto, secondo l'autore, per quanto riguarda i rapporti tra marxismo e funzionalismo vi è un confine assai incerto:
"(...) nozioni funzionaliste appaiono (...) negli scritti di molti marxisti così come in quelli di altri scienziati sociali nominalmente avversi al pensiero funzionalista. Molti passaggi in Marx sono direttamente funzionalisti nel tono, o possono essere costruiti in un modo funzionale. Così il rifiuto del funzionalismo non è certamente irrilevante per una critica contemporanea del materialismo storico" (Giddens, 1981, p.15).
Tuttavia, per quanto riguarda le problematiche temporali e il ruolo del tempo all'interno dell'opera di Marx, le riserve principali sembrano essere manifestate nella critica dell'evoluzionismo implicito alla concezione marxiana della storia come una progressiva espansione lineare delle forze di produzione di società in società. Questa idea dello sviluppo per stadi successivi è da rifiutare secondo Giddens non solo perché sociologicamente errata, ma anche perché sprovvista di una teoria del potere e dello stato accettabili e, soprattutto, perché appare sottovalutare fortemente il ruolo del non economico, in particolare nell'analisi delle società non capitalistiche.
Giddens sembra sostenere infatti, sulla scia degli studi dell'antropologia economica (Grendi, 1972) e delle opere di Marshall Sahlins, la preminenza nelle società non capitalistiche delle "risorse autoritative" su quelle "allocative", criticando Marx per avere invece teso sempre a privilegiare il ruolo delle seconde nella sua concezione della storia7 fino a cadere anche nel cosiddetto errore della "distorsione temporale".
Nella sostanza, la "distorsione temporale" sembra ricordare proprio il 'fraintendimento' che Giddens imputa al funzionalismo nella sua rigida contrapposizione statico/dinamico:
"(...) per distorsione temporale intendo la propensione dei pensatori evoluzionisti a presumere che la storia possa essere scritta solo come mutamento sociale, che il trascorrere del tempo sia una sola cosa con il mutamento, il che è confondere la storia con la storicità" (Giddens, 1984, pagg.235-236)
In alternativa a questa prospettiva Giddens introduce la nozione di distanziazione spazio-temporale, cioè il modo nel quale ogni sistema sociale si "allunga" ("stretches") e si "incastra" ("embedded") nel tempo e nello spazio8. Il coordinamento di più sistemi sociali attraverso il tempo e lo spazio comporterà allora una certa combinazione delle due forme di risorse citate sopra e, parallelamente a questo coordinamento, il continuo intersecarsi di presenza e assenza nel tempo costituirà la condotta sociale della vita quotidiana. E' in questo modo, infatti, che sembrano svilupparsi e intrecciarsi tra loro le differenti temporalità implicate in ogni passaggio della riproduzione sociale:
"C'è la temporalità dell'esperienza immediata, il continuo scorrere della vita quotidiana: quello che Schutz, seguendo Bergson, chiama la durée dell'attività. C'è la temporalità del Dasein, il ciclo vitale dell'organismo. C'è infine quella che Braudel ha chiamato la lunga durata del tempo delle istituzioni" (Giddens, 1981, pp.34-37).
3. La temporalità come routine
Questo schema interpretativo delle tre forme temporali che sembrano costituire il contesto all'interno del quale si sviluppa quotidianamente la rete di relazioni sociali (gli incontri), si ritrova intatta, anche se più articolata, all'interno del lavoro forse più importante di Giddens, e cioè La costituzione della società (1984).
In questa opera, infatti, i passaggi teorici affrontati negli scritti precedenti sembrano essere ordinati con una maggiore rigorosità, anche se tutto è costruito come sempre al di fuori di qualsiasi progetto o ipotesi di grande teorizzazione, in conformità con quella che è la ferma contrarietà di Giddens a privilegiare i temi epistemologici (Giddens, 1984b).
Da un punto di vista specificatamente temporale, l'analisi del carattere routinizzato delle attività sociali quotidiane sembra porsi come la riflessione centrale dell'analisi sociologica di Giddens non solo per quanto riguarda lo studio sul ruolo che il tempo assume nella vita sociale ma anche, più generalmente, per l'intera teoria della strutturazione.
Come afferma lo stesso autore:
"(...) il concetto di routinizzazione, in quanto fondato sulla coscienza pratica, è vitale per la teoria della strutturazione. La routine è parte integrante sia della continuità della personalità dell'agente impegnato a percorrere le sue attività quotidiane, sia delle istituzioni, che solo in quanto si riproducono continuamente sono tali" (Giddens, 1990, p.61).
La routine sembra essere fondamentale per la stessa dualità della struttura il cui funzionamento necessita di un concreto bilanciamento tra attore e struttura9.
Mediante queste caratteristiche, infatti, la ripetizione contribuisce in maniera sostanziale ad organizzare e rendere possibile quel sentimento di sicurezza ontologica della continuità dell'individuo che è alla base del contratto implicito tra individuo e sapere astratto delle strutture. La serialità degli incontri e la loro generale ripetitività quotidiana diventano così il punto di riferimento implicito di ogni azione sociale, il presupposto sociale, potremmo dire, per la stessa sicurezza esistenziale. Riprendendo l'analisi di Erikson sull'ansia, Giddens sostiene che il sistema di sicurezza ontologica dipende dalla "centralità del corpo nelle prime fasi dell'evoluzione ontogenetica infantile" e poi, attraverso il consolidamento progressivo del suo ruolo, dallo sviluppo graduale di una rete di "legami di fiducia con l'ambiente prossimo che ne fornisce il modello e il supporto per legami più vasti e per l'internalizzazione di norme sociali generalizzate" (Addario, 1995, p.67).
In questo modo i meccanismi seriali sembrano imporsi anche in qualità di vincoli per l'agire sociale. L'aspetto vincolante della routine, in particolare, sembra risiedere nella caratteristica scontatezza con la quale l'individuo vi si confronta, accettandola come un dato di fatto ineluttabile ed adeguandovi la propria condotta sociale quotidiana.
Contemporaneamente, allo stesso modo delle strutture che sono regole e risorse per l'azione, anche questi vincoli si caratterizzano per una sorta di doppia natura a un tempo coercitiva e abilitativa, diventando così qualcosa di estremamente diverso dal vincolo proprio della prospettiva oggettivista10:
"Nelle relazioni sociali umane, i soli oggetti in movimento sono gli agenti individuali che impiegano delle risorse per far accadere, intenzionalmente o no, delle cose. Le proprietà strutturali dei sistemi sociali non 'agiscono su' alcuno come forza della natura, così da 'costringerlo' a comportarsi in un determinato modo" (Giddens, 1984, p.178).
4. Il tempo nella fase "radicale" della modernità
Com'è noto, il dibattito epistemologico delle scienze sociali sembra essersi caratterizzato negli ultimi tempi, semplificando, nella contrapposizione tra coloro che sostengono come ipotesi di fondo il fatto che il sapere cambi di statuto con l'avvento della cosiddetta postmodernità (Lyotard, 1979, trad.it.1981), e coloro che cercano invece di contrapporvi l'idea di un metodo scientifico coerente e la possibilità di un sapere sociale generalizzabile (Habermas, 1985; trad.it.1991).
Tra queste due opzioni Anthony Giddens, mostrando ancora una volta una posizione piuttosto originale, sembra scegliere "un'altra strada"; per marcare ancora più nettamente questa sua diversità, il sociologo inglese sostiene come la società occidentale contemporanea si trovi all'interno di una "fase radicale" della modernità che, pur restando altra cosa rispetto alla postmodernità, sembra paradossalmente proprio la sua corretta interpretazione, caratterizzandosi, da un punto di vista dei contenuti, per la sua natura multidimensionale e riflessiva. Giddens stesso, d'altronde, afferma come tutti i contributi filosofici che sono alla base della teoria postmoderna, da Nietzsche ad Heidegger, dalla critica all'empirismo alla critica delle "grandi narrazioni", "più che portarci al di là della modernità [...] offrono una maggiore comprensione della riflessività connessa alla modernità stessa" (Giddens, 1990, trad.it. 1994, p.56).
La natura ambivalente della modernità, il lato oscuro per cui dietro la facciata positiva delle "opportunità" e del progresso risiedono il rischio e il pericolo, sembra avere imposto una sorta di condizione di incertezza diffusa che ha comportato una situazione di "istituzionalizzazione del dubbio". In un contesto come questo, le caratteristiche della modernità sembrano implicare una concezione del sapere "circolare" che mentre opera è a sua volta oggetto di studio, comportando di conseguenza una necessaria rottura con quelle impostazioni che tendono ad equiparare dal punto di vista epistemologico le scienze sociali con le scienze naturali.
Nella sociologia giddensiana, questa circolarità del sapere sembra tradursi nella teoria della strutturazione in una riflessività/ricorsività delle istituzioni e degli attori sociali e, per quanto riguarda il ruolo proprio del sociologo, in una condizione di continua trasformazione delle conoscenze che rende praticamente impossibile qualsiasi legge universale e implica una "doppia ermeneutica" tra lo studioso e l'oggetto in analisi.
Il rapporto tra modernità e riflessività evidenzia invece come, rispetto al passato, la riflessività assuma un diverso significato diventando più complessa:
"la riflessività della vita sociale moderna consiste nel fatto che le pratiche sociali vengono costantemente esaminate o riformate alla luce dei nuovi dati acquisiti in merito a queste stesse pratiche, alterandone così il carattere in maniera sostanziale" (Giddens, 1990, trad. it. 1994, pp.45-46).
La riflessività, quindi, non è soltanto una caratteristica propria del sapere moderno ma è anche un elemento fondamentale nella vita quotidiana, soprattutto per quanto riguarda la consapevolezza del proprio agire sociale che ciascun soggetto deve avere nel rapporto di fiducia verso i suoi simili e verso i sistemi astratti (sistemi che ricordano da vicino la background knowledge di Popper). In questo senso, secondo Alain Touraine, la modernità teorizzata da Giddens sembra privilegiare "nettamente l'idea di sistema, prolungando la nozione durkheimiana di solidarietà organica" rispetto all'individuo (Touraine, 1992, trad.it.1993, p.43) 11.
La concezione della fase radicale della modernità appare comunque caratterizzarsi principalmente per altri due aspetti: la discontinuità e il dinamismo.
Il primo aspetto, proprio della sua interpretazione "discontinuista" dello sviluppo sociale moderno (Giddens, 1985), non è usato in senso marxiano ma è altresì concentrato quasi esclusivamente sulle trasformazioni proprie della modernità in una critica radicale dell'evoluzionismo.
Le trasformazioni della modernità appaiono infatti assai più profonde e per certi versi incomparabili rispetto al passato, basti pensare, per esempio, al ritmo del cambiamento (la rapidità del succedersi degli eventi) e alla sua portata, ma anche alla natura delle istituzioni che, come nel caso dello stato-nazione, sono particolarità uniche della età moderna. Pertanto, continuare a concepire la storia come una "sommatoria" di periodi legati tra di loro da un filo logico evoluzionistico sembra essere l'approccio teorico peggiore per cercare di comprendere la modernità.
La modernità è infatti dinamica e globalizzante e sembra così dipendere dalle sue caratteristiche temporali, tanto che Giddens sostiene come "anziché fare eccessivo assegnamento sull'idea di 'società' - intesa come sistema vincolato - dobbiamo prendere le mosse da un'analisi del modo in cui la vita sociale è ordinata nel tempo e nello spazio" (Giddens, 1990, trad.it. 1994, p.70).
Questa natura dinamica sembra essere caratterizzata prevalentemente da tre fattori: la separazione del tempo e dello spazio; la disaggregazione dei sistemi sociali; l'ordinamento riflessivo dei rapporti sociali. Anche la globalizzazione sembra essere caratterizzata nel suo complesso soprattutto da questi tre processi che, interagendo reciprocamente, formano una sorta di stiramento spazio-temporale delle relazioni tra le forme e gli eventi sociali locali e distanti.
La relazione spazio-temporale e il suo cambiamento rispetto alle società del passato sembrano giocare così un ruolo di primo piano all'interno dello sviluppo della modernità non solo perché coordinano tutto il processo, ma anche perché lo caratterizzano in un modo assai originale.
Tuttavia, la separazione del tempo e dello spazio sembra implicare i risvolti più interessanti. Il tempo viene infatti progressivamente standardizzato attraverso i calendari mondiali e l'avvento dell'orologio meccanico separandosi in maniera sempre crescente dallo spazio. Dopo la sua definitiva standardizzazione sembra svuotarsi e "lo svuotamento del tempo" è in larga misura il presupposto per lo svuotamento dello spazio finendo per incidere su quest'ultimo in maniera direttamente causale. Questa trasformazione comporta successivamente anche la separazione dello spazio dal "luogo" che si può forse sintetizzare nella possibilità di rapporti tra persone "assenti", o quantomeno lontane tra di loro, evidenziando così una profonda diversità rispetto alle società pre-moderne caratterizzate invece dalla coincidenza tra spazio e luogo e dal dominio della "presenza".
Ma l'importanza della separazione del tempo e dello spazio all'interno del processo dinamico della modernità diviene evidente secondo Giddens soprattutto nei confronti di tre aspetti: 1) è diventata la condizione primaria di alcuni processi di disaggregazione, processi che permettono attraverso una maggiore distanziazione spazio-temporale un mutamento più ampio oltre la sfera esclusiva del locale; 2) è il meccanismo che aziona "l'organizzazione razionalizzata" della vita sociale moderna in senso globale; 3) è la caratteristica fondamentale della storicità radicale.
In altre parole, se da una parte la separazione del tempo dallo spazio sembra generare una sensazione di astratta impotenza da parte dell'individuo nei confronti di questi mutamenti così profondi che ridisegnano i loro contesti (passaggio tradizione-modernità), dall'altra invece, appare diventare uno tra i principali strumenti di organizzazione sociale comunemente accettati, come può mostrare in maniera abbastanza evidente l'esempio dell'orario: " un orario, come quello ferroviario, può sembrare a prima vista una semplice mappa temporale. In realtà è uno strumento di ordinamento spazio-temporale che indica sia quando sia dove arrivano i treni. Come tale permette il complesso coordinamento dei convogli, dei passeggeri e delle merci su ampi tratti di spazio-tempo" (Giddens, 1990, trad.it. 1994, p.30).
5. Alcune osservazioni conclusive
Nel complesso quindi, l'utilizzo del tempo da parte di Giddens non appare soltanto una operazione di riposizionamento del concetto all'interno della analisi sociale ma anche un modo differente di fare teoria e di inserirsi all'interno del dibattito moderno/postmoderno.
Probabilmente è vero, almeno in parte, come sostengono alcuni suoi critici, che l'operazione teorica tenda a volere includere tutta la realtà sociale in un unico modello di spiegazione (anche se sarebbe forse più opportuno nel caso specifico parlare di comprensione). Ma forse è altrettanto vero che questo non sia il suo fine reale, dal momento che tutta la teoria giddensiana non aspira ad avere alcuna pretesa di sistematicità, soprattutto in senso epistemologico.
Diversamente da altri studiosi, invece, ed è questo uno dei suoi pregi maggiori, Giddens sembra operare un approccio al tempo "dall'interno"; in altre parole, il tempo non è soltanto misura di mutamento ma anche e soprattutto una parte dei fatti stessi che mutano. In questo senso la sua idea della temporalità è anche un'idea pluralistica, e quindi nuova, all'interno della teoria sociologica, abituata generalmente a concetti univoci, consentendo una maggiore libertà di azione al soggetto nel rapporto tra vincolo e opportunità.
La letteratura più recente non ha evidenziato una particolare attenzione da parte dei sociologi a confrontarsi con le tematiche temporali da un punto di vista epistemologico. Questo ci appare evidente anche quando ci troviamo di fronte a quegli studiosi che hanno cercato di porre il tempo al centro della loro teoria, ovvero a coloro che hanno dedicato una attenzione teorica maggiore di altri colleghi al tema. Ma tutto questo non è un caso, nemmeno per un autore come Giddens che, come abbiamo già detto, ha ammesso di non lavorare su aspetti epistemologici in senso stretto "ma anzi di metterli tra parentesi il più possibile" (Giddens, 1984b).
L'autore infatti, insieme ad altri studiosi (in particolare Norbert Elias), sembra avere indicato a tal proposito un'altra strada alle scienze sociali, sintetizzabile nella condizione ontologica e non epistemologica che il concetto di tempo deve assumere nella teoria sociale. Per questi autori infatti il tempo appare indistinguibile dalla società, perché in fondo è la società nei suoi momenti statici e nei suoi periodi di mutamento. Diventa un'operazione davvero rischiosa, pertanto, trattare il concetto di tempo come un qualcosa di separabile e analizzabile a parte, come alcuni studiosi recentemente hanno pensato di fare. Non c'è spazio teorico-analitico, insomma, per una sociologia del tempo a la Zerubavel (1985). Di fronte ad una scelta del genere, Giddens sembra consigliarci invece un uso della temporalità diverso, onnipervasivo e non strumentale, con il quale analizzare la società e arrivare a comprendere meglio alcuni suoi processi sociali.
Note
1 E' questa l'interpretazione elaborata da D. Gregory (1989, pagg.185-186) sull'esempio del modello scientifico reticolare della Mary Hesse (1974)
2 A nostro avviso, comunque, collocare anche Durkheim nel funzionalismo così rigidamente (allo stesso modo di Radcliffe-Brown, Malinowski e Spencer, per esempio), o perlomeno nella critica al funzionalismo, come sembra fare Giddens (1976; trad.it. 1979, p.167), appare per lo meno scientificamente 'forzato', così come presentare tutta la sua teoria del mutamento, comtianamente, "come un'astratta teoria di tipi di società collocati in una gerarchia evolutiva".
3 Originale, rispetto alla tendenza di considerare lo spazio esclusivamente come environment dell'azione sociale, sembra essere ancora oggi l'analisi di Simmel (1989), che "applica la definizione dello spazio di Kant come la possibilità di stare insieme all'ambito sociologico in quanto l'interazione rende ciò che precedentemente era vuoto in qualcosa per noi, lo riempie in quanto lo rende possibile" (D. Frisby, 1985, p.148).
4 "Nel pensiero strutturalista, la relazione tra temporalità, storia e la dicotomia 'sincronico/diacronico' ha avuto molta più attenzione che non dentro il funzionalismo. Per certi versi, questo è dovuto senza dubbio allo scambio (interchanges) tra Levi-Strauss e Sartre" (Giddens, 1979, p.199) .
5 Giddens ha evidenziato numerose volte queste l'uso erroneo di questa contrapposizione: Central problems in Social Theory, pagg.101-102; pagg.217-218; A Contemporary Critique of Historical Materialism, pagg. 29-30; Profiles and Critiques in Social Theory, pagg.54-55.
6 In questo senso (ma non solo) fondamentale sembra essere anche l'influenza di Goffman, poi formalizzata nella Costituzione della società (cap.2); su questo cfr. anche: A.Giddens, 1984c; A. Giddens, 1987.
7 Ma se questo 'taglio' analitico ci appare condivisibile, non lo è allo stesso modo, ci sembra, il fatto di analizzare tutta la teoria marxiana prevalentemente, per non dire esclusivamente, a partire dalla "Prefazione" del '59 a Per la critica dell'economia politica (cfr. Giddens, 1981, pag.4; pag.22; 1984, pagg.223,236). In questo senso ci sembrano assai condivisibili le critiche di una certa "supeficialità analitica" nella lettura di Marx avanzate da Ferrarotti (cfr. Ferrarotti, 1985, pagg. 126-128); per una difesa della teoria marxiana della storia dalle critiche di Giddens cfr. invece E.O.Wright, 1989.
8 Secondo Gregory (1989, p.189) l'unica analisi che può avvicinarsi a quella di Giddens è la discussione sull'ordinamento spaziale della vita quotidiana presente nelle riflessioni di Berger e Luckmann (1966).
9 Una delle critiche più frequenti alla teoria della strutturazione è proprio quella relativa ad un presunto insoddisfacente "bilanciamento" della dualità, rapporto che non solo tende ad essere squilibrato (con l'attore nettamente più importante delle istituzioni), ma anche, attraverso una sostanziale riproposizione di un primato della praxis, incline a ricadere in un certo dualismo; cfr. Addario, 1995; Archer, 1987.
10In realtà, come evidenzia lo stesso Giddens, anche Durkheim aveva in mente una concezione del genere: "Nei suoi primi scritti, Durkheim sottolineò con forza gli elementi vincolanti della socializzazione, ma in seguito si rese conto, con sempre maggiore chiarezza, che la socializzazione fonde il vincolo con l'abilitazione. E' un fenomeno facilmente visibile nell'apprendimento della lingua materna. Nessuno 'sceglie' la lingua materna, sebbene imparare a parlare comporti una precisa componente di collaborazione; e poiché ogni lingua vincola il pensiero [...] il processo del suo apprendimento pone dei limiti alla conoscenza e alla attività. Ma l'apprendimento di una lingua accresce di molto le capacità conoscitive e pratiche dell'individuo" (Giddens, 1984, p.168)
11Una critica interessante alla concezione del soggetto di Giddens è anche quella di Mongardini (1989, p.23), per cui "ciò che risalta in lui [Giddens] come evidente contraddizione è frammentare e fluidificare per un verso l'oggetto del nostro conoscere, cercando al tempo stesso di salvare a tutti i costi la verità, la coerenza e la continuità del soggetto conoscente".
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