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Note e interventi
Vite in confessionale
Il Grande Fratello, l'11 settembre e la corsa libera dei poteri economici
di Zygmunt Bauman
Zygmunt Bauman nasce nel 1925 a Poznan, in Polonia, da una famiglia ebrea. Agli inizi della seconda guerra mondiale la sua famiglia si trasferisce in Unione Sovietica. Come lui stesso ricorda, all'epoca non pensava affatto di diventare un sociologo. Avrebbe voluto studiare fisica (cosa che in effetti fece per un paio di anni). Della sociologia non aveva una grande opinione. Sembra che la sociologia sovietica all'epoca dello stalinismo non offrisse grandi spunti (Bauman & Tester 2001, 17).
Oggi che è uno degli interpreti più acuti e sofisticati della vita all'epoca della modernità liquida, sappiamo che le sue opinioni sulla sociologia sono mutate. La “grande triade” come lui stesso chiama gli autori che lo hanno influenzato, è costituita da Antonio Gramsci, Georg Simmel e dalla stessa moglie di Bauman, la scrittrice Janina, (Beilharz 2001, 335). In una conversazione con Peter Beilharz, Bauman ha avuto modo di spiegare: “Gramsci mi ha insegnato il cosa, Simmel il come, e Janina il perché…”(ibid).
Nel 1971 si trasferisce in Inghilterra dove risiede ancora oggi. È Professore Emerito di Sociologia all'Università di Leeds e di Varsavia.
Lo incontro nel giugno 2002 in occasione di una sua visita romana. Veste sportivo, fuma molto, ed è ironico e gioviale. Solo per motivi tecnici l'intervista è pubblicata con 8 mesi di ritardo, ma con la guerra appena scoppiata in Iraq e il Grande Fratello nel pieno svolgimento, resta estremamente attuale.
Vedo dai suoi ultimi scritti che ha abbandonato il termine post-modernità. Per quale ragione?
Una delle ragioni per le quali ho iniziato a considerare scomodo il termine post modernità è che nonostante i grandi sforzi compiuti per tenere separati i termini post modernità da postmodernismo, non ne vale davvero la pena. Le persone continuano a confondere i due termini, che in realtà sono molto diversi. Così, per via di questa confusione, molte cose che io considero spazzatura erano scritte sulla postmodernità. E questo rende la discussione davvero difficile. Comunque, postmodernità era un termine provvisorio, in quanto è un termine negativo. Cioè ci dice ciò che non è esattamente modernità. Alcune persone possono spingersi un poco oltre e arrivare a dire che la modernità è finita. Non è un termine positivo. Non ci dice quali siano le peculiarità del tipo di società in cui viviamo oggi. Sembra mancare l'obiettivo, le caratteristiche attorno alle quali potremmo dire che si organizzi l'esperienza sociale.
La postmodernità, così come l'ho definita e utilizzata per un certo numero di anni è la modernità senza illusioni. Non ho mai effettivamente pensato che avremmo smesso di essere moderni. Siamo moderni. La modernità significa chiedersi cosa si è ricevuto dal passato, qual è il proprio diritto ad essere qui, quanto si sia utili qui, se magari invece non si è abbastanza utili, se ci sono altri più utili di te, beh allora in tal caso vai via, senza rimorsi. È un processo senza soluzione di continuità. È quello che Anthony Giddens chiama disembedding (letteralmente: disincassare, togliere dal letto). È un termine preso a prestito dal giardinaggio inglese: occupandoci del giardino, spesso quello che si fa è di disembed (“disincassare”) i fiori: hai dei letti (beds) di fiori, prendi un fiore dal suo letto per trapiantarlo altrove, dove magari non sarebbe mai cresciuto, ma lo togli dal suo posto per metterlo altrove, per “ri-incassarlo” in qualche altro letto dove pensi che starebbe meglio, così lo ripianti lì per motivi estetici, di armonia, ecc.
Così la modernità era un processo di modernizzazione ossessiva. Credo che sia un errore ritenere la modernità un modo di essere, uno stato di cose.
La modernizzazione porta alla modernità. Immaginare una modernità senza modernizzazione è come immaginare il vento senza il soffio. La modernità è dunque una modernizzazione ossessiva, senza fine. Da questo punto di vista, noi siamo moderni. Ma cosa c'è di nuovo? Ho ritenuto che ci fossero delle differenze tra il presente e il passato. E la differenza sostanziale è data dal fatto che nella modernità classica le persone, i legislatori, i filosofi, i politici, pensavano che tutto questo, come in uno scherzo, sarebbe terminato. Che avremmo raggiunto una condizione perfetta: come ha detto Leon Battista, la perfezione è quando ogni mutamento raggiunge e diventa una sola cosa, un'anima unica. Quello è lo stato perfetto. Così una volta raggiunto lo stato perfetto, potremo rilassarci, ci divertiremo.
Invece, ho ritenuto che la postmodernità avesse rimosso questa illusione. Lottiamo con le contraddizioni, certo, e ce ne saranno altre a venire. Ce ne saranno sempre. Stiamo lottando contro l'ignoranza, certamente, ma non importa il volume delle nozioni che accumuliamo, ci saranno sempre delle aree di ignoranza da scoprire. Proprio perché proseguiamo nella conoscenza. Lottiamo contro l'ambivalenza, d'accordo, ma appena combattuta una ecco che se ne sono create altre 25. Ecco, per me questa è la differenza.
Riguardo alla modernità liquida, credo che quanto sta accadendo oggi sia un continuo desembedding, “disincassare”, ma senza il reincassamento. Non ci sono casse o letti, a parte i sacchi a pelo, così si passa la notte in uno ma il giorno dopo ricominci daccapo, vai da un'altra parte, e così via. E perché secondo me la modernità è liquida? Perché la guardi, cerchi di definirla e ti accorgi che non puoi. È liquida, appunto, perché non mantiene una forma. Una forma solida invece, come un tavolo, una volta creato mantiene la sua forma fino a quando non succede qualcosa, chessò, fino a quando non prendi un'ascia e decidi di distruggerlo. Ma la liquidità non può mantenere una forma, corre, cade, si versa, cola. È in continuo movimento. Dunque ritengo che sia una buona metafora per descrivere la caratteristica principale della società contemporanea. Società che è rotta al suo interno dal fatto che, letteralmente ogni livello, iniziando dalle relazioni personali per finire con lo spazio globale, è in costante mutamento. Scompare la condizione di uno stato stabile nel tempo. Scompare la stabilità. Vai da un'azienda, cerchi lavoro e non sai se quella stessa azienda sarà ancora lì domani. Hai un tuo patrimonio di capacità, di skills ma, chissà, magari tra cinque anni non ci sarà più richiesta sul mercato per quel tipo di competenze, perché ci sarà una tecnologia che richiederà un tipo di competenze diverso, e tu dovrai ricominciare tutto daccapo. La modernità liquida è così perché la liquidità non può mantenere una forma data. È uno stato di “inizi” continui. Vai da un progetto all'altro. E vali e vieni valutato per la bontà del tuo ultimo progetto. Non durerà molto, non potrai accumulare credenziali durante la vita, col procedere degli anni. Devi riaffermare di continuo ciò che sei e ciò che vali.
Ulrich Beck ha definito zombie alcune categorie concettuali, quasi fossero dei morti viventi, privi di vita e di senso. Lei ritiene valido e pregnante questo termine oppure le sembrerebbe più indicato sostenere che le categorie sono morte solo in apparenza, mentre in realtà stanno solo cambiando forma? Prendiamo il concetto di famiglia, ad esempio. Secondo lei è possibile definirla una categoria zombie oppure no?
“Morti viventi” è il significato letterale di una categoria zombie. Ma certamente è un'esagerazione. In realtà con esso si intende che noi possiamo vedere il mondo soltanto se lo inseriamo nelle categorie che abbiamo a disposizione. Dunque infiliamo quasi a forza la nostra esperienza dentro questi schemi. Non abbiamo altro modo. Se parliamo di un uomo, di una donna, di un paio di ragazzini, dobbiamo usare il termine famiglia, ma quello che nascondiamo facendolo è che il gruppo cui ci riferiamo nella realtà è molto diverso da quello descritto dal dizionario sotto quella voce. È un frammento, un fotogramma di un processo in continua evoluzione. Quella famiglia fa parte di un numero di generazioni che si sono selezionate e riprodotte. Tutti noi siamo stati allevati come parte di qualcosa che c'era prima di noi e che continuerà quando ce ne saremo andati. La sua famiglia le avrà certamente mostrato album fotografici con i ritratti dei suoi antenati e cose simili. Ecco quella era una famiglia.
Oggi lo scolaro medio ha una serie di nonni tra i quali scegliere. I genitori del padre, della madre, della seconda o terza moglie del padre, del secondo marito della madre, e così via. La famiglia acquisisce così un significato diverso. Quella che chiamiamo famiglia è in effetti una sistemazione, un contratto temporaneo. Non dici: “ti sposo fino a che morte non ci separi”. E se lo dici non lo intendi davvero. Perché sai…chi può dirlo…Se non funziona puoi andare da qualche altra parte, puoi rivolgerti altrove. Mi lasci usare questa espressione: amore confluente. Vi sarà amore fintanto che vi sarà soddisfazione. Non vi sono legami. Se finisce la soddisfazione non vi è motivo al mondo per il quale si debba rimanere. È libertà, attenzione. Ma questa libertà significa che la famiglia non è più quello che era una volta. Così preferirei usare il termine di Deridda sous rature (in via di cancellazione). Stiamo usando dei termini che ruotano intorno alla questione. Voglio dire, stiamo utlizzando questi termini, ma in maniera condizionata. Sono negoziabili. Dunque parlarne come se fossero termini morti è un'esagerazione. Non sono morti. Semplicemente, sono flessibili. In un contesto in rapido mutamento credo che utilizzare il termine sous rature sia più adatto. È l'unico disponibile che risponda allo scopo e dia conto della situazione. Altrimenti dovremmo smettere la conversazione perché qualora pensassimo che le parole tradizionali da noi utilizzate implichino ancora esattamente il significato riportato dal dizionario, rappresenteremmo un quadro falso del mondo e non potremmo più capirlo. È necessario invece comprendere che un concetto, come qualsiasi altra cosa (punti di riferimento, organizzazioni, comunità, gruppi, idee, o altro), sono attraversati da un processo di mutamento.
Ha appena detto dunque che si tratta di categorie flessibili. È così anche per il concetto di cittadinanza? In alcuni passaggi del suo libro La modernità liquida, lei sostiene che l'individuo è nemico del cittadino.
Sì, dico questo. In effetti se sei davvero un individuo perché dovresti essere un cittadino? Questo è il problema. Individuo e cittadino sono due aspetti della tua personalità. La tua collocazione sociale…
Ma lei dice che l'individuo sta sovrastando il cittadino, è così?
La questione di questo individuo emergente è molto ben rappresentata dalla trasmissione televisiva Il Grande Fratello. Quando sei sconfitto confessi in pubblico. Siedi in questa poltrona, nel confessionale, alla ricerca delle cause, delle ragioni per le quali sei stato sconfitto. Normalmente le persone cercano le cause dentro di sé. “Non sono stato abbastanza intelligente, sveglio, duro, o gentile”... È un problema loro. Il successo è lavoro, e Peter Drucker, il guru americano del business globale, ha detto molto crudamente: la salvezza non viene più dalla società. Se sei davvero un individuo devi fare affidamento solo sulle tue forze, sulle tue risorse e sulle tue qualità. Se questo è il caso perché mai le persone dovrebbero essere interessate alla cittadinanza? La cittadinanza è un'idea che deriva dalla polis che Aristotele ripartiva in oikos (il privato, la famiglia, gli affari e così via), ecclesia (l'area dello spazio pubblico) e in agorà che è la parte più importante poiché essa connette oikos ed ecclesia e poiché è nell'agorà che succedevano continuamente cose molte importanti. Forse c'era la trasposizione di problemi privati in fatti pubblici e, viceversa, la trasposizione di questioni pubbliche in fatti privati, individualizzati. Questo oggi non funziona più. Non funziona semplicemente perché qualora si andasse all'agorà (e la televisione oggi somiglia sempre di più a una agorà) si scoprirebbe che le persone non si recano in televisione per tradurre problemi privati in fatti pubblici, quanto piuttosto per rappresentare problemi pubblici come se fossero una collezione di problemi privati. Loro consolidano l'idea che ogni individuo è auto confinato e separato dagli altri, come se tutta la sua persona dipendesse da una sola azione. Se si spegnesse il programma, se non si fosse informati, se non si fosse stati istruiti sulle cause sociali, globali del proprio problema, non si saprebbe come gestirlo. Ma si sarebbe rinforzati nelle proprie convinzioni. Non c'è correlazione, non c'è alcun collegamento tra ciò che si sta facendo, il contesto in cui si vive e ciò che accade lì fuori. Sono entità separate.
Eppure proprio di recente, l'11 settembre 2001, il mondo intero ha visto il crollo delle Twin Towers. Non viene da pensare che si tratti di un'esperienza individuale. Ovviamente è sia individuale che sociale. Ma come individui ci siamo trovati a soffrire per qualche cosa che non è accaduto a noi, che è accaduto dall'altra parte del mondo. Noi non eravamo lì, non siamo morti, non siamo i parenti dei caduti, ma sentiamo il disastro – anche se è fisicamente accaduto a molte miglia di distanza da noi – molto più vicino di quanto non farebbero pensare le miglia che ci separano da New York. Non è questo un modo in cui la società arriva all'individuo? Non pensa che l'individualità sia il momento di congiunzione tra la società e l'individuo? L'aspetto sociale che fa parte dell'individuo…
Dipende se sta facendo una domanda teorica oppure no. Essendo un sociologo, se dovessi fare una lezione, direi di sì. La sociologia ha effettivamente la funzione di fare esattamente quello che lei ha fatto nella sua ultima affermazione, deve dimostrare che l'individualità ha una base sociale. Il libro che adesso è uscito anche in Italia, dal titolo The individualized society (La società individualizzata, Il Mulino, 2002) è stato intitolato così perché il titolo corretto era già stato preso da Norbert Elias: The Society of Individuals (Letteralmente: La società degli individui). È vero, comunque che non è così che le persone percepiscono la vicenda. Non lo pongono alla base delle loro strategie di vita. Lei ha menzionato le Twin Towers, va bene, ma tra poco inizia anche il campionato mondiale di calcio ed è esattamente la stessa cosa, sarà visto da tutto il mondo1. Persino la morte della principessa Diana Spencer ha rappresentato questo. Come direbbe Mikhail Bakhtin – il grande filosofo russo – è un momento cannibale. C'è questa improvvisa realizzazione che esiste un mondo, una sorta di realtà altra là fuori, ma si tratta solo di un momento cannibale, il giorno dopo torniamo tutti alla nostra routine quotidiana.
Va bene, questo accade con la morte di Diana Spencer, ad esempio, ma possiamo dire davvero che l'attacco delle Twin Towers susciti in noi lo stesso tipo di atteggiamento, che siamo di fronte allo stesso tipo di esperienza?
Lei mi fa una domanda davvero importante. Effettivamente (realmente) uno dovrebbe menzionare questi momenti per via del futuro della modernità liquida. Viviamo in un'era in cui quando accade un qualche mutamento, la sensazione dominante, la fonte di ansietà o di disagio dominante, deriva dal fatto che bisogna fare qualcosa. Questa è incertezza. Ma attenzione, soltanto gli inglesi hanno tre termini per spiegarne il significato. I tedeschi ne hanno solo uno che significa tutto. Gli italiani ne hanno due incertezza e insicurezza. Ecco, questi sono due, ma gli inglesi ne hanno tre, e il terzo è determinante oggi e si rivela una grande mancanza nelle altre lingue, perché, in un'epoca di modernità liquida, non si può fare della buona sociologia senza questo terzo termine. E questo terzo termine è safety [dal Dizionario Italiano – Inglese, Garzanti/ Hazon, Nuova ed., 1999: safety= sicurezza, salvezza, scampo. In realtà ritengo si possa tradurre piuttosto bene con incolumità. Infatti se anche questo termine non compare tra i significati di safety, qualora si tentasse di tradurlo in inglese, cercando sullo stesso dizionario la parola incolumità si troverebbe come prima soluzione per la traduzione la parola safety ndr]. Uncertainty, l'incertezza, riguarda il futuro, insecurity, l'insicurezza, riguarda il fatto di sapere quanto sia dura e rapida non solo la tua vita ma la tua stessa identità: puoi essere sfidato, puoi essere forzato a cambiare, ma safety, (sicurezza nel senso di incolumità) riguarda l'integrità stessa del tuo stesso corpo. Le tue proprietà, la tua macchina, la tua casa, il tuo vicinato, e quanto sta accadendo oggi non è esattamente la caratteristica fondante della modernità liquida, in quanto uno può guardare alla modernità in modi diversi, ma in questo tipo di modernità liquida, quella che stiamo vivendo oggi, la fonte di incertezza e di insicurezza è collocata a una distanza infinita dal cittadino. Anche se diverse persone si mettessero insieme, si coalizzassero, esse non potrebbero nulla per cambiare le condizioni (mondiali) che ci causano tanta incertezza (uncertainty) per il futuro. Il problema non è soltanto individuale ma vi sono anche istituzioni collettive, che hanno presumibilmente lavorato bene, non perfettamente, ma ragionevolmente bene. Il governo, ad esempio è una di queste, così come il welfare state. Queste istituzioni potevano prendersi cura della sicurezza (security) e della certezza (certainty) …Ma adesso tutto quello che rimane è una sorta di grido esortativo: “cittadini, siate più flessibili”, e mentre si dice questo, naturalmente si dice anche “cittadini, siate più incerti, insicuri, precari”.
Dunque quello che possiamo fare è davvero poco perché ci sono venuti a mancare gli strumenti. Non è tanto una questione di cosa> sia necessario fare, quanto piuttosto di chi sia deputato a farlo. Quindi tutta questa ansietà, queste notti in bianco, queste paure, questi incubi che sono stati sollevati dal fatto stesso che il mondo è sempre più fluido e dal fatto che quanto hai già raggiunto e conquistato scomparirà in un battibaleno, ecco, tutta questa ansietà viene traslata nell'unica area in cui resta la possibilità di fare qualcosa: l'area della safety [incolumità, cioè sicurezza in senso più materiale di integrità fisica e patrimoniale, ndr]. Difendere il proprio fisico: dagli attacchi degli agenti atmosferici, da sostanze alimentari nocive, evitando di mangiare grassi, sostanze velenose…evitando persone pericolose come me che fumo, facendo ginnastica, torturandosi forzandosi a fare jogging, ginnastica, e quant'altro. Poi puoi mettere catenacci più resistenti alla tua porta, se sei abbastanza ricco puoi persino comprarti delle telecamere a circuito chiuso per vedere chi si avvicina alla tua casa, (così sei al sicuro), puoi avere un'alta cancellata che protegga il tuo domicilio, allarmi antifurto, puoi persino premere sul primo ministro affinché sia ancora più duro con i criminali e con gli immigrati. E questo lui effettivamente lo può fare.
Quello che però non può fare è dare sicurezza alla tua insicurezza (secure your insecurity), non può dare certezze e far scomparire il tuo senso di incertezza ma può effettivamente sbarrare le frontiere agli immigrati, assumere più poliziotti, e cose del genere. In questo modo nella nostra società si crea un eccesso di sicurezza (safety overload). Ma per quanto riguarda la soluzione dei problemi…beh, la safety , il problema dell'incolumità non può risolvere problemi che riguardano la security, safety non può risolvere problemi di certainties. In altre parole, non è affrontando il problema dell'incolumità e dell'integrità fisica e patrimoniale (safety) che si risolveranno i problemi di incertezza e insicurezza che affliggono la modernità liquida e che hanno ben altre cause. Eppure da questo atteggiamento ci aspettiamo una soluzione, per la semplice ragione che safety è l'unica area in cui sia possibile intervenire. Ma poiché nessuno dei passi intrapresi per risolvere la safety [chiamiamola integrità per comodità, anche se, come abbiamo visto, non esiste un suo corretto equivalente in italiano, ndr] in realtà mancano il vero obiettivo, ovvero la certezza e la sicurezza, ecco formarsi una continua domanda per un nemico pubblico.
Quindi sta dicendo che noi abbiamo bisogno di questi nemici in quanto pongono l'ansietà e la paura all'interno di un orizzonte conosciuto, con un nome, una causa, e una possibile soluzione?
È esatto, ne abbiamo bisogno2. Noi dobbiamo sapere qual è il cibo che consideriamo sicuro, quale invece è stato scoperto essere cancerogeno, ad esempio. Oggi emergono nuove figure della criminalità. Non so se esista un equivalente in italiano ma in inglese sono chiamati prowlers e stalkers3, ovvero persone che ti seguono. Non ti violentano, ma ti seguono e sono molto a loro agio e sfrontati in questo loro comportamento. Sono spaventosi perché ti compaiono davanti all'improvviso, non si sa da dove vengano, o perché e poi scompaiono di nuovo. Inquietano perché non si capisce cosa vogliano. Se fossero dei violentatori beh allora si saprebbe qual è l'allarme, ma con loro non puoi mai sapere che succede. Prendiamo Rudolph Giuliani [ex sindaco della Città di New York, ndr] ad esempio: lui era famoso per essere l'amico del popolo... dopo l'11 Settembre è diventato famoso per la battaglia contro un nemico pubblico che lui stesso ha inventato: le squeegee pests4. John Major, l'ex primo ministro britannico ha inventato il termine lager louts5, che è diventato subito una categoria concettuale per descrivere le persone che bevono la birra, fanno rumore e sono inaffidabili. Così c'è questa richiesta continua per l'individuazione di un nemico pubblico. L'11 settembre ha introdotto il concetto di terrorismo, ma è un terrorismo che non viene percepito come qualcosa che è contro il sistema. Bensì viene percepito come una minaccia alla nostra personale incolumità e integrità fisica e/o patrimoniale (safety). Siamo individui, e siamo a rischio. Ecco cosa ci dice oggi il terrorismo. Ed è nuovamente la stessa storia. Se si facesse attenzione al comportamento di Bush allora si noterebbe come lui abbia sottolineato il fatto che il terrorismo non ha a che fare con l'Afghanistan, ad esempio, ma riguarda Cleveland, Philadelphia, è qui, è qui, è dappertutto attorno a noi. È un obiettivo molto comodo sul quale concentrare la nostra ansietà.
Ma non è tipico dei governi di destra focalizzare la loro campagna elettorale, e la loro comunicazione, nonché azione politica, sui problemi della sicurezza? Non è qualcosa che caratterizza la destra più che la modernità liquida? Mi chiedo come funzioni tutto questo nel lungo periodo. Voglio dire Bush ci sta spingendo a combattere questo nemico che ci circonda e che rischiamo persino di trovarci in casa, ma quanto può risultare credibile nelle sue motivazioni?
Certo che è credibile, almeno fino alla prossima depressione economica e crescita della disoccupazione. Il motivo per il quale l'ansietà non si riesce a spostare una volta per tutte nell'area della safety, della integrità, è dato dal fatto che essa è indefinita. E questo tentativo di spostamento risulterà sempre un lavoro incompleto. Non può davvero funzionare a lungo. In altre parole, ciò che intendo quando dico che c'è una domanda continua per un nemico pubblico è che questi nemici invecchiano molto presto, dopo una o due vittorie in Afghanistan gli americani riprenderebbero a viaggiare (se solo viaggiassero), ma non avrebbero risolto il problema di come dormono la notte. Per poter dormire sogni tranquilli, avrebbero bisogno, di qualcosa di nuovo.
Fino a poco tempo fa la nicotina era stata presa di mira, come il nemico numero uno. Adesso che fumare è vietato dappertutto non è che le persone dormano meglio. Continuano a rigirarsi nei letti.Allo stesso modo possiamo dire che i terroristi sono stati sovraccaricati di significati– voglio dire, è chiaro che sono terroristi– ma li carichiamo di troppi problemi che ci illudiamo di poter cancellare una volta estirpata la piaga del terrorismo. E chiaramente così non sarà.
La paura e l'incertezza individuale secondo Giddens sono dovute a una sorta di irresponsabilità da parte delle istituzioni moderne. Dunque le persone, si trovano per forza di cose ad assumere su di sé la responsabilità della loro vita quotidiana. Lei è d'accordo? Possiamo dire che queste persone oggi si trovino caricate di responsabilità sinora inimmaginabili. Entrano nel dibattito scientifico, debbono poterlo giudicare, decidere se mangiare o meno cibi geneticamente modificati, prendere decisioni cruciali per la vita dei loro figli... Non pensa dunque che queste persone siano di fatto sempre più dei cittadini?
Sì, anche se non è tanto una questione di irresponsabilità da parte delle istituzioni quanto di impotenza. Esse non sono in grado di risolvere certi problemi. La sovranità di uno stato nazione ha perduto il suo antico significato, è un'altra sous rature o zombie, se crede, ma sono d'accordo con lei, questa è l'unica area in cui vi è un dialogo continuo tra il governo e la popolazione, è l'area della safety (sicurezza, incolumità). Se si guarda ai programmi politici, o agli sforzi politici, o se si prende ad esempio la campagna presidenziale di Chirac e Jospin, risulterà evidente che vi è stata una sorta di asta virtuale: chi porterà più in alto la propria scommessa? Competevano l'uno con l'altro al rialzo, su chi, ad esempio, avrebbe promesso pene più severe contro gli immigrati. Ma questa, come dicevamo è l'unica area, l'unico argomento.
Sì concordo che in questo campo le persone si aspettino dal governo un'assunzione di responabilità in merito ai cibi geneticamente modificati, ai produttori di fast food, ai ladri, e ai rapinatori, ma non puoi trasformare la safety (i problemi della sicurezza e dell'incolumità) in cittadinanza. La sicurezza, è individualizzante: io sono incolume. Puoi pagarti un'esistenza apparentemente incolume in una sorta di gabbia dorata. Se hai abbastanza soldi. E nella gabbia dorata, in questa sorta di comunità ingabbiata sei al sicuro, sei incolume, perché passi da una comunità familiare ingabbiata, a un luogo di lavoro ingabbiato, magari grazie a una macchina blindata all'interno della quale sentirti ben difeso.
È individualizzante, mentre la cittadinanza richiede alcuni problemi collettivizzanti, come si diceva una volta, prima che lei nascesse: marciare insieme, lavorare uniti, fianco a fianco, questo tipo di cose… Questi temi sono scomparsi dal dibattito politico.
Vorrei tornare per un momento al punto in cui prima menzionava il rapporto tra l'individuo e la società, a quando le chiedevo se non pensasse che la società fosse alla base dell'individuo stesso, certamente lei mi ha dato una risposta, ma mi stavo chiedendo se non potessimo dire che, va bene, gli individui ancora non ne sono consapevoli, dice lei, non si sentono ancora come parte di una società, non si vivono così, ma non pensa che se la vita sociale ha cessato di essere una responsabilità istituzionale (e le istituzioni sono ovviamente esterne all'individuo), allora non è un problema di partiti politici (in quanto non rivestono più il ruolo centrale di una volta)? Non crede si possa dire che se prima la coscienza sociale era fuori dall'individuo (dentro le itituzioni, i partiti, e così via), ora ne stia invece lentamente diventando una parte, stia lentamente crescendo al suo interno?
Beh, sì questo è quanto sta accadendo oggi. Con questo non voglio dire che sia una determinazione storica, ma in effetti deve succedere proprio così. Indubbiamente però sta crescendo anche l'apatia politica, ci aspettiamo sempre di meno dalle persone che lavorano a livello politico. C'è chi va e chi viene, non che questo cambi molto rispetto alle nostre condizioni di vita. Così coscientemente o inconsciamente sappiamo che non è da lì che trarremo la nostra salvezza. Questo è il processo al quale stiamo assistendo. L'unica alternativa a quest'altro modo di risolvere i problemi è data dallo sviluppo di istituzioni democratiche, delle rappresentanze parlamentari, della democrazia rappresentativa. Non che queste fossero privi di punti deboli o di inconvenienti, ma hanno funzionato ragionevolmente bene. Cosa che invece non possiamo dire oggi: queste istituzioni non sono morte ma non è nemmeno che godano di buona salute, perché la democrazia vive solo se è viva l'attività umana in tal senso. Se gli esseri umani non si sentono vigili, e pronti a sollevarsi in caso di mutamenti politici, allora la democrazia è invalida. Dunque in quel caso ci si trova di fronte a due possibili alternative, ugualmente “promettenti”: una è la strategia del combattere l'insicurezza con altra insicurezza. Come diceva Pierre Bourdieau, precarité aujourd'hui pour tous. Se la precarietà causa ansietà, allora si dovrebbero esortare ancora di più le persone a cavarsela da soli, solo allora si sentiranno meglio. L'altra alternativa è la soluzione fondamentalista o meglio la soluzione della “semplificazione degradante”: il mondo è così orribilmente complicato che, o beh, vediamo di semplificarlo un po'.
Invece no, bisognerebbe combattere ogni formuletta che si proponga di spiegarci il senso della vita. Siamo sul punto di sollevare il populismo. E il populismo significa fare leva sulle paure della gente. Abbiamo visto la pubblicità di Telecom: ogni servizio è rapido, sicuro, conveniente. Questa è una pubblicità populista perché promette alla gente quello che sogna. Dunque il populismo è una terza soluzione alternativa alla democrazia. Ciò che viene clamorosamente a mancare è una vera terza alternativa. Non vedo molte forze politiche che ne stiano promuovendo una, ciò che una volta veniva considerato come liberalismo tradizionale (non il vero liberalismo, ma quello tradizionale) perché la politica deve essere la correzione, la soluzione, la congiunzione tra il problema della libertà e quello della sicurezza (security). Questi liberali tradizionali pensavano che le persone dovessero essere libere.
Assolutamente giusto. La libertà è il valore più alto. Le persone non libere sono più o meno degli schiavi, sono umiliate, deprivate della loro umanità. Perché gli uomini differiscono dagli animali per via del fatto che la libertà li trascende. Anche la realtà deve essere liberata. Ma allo stesso tempo questi liberali dicevano che per essere liberi, gli uomini dovevano anche essere sicuri (secure). Ecco perché Berridge, che non era certo un socialista, né tanto meno un comunista, ma era un liberale al cento per cento, aveva questa idea di welfare state, di stato sociale. Perché? Certo non per sottrarre gli individui alle loro responsabilità, quanto piuttosto per consentirgli di vivere più appieno la loro individualità, così essi sapevano che qualora si fossero rotti una gamba, vi sarebbe stato qualcuno a riparargliela. Vi era questa assicurazione collettiva contro le minacce e i rischi individuali.
Il problema è che la libertà e la sicurezza sono ugualmente indispensabili per una vita umana decente, ma allo stesso tempo non è semplice combinarle assieme perché con un po' più di sicurezza ecco che perdi un po' di libertà, e viceversa.
Dunque ricordiamoci che l'arte del vivere insieme consiste nel ricercare il giusto equilibrio tra libertà e sicurezza.
Sia nella Modernità liquida che ne La solitudine del cittadino globale lei descrive le difficoltà degli individui nell'affrontare la vita da soli, senza la guida, il conforto o il sostegno delle vecchie strutture sociali, come la Politica con la P maiuscola. Personalmente ho trovato, come molti, molto vivida la sua descrizione e molto convincente, ciò che sembra mancare però è una solida spiegazione delle ragioni che hanno portato a questo processo. Ha una teoria per spiegare perché tutto questo stia accadendo? Quando descrive queste masse più libere di quanto non siano mai state in passato, ma anche più sole e incapaci di sfruttare questa libertà, in un certo senso sembra di assistere alla descrizione delle masse che sono state liberate dalla schiavitù agli inizi del 1600. Esse erano libere ma estremamente povere e la loro libertà non si è tradotta immediatamente in felicità, appagamento, soddisfazione o benessere, come magari avrebbero sperato. Si è piuttosto rivelata la condizione necessaria per la nascita e lo sviluppo del capitalismo. Senza questa massa di individui poveri ma liberi il nuovo sistema non avrebbe avuto operai da cui comprare la forza lavoro. E gli operai non avrebbero potuto vendere la propria forza lavoro se non fossero stati liberi e poveri. Tutto questo per dire che la situazione attuale, da lei descritta con vividezza, in qualche modo ricorda quel momento di passaggio da un modo di produzione a un altro. Lei crede che ci troviamo dinanzi a un passaggio di questo tipo, verso un nuovo modo di produzione (anche se non capiamo ancora bene quale possa essere)?
Inoltre, non crede che questa condizione di incertezza permanente nella quale ci troviamo a vivere abbia almeno in parte una causa culturale? Sto pensando al fatto che forse ancora oggi soffriamo gli effetti della crisi scientifica degli anni '20 (descritta, fra gli altri da Cassirer e da Husserl). La filosofia, da quella greca in poi, poggiava infatti sulle certezze derivanti dalla matematica e dalla geometria. Esse rappresentavano il fondamento logico del pensiero. Ma con la geometria proiettiva le certezze si sgretolano e la geometria euclidea diventa solo una fra le altre, la fisica quantistica mette in crisi la fisica e così via...
Posso rispondere come se fossero due domande separate?
Certamente, in realtà lo sono.
Vorrei iniziare con questa cosa davvero molto giusta che lei ha fatto, cioé di portare il percorso storico nella discussione, cercando di capire eventuali similitudini e differenze tra i due momenti. Sì, questo è senz'altro corretto. Karl Polanyi ha scritto un bel libro intitolato The Great Transformation: The Political and Economic Origins of Our Time, 19446. Se fossi saggio e intelligente come Polanyi, probabilmente scriverei un libro nel quale descriverei grosso modo le stesse trasformazioni descritte da Polanyi, in termini di separazione tra produttore e strumenti della produzione, ma credo che lui abbia descritto ancora meglio e più acutamente il problema in termini di una separazione tra contesto lavorativo e contesto familiare7. Perché ritengo questa separazione così importante? Perché prima della modernità e dell'emergere di un potere moderno, di tipo nuovo, mai conosciuto prima, l'unico potere politico, l'unico tipo di governo (di auto-governo) era dato dalla parrocchia, che svolgeva persino le funzioni di polizia. Ecco vi era solo questa forma di auto governo a livello locale. I parrocchiani e gli artigiani utilizzavano questa sorta di abitazione estesa, di domicilio e famiglia estesa nella quale si ricomponevano e annodavano le fila dei doveri e delle obbligazioni locali. Quando gli affari, il mondo del lavoro, si sono separati dall'unica area in grado di esercitare in maniera efficiente un controllo etico e politico sulla coabitazione umana, ecco che si è creata una terra di nessuno, nella quale sono venute a mancare tradizioni consolidate e leggi riconosciute. Questa era una terra vergine, gli affari, il business poteva agire a suo piacimento. Il risultato fu un disastro, molta miseria umana, lo sgretolarsi della vita familiare nelle classi meno abbienti, della vita comunitaria. È successo di tutto e non è il caso di ripercorrerlo qui minuziosamente perché il processo è stato ben descritto dagli storici. Poi venne lo Stato nazione.
Prima non c'era. Si è costituito nel bel mezzo di questo processo di cui abbiamo appena parlato. Lo Stato nazione riempiva uno spazio vuoto, tutta la legislazione industriale, l'estensione dei diritti elettorali alla popolazione, consentendo a persone fino ad allora impotenti di dire la propria, di contare ed esercitare un'influenza. Ci sono voluti almeno 100 anni, dall'inizio del XIX secolo alla metà del XX, per ricomporre la situazione. Alla fine di questo periodo si è potuto dire che la terra di nessuno era effettivamente diventata di qualcuno. Vi erano le istituzioni, vi erano i tribunali, vi era la legge, un potere legislativo, un potere esecutivo e un potere giudiziario. Tutto era sotto controllo, o almeno lo era abbastanza. Così, almeno in via di principio potevi forzare un principio etico sulla coabitazione umana in un'insieme di istituzioni operative ed efficienti. Adesso siamo di fronte a una grande trasformazione n. 2, per parafrasare l'opera di Polanyi. Ovvero il business, il mondo degli affari, si sta nuovamente separando dal potere, solo che oggi il potere non è la parrocchia, è lo Stato nazione. Il business si sta separando dalle uniche istituzioni attive che possano esercitare un controllo etico. E, proprio come un tempo, stanno riproducendo una terra di nessuno, uno spazio globale, fuori dal controllo e dalla politica dello Stato. La politica globale non è la politica internazionale. Gli Stati nazione non sono più in grado di creare una politica globale. La legge globale non è data dalle convenzioni internazionali. Probabilmente siamo agli albori di un altro secolo di scossoni e incertezze, o forse meno visto che con la modernità liquida i tempi si accorciano, diciamo altri 20 o 30 anni, dunque, ma comunque dovremo attraversare un lungo processo prima di riuscire a riprendere il controllo di questa terra di nessuno. E prima che si creino nuove istituzioni e nuovi poteri giudiziari, (che non agiscano solo per Milosevic, ma per qualsiasi motivo) passerà del tempo e, come allora nel XIX secolo, sono in atto delle forze molto potenti che si oppongono al processo perché va contro i loro interessi. Così non le predirò il futuro, per fortuna è un problema suo, e non mio poiché sono in avanti con gli anni, ma immagino che la sua vita sarà piuttosto difficile alla ricerca dei modi per riconquistare il territorio perduto, anche se sarebbe più appropriato dire creato. I nuovi territori che si sono creati decidono delle nostre vite ma noi non abbiamo letteralmente alcun interesse nei loro confronti. O meglio non lo dimostriamo.
Tornando alla seconda parte della domanda, cosa pensa del fattore culturale?
Paul Virilio, ha coniato un concetto molto adeguato: information bomb. Sono d'accordo con lei sulla società della conoscenza. Virilio parla della società della conoscenza come di conoscenza in attesa di esplodere. Quando ero uno studente, molto prima che lei nascesse, ricordo che ci davano una certa impostazione e anche io credevo che le cose stessero così, cioè che la maggiore minaccia sociale per l'uomo fosse l'ignoranza della natura. Così la vera fonte di questo buco nero che ci spaventa non era davvero la natura in se stessa, ancora inesplorata, quanto piuttosto l'informazione accumulata su di essa. Oggi noi ne possediamo senz'altro un'informazione vasta, che non potremmo abbracciare con la nostra mente. La nostra memoria è stata rimpiazzata dai computer, dall'informazione della grande rete mondiale. E allora abbiamo iniziato a temere i computer. I computer domineranno il mondo. Essi producono nuova schiavitù semplicemente perché essi detengono tutta l'informazione. Così la società della conoscenza è una manna e un disastro insieme. La nostra cultura non è tanto una cultura dell'apprendimento quanto una cultura della dimenticanza8. Voglio dire che è più semplice se ti dimentichi le competenze, le abitudini che hai appreso ieri. Hai successo quando sei adattabile. Questo significa che gli unici depositari stabili della conoscenza sono i computer. E persino loro possono dimenticare. Io ho già perduto due volte le cose che erano nella memoria del mio computer, per via di ciò viene chiamato progresso. Hanno smesso di produrre il tipo di computer che usavo e tutta l'informazione immagazzinata sul mio vecchio computer è diventata inutilizzabile perché i nuovi computer non riuscivano a leggerla. Peraltro i computer non possono nemmeno essere riparati perché abbiamo dimenticato come si fa.
Ma quale pensa che sia il ruolo della conoscenza al giorno d'oggi?
C'è molta più informazione oggi, sono d'accordo con lei, in termini di teoria dell'informazione, ce n'è sempre di più. Ma questo significa che la nostra società è più “della conoscenza” di quanto non lo siano state altre società del passato? Non ne sono sicuro, perché il volume di conoscenza necessario a vivere non sta cambiando rapidamente, anzi è relativamente stabile. Una conoscenza e un sapere con un aspetto pratico che Wittgenstein ha definito come “la conoscenza che serve ad andare avanti”. Vi è un certo numero di situazioni in cui hai bisgno di sapere come devi andare avanti e per ogni essere umano, in ogni parte del mondo il volume dell'informazione necessaria allo scopo è rimasto più o meno invariato. Quindi il resto della conoscenza esiste, c'è, ma in maniera astratta. Esiste davvero nella vita individuale? Nella nozione greca di Paideia, che era all'origine di tutta la concezione formativa, vi era una quantità definita e limitata di conoscenze che venivano trasferite agli scolari e che sarebbero bastate loro per tutta la vita. Oggi non crediamo più che si possano dare una serie di nozioni limitate e che queste possano bastare a chicchessia per tutta una vita. All'epoca avresti memorizzato (quella era la tecnica di apprendimento diffusa) e quindi “indossato” il tuo sapere “come un leggero mantello dei tuoi tempi”, per parafrasare Max Weber, ma subito dietro l'angolo c'è un altro mantello. È il prossimo negozio di software. E tutto questo in effetti è un cambiamento rispetto al passato, ma nel corso della tua vita probabilmente cambi questo mantello molto spesso, ma il fatto è che non puoi far altro che indossarne uno alla volta. Mi chiedo dunque fino a che punto questa società sia più della conoscenza rispetto ad altre del passato. Sono più colto o meglio informato di Aristotele forse9? Quindi ritengo che questa idea della società basata sulla conoscenza, di una generazione (la nostra) meglio informata delle precedenti, sia stata largamente esagerata. È vero che la nostra tecnologia è più intelligente, che può essere usata per un gran numero di servizi per l'umanità, e non solo per l'industria, ma anche per le guerre, le lotte, le uccisioni. Non abbiamo più bisogno di un esercito di massa per ammazzarci a vicenda, un piccolo esercito professionista, ben pagato e altamente tecnologico è più che sufficiente. E persino i piloti che lanciano le bombe non le controllano davvero. Perché in realtà esse sono controllate dai computer. La guerra contemporanea funziona così. La bellezza di tutta la vicenda è che un pilota altamente qualificato che opera in un aeroplano altamente tecnologico, in realtà non fa altro che stare attento a non interferire con il computer. Perché è lui che controlla effettivamente l'apparecchio.
Non è così forse con il resto delle nostre vite?
Nota conclusiva
In questa intervista Bauman con grande acutezza descrive la società attuale e le sue aporie, così come individua i momenti dello sfaldamento dello Stato nazione e delle istituzioni. Un processo che lascia l'individuo più libero, ma anche più solo e angosciato, a interrogarsi, come ben rappresentato dal confessionale della trasmissione televisiva Il Grande Fratello, sul da farsi, sui propri errori, sui propri fallimenti. Mentre, al contempo, i poteri economici sovranazionali crescono e prosperano in una terra senza tetto né legge, fuori dalle scarne e impotenti leggi internazionali.
Il sociologo individua inoltre le attualissime tentazioni di alcuni paesi verso il populismo come alternativa alla democrazia.
In un'altra chiave interpretativa, tuttavia, il suo decifrare questi mutamenti soprattutto in termini di paure individuali e dei loro aspetti psicologici può risultare riduttivo. Bauman in realtà sembra descrivere, senza menzionarli, il capitalismo, il problema dei rapporti di classe e i suoi effetti. Come l'alienazione, ad esempio. Si potrebbe forse dire allora che con il capitalismo maturo, o avanzato, si rompono degli schemi e, come ad ogni passaggio da un'epoca all'altra, vengono a mancare le certezze tradizionali perché ogni cambiamento naturalmente per poter esistere nasce dallo sgretolamento di un ordine costituito e il periodo transitorio tra il vecchio e il nuovo provoca incertezze e inquietudini. Le vecchie regole non tengono più e le nuove non si sono ancora stabilizzate. A questo punto allora, forse potremmo portare un po' più avanti il discorso, verso ciò che Karl Marx chiamava l'individualità e dire che anche questo processo provoca un elevato grado di insicurezza, almeno all'inizio e forse anche più di altri, in quanto comporta come conseguenza primaria che l'individuo assuma su di sé una responsabilità crescente. Sia per quel che riguarda la sua vita privata, sia per quel che riguarda la società nel suo complesso. Di fronte a questa responsabilità nuova, il rischio iniziale è che l'individuo si senta insicuro, solo e incerto nelle sue scelte.
Lo spazio dello Stato nazione si assottiglia mentre cresce lo spazio dell'individualità, della società civile, della partecipazione (e quindi della coscienza?).
Discutibile inoltre a mio avviso la tesi secondo la quale oggi saremmo più insicuri di quanto non lo siamo mai stati in passato. Possiamo immaginare quanto sia potuto apparire spaventoso e insicuro il mondo quando gli uomini non sapevano nemmeno cosa fossero i tuoni, i lampi e i fulmini ed erano lontani dal poter decifrare i segni del loro occasionale e capriccioso apparire? O quando le pestilenze colpivano milioni di persone e tutto quello che i nostri antenati potevano capirne era immaginarli quali disegni di una qualche divinità irascibile e arbitraria? Quando la natura sembrava poter colpire in qualsiasi momento e cancellare così il lavoro di un anno intero. Quando gli uomini morivano a trenta, quaranta anni, e spesso per ragioni che apparivano misteriose. Senza parlare del fatto che la vita era insicura anche da un punto di vita sociale e che la criminalità era più alta. Quand'è che gli uomini hanno smesso di circolare con la spada al fianco?
Dunque mi sembra che – nonostante i molti dubbi posti da Bauman - al saldo della storia, oggi abbiamo sicuramente un bagaglio di conoscenze più ampio. E che il ruolo esercitato dalla conoscenza e dalla scienza, nella nostra società e nella formazione della nostra coscienza, si traduca anche in sicurezza.
È senz'altro vero che più sai e più sai di non sapere, ma anche questo fa parte di un processo di consapevolezza. È qualcosa che si è acquisito.
Note
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