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Laboratorio culturale



Politiche pubbliche e attori transnazionali nel Nord e nel Sud globali

di Ernesto d'Albergo

Elenco degli acronimi

HIPC Higly Indebted Poor Countries

IMF International Monetary Fund

NGO Non Governmental Organizations

OCSE Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico

PIL Prodotto Interno Lordo

PRS Poverty Reduction Strategies

PRSP Poverty Reduction Strategy Paper

SAP Structural Adjustment Policies

UE Unione Europea

UNDP United Nations Development Programme

UNCTAD United Nations Conference for Trade and Economic Development

WB World Bank

 

1. Premessa

Nell'ultimo quarto di secolo, le politiche pubbliche sono state ovunque oggetto di accentuate trasformazioni, che hanno interessato sia i contenuti (obiettivi e impatti), sia le forme istituzionali e organizzative dell'azione (governance). Lungo gli anni '80 e buona parte del decennio successivo, un primo cambiamento generalizzato ha visto l'affermazione di politiche neoliberiste e del correlato modello di governance fondato sul mercato. A partire dalla metà degli anni '90, invece, alle prime si sono sovrapposte politiche della "sostenibilità" e un modello di governo nel quale il mercato viene ibridato dall'attivazione di risorse di integrazione di tipo "comunitario" (d'Albergo 2002). Entrambi gli orientamenti sono stati adottati a tutti i livelli: locale, nazionale e sovranazionale. Tanto gli osservatori quanto gli attori delle politiche, stabiliscono frequentemente connessioni fra questi cambiamenti e il processo di globalizzazione, dal momento che l'agenda delle politiche, gli obiettivi e le misure adottate dai decisori in paesi diversi tendono ad assomigliarsi in misura crescente, mentre aumenta l'importanza dei problemi che non possono essere più affrontati solo dai singoli stati. A ciò corrisponde il costituirsi di interdipendenze regionali e mondiali non solo economiche, ma anche politiche, con il formarsi di una molteplicità di sistemi di governo multilivello fra loro diversi, comprendenti attori locali, statali, regionali e mondiali.

L'articolo affronta questi temi formulando alcune ipotesi circa il ruolo svolto da fattori transnazionali nei cambiamenti che interessano le politiche statali. In particolare, viene presentata un'analisi relativa ai casi delle Politiche di aggiustamento strutturale e delle Politiche per la riduzione del debito e della povertà, i cui principali attori sono la Banca Mondiale (WB) e il Fondo Monetario Internazionale (IMF), le due principali istituzioni intergovernative (insieme all'Organizzazione Mondiale del Commercio), del "globalismo" economico (Beck 1999, 22). L'esistenza di programmi di questo tipo smentisce l'ipotesi secondo la quale "a livello globale non è possibile parlare di un processo di policy (…) e non è identificabile alcun soggetto dotato di potestà direttiva e manca qualsiasi cornice istituzionalizzata per l'oggetto stesso di tale sforzo di guida politica" (Mayntz 1999, 14). Intorno alle politiche e alle istituzioni qui considerate, invece, prendono forma sistemi di relazioni che coinvolgono molti stati nazionali, importanti interessi economici e finanziari oltre ad attori della società civile. Tali strutture di azione pubblica presentano non solo aspetti dissimili, ma anche alcune analogie con reti transnazionali di governo che ci riguardano più da vicino, quelle dell'Unione europea (UE). Differenze e somiglianze emergeranno, in conclusione, da una sintetica comparazione di alcuni profili istituzionali delle due esperienze.

Come tutte le politiche, anche quelle transnazionali attivano consenso e conflitto. L'analisi, perciò, può avvalersi di rappresentazioni che prendono forma tanto all'interno delle istituzioni, quanto nei campi di azione corrispondenti alle aree di impatto economico e sociale delle misure adottate. Per fare emergere gli snodi e le criticità principali delle politiche multilivello considerate, questo contributo ha utilizzato dati e valutazioni prodotti all'interno sia delle istituzioni, sia della società civile transnazionali, cercando di distinguere fra le retoriche e le informazioni che le stesse veicolano.

2. L'imposizione del neoliberismo: le Structural Adjustment Policies

Le Structural Adjustment Policies (SAP) sono un programma adottato a partire dagli anni '80 e per tutti gli anni '90 da IMF e WB per favorire la crescita economica dei paesi del Sud globale, attraverso la loro integrazione nell'economia mondiale. Per quasi venti anni, decine di paesi ad economia non sviluppata o interessata da crisi economiche e/o finanziarie hanno applicato ricette neoliberiste di politica economica, al fine di ottenere prestiti da parte di IFM e WB e per essere aiutati a pagare i debiti precedentemente contratti. Tali programmi condividono delle linee-guida comuni. La principale di esse è costituita dalla subordinazione di tutte le azioni statali all'obiettivo di una crescita guidata dalle esportazioni. La stessa dovrebbe permettere anche una più equa distribuzione della ricchezza all'interno delle economie e delle società nazionali.

L'adesione a un accordo di aggiustamento strutturale con IMF e WB comporta l'assunzione di impegni destinati a determinare l'agenda e le priorità di molte politiche nazionali. In particolare, l'implementazione delle SAP ha comportato per i paesi interessati:

A queste ricette corrisponde un modello di governo delle SAP fortemente gerarchico, strutturato intorno al principio di condizionalità: i prestiti, infatti, sono subordinati all'adozione delle misure sommariamente elencate.

Gli effetti reali di queste politiche costituiscono una delle premesse del cambiamento intervenuto sul finire degli anni '90. Effettivamente, il "fiasco" delle SAP sembra essere stato piuttosto generalizzato, come si evince dalle critiche formulate sia dall'esterno, che dall'interno delle istituzioni di Bretton Woods. Nel 1997, ad esempio, è stata avviata un'iniziativa di valutazione da parte di una rete di NGO, in accordo e con la partecipazione attiva della WB. In 9 paesi, sono stati esaminati gli impatti della liberalizzazione commerciale e del settore finanziario, delle riforme dell'agricoltura e del mercato del lavoro, delle privatizzazioni e della riforma della spesa pubblica sul settore industriale e le piccole imprese, sulla sicurezza alimentare, l'occupazione, le condizioni di lavoro, la povertà, i servizi pubblici e l'ambiente. Al momento della presentazione dei risultati la WB si è ritirata dall'iniziativa, ma questo non le ha impedito di trarre proprie conclusioni in proposito. I principali rilievi emersi da questa e da altre analisi evidenziano da un lato l'inefficacia delle SAP rispetto agli obiettivi macroeconomici iniziali e, dall'altro, il peggioramento delle condizioni di vita dei gruppi sociali più poveri. Non c'è evidenza, infatti, anche secondo studi condotti all'interno dell'IMF (Kochhar e Coorey, 1999, 87), che le riforme strutturali abbiano avuto effetti positivi sulla crescita, né sulla povertà. Mentre al momento di avviare una SAP, WB e IMF promettono un breve periodo di difficoltà, che dovrebbe essere ripagato dalla successiva crescita delle opportunità, in realtà gli effetti positivi nel lungo periodo tendono a perdersi, mentre nel breve i problemi crescono. Infatti, nelle due aree regionali che hanno realizzato il maggior numero di SAP il reddito procapite è rimasto stazionario (America latina) o ha visto delle cadute (Africa). Il migliore effetto ottenuto è stato quello di incrementare i tassi di crescita delle esportazioni, ma senza strutturare in modo solido settori fondati sull'export, e producendo effetti regressivi sulla distribuzione del reddito, sul risparmio interno e sulla povertà. Nei paesi coinvolti, la popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno è passata dal 51,3% di tre anni prima di implementare le SAP al 53,3% di tre anni dopo (UNCTAD 2002, 174).

Inoltre, in molti paesi che hanno implementato SAP la dipendenza dell'economia nazionale dal debito estero (raddoppiato fra il 1984 e il 1999) è cresciuta. Anche se l'eliminazione o la riduzione delle barriere commerciali è stata accompagnata da una politica di cambio flessibile finalizzata, attraverso svalutazioni della moneta nazionale, a mantenere il vantaggio competitivo delle esportazioni e scoraggiare eccessi di importazioni, la ricchezza così generata non ha compensato l'aumento dei costi delle importazioni, che rimangono superiori in quanto a percentuale del PIL. L'accresciuta dipendenza delle economie nazionali dalle esportazioni rende inoltre i paesi interessati vulnerabili alle turbolenze dei mercati internazionali e, in particolare, all'andamento dei prezzi dei generi esportati. Quando ci sono state delle emerging market success stories, il benessere generato dalla crescita è andato a gruppi limitati della popolazione locale e, in parte, a remunerare interessi del Nord globale. Le imprese transnazionali, infatti, vedono ridotti i costi di insediamento e, oltre che nell'agricoltura, trovano nuove opportunità di investimento nelle privatizzazioni delle imprese pubbliche, normalmente associate con licenziamenti e riduzioni delle retribuzioni.

La liberalizzazione commerciale, la riduzione del sostegno statale e della domanda locale e l'orientamento a privilegiare l'esportazione rendono insostenibile per le industrie locali, particolarmente piccole e medie, la nuova competizione internazionale e anche accedere al credito, con effetti di riduzione dell'occupazione e perdita di reddito (Saprin 2002, 174). Inoltre, la rimozione delle barriere all'importazione ha raramente coinciso con misure per aiutare la competitività delle imprese locali. Si sono così avuti estesi fenomeni di deindustrializzazione, che hanno ridotto – in alcuni paesi fino al 50% – il peso relativo dell'industria nell'economia nazionale e l'occupazione. Se l'incremento delle esportazioni non ha generato occupazione, se non in misura ridotta, a bassa retribuzione, e con cattive condizioni di lavoro, è anche perché le export processing zones, al cui interno queste attività si sono prevalentemente sviluppate, sono prive di legami con il resto dell'economia nazionale. Mentre le SAP sono condotte al fine di aumentare l'occupazione nazionale, attraverso le esportazioni e le privatizzazioni, in questi paesi il settore formale genera ora meno lavoro, anche perché le opportunità di impiego nelle imprese privatizzate richiedono skill più elevati, ma non sono accompagnate da misure di formazione.

Le SAP hanno generalmente provocato un decremento nella spesa pubblica per servizi sociali, mentre il servizio del debito ha continuato ad assorbire quote ingenti di finanza statale. Il costo del debito è stato così ampiamente socializzato, attraverso non solo l'imposizione fiscale, ma anche il dirottamento di ingenti quote di spesa sottratte al finanziamento dei servizi. Le privatizzazioni e i tagli ai servizi fanno aumentare le tariffe per istruzione, sanità e servizi a rete, crescere i tassi di analfabetismo, rendono più difficile offrire manodopera qualificata e riducono gli standard sanitari. In presenza di problemi di questo tipo, anche WB riconosce la necessità di migliorare l'accesso dei poveri ai servizi di base, riprendendo a finanziare la spesa sociale, anche in presenza di poliche restrittive dei bilanci pubblici (WB 2001b).

Le privatizzazioni e le riforme deregolative del mercato del lavoro, infine, hanno ridotto tanto l'occupazione, quanto la capacità negoziale dei lavoratori. La riduzione dell'impiego pubblico genera disoccupazione e un'ulteriore pressione sul mercato del lavoro di persone disposte a lavorare a qualsiasi retribuzione. L'occupazione stabile è stata rimpiazzata da lavoro temporaneo, spesso a brevissimo termine. La libertà di organizzazione e negoziazione è stata ridotta e le condizioni di lavoro e i salari sono fissati più che nel passato unilateralmente dai datori di lavoro. Le retribuzioni e il loro potere d'acquisto, perciò, hanno visto andamenti decrescenti, facilitati dall'eliminazione delle limitazioni alla circolazione dei capitali, la quale favorisce il passaggio del controllo di interi settori economici nelle mani di investitori esteri, cui i governi dei paesi interessati spesso offrono implicite garanzie circa la riduzione delle tutele normative dell'ambiente e del lavoro.

Complessivamente, le SAP non hanno provocato una riduzione della povertà. La popolazione povera beneficia di un'espansione della produzione meno in paesi caratterizzati da crescita economica e da molti prestiti legati a SAP che in paesi nei quali queste politiche sono state meno radicali, o non sono state perseguite affatto (e c'è stata comunque crescita). L'elasticità della povertà rispetto alla crescita (l'ammontare del cambiamento nel tasso di povertà per un dato tasso di crescita) viene quindi ridotta dalle SAP. L'elevato tasso di economia informale, particolarmente nelle aree urbane, spiegherebbe questa dinamica (Easterly 2000). Le differenze fra le performance economiche e sociali dei singoli paesi in cui sono state implementate SAP emergono comparando i paesi con diversi livelli di adattamento alle indicazioni delle istituzioni di Washington (dove IMF e WB hanno sede): l'incidenza della povertà è cresciuta maggiormente nei paesi con basso livello di adattamento; dopo l'implementazione delle SAP, però, la povertà nei paesi con più elevata compliance è più alta che prima del processo di aggiustamento: in media, nei paesi ad alto adattamento, prima delle SAP il 48% della popolazione viveva con meno di 1 dollaro al giorno; nei 5 anni successivi la percentuale è salita al 53%.

Ovviamente, di tale distanza fra gli obiettivi e i risultati delle SAP gli attori coinvolti hanno ricercato le cause, per progettare dei correttivi. I motivi individuati sono di due tipi: in primo luogo, vi sono spiegazioni che imputano i cattivi risultati a una cattiva implementazione e, dunque, alla struttura e al processo di questo programma e alle sue modalità di governo. La struttura è fortemente gerarchica, dal momento che i paesi interessati sono messi nella condizione di "prendere" il pacchetto di prescrizioni di IMF e WB o "lasciare" i prestiti, spesso finalizzati alla restituzione di debiti precedentemente contratti. All'interno dei singoli paesi, inoltre, le SAP rafforzano le dinamiche di centralizzazione dei sistemi istituzionali. Le élite degli stati del Sud sono l'unico soggetto che "negozia" con i partner intergovernativi, intorno alle SAP non si apre normalmente discussione nei parlamenti, né con la società civile, frammentata e debole. L'intervento degli interessi economici nei processi decisionali si limita a quello degli investitori esteri. Vi è stata, inoltre, un'eccessiva indifferenza per l'adeguatezza delle istituzioni dei paesi del Sud ad implementare programmi complessi. L'inadeguatezza della governance dei paesi interessati e la conseguente importanza delle istituzioni e delle loro riforme sarà, non a caso, il tema del World Development Report 2002 della Wb. Ma non si tratta solo di un problema organizzativo: a causare la difficile implementazione delle misure contribuiscono anche la mancanza di una percezione della SAP come politica "propria" e gestita autonomamente da parte dei paesi interessati e il mancato coinvolgimento della società civile. Questi fattori saranno considerati centrali negli ambienti WB e IMF e da qui partirà la riflessione sui cambiamenti necessari per consentire la country ownership di questi programmi (Unctad 2002). La Wb sottolinea anche i problemi determinati dalla eccessiva settorializzazione delle misure e l'importanza di ricercare maggiore comprensività (multisettorialità) dell'approccio di ogni programma di sviluppo, per poter affrontare sfide sociali e strutturali (WB 2001b).

Esistono anche valutazioni più drastiche, come quella dell'UNCTAD (2002, 173): "il problema non consiste nella cattiva implementazione. Le SAP non sono la politica giusta per promuovere crescita economica in situazioni di povertà generalizzata". Oltre all'incidenza di fattori come il grado di finanziamento dei programmi, il livello iniziale del debito estero, l'andamento dei prezzi delle merci sui mercati internazionali, viene segnalata anche una causa di tipo metodologico: secondo J. E. Stiglitz – il Chief economist della WB spinto alle dimissioni a causa delle sue divergenze con le sue politiche– le misure contenute nelle SAP sono state concepite solo in vista di obiettivi macroeconomici, senza tenere conto anche degli aspetti sociali e territoriali, come avrebbe consigliato, invece, una prospettiva di "economia dello sviluppo". Secondo molte organizzazioni della società civile transnazionale, infine, il fallimento si dovrebbe al fatto che gli interessi dei paesi e dei soggetti economici forti orientano le SAP più di quelli dei paesi interessati. La visione di queste politiche, inoltre, matura in un ambiente culturale, come quello degli staff della WB e del IMF, costituito da economisti formati nell'ambito della scuola neoclassica, sostenitori di un'ortodossia che considera prioritaria l'efficienza dei mercati e, indipendentemente da molti riscontri reali, attende benefici sociali dal commercio e dalla competizione internazionale più che da misure mirate allo sviluppo umano.

3. La "terza via per il terzo mondo": le Poverty Reduction Strategies

Uno dei principali ostacoli al decollo delle economie dei paesi più poveri consiste nel debito accumulato nei confronti di banche private e delle istituzioni economiche intergovernative. Una volta avviati i primi prestiti, il debito tende a riprodursi e a crescere – oggi ammonta a circa metà del PIL di questi paesi e circa al doppio del loro export – e le conseguenze pesano in primo luogo sulla parte più povera della popolazione, poiché i servizi per la salute e l'istruzione, dipendono da quelle politiche statali che il debito impedisce di finanziare.

Per ridurne il peso, nel 1996 WB e IMF hanno avviato un programma, denominato Higly Indebted Poor Countries (HIPC) Initiative. Nel 1999, questa politica è stata radicalmente riformata, con un "cambio di paradigma" che è stato poi esteso alle rimanenti azioni della WB, fino a divenire una generale cornice di riferimento per l'aiuto bilaterale e multilaterale internazionale. Oltre al fallimento sino ad allora registrato nel raggiungere gli obiettivi di riduzione del peso del debito dei paesi poveri nell'ambito del programma HIPC, il cambiamento dipende dalle cattive performance delle SAP e dai pessimi risultati degli interventi dell'IMF in occasione della crisi delle "tigri asiatiche", che avevano provocato interventi del Congresso e della Presidenza Usa, volti a promuovere un "nuovo corso" delle politiche verso i paesi poveri (Bello 2002). Ha pesato, inoltre, la crescita di un movimento della società civile, capace di raccogliere milioni di firme per la moratoria del debito dei paesi del Sud e che ha criticato sia le SAP, che HIPC prima versione. E' emblematico dell'importanza di questo cambiamento nell'agenda non solo delle politiche, ma anche della politica transnazionale, il fatto che la decisione di passare a una nuova fase sia stata annunciata nel corso di un vertice G7 (Colonia) nel giugno 1999 – pochi mesi prima della protesta di Seattle – e poi messa in opera dagli organismi di governo di WB e IMF, all'interno dei quali il cambiamento era stato progettato.

La denominazione della nuova politica è Poverty Reduction Strategies (PRS). Per la WB, le PRS sono "finalizzate ad aiutare i paesi poveri e i loro partner nello sviluppo a rafforzare l'impatto dei loro sforzi nella riduzione della povertà" (World Bank 2001). Hanno l'obiettivo di alleviare, come parte di una strategia di riduzione della povertà, parte del debito dei paesi dai quali non ci si aspetta che possano raggiungere le condizioni di solvibilità e che perseguono riforme delle proprie politiche economiche e sociali. Quello delle PRS dovrebbe essere un processo orientato ai risultati, integrato nei suoi aspetti macroeconomici, strutturali, settoriali e sociali. Dopo anni di esclusiva focalizzazione sulla stabilizzazione e l'efficienza dei sistemi macroeconomici, quindi, le istituzioni di Washington cercano di collegare mercato, liberalizzazione, privatizzazioni e deregolamentazione da un lato, con la riduzione della povertà dall'altro. Allo stesso modo, cercano di passare da un governo centralizzato delle politiche al loro decentramento (World Bank 2001).

Se la visione economica di base rimane stabile – la liberalizzazione del commercio e le privatizzazioni favoriranno la crescita e, in futuro, anche la riduzione della povertà – l'aggiustamento macroeconomico deve essere ora accompagnato da misure di salvaguardia per i gruppi sociali più minacciati dall'integrazione nell'economia globale (IMF 2000). Il programma ha dunque le caratteristiche di una "terza via per il terzo mondo" (Craig e Porter 2001), che cerca di fondere politiche macroeconomiche non diverse da quelle di aggiustamento strutturale con programmi di spese sociali (UNCTAD 2002, 176).

Come funziona concretamente il programma? WB e IMF hanno stabilito che, per prendervi parte, i paesi debbano da un lato avere un debito non affrontabile con altri meccanismi; dall'altro, devono avere implementato per tre anni uno Structural Adjustment Programme, attraverso misure come quelle precedentemente considerate. Il programma è articolato in due stadi temporali: per ottenere una riduzione del debito, un paese deve raggiungere prima un "decision point" e poi un "completion point". In primo luogo deve predisporre, con l'assistenza di IMF e WB, un Poverty Reduction Strategy Paper (PRSP), che contiene una diagnosi macroeconomica e della povertà, una valutazione degli impatti delle precedenti SAP e le azioni che il Paese si impegna a realizzare.

Se il PRSP è approvato da IMF e WB, il paese ha raggiunto il decision point, nel quale si determina quale sia il livello sostenibile del suo debito. Questa determinazione è formalmente il risultato di una decisione congiunta di WB, IMF e governo interessato, basata su parametri come l'incidenza percentuale del debito sulle esportazioni. Secondo molte NGO, la definizione di sostenibilità del debito data da WB è arbitraria e decisa unilateralmente dai creditori (Jubilee2000 2002, Cafod 2001). La stessa, inoltre, non terrebbe conto dell'adeguatezza delle risorse pubbliche per lo sviluppo rimanenti dopo il pagamento del debito. Ai paesi al di sopra di questa soglia, i creditori accordano a questo punto un acconto di riduzione del debito, e si impegnano a concederne una sufficiente per raggiungere un livello "sostenibile", attraverso stadi successivi, fino al completion point, che coincide con la completa implementazione del programma concordato nel PRSP. La decisione circa la cancellazione del debito nell'intera misura concordata è presa dagli organi di WB e IMF, dopo una valutazione tecnica da parte di uno staff congiunto. I paesi che sono fra il decision point e il completion point hanno diritto ad alcune riduzioni intermedie di debito, alla condizione che stiano realizzando le performance previste.

Il modello di governo delle PRS si basa sul proposito di correggere i limiti emersi nell'implementazione delle SAP. In particolare, la nuova politica dovrebbe garantire maggiore identificazione degli attori nazionali con gli scopi del programma. Ogni PRS nazionale dovrebbe essere guidata dal paese interessato, basata sulla partnership con il settore privato e la partecipazione della popolazione, di NGO, chiese e altri gruppi della società civile. Secondo la WB e il IMF, un sostegno popolare per i programmi di "aggiustamento" è una precondizione essenziale per il loro successo. Le PRS devono quindi garantire maggiore ownership nazionale, (Köhler 2002), che viene perseguita attraverso la promozione di good governance partecipativa nei paesi interessati, che aumenti la trasparenza delle decisioni, promuova la responsabilità dei governi e ne accresca l'efficienza (World Bank 2001c).

Già nel 2001, WB e IMF hanno promosso una riflessione sull'approccio PRS adottato due anni prima, raccogliendo risposte ai seguenti interrogativi: gli obiettivi di riduzione del debito e della povertà sono stati raggiunti? I governi hanno preso la guida delle PRS? La società civile ha effettivamente partecipato? La politica ha consentito di migliorare il coordinamento fra governi e donatori? WB e IMF hanno supportato il processo nel modo migliore? E' necessario apportare correttivi? (Craig e Porter 2001). Le valutazioni sono differenziate. Più ottimistiche quelle delle istituzioni di Washington, più pessimistiche e critiche quelle delle NGO. Vediamole considerando, nell'ordine, le performance macroeconomiche, le spese sociali e la povertà, il funzionamento del modello di politiche, la country ownership e la partecipazione.

A. La riduzione del debito

Nel 2002, dopo 6 anni, solo 6 paesi (Uganda, Tanzania, Bolivia, Mozambico, Burkina Faso e Mauritania) avevano raggiunto il completion point. Altri 22 avevano raggiunto il decision point e 4 erano in corso di valutazione. I ritardi dipendono dalla difficoltà di aderire alle condizioni poste da IMF e WB, soprattutto con riguardo alla liberalizzazione commerciale, alle privatizzazioni e al deficit di bilancio. Secondo WB, tuttavia, al termine dell'iniziativa i paesi che stanno prendendo parte alle PRS vedranno ridotta una parte consistente del loro debito, passando dal 60% sul PIL del 1999 al 24% (World Bank 2002, 5). Non ci si può aspettare, però, che la riduzione abbia andamenti costantemente corrispondenti alle aspettative, né uniformi. Le differenze tra i singoli paesi dipendono sia dalla diversa implementazione dei programmi delle PRS che dalla loro differente esposizione agli shock dei mercati internazionali (soprattutto dei beni primari), particolarmente rilevanti per sistemi economici che vengono orientati a una crescita attraverso le esportazioni. I paesi interessati dovrebbero perciò diversificare le loro esportazioni, finalizzando anche a questo obiettivo i finanziamenti esterni (IMF &WB, 2002a).

Secondo molte NGO, invece, WB e IMF sovrastimano i risultati, includendo nei conti sia gli impegni, sia la cancellazione effettiva del debito. Al 2002 ne era stata ridotta solo una piccola parte e, per la metà dei 20 paesi che sono fra il decision point e il completion point, il suo livello è peggiorato. Ciò si deve al fatto che gli obiettivi di crescita economica fissati nei PRSP spesso sono irrealizzabili, poiché non tengono conto delle risorse e dei vincoli interni e internazionali. In particolare, IMF e WB tendono a usare proiezioni troppo ottimistiche per la crescita economica, per i prezzi dei beni di esportazione (Jubilee2000 2002), per il cambio internazionale. L'ammontare di debito da ridurre, inoltre, sarebbe troppo basso in partenza (Jubilee2000 2002; 50years) e il programma assume che i paesi continuino a ricevere prestiti per aumentare la spesa sociale (Nyamugasira 2000), perpetuando la dipendenza dall'estero per lo svolgimento di essenziali politiche interne.

B. Spese sociali e povertà

IMF e WB prevedono che, in media, i 26 paesi che hanno raggiunto il decision point spenderanno nel settore sociale nel periodo 2002-2005 tre volte quanto prevedono di spendere per il servizio del debito nello stesso periodo, passando da 5,3 miliardi di dollari nel 1999 a 7,6 nel 2002 (IMF &WB, 2002a). Per le NGO, invece, anche se ci sono stati modesti incrementi nella spesa per programmi di riduzione della povertà, molti paesi continueranno a spendere più per la restituzione del debito che per la salute o l'istruzione. In particolare, 16 paesi spenderanno più per il debito che per la salute; 10 paesi spenderanno più per il debito che per l'insieme di salute e istruzione (Eurodad 2001).

Mentre la riduzione della povertà continua ad essere considerata da WB e IMF come una conseguenza sostanzialmente automatica della crescita economica (IDA e IMF 2001), non solo secondo le NGO, ma anche secondo l'agenzia economica delle UN, PRS non sta riuscendo a legare i due aspetti (UNCTAD 2002, 168). I tempi della riduzione del debito, infatti, dipendono da performance macroeconomiche (breve-medio); i tempi della riduzione della povertà, invece, dipendono dalla realizzazione di politiche (sociali, istruzione, etc.) che hanno un impatto molto più differito.

Emerge, quindi, una critica di fondo: performance macroeconomiche da perseguire attraverso modelli (e misure) di crescita export oriented e risultati nella riduzione della povertà sono aspettative fra loro incompatibili (Knoke e Morazan 2002; UNCTAD 2002). Del resto, l'IMF aveva sottolineato sin dall'inizio che mentre le PRS sono finalizzate all'obiettivo di fondo della riduzione della povertà, ci potranno inevitabilmente essere casi in cui misure macroeconomiche strutturali necessarie per stimolare la crescita o ridurre squilibri interni o esterni potranno avere impatti sfavorevoli di breve periodo su gruppi sociali vulnerabili. In questi casi, il PRSP dovrà valutare questi impatti e indicare quali misure aggiuntive siano state previste per proteggere questi gruppi sociali, ad esempio, attraverso reti di sicurezza sociale (IMF, 1998).

Secondo le NGO, invece, WB e IMF valutano con metodologie insufficienti (il tasso aggregato di crescita economica e il tasso di crescita del reddito pro-capite dei poveri o di quelli vicini alla linea di povertà assoluta) l'impatto delle politiche macroeconomiche e strutturali sui gruppi sociali più vulnerabili. Servirebbero, invece, misurazioni della povertà che andassero oltre il reddito, permettendo di tenere conto anche della "severità" della povertà e non solo della sua estensione (Cidse 2000).

C. Il funzionamento della politica

Secondo WB e IMF, la politica PRS sta dimostrando di essere sufficientemente flessibile, funzionando per paesi che partivano da situazioni molto diverse. Essa si configura come learning by doing su come strutturare le azioni, utilizzare i dati sulle politiche precedenti e fare uso delle risorse pubbliche (IDA & IMF, 2002). Considerazioni opposte, invece, sottolineano che PRS sarebbe di nuovo una politica one size fits all: il programma, infatti, funziona in modo uguale per tutti i paesi, indipendentemente dalle differenze fra le economie locali e fra contesti sociali e istituzionali (Jubilee South et al. 2001). Le due differenti valutazioni emergono, in particolare, con riguardo ai processi di formulazione e implementazione della politica:

Formulazione: secondo IMF e WB, i tempi stretti delle procedure producono una scarsa integrazione dei PRSP all'interno dei processi decisionali "ordinari" nei singoli paesi interessati, mentre vi sono limiti anche nei loro contenuti. Emerge, in particolare, una difficoltà nel porre le misure affastellate in un PRSP nel necessario ordine di priorità, mentre vi sono PRSP in cui il quadro macroeconomico non è sviluppato sufficientemente, o in cui il rapporto fra politiche strutturali e riduzione della povertà non è chiaro. Vi è, infine, una debole considerazione dei problemi di governo e mancano degli indicatori specifici per monitorarne il miglioramento (IDA & IMF, 2002, 11, 16). Queste carenze si accompagnano a diffuse incapacità di gestione della spesa.

Implementazione: da parte sia delle istituzioni di Bretton Woods che delle NGO, vengono segnalati problemi attuativi, che danno luogo a un rapporto non lineare fra le azioni e gli impatti (IDA & IMF, 2002). Fra questi: la difficoltà di coordinamento fra governi e NGO, la difficoltà nell'assicurare un management efficace della spesa pubblica e nel raccordare le azioni e le misure contenute nei PRSP con i bilanci degli stati e con le rimanenti politiche dei governi, gestite da ministri diversi da quelli che hanno la responsabilità di PRSP. Scarso, infine, è il coinvolgimento dei parlamenti (UNCTAD 2002; Actionaid 2002; IDA e IMF, 2001).

D. Consenso e ownership

Secondo WB e IMF, la country ownership sarebbe in crescita. Per le NGO, invece, il governo delle PRS è un sistema gerarchico che riproduce sostanzialmente quello delle SAP e i PRSP non hanno prodotto una vera ownership dei paesi interessati con eccezione, forse, delle burocrazie che li implementano. La progettazione e la decisione dei programmi sono effettuati attraverso procedure che assegnano tutto il potere decisionale a negoziazioni fra i ministri finanziari dei paesi interessati e i creditori (IMF e WB 2002a; News 2001; Oxfam 2000b). IMF e WB mantengono un controllo diretto sul processo di formazione e sul contenuto dei PRSP, poiché la costruzione della "matrice di policy" si fonda su delle analisi e su di un menù di opzioni già predisposti. Successivamente gli stessi sono oggetto di confronto con i governi nazionali ma, nei fatti, sono scarsamente negoziabili (Jubilee South et al. 2001; 50years). Pesa, in particolare, l'asimmetria delle conoscenze: IMF e WB forniscono agli stati expertise e consulenza su gestione fiscale, riforme strutturali, politiche macroeconomiche, strategie settoriali, riforme istituzionali, good governance, reti di sicurezza sociale, sviluppo del settore privato "poverty focused" (Jubilee South et al. 2001). Nei casi più estremi, gli stessi gruppi di lavoro IMF e WB si incaricano di scrivere i PRSP in un modo che potrà poi trovare l'approvazione degli organismi di queste stesse istituzioni (Jubilee South et al. 2001).

Gli incentivi che ogni paese dovrebbe ricevere per elaborare e implementare proprie soluzioni al problema della povertà si trasformano, quindi, in politiche decise altrove: il lungo periodo necessario per la cancellazione del debito consente a IMF e WB di tenere sotto controllo le azioni statali dei paesi indebitati, dal momento che performance insoddisfacenti possono dare luogo all'interruzione della cancellazione del debito in qualsiasi momento fra il decision point e il completion point (50years).

E. La partecipazione della società civile

WB e IMF danno anche a questo proposito valutazioni contraddittorie: da un lato le PRS si starebbero rivelando buone opportunità di dialogo sulle politiche con "almeno qualche parte della società civile", maggiore di quanto fosse mai stato realizzato (IDA & IMF, 2002): "il coinvolgimento della società civile ha influenzato i contenuti dei PRSP, particolarmente nel portare l'attenzione sull'esclusione sociale, sugli effetti di impoverimento derivanti da una poor governance". La sfida consisterebbe nel "passare da consultazioni ad hoc a forme di dialogo più istituzionalizzate". Da un altro lato, invece, si denuncia che "organizzazioni della società civile non ben viste dai governi, esponenti dei governi locali, sindacati, gruppi femminili e rappresentanti diretti dei gruppi più poveri della popolazione non sempre sono stati coinvolti nel processo PRSP" e, in particolare, nella discussione di issue macroeconomiche e dell'agenda delle riforme strutturali, come la liberalizzazione commerciale e le privatizzazioni (IDA & IMF, 2002, 9). Tuttavia, WB e IMF ritengono che l'imposizione di standard partecipativi minimi da parte loro sarebbe contraddittoria con il principio della country ownership. Già oggi, i governi si sentono costretti a svolgere consultazioni, per rispettare le procedure stabilite da WB e IMF, e ciò contribuisce a renderle rituali, riducendone l'impatto sul processo decisionale (Jubilee South et al. 2001).

Anche secondo le NGO, in diversi paesi si sono aperti spazi per la partecipazione al processo delle PRS, soprattutto per quanto riguarda i settori della salute e dell'istruzione (Actionaid 2002). Sovente, questa partecipazione è la più significativa nelle politiche nazionali; in alcuni casi è la prima esperienza di coinvolgimento in quelle economiche (News 2001). Le NGO sottolineano però che il ruolo della società civile è stato più significativo al momento delle diagnosi sulla povertà e quasi del tutto assente, o ininfluente, al momento della formulazione delle scelte (NGO francesi 2001; News 2001; Painter 2002). La forma di partecipazione più sperimentata è la consultazione di NGO selezionate – e solo di livello nazionale (News 2001) – su di un documento già predisposto. Si tratta di consultazioni tematiche o settoriali, incontri con inviati di WB e IMF, ma non della partecipazione alla stesura dei documenti, riservata ai funzionari dei governi nazionali, assistiti da consulenti designati da WB e IMF" (Actionaid 2002). Il coinvolgimento dei gruppi più poveri della popolazione è stato minimo e superficiale – il fatto che i documenti sui quali si chiedono opinioni siano scritti in inglese non aiuta – e gli esperti in questioni di povertà non sono stati consultati (Christian Aid, 2001).

I governi dei paesi interessati preferiscono le NGO come partner nell'implementazione, particolarmente per le misure sociali che dovrebbero ridurre i danni della liberalizzazione (50years), piuttosto che come partecipanti effettivi nei processi decisionali, dal momento che richiedono spesso misure alternative, particolarmente sulle politiche macroeconomiche (Actionaid 2002; News 2001). A loro volta, molte NGO si interrogano sul senso della partecipazione al processo dei PRSP e, in particolare, circa il rischio che il loro coinvolgimento introduca una divaricazione fra le "organizzazioni della società civile che possono e non possono partecipare" e che questo possa dare luogo alla cooptazione di alcune NGO nella legittimazione di politiche opposte agli interessi dei gruppi più deboli della popolazione, con possibilità di influenza limitate da accordi già intervenuti fra governi nazionali e WB e IMF (50years; Jubilee South et al. 2001).

Il programma PRS, dunque, incrementa la concentrazione di leadership nel processo tecnocratico di formulazione, a detrimento dei parlamenti e della società civile (UNCTAD 2002, 173). L'urgenza della riduzione del debito e le scadenze imposte da Washington, inoltre, non trovano simmetria temporale nei lunghi tempi che sono invece richiesti per costruire i PRSP attraverso un processo effettivamente partecipativo (Cidse 2000; Jubilee South et al. 2001; News 2001). Ciò ha dato luogo in molti paesi a due processi separati e paralleli: da un lato la discussione delle questioni sociali, nell'ambito della formulazione dei PRSP, con un po' di partecipazione; dall'altro le issue macro, inserite nel contesto dei documenti finanziari e macroeconomici, senza alcuna partecipazione (News 2001).

F. La continuità con le Structural Adjustment Policies

Le valutazioni della politica PRS date dai principali attori politici sono sostanzialmente positive. In occasione del vertice dei G8 di Genova (luglio 2001) è stato approvato un documento che sottolinea gli aspetti di successo dell'implementazione del programma, raccomandando solo un maggiore orientamento a considerare prioritario l'obiettivo della riduzione della povertà. Dagli ambienti delle NGO e delle UN, invece, emerge una critica di fondo: le PRS sono una grande opportunità per ridurre la povertà, ma per essere efficaci dovrebbero rompere con le politiche neoliberiste, non limitandosi ad aggiungere spesa sociale a misure di liberalizzazione e privatizzazione che rappresentano una prosecuzione delle SAP degli anni '80 e '90 (UNCTAD 2002, 199; Saprin 2002). Questo non si è verificato: gli strumenti sono ancora molto simili tra loro, tanto da ritenere che PRS sia sostanzialmente una perpetuazione piuttosto che una sostituzione delle SAP (Knoke e Morazan 2002; Jubilee South et al. 2001; Hellinger 2001). I criteri condizionali che devono essere soddisfatti affinché siano liquidate le tranches di riduzione del debito, infatti, mantengono elevata la pressione esterna sui governi e chiudono il dibattito su eventuali misure alternative (Actionaid 2002). Secondo giudizi più radicali, il vero obiettivo di IMF e WB sarebbe quello di perpetuare la dipendenza dai crediti internazionali e continuare a dettare le politiche economiche dei paesi debitori (50years), aggiungendo una risorsa di legittimazione da parte di questi ultimi (Jubilee South et al. 2001). L'effetto prodotto, infatti, è il trasferimento di ricchezza dai paesi debitori ai creditori internazionali, poiché l'orientamento dell'economia all'export permette di raccogliere valuta pregiata per il pagamento dei debiti e delle importazioni, favorite dalle liberalizzazioni commerciali.

Emergerebbe così l'incapacità di IMF e WB di adattare la loro cultura allo scenario delle PRS da essi stessi introdotte. L'esistenza di un pregiudizio in favore delle prescrizioni neoliberiste è più evidente nel caso dell'IMF, che sembra cogliere l'occasione per dare solo una nuova veste alle politiche precedenti. La WB, invece, immette più risorse di progettazione nel "nuovo corso", dimostrando una visione almeno in parte diversa (Stiglitz 2002). Questa differenza emergerebbe anche nei comportamenti individuali all'interno dei joint teams che danno assistenza ai governi nella predisposizione dei PRSP (News 2000).

4. Sud globale ed Europa: spunti comparativi

Pur essendo indirizzati ai paesi del Sud globale, i programmi considerati propongono spunti analitici di portata più ampia e indicano prospettive di approfondimento su temi come il rapporto fra i cambiamenti generalizzati nell'orientamento delle politiche e la globalizzazione, la natura delle reti che strutturano le politiche transnazionali, la differente permeabilità delle agende nazionali tra gli stati del Nord e del Sud globali e il ruolo svolto all'interno delle politiche dagli attori della società civile.

A. I cambiamenti generalizzati nelle politiche pubbliche e il rapporto con la globalizzazione

I casi delle SAP e delle PRS evidenziano come l'impatto della globalizzazione sulle politiche statali dei paesi del Sud globale si manifesti non tanto o non solo in modo diretto, come effetto della percezione da parte dei decisori di un medesimo contesto di interdipendenze, di competizione, di opportunità e di rischi globali, quanto attraverso la mediazione intenzionale di politiche transnazionali. Possiamo chiederci se e come ciò riguardi anche il Nord del mondo e l'Europa. Tutti gli stati, infatti, operano in un contesto nel quale crescono gli attori e le arene decisionali transnazionali e in cui istituzioni come WB, IMF, WTO – e, in modo diverso, l'UE – influenzano le politiche nazionali, ponendo vincoli o suggerendo soluzioni ai decisori statali, o attuando propri programmi, che degli stati richiedono la cooperazione, soprattutto nell'implementazione. Se negli anni '80 e '90 l'orientamento delle politiche è stato simile in pressoché tutti i paesi, ciò trova almeno in parte una spiegazione nelle azioni condotte dagli attori transnazionali per diffondere il paradigma neoliberista prima e, in seguito, quello della sostenibilità, o diverse miscele fra di essi in diversi settori.

Le istituzioni transnazionali agiscono secondo tre principali modalità, spesso combinate fra loro. Le stesse sono elencate di seguito secondo un grado crescente di cogenza:

A loro volta, le politiche alimentano i processi di globalizzazione, accelerando l'apertura dei mercati, strutturando le nuove ragioni di competitività e interdipendenza internazionale, riducendo o ristrutturando i programmi di welfare e influendo sulle forme che la globalizzazione stessa assume all'interno di specifici contesti nazionali (Palier e Sykes 2001, 16). Questi processi contribuiscono alla creazione di un mondo nel quale le agende politiche e le forme di governo sono tra loro più simili, pur in presenza di dinamiche di traslazione di idee e modelli di azione e di organizzazione (Czarniawska 2002, 7) e di fenomeni di dipendenza dal passato che, a loro volta, spiegano l'impatto differenziato dei cambiamenti di paradigma nelle diverse politiche e in dversi paesi.

I modelli di governo sono strettamente legati alle politiche, e tanto in quelle per il Sud globale, quanto in quelle dell'UE una "poor governance" nazionale e locale è considerata un ostacolo al successo delle azioni pubbliche. Per questo, con le politiche della "terza via", la "good governance" diviene oggetto fondamentale dei programmi delle istituzioni internazionali. Da quanto si è visto, però, l'imposizione dall'esterno sia dei contenuti delle politiche, sia dei modelli di governo, non è facilmente destinata al successo. Nel caso di SAP e PRS, l'inefficacia del passaggio dal neoliberismo alla sostenibilità sembra da ricondursi all'eccessiva continuità delle pratiche fra le due fasi; nel caso dell'UE la sommatoria fra liberalizzazione e salvaguardia di beni comuni tipica delle politiche della sostenibilità, così come l'ibridazione dei modelli di regolazione delle politiche orientati al mercato, si propongono come specifici terreni di approfondimento empirico delle analisi sin qui condotte dalle scienze politiche e sociali.

B. Le reti di azione delle politiche transnazionali e la permeabilità delle agende nazionali (governo multilivello)

Le politiche precedentemente considerate, così come quelle delle UN e dell'UE – ad esempio nei casi della competitività locale e della "inclusione sociale" – danno forma a reti o sistemi multilivello. Quando si fondano su principi di sussidiarietà e governance "democratica", questi policy network transnazionali incarnano il tentativo di dare agli obiettivi delle politiche della sostenibilità anche un'architettura istituzionale con essi coerente. In tale prospettiva, le istituzioni intergovernative o sovranazionali dovrebbero:

Può essere utile, a questo proposito, confrontare il modello di politiche come le PRS con quello di programmi che sono parte della politica europea di "coesione economica e sociale". Entrambi, infatti, sono realizzati attraverso procedure di domanda, valutazione ex-ante, concessione di risorse finanziarie a vario titolo (es: co-finanziamenti, prestiti o riduzioni dei debiti), implementazione e valutazione in itinere ed ex post. Ambedue le politiche richiedono l'attivazione di partnership con gli interessi economici e/o con la società civile. Entrambe hanno due livelli. Un livello superiore o "centrale" non legittimato attraverso procedure democratico-rappresentative dirette, (anche se, dopo Amsterdam, il Parlamento europeo svolge un ruolo maggiore del passato nella designazione e nella revoca dei commissari e nell'assunzione di alcune decisioni) e uno o più livelli inferiori (gli ordinamenti statali).

Il livello superiore. Mentre la Commissione europea co-dirige i programmi, disponendo i finanziamenti attraverso il partenariato con stati e governi locali che prendono parte anche alla fase "ascendente" delle politiche, WB e IMF hanno piena discrezionalità nel concedere le risorse e nel valutarne l'utilizzazione. A tale concentrazione dei poteri al vertice del sistema di azione, corrisponde un maggiore deficit democratico (Martinelli 2001, 56) delle istituzioni di Washington, che può spiegare anche l'assenza di culture adatte a implementare modelli di governo non gerarchici. La legittimità giuridico-formale proveniente dagli accordi fra attori statali non è sufficiente a garantire una sostanziale legittimazione democratica a istituzioni intergovernative come la WB e il IMF. Infatti, la distanza fra le sedi in cui si prendono le decisioni e le popolazioni sulle quali le stesse impattano è troppo elevata per consentire sussidiarietà e partecipazione democratica alle scelte. Gli stati, peraltro, sono rappresentati all'interno delle istituzioni di Bretton Woods secondo un principio asimmetrico, diverso da quello delle democrazie nazionali e locali e da quello della stessa UE. Infatti, anziché un sistema fondato su criteri di rappresentatività democratici (popolazione), la distribuzione dei pesi e dei voti fra gli stati avviene sulla base di quote economiche possedute all'interno di WB e IMF. Così, ad esempio, nel IMF i paesi appartenenti al gruppo dei G7 controllano il 45,35% dei voti (Usa 17,11%, Canada 2,94%, Gran Bretagna 4,95%, Francia 4,95%, Germania 6,00%, Giappone 6,14% e Italia 3,26%), arrivando al 48,1% se si include l'altro componente dei G8, la Federazione Russa (2,75%). Un'incidenza ben superiore a quella della loro popolazione nei confronti di quella mondiale, mentre inverso è, ovviamente, il peso dei paesi meno sviluppati.

In secondo luogo, anche se fondato teoricamente sulla country ownership e la partecipazione, di fatto il governo di queste politiche viene verticalizzato dal principio di "condizionalità", che attribuisce alle tecnocrazie degli staff economici e dei valutatori hanno un potere condizionante, se non esclusivo, nei confronti degli stati.

Quanto maggiore è l'adeguamento degli stati alle prescrizioni degli attori di livello superiore, tanto più le istituzioni, gli elettori e gli interessi sociali rappresentati perdono sovranità, in modo più o meno "volontario". Tuttavia, la forza degli interlocutori statali può costringere gli attori trasnazionali ad adattare le loro strategie e l'uso delle risorse di influenza delle quali dispongono. Ciò fa si che il processo sia più orizzontale e negoziato nel Nord e più verticalizzato e gerarchico, invece, nel Sud globale. In Europa siamo in presenza di un conferimento volontario di poteri da parte degli stati verso un'entità che, con il tempo, ha accentuato le sue caratteristiche sovranazionali. Anche se l'UE fa uso di strumenti normativi diretti, la loro efficacia dipende da comportamenti congruenti degli stati membri. Il "patto di stabilità", ad esempio, vincola le politiche nazionali attraverso discipline i cui contenuti richiamano le ricette imposte ai paesi del Sud e, generalmente, ai debitori dal IMF, ma l'europeizzazione delle politiche pubbliche negli stati membri evidenzia intensità e velocità differenziate (Fabbrini 2002) e l'influenza sugli stati si esercita anche attraverso una costruzione sociale delle politiche che non esclude il negoziato con gli interessi economici e sociali nazionali (Radaelli 2000) e locali.

Non solo i contenuti delle prescrizioni europee sono negoziati – specialmente nella fase ascendente delle politiche comunitarie – ma la stessa UE è costretta a mettere in agenda riforme delle sua governance e delle sue politiche, sommando costituzionalismo (libro bianco e Convenzione sulla European governance) e ricerca di soluzioni istituzionali e organizzative all'interno delle politiche settoriali (ad es. Agenda 2000). La maggiore asimmetria delle relazioni di potere con i paesi del Sud globale, invece, è evidenziata dall'indisponibilità di IMF e WB a processi di autoriforma in considerazione dei limiti delle proprie politiche.

Il livello inferiore. Una seconda differenza tra i due sistemi di governo e di politiche riguarda la natura dei livelli inferiori, che richiedono e utilizzano i finanziamenti. Nel caso dell'UE, sono istituzioni (nazionali e locali) mediamente efficienti, fondate sulla democrazia rappresentativa e sul decentramento dei poteri. Nelle PRS, invece, la country ownership dimostra di non funzionare anche perché gli attori di base del sistema – stati fortemente indebitati e poveri – sono raramente istituzioni democratiche, decentrate ed efficienti. Tuttavia, se nel Sud globale dovessero crescere effettivamente dei sistemi di governo locali efficienti, democratici e, soprattutto, autonomi – come auspicano non solo le NGO, ma anche l'UNCTAD (2002) – è prevedibile che ciò potrebbe mettere in discussione quel rapporto fra il "globale" delle istituzioni di Washington e il "locale" che il meccanismo attuale permette loro di tenere sotto controllo, attraverso le tradizionali leve macroeconomiche (il bastone del debito e dell'aggiustamento strutturale) e le politiche della "sostenibilità" (la carota della riduzione della povertà). Per permettere politiche per lo sviluppo e contro la povertà costruite localmente e "di proprietà" dai paesi interessati, WB e IMF dovrebbero infatti acconsentire a ridurre il loro controllo sulle politiche nazionali e accettare processi di auto-riforma basati sull'apprendimento, ai quali queste istituzioni si sono invece dimostrate, come si è visto sinora, impermeabili.

C. Il ruolo della società civile

Il passaggio dalle SAP (neoliberiste) alle PRS (sostenibilità) è dovuto non solo alle valutazioni critiche emerse all'interno delle istituzioni intergovernative, ma anche all'indebolimento della legittimazione politica e sociale proveniente dall'ambiente, risorsa cruciale per queste, come per ogni altra istituzione. Originato e concentrato in quei paesi del Nord che, a causa dell'asimmetria politica interna di IMF e WB, costituiscono la principale constituency delle istituzioni di Washington, il deficit di legittimazione interesserà poi anche altri contesti politico-istituzionali internazionali, come l'UE. Ciò interessa non solo la credibilità delle politiche transnazionali che hanno promosso l'allineamento al paradigma neoliberista, ma anche la loro successiva parziale riconversione in chiave di sostenibilità. Il riferimento va alla comparsa di un movimento sociale globale (Ceri 2002), nuovo attore sociale e politico transnazionale che raccoglie settori importanti di una "società civile globale" critica dell'ideologia neoliberista e delle sue applicazioni nelle politiche.

Mentre alcune analisi si concentrano sulle manifestazioni di protesta e sulle risposte istituzionali (Andretta et al. 2002), ai nostri fini sembra utile considerare il ruolo che il movimento sta svolgendo in quanto attore coinvolto nelle politiche. Ciò comporterebbe, ovviamente, analisi molto approfondite e tali da giustificare un intero programma di ricerca. Per il momento, è possibile evidenziare che il movimento chiamato impropriamente dai media "no global":

 

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