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Saggi

Scienza e conflitti sociali: un ruolo per la bioetica?

di Fabio Terragni

    Scienza e tecnologia occupano un posto sempre più determinante nel modellare gli stili di vita individuali e l’organizzazione sociale a scala sia locale che globale. Non dovrebbe quindi sorprendere che spesso i nuovi conflitti sociali abbiano contenuto scientifico o tecnologico: dalle tematiche ambientali globali, come l’effetto serra e le modalità di regolazione delle emissioni inquinanti in atmosfera, alla normazione della incredibile casistica di ingegneria riproduttiva o delle ancora poco comprese possibilità di clonazione delle cellule staminali, embrionali o somatiche che siano, sono moltissimi i temi in cui scienza e tecnologia diventano, in modi diversi, oggetto di controversie e scelte pubbliche. In quasi tutti questi casi le politiche arrancano dietro alle novità introdotte dal progredire della ricerca, non riuscendo quasi mai a governare adeguatamente la materia.

    Potrebbe essere questo un ruolo per la bioetica? Si potrebbe smettere di considerare la bioetica come un terreno per sole dispute di principio e provare a sperimentarne un ruolo euristico, anticipatore, creativo e in ultima analisi pragmatico (quasi da scienza predittiva, come indicava Hans Jonas)? Magari provando a dotarsi di concetti innovativi, che permettano di uscire dalle secche in cui spesso si arena la discussione? A volte infatti non si riescono a individuare soluzioni consensuali anche perché ci si infila in vicoli ciechi, la cui chiusura pare dovuta perlopiù al tentativo di applicare schemi concettuali tradizionali a una materia irriducibile perché dotata di caratteristiche profondamente diverse dall’oggetto originale di quegli schemi.

    A conforto di questa ipotesi può venire un’analisi approfondita di quanto accaduto negli ultimi 25 anni nel campo delle biotecnologie, magari prestando particolare attenzione al conflitto sociale innescato dalle biotecnologie e alle profonde implicazioni etiche di questo conflitto.

Le tappe principali del conflitto sociale sulle biotecnologie

1973 Primi esperimenti sul DNA ricombinante – Dibattito e moratoria
1975 Conferenza di Asilomar
1976 Regolamento dei NIH / diffusione delle preoccupazione al di fuori dei laboratori (Cambridge)
1977 Primi libri sul tema: Playing God di J. Goodfield e Who should play God di J. Rifkin
1979 Prime applicazioni industriali (insulina) – I NIH fondano il primo comitato di controllo (RAC)
1981 Entropy di J. Rifkin – Caso Chakrabarty sulla brevettazione di batteri
1983 Algeny di J. RifkinRicorso contro l’approvazione da parte del RAC degli esperimenti su batteri Ice minus
1985 Rifkin vince la causa contro il RAC – Prime ricerche sul BST ricombinante
1987 L’opposizione al BST cresce in USA e in Europa
1988 La Commissione Europea propone le prime direttive sulla sicurezza in laboratorio e sul rilascio deliberato di organismi modificati geneticamente e sulla brevettazione di organismi viventi – Cresce l’opposizione in Europa(Germania)
1990 In USA viene creato il Coordinated Framework, che include FDA, APHIS, EPA, FSIS).
In Europa vengono approvate due direttive sulla sicurezza delle biotecnologie: 90/219 sulla sicurezza in ambienti confinati e 90/220 sul rilascio deliberato di OGM in ambiente aperto.
1993 Moratoria di un anno sull’uso del BST ricombinante in USA; moratoria fino al 2000 in Europa
1994 US Executive Branch pubblica un rapporto sul BST in cui afferma che "il governo americano non ha mai regolato alcuna tecnologia sulla base delle sue conseguenze sociali" BST ricombinante viene lanciato sul mercato
1996 FDA adotta la politiche della sostanziale equivalenza
1999 EU approva la direttiva sulla brevettazione delle invenzioni biotecnologiche
Protesta di Seattle contro il WTO
2000 Protocollo di Montreal

 

    Da quando sono nate, le biotecnologie innovative sono sempre state accompagnate da furiose polemiche. Le ragioni di queste controversie sono molte e per meglio comprenderle è opportuno considerare, seppure brevemente, la storia della ricerca e delle applicazioni delle tecnologie del vivente: le biotecnologie innovative comprendono un complesso di tecniche che permettono di utilizzare la materia vivente (molecole biologiche, cellule, tessuti, interi organismi) per la produzione di beni e servizi. Si basano in buona parte sulla manipolazione di sistemi viventi e in particolare del loro contenuto genetico. Nascono negli anni '70, quando viene messa a punto la tecnologia del DNA ricombinante o ingegneria genetica. Si differenziano dalle biotecnologie tradizionali – riferite ad attività antiche come la storia: agricoltura, allevamento, trasformazioni alimentari comprendenti panificazione, fermentazione, caseificazione, ecc. - soprattutto in ragione dell’utilizzo di tecniche avanzate di manipolazione genetica o cellulare, e trovano applicazione in ambiti molto differenti tra di loro, accomunati dall'intervento su sistemi viventi o comunque organici: nella ricerca biologica e medica (diagnostica clinica, terapia, terapie geniche, modificazione delle cellule somatiche o germinali, produzione di farmaci intesi come proteine, vaccini); nell’industria farmaceutica e agro-alimentare; nella difesa ambientale; nell'industria chimica, etc.

    La prima molecola di DNA ricombinante, cioè costruita con frammenti provenienti da diversi organismi, viene prodotta nel 1972 quando Paul Berg, un ricercatore americano Premio Nobel per la medicina, ricongiunge in una sola molecola pezzi di DNA provenienti da organismi diversi: un virus oncogeno (SV40), un virus dei batteri (fago l ) e un batterio che vive solitamente nell'intestino umano, Escherichia coli. Con la costruzione di questa prima molecola ibrida (chimera) si può far coincidere la nascita dell'ingegneria genetica. Negli anni successivi, la comunità scientifica manifesta forte preoccupazione per i rischi sanitari derivanti dall’uso di molecole ricombinanti. Le prime persone ad essere esposte agli effetti non controllati di queste nuove molecole sono infatti gli stessi ricercatori, e sorge il timore della possibile comparsa di patologie sconosciute o non controllabili. Ne scaturisce un acceso dibattito in ambito scientifico e pubblico. La metafora più diffusa per descrivere le nuove preoccupazioni è quella del vaso di Pandora, cioè dell'apertura di un contenitore da cui sarebbero scaturite catastrofi per l'umanità. Questi problemi, dal punto di vista tecnico-scientifico, sono stati superati dopo una moratoria, ossia una volontaria sospensione delle attività, proclamata dagli stessi ricercatori e dopo un convegno (nel 1975 in California, ad Asilomar) in cui vengono concordate le misure di sicurezza che sarebbero poi state tradotte in normative. Questo episodio segna comunque l’esordio delle inquietudini destinate ad accompagnare lo sviluppo delle biotecnologie innovative.

    Dalla fine degli anni ‘70, lo sblocco delle ricerche consente di far emergere l’enorme potenza di queste tecnologie, che penetrano all'interno di tutta la ricerca di base ed applicata sulla materia vivente e in particolare nella biologia, con grande impatto sul piano quantitativo e concettuale. In quel periodo, grazie alla possibilità di applicare queste tecnologie alla produzione di beni e servizi, nasce una vera e propria nuova industria. Due ricercatori, che con Berg avevano lavorato ai primissimi esperimenti di ingegneria genetica, fondano una delle prime e certamente la (allora) più importante impresa americana del settore, la Genentech.. Questi e moltissimi altri ricercatori si vedono offrire ingenti capitali di rischio per costituire un'industria mirata allo sfruttamento economico di queste tecnologie. Dalla Genentech in avanti il processo si è autosostenuto, in modo quasi autocatalitico, alimentato più dalle aspettative relative ai successivi sviluppi di mercato che dai risultati reali, fino ad oggi molto inferiori alle speranze che circolavano alla fine degli anni '70.

    Nella fase iniziale il conflitto relativo ai problemi della sicurezza dell'ingegneria genetica è stato circoscritto alla comunità scientifica, ma poi è rapidamente divenuto pubblico ed ha assunto toni sempre più aspri. Oggi è concentrato in particolare sulla introduzione nel mercato agroalimentare di nuove essenze prodotte mediante ingegneria genetica. Le normative americane, che trattano questi nuovi alimenti alla stregua di quelli tradizionali, hanno permesso di coltivare ormai milioni di ettari con piante transgeniche (modificate geneticamente). Lo stesso è accaduto in grandi paesi come la Cina, il Canada, l’Argentina. Molto più controversa la situazione in Europa, dove il caso di due piante transgeniche – soia modificata in modo da essere resistente a una molecola chimica usata come erbicida (e prodotta dalla stessa società che promuove queste sementi) e mais modificato mediante l’introduzione del gene che codifica per una tossina batterica – ha fatto discutere governi e giornali, portando anche a una battuta d’arresto nella deregulation normativa.

    Il motivo principale di queste continue polemiche è da cercare nei dubbi, espressi soprattutto da consumatori, ambientalisti e larghi strati di opinione pubblica, relativi ai potenziali rischi per la salute umana e per l’ambiente. Mentre secondo i tecnici preposti alle valutazioni della sicurezza il rischio sanitario e ambientale può essere considerato sotto controllo, per i critici delle biotecnologie siamo infatti ben lontani da questo traguardo e, nel caso procedessimo comunque, potremmo andare incontro a spiacevoli sorprese.

    Al problema della sicurezza si può far riferimento in due modi: un primo modo è in senso letterale e per poterlo esaminare a fondo dovremmo inoltrarci in complesse disquisizioni tecniche, che in questa sede preferiamo lasciare sullo sfondo. Una seconda possibile interpretazione di queste inquietudini è invece legata al forte contenuto simbolico ed evocativo delle biotecnologie. Secondo molte ricostruzioni della storia del conflitto interno alla comunità scientifica, nel corso degli anni '70 era effettivamente comparsa una razionale inquietudine legata alle incognite associate ai nuovi organismi e alle nuove molecole, ma questa era accompagnata da una componente non razionale, legata alla difficile condizione di protagonisti di una fase storica nell'evoluzione della tecnica, applicata all’uomo e alla natura. Ciò era ben rappresentato nei titoli di molti libri su questo argomento, come "Giocare alla divinità" o "L'ottavo giorno della creazione", dove la metafora della creazione ricorreva insistentemente. Era una spia del fatto che l'ingegneria genetica ha consentito a scienza e tecnologia di avvicinarsi e intervenire sulla materia vivente in modo radicalmente nuovo. In realtà questo era già stato fatto nei secoli precedenti, però era stato fatto senza violare la naturale aleatorietà, che può anche esser chiamata "mistero", legata ai processi di riproduzione. L'ingegneria genetica invece consente di introdurre una attitudine pianificatoria e progettuale dell'uomo nell'intervento sulla materia vivente. In realtà anche questo non è del tutto vero: la famosa pecora clonata Dolly è stato il risultato di 300 tentativi. Le stesse tecnologie di riproduzione artificiale (fecondazione in vitro e simili) applicate all’uomo hanno una percentuale di successo compresa tra il 5 e il 15%. Ma la percezione comune è che le tecnologie del DNA ricombinante permettano di raggiungere obiettivi prima impossibili, violando le resistenze della materia vivente.

    La condizione prometeica dovuta al crescere della potenza tecnica, genera un senso di inquietudine che la comunità dei ricercatori e degli esperti ha progressivamente superato, ma che l'opinione pubblica probabilmente non supererà mai. È anche per questa ragione che le biotecnologie, pur essendo a livello sociale molto meno pervasive di altre tecnologie, come quelle dell'informazione e della comunicazione (certamente l'informatica e le reti hanno un impatto sociale e hanno cambiato il nostro modo di lavorare e di vivere molto più di quanto ha fatto l'ingegneria genetica) sollecitano risposte sociali molto più forti e profonde. E tali risposte hanno una natura, in senso lato, etica.

    La rilevanza della dimensione etica nell’influenzare l’accettazione sociale delle biotecnologie viene confermata anche da numerosi sondaggi di opinione, tra i quali quello promosso, a più riprese, dalla Commissione Europea e che va sotto il titolo di Eurobarometro sulle biotecnologie. Nella sua ultima edizione, l’Eurobarometro approfondisce il tema della valutazione morale delle nuove tecnologie di modificazione genetica, che risulta essere il primo criterio utilizzato dai cittadini europei per decidere se e in che misura accettare i prodotti e le specifiche applicazioni delle biotecnologie.

A oltre 16 mila cittadini europei intervistati sono state sottoposte sette particolari applicazioni delle biotecnologie:

    È stato chiesto di indicare se, a parere delle persone intervistate, ogni specifica applicazione potesse essere ritenuta utile, rischiosa, accettabile, da incoraggiare.

    Sono emersi risultati sorprendenti, in cui pare giocare un ruolo fondamentale la richiesta di un evidente interesse pubblico, ovvero l’esistenza di chiari benefici sociali a sostegno di quella particolare applicazione. Ne consegue che vengono ben accolte (ovvero percepite come utili, poco rischiose, accettabili e da incoraggiare) le applicazioni con evidenti ricadute positive sulla salute umana o sullo stato dell’ambiente. Per esempio, la clonazione di cellule umane, definita come "l’utilizzo di cellule umane clonate per sostituire cellule malate di un paziente" viene considerata più favorevolmente rispetto alla clonazione di animali: il giudizio del pubblico tiene in considerazione lo scopo dell’intervento e l’utilizzo che ne consegue. Analogamente viene espressa una maggiore opposizione ai cibi geneticamente modificati rispetto alle applicazioni in agricoltura, e ciò indica, secondo gli autori dello studio, che gli europei sono più preoccupati per la sicurezza del cibo che per l’impatto ambientale, ma anche che non vedono chiari benefici legati al consumo di cibi transgenici.

    Gli autori dello studio hanno inoltre effettuato un’analisi ulteriore, definendo tre categorie di persone in base all’insieme delle risposte date: i favorevoli, per i quali le biotecnologie sono generalmente utili, poco rischiose, accettabili e da incoraggiare; i tolleranti, che pur giudicando le biotecnologie rischiose restano favorevoli, e gli oppositori.. Analizzando le singole risposte in base a questa logica, i ricercatori hanno tratto valutazioni particolarmente interessanti. Come la conclusione secondo cui qualunque iniziativa dei governi europei per introdurre cibi geneticamente modificati senza etichettatura sarebbe profondamente impopolare in tutti i settori del pubblico. Se infatti risulta prevedibile che meno del 10% degli oppositori è disposto ad acquistare cibo geneticamente modificato o proveniente da animali alimentati con mangimi modificati, molto più sorprendente è il dato secondo cui solo il 50% fra i favorevoli ai cibi geneticamente modificati si dichiarano poi disposti ad acquistarli in prima persona. O ancora, rispetto alla clonazione di animali, una larga maggioranza dei favorevoli ritiene comunque che si tratti di un’applicazione innaturale e che mette a rischio l’ordine naturale. "Il fatto che due fra le principali applicazioni delle biotecnologie siano considerate inquietanti anche da chi ha espresso un generale appoggio - concludono gli autori - non può essere ignorato"..

 

Le tre logiche più comuni adottate dai cittadini intervistati per l’Eurobarometro sulle biotecnologie

Logica Classe Utile Rischioso Accettabile Da incoraggiare
1 Favorevoli Si No Si Si
2 Tolleranti Si Si Si Si
3 Oppositori No Si No No

 

 

    Le perplessità nei confronti delle biotecnologie e dei loro prodotti (soprattutto agroalimentari) è dunque molto diffusa in Europa ed ha una base prevalentemente "etica". Se non si agisce questa dimensione c’è il rischio concreto di protrarre lo scontro in atto e di bloccare anche eventuali sviluppi condivisi e ritenuti di potenziale interesse pubblico.

    C’è un modo per uscire da quello questo vicolo cieco?

    Una strada efficace potrebbe essere rappresentata da un maggiore riconoscimento e comprensione reciproca tra le "parti in causa", che porti a considerare con rispetto le istanze della parte opposta, anche se paiono essere in contraddizione con i concetti tradizionali su cui si è basato il progresso scientifico e tecnologico moderno.

    Lo storico della fisica americano Gerald Holton (Scienza, educazione e interesse pubblico, Il Mulino 1990) afferma molto chiaramente che la richiesta di limiti alla ricerca certamente contraddice la base filosofica dominante della scienza, ma va comunque affrontata in modo aperto perché il conflitto sulla scienza ("tra la vecchia ideologia del progresso e una nuova ideologia dei limiti") non è passeggero né oscurantista, ma serio, strutturale e destinato, in assenza di adeguate risposte, ad amplificarsi. Con straordinaria lucidità Holton afferma che il periodo di adattamento sarà per entrambe le parti lungo, ma che non ci sono alternative: "Il nuovo modello comporta (in estrema sintesi) la rinuncia di ciascuna parte a elementi sostanziosi e preziosi, uno scambio che esige un coinvolgimento e una comprensione reciproci ben maggiori. Ciascuna parte si trova ora a dover cedere in parte la propria autonomia e ciascuna prevede di ottenere benefici e garanzie consistenti e controllati"

    Se il richiamo alle vecchie e nuove ideologie non ci metterà al riparo dal bisogno di dialogare, non si deve incorrere nell’errore di considerare sufficiente il semplice dialogo. Da questo dovranno infatti scaturire gli elementi di profonda innovazione teorica, concettuale e anche pratica cui si faceva riferimento all’inizio.

    Vorrei concludere con un esempio concreto di un blocco dovuto a una forte contrapposizione a contenuto "morale", che potrebbe essere utilmente affrontato con una maggior dose di fantasia: per difendere i diritti di proprietà intellettuale degli autori di "invenzioni" biotecnologiche è stata imboccata, anche su pressione della grande industria, la strada della brevettazione della materia vivente, adottata senza troppe incertezza negli Stati Uniti e con molti problemi in Europa (Italia e Olanda hanno fatto ricorso contro la direttiva). Gradualmente la brevettazione del vivente si va estendo anche alle "scoperte" e addirittura alla messa a punto di metodi terapeutici (finora mai coperti da brevetto in medicina); e sta provocando grosse controversie legali sia tra le stesse grandi imprese, che rivendicano brevetti detti di sbarramento per ottenere sempre maggiori diritti di sfruttamento commerciale di specifiche tecnologie, sia da parte di paesi del terzo Mondo, poveri di tecnologia ma ricchi di diversità biologica, sia da parte di movimenti ambientalisti, religiosi e di consumatori che considerano un’abiezione morale la "brevettazione della vita". Inoltre l’istituto giuridico del brevetto, sviluppato per le invenzioni inanimate, non riesce a contenere adeguatamente la materia vivente, che è, per sua natura, dotata di caratteristiche che tendono a farla sfuggire al controllo: si riproduce, muta, si evolve (non a caso alcune aziende avevano proposto di introdurre in varietà vegetali e animali sottoposte a brevetto un gene, detto "terminator", in grado di impedirne la riproduzione). Per questa controversia si stanno spendendo milioni di dollari. Non varrebbe la pena di riprendere una strada alternativa, già imboccata con i Plant Breeders Rights negli anni 60 e poi abbandonata sotto la pressione delle grandi industrie chimiche, abituate a lavorare coi brevetti? In quel caso si tentò di fondare un sistema che, pur riconoscendo il diritto di sfruttamento della proprietà intellettuale per i "generatori di conoscenze", non trascurava le proprietà della materia vivente e la delicatezza di certi possibili utilizzi delle nuove varietà vegetali create. Non era un sistema del tutto soddisfacente, ma certamente più adatto al vivente e meno controverso di quello dei brevetti.

    Se la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica ci stupiscono ogni giorno, non facciamoci trovare impreparati. La riflessione etica può aiutarci a trovare soluzioni condivise per affrontare l’impervio tema del governo della mutazione tecnica.

 


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