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Note

Salvatore Aloise, Peter Wagner, Percy Allum

Sinistre italiane ed europee a confronto

(Interviste a cura di Carlo Cavaglià)

 

 

  

Tra i problemi che riguardano la politica italiana di oggi certamente rilevante è quello della Sinistra o, meglio, delle Sinistre. Mentre la parte più consistente della Sinistra è confluita nel Centro-sinistra sotto la sigla dell'Ulivo, la Sinistra non riformista è rimasta fedele all'eredità comunista, un ideale millenario, ancora valido nonostante il fallimento dell'esperienza sovietica. DS, ex democristiani,, socialisti, Verdi, Comunisti Italiani compongono un raggruppamento che non è riuscito a trovare finora un'unità ideologica e operativa. Il caso dei DS è particolarmente significativo per un indirizzo che tradisce le proprie origini, inseguendo posizioni socialdemocratiche, precedentemente esecrate, attratti dalle seduzioni del capitalismo neoliberista, spesso selvaggio, senza il supporto di un'analisi critica come quella avviata da Karl Marx. Nell'ambito della Sinistra alternativa convergono Rifondazione Comunista, i No-global, i Movimenti, i Girotondi, tra i quali sono riscontrabili motivi di coesione.

Ma, al di là della situazione del nostro Paese, cosa succede nel resto dell'Europa e in special modo in Francia, Germania e Gran Bretagna? E come ci giudicano gli osservatori stranieri? Inoltre in quale contesto storico la Sinistra si muove in questi Stati?

Come contributo al chiarimento sul piano internazionale di questa problematica, abbiamo intervistato Salvatore Aloise, giornalista, Peter Wagner e Percy Allum, entrambi studiosi di scienza sociale e politica.

Ecco in breve alcune notizie bio-bibliografiche degli intervistati.

Salvatore Aloise è nato in Italia ma è vissuto in Francia. Dal 1988 risiede in Italia, a Roma, dove esercita la professione di corrispondente di giornali, radio e televisioni francesi. Dal 1991 collabora al quotidiano "Le Monde" e  dal 1996 è corrispondente della Rete televisiva culturale franco-tedesca "Arte".

Peter Wagner, sociologo e politologo tedesco. Dal 1999 è professore di Teoria politica e sociale presso l'Istituto Universitario Europeo di Firenze, dopo aver fatto ricerche presso il Wissenschaftszentrum fur Sozialforschung di Berlino (1983-1995) ed essere stato professore di Sociologia nell'Università di Warwick in Gran Bretagna (dal 1995). Tra le sue pubblicazioni principali: A Sociology of Modernity. Liberty and Discipline (1994) e  Theorizing Modernity (2001). Insieme con Heidrun Friese e Antonio Negri  ha pubblicato il volume Europa politica. Tredici ragioni di una necessità (manifestolibri, Roma, 2002).

Percy Allum è stato docente a Reading,in Gran Bretagna, e a Parigi VIII. Attualmente è ordinario di Scienza politica all'Istituto Orientale di Napoli. Tra le sue opere più importanti, ricordiamo: Potere e società a Napoli nel dopoguerra (Einaudi, Torino, 1975), Anatomia di una Repubblica (Feltrinelli, Milano, 1976), Democrazia reale (UTET, Torino, 1997), Il potere a Napoli. Fine di un lungo dopoguerra (L'Ancora, Milano, 2001).

  

In Italia esistono due schieramenti di Sinistra, uno moderato e riformista (PDS, Verdi, Cristiano-sociali, eccetera) e l'altro alternativo e rivoluzionario (Rifondazione Comunista, No-global, Centri Sociali, Volontariato non-governativo, eccetera). Il panorama offerto dal nostro Paese trova analogie nel quadro europeo?

 

Salvatore Aloise. La divisione in due schieramenti, uno moderato e l'altro alternativo, ovviamente non è caratteristica unica della Sinistra italiana. Anzi, si può senz'altro dire che queste due componenti continueranno ad esistere in quanto rappresentano i due modi possibili di cambiamento della società: uno che non accetta compromessi, l'altro disposto a farli pur di raggiungere l'obiettivo. In questo senso la Francia non si discosta sostanzialmente dall'Italia. Ma, se avessi dovuto rispondere solo qualche mese fa alla domanda su similitudini e differenze tra la Sinistra francese e quella italiana, avrei visto tutto in una prospettiva sicuramente diversa. Il disastroso risultato della gauche alle elezioni della primavera 2002, infatti, ha cambiato i parametri di analisi e di riflessione. A maggior ragione per noi giornalisti, abituati a ragionare sull'attualità stretta più che sulla lunga durata degli eventi. Eppure, nonostante la recente sconfitta, resto convinto che l'originale avventura del Governo Jospin si collochi un passo avanti rispetto all'esperienza italiana. Certo, oggi qualcuno sostiene che la conclusione fosse già contenuta nelle premesse. Ma la costituzione di una "gauche plurielle" che, nei cinque anni della legislatura, ha saputo mettere insieme forze moderate e riformiste con forze più alternative, dando una prospettiva unitaria all'insieme della Sinistra, è indubbiamente degna di rilievo. Fermo restando il fatto che poi, al momento di tirare le somme, queste forze non siano riuscite a dimostrare la stessa capacità di dialogo di cui hanno dato prova nel corso dell'esperienza governativa. Al fatidico momento di presentarsi davanti all'elettorato, sono prevalsi gli interessi particolari, le esigenze di visibilità di ogni schieramento. E la frantumazione e la disgregazione hanno portato la Sinistra al peggiore risultato degli ultimi anni. Una delle cause di questo sgretolamento è stato il vano tentativo di intercettare quella rabbia antisistema che poi, invece, è confluita nel voto all'estrema destra di Le Pen o in quello alla Sinistra trotzkista, rappresentata non solo dall'immancabile Arlette Laguillier che da decenni mantiene la sua fetta di elettori, ma anche da altri candidati della Sinistra radicale. Sono proprio questi voti che sono mancati alla Sinistra tradizionale insieme alla capacità di convogliare anche gli elettori di orientamento più incerto ma incapaci di riconoscersi in un'area eccessivamente moderata. Eppure, da principio, la "gauche plurielle" aveva questa vocazione di unione nella diversità. Non una, ma tante Sinistre. Divise, sicuramente, ma pronte a tentare la via del confronto. Ed è questa la differenza sostanziale tra i due Paesi: in Francia, sulla pluralità delle anime di Sinistra, si era riusciti a costruire una maggioranza parlamentare, un governo; in Italia i due schieramenti non riescono neanche a parlarsi. 

Quella della "gauche plurielle", nonostante tutto, rimane una felice intuizione di Lionel Jospin che aveva  impostato la sua azione non sulla presunzione di egemonizzare le Sinistre, caratteristica delle precedenti esperienze socialiste dell'epoca mitterandiana, ma sul tentativo di coniugare le varie anime con le esigenze del Governo, da quella veterocomunista a quella ecologista, a quella moderna e riformista. La gauche è sta al Governo, ha dato uno sbocco unitario al bisogno di guardare a Sinistra e "fare qualcosa di Sinistra", per rimanere nell'ambito dell'accusa che viene rivolta alla Sinistra italiana. In Italia, invece, è accaduto che l'esperienza di un Governo Ulivo-Rifondazione Comunista sia stata interrotta dopo due anni, aprendo di fatto una frattura insanabile tra l'ala moderata e quella più radicale, frattura che ha sicuramente favorito la vittoria del Centro-destra.

L'assenza di un qualsivoglia accordo, anche adesso, all'opposizione, dimostra quanto ancora ci sia da lavorare in questo senso. C'è da chiedersi, oggi, se le discussioni sulla Sinistra, da Agnoletto a Castagnetti, cioè dalle frange più estreme del Movimento ai centristi della coalizione di Centro-sinistra, riusciranno ad avere un esito positivo, soprattutto in questo momento in cui anche Sergio Cofferati ritiene che Fausto Bertinotti e Rifondazione Comunista non possano essere integrati in un grande raggruppamento unitario.

 

Peter Wagner. Si potrebbe affermare che ci saranno sempre queste due componenti della Sinistra, se si intende per Sinistra quelle forze della società che mirano alla trasformazione del mondo esistente in un altro che meglio corrisponda alle richieste di libertà, di giustizia e di solidarietà. Ci saranno probabilmente sempre queste due componenti, perché c'è una tensione tra l'aspirazione a soddisfare queste esigenze senza compromessi (una volontà che aumenterà la distanza nei confronti del mondo esistente poiché tutti i mondi che noi  conosciamo sono lontani dal realizzare queste richieste) e il desiderio di vedere queste esigenze almeno in qualche modo soddisfatte, una volontà che indurrà a creare legami con le istituzioni e specifiche modalità di pensiero. Questa tensione esisteva fin dalla metà del  XIX secolo, se non vogliamo farla risalire alla Rivoluzione francese, e non c'è ragione di ritenere che possa scomparire, almeno non fino a quando ci sarà qualcosa che corrisponda all'idea di Sinistra, come nella definizione data prima.

La tensione tuttavia è destinata a trovare sicuramente un'espressione politicamente e anche organizzativamente alquanto diversa in vari contesti. Recentemente Luc Boltanski e Eve Chiapello  (ne Le nouvel esprit du capitalisme, 1999) hanno proposto un'utile distinzione tra la critica sociale e la critica individuale del capitalismo. In breve, la critica sociale è rivolta a quei tratti del capitalismo che tendono allo sfruttamento e alla disuguaglianza; la critica individuale evidenzia le sue caratteristiche di alienazione e di oppressione. Nella Germania contemporanea si è sviluppata una separazione più forte che altrove di queste due posizioni. La critica sociale, che è alla base della Sinistra riformista, era quasi scomparsa con gli anni Ottanta, in parte come risultato dell'anticomunismo ufficiale che ha ottenuto largo consenso nella Germania dell'Ovest e in parte come una strada più efficace di trattare le disuguaglianze sociali del "modello tedesco", che riconciliava un capitalismo competitivo con un Welfare State avanzato e sindacati piuttosto potenti ma politicamente integrati.

Questa situazione però da una parte ha provocato il consolidarsi di un fronte critico sempre più incisivo, rappresentato negli ultimi vent'anni dal Partito dei Verdi e dintorni, che tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta ha realmente funzionato da asse organizzativo della Sinistra alternativa. Con l'entrata dei Verdi in posizioni di governo e  in particolare dopo l'ingresso nel 1998 nel governo federale, essi sono diventati per molti versi parte della Sinistra riformista.

Dall'altra parte la dissoluzione istituzionale della Repubblica Democratica Tedesca e la sua integrazione nella Germania occidentale ha avuto, tra le altre conseguenze, quella di aumentare la disuguaglianza sociale nel nuovo Stato unitario. Insieme alle crescenti difficoltà di sostenere il "modello tedesco" di fronte a quella che è generalmente chiamata globalizzazione neoliberale, questa situazione ha preparato il terreno per un riemergere della critica sociale del capitalismo, posizione abilmente adottata dal successore al precedente partito di governo della ex Germania Democratica, ora chiamato Partito del Socialismo Democratico (PDS). Sebbene il PDS sia critico verso la globalizzazione e le guerre degli ultimi dieci anni, possiamo già prevedere che perderà la radicalità della sua posizione non appena si avvicinerà a responsabilità di governo (come già avviene in alcuni Lander, inclusa Berlino).

Sarebbe auspicabile, a mio avviso, lo sviluppo di una pratica politica che, sebbene non possa riconciliare le due posizioni, le faccia dialogare con intendimenti di reciproca collaborazione. Per un certo periodo i Verdi sono stati capaci di realizzare ciò e alcuni gruppi al loro interno ancora si impegnano a raggiungere i loro scopi. Tuttavia prospettive per tale pratica si sono molto affievolite rispetto a  vent'anni fa, in parte a causa di un mutamento politico verso posizioni più conservatrici, con un'enfasi nelle acquisizioni raccolte da più campi e in parte a causa della decrescente qualità della comunicazione politica nella nuova organizzazione statuale tedesca.

 

Percy Allum. La risposta di massima è sì. Ma è necessario inserire questa risposta nel contesto specifico britannico. Nel Regno Unito esistono vari gruppi della Sinistra moderata e di quella alternativa. A questo riguardo non va dimenticato che i britannici hanno partecipato a tutti i dibattiti intellettuali e ideologici europei. Tuttavia determinante è stata l'esperienza  più propriamente britannica. La nostra isola, di dimensioni relativamente ridotte, collocata sulla costa atlantica dell'Europa continentale, è stata condizionata dalle guerre di religione europee, che hanno provocato, a partire dal Cinquecento, l'emigrazione di parecchie sette religiose riformate nell'America del Nord. Quindi esiste una contrapposizione tra mondo anglosassone o anglo-americano e quello europeo.

La riprova che il dibattito intellettuale e ideologico britannico sia simile a quello dell'Europa, e in particolare dell'Italia, è attestato dalla celebre mappa concettuale dell'Europa elaborata dal politologo norvegese Stein Rokkan. Egli ha constatato la persistenza di comportamenti politici, nonostante la scomparsa dei fattori che li avevano provocati. Tutto questo si verifica come conseguenza di una tradizione politica che interpreta gli avvenimenti originari alla luce di una griglia quasi immutabile.

Rokkan ha individuato i momenti fondamentali della formazione politica dell'Europa nell'epoca della Riforma e della Controriforma e quelli della strutturazione dei sistemi dei partiti immediatamente precedenti all'allargamento del suffragio per il quale è stata decisiva la "legge del primo occupante". Ma è soprattutto nella logica della geopolitica europea dell'epoca della Riforma e della Controriforma che egli indica come fattore primario dello sviluppo politico del Continente.

Per quanto si riferisce alla strutturazione politica delle società nazionali europee, Rokkan evidenzia quattro punti nodali, riferibili a conflittualità che hanno provocato una mobilitazione di massa, a sua volta causa di fratture politiche profonde e durature nei Paesi europei occidentali: 1) la Riforma e la Controriforma tra Cinquecento e Seicento, responsabili della lacerazione tra centro e periferia; 2) le rivoluzioni nazionali tra Settecento e Ottocento e successivi controlli degli apparati ideologici, compresi quelli del sistema scolastico; 3) la rivoluzione industriale che è all'origine di due rotture: a) nel mercato dei beni tra interessi agricoli e imprenditoria industriale e b) nella lotta di classe tra proprietari e datori di lavoro da un lato e tra braccianti e operai dall'altro; 4) la rivoluzione bolscevica che produce all'interno del Movimento operaio la spaccatura tra rivoluzionari (comunisti) e riformisti (socialisti), ponendo l'alternativa tra rivoluzione internazionale e integrazione negli Stati nazionali. Si può sostenere, come fanno alcuni, che la contestazione del '68 ha provocato una nuova frattura con la questione ecologica, della quale i nuovi movimenti sociali (the new politics)-ambientalisti sono contro uno sviluppo industriale perseguito a tutti i costi.

Anche la Gran Bretagna ha vissuto gli eventi che hanno percorso il Continente europeo. Tuttavia la singolarità britannica è rappresentata  dalla sua esperienza come società industriale con tutte le conseguenze riguardanti la struttura sociale e politica di questo Paese. A questo proposito il sociologo svedese Goran Therborn ha recentemente sottolineato la brevità dell'esperienza dell'industrializzazione sia in Europa sia in particolare in Italia. Cioè l'esperienza di una società dominata dalla grande fabbrica che produce beni materiali con una divisione del lavoro segnata su basi collettive. Egli limita questa esperienza, nel caso italiano, agli anni Sessanta, anche se riconosce che la brevità del caso italiano, sviluppatosi dalla fine dell'Ottocento agli anni '70 del Novecento, deve essere correlata all'attività artigianale, base della piccola industria del Nord-Est. Per di più non vanno dimenticati per l'Italia i limiti territoriali di questa organizzazione economico-sociale, cioè il famoso triangolo industriale, con punti cardine nel Settentrione e precisamente nelle città di Torino, Milano e Genova.

E' necessario tuttavia ribadire che la situazione britannica è diversa dalle altre situazioni nazionali europee, nel senso che la sua esperienza come società industriale è durata più a lungo, circa un secolo e mezzo, ed è stata più estesa, anche se in un territorio di dimensioni ridotte. L'influenza della società industriale si è fatta sentire soprattutto nell'operazione di semplificazione della struttura sociale e conseguentemente nell'organizzazione politica. Il risultato è stato quello di determinare una frattura socio-economica lungo tutto il XX secolo, e soltanto negli ultimi vent'anni, e cioè con la deindustrializzazione e con l'avvento della società postindustriale, si verifica una sorta di allentamento di tale frattura. In questo contesto esistono i movimenti della Sinistra rivoluzionaria, ma sono integrati nelle strutture sociali tradizionali, fortemente radicate. Per esempio, gruppi come i trotskisti, situati nel versante laburista, e quelli neofascisti, collocati nell'ambito dei conservatori, praticano l' 'entrismo', ossia si muovono all'interno delle organizzazioni istituzionali. Negli anni '80 si è verificato il fenomeno del Militant tendency: i trotskisti erano riusciti a prendere il controllo di alcune sezioni dei laburisti e di qualche ente locale a Liverpool e a Hackney, nei sobborghi londinesi, mentre alcuni esponenti neofascisti (che avevano partecipato in Italia, negli anni '70, a un campo di addestramento organizzato dall' MSI) erano stati eletti deputati della Thatcher. Il Partito Comunista britannico non ha mai contato politicamente. Infatti era riuscito a ottenere soltanto due deputati negli anni '40 e negli anni '80 aveva un solo parlamentare, addirittura nella Camera dei Lord: si  trattava di un giardiniere di una linea collaterale di una famiglia nobile che aveva ereditato il titolo trasversalmente per mancanza di un erede diretto. L'influenza del Partito Comunista si faceva sentire unicamente all'interno di alcuni sindacati, per esempio quello degli elettricisti, ma tale influenza era venuta decrescendo negli ultimi vent'anni.

Infine il tentativo di Arthur Scargill (leader vituperato dei minatori nel grande sciopero per salvare l'industria del carbone contro il Governo Thatcher negli anni '80) di fondare un Socialist Labour Party era destinato all'insuccesso: i voti dei suoi candidati nelle ultime elezioni sono stati insignificanti. Forse il dato più significativo, che attesta il radicamento nelle strutture tradizionali britanniche, è proprio evidenziato nel nome di questo Movimento che si chiama Socialist Labour, anziché Socialist tout court. La sola dizione di socialista non rappresenta nessun richiamo, nemmeno nell'area della Sinistra. La stessa cosa era stata sperimentata dai trotskisti con il loro Movimento, guidato da Lynn Redgrave, denominato Workers' Revolutionary Party.

 

 

La forma-partito (e quindi la forza-partito) si è fortemente indebolita nelle Sinistre. Quali potranno essere le strategie per raccogliere il consenso di massa?

 

Salvatore Aloise. Ero da poco arrivato in Italia quando iniziò lo psicodramma dell'abbandono del nome, quella sofferta trasformazione del PCI che mi è capitato di seguire andando nelle sezioni, assistendo alle varie fasi del confronto. Non sapevo, allora, di vedere per l'ultima volta all'opera il Partito per come era inteso un partito di massa. Non un partito monolitico, ma uno schieramento aperto e sensibile al cambiamento, in cui avvenivano discussioni vere. Dialettica infuocata. E c'erano anche i luoghi in cui ritrovarsi, dibattere, confrontarsi. Si era ancora nell'era della partecipazione collettiva, mentre oggi i progressi della vita politica e sociale di ognuno sembrano essere legati molto di più a circostanze particolari, individuali. Infatti, nell'ottica attuale, ed esagero appena, è molto probabile che il lacerante dilemma di allora si sarebbe ridotto a una comunicazione in una trasmissione televisiva tipo "Porta a porta". Si è voluta inseguire a ogni costo la telepolitica perché si pensava che fosse quello il terreno su cui combattere il berlusconismo avanzante. Ma, in questo modo, si è buttato via quel patrimonio unico che era il corpo del Partito, la sua forza. Fermo restando che esistono sicuramente altri fattori che hanno contribuito all'indebolimento della forza-partito, il risultato è che si è riusciti a perdere su tutti e due i fronti: dentro la tv e fuori dalla tv. Dentro, perché messaggi come quelli che propone Berlusconi, facilmente captabili, semplici, diretti, "passano" comunque meglio di altri. Fuori, perché si è creato il vuoto, le sezioni sono state abbandonate, la base è sempre più disorientata e i punti di aggregazione ridotti ai commenti sulle sparute apparizioni televisive. Sempre quelle. La forza-partito oggi  che cosa è, come si misura? Forse è rintracciabile sotto forma di audience per la presenza del tale leader a tale trasmissione. Per il resto buio totale o interrotto da qualche rara occasione di manifestazione. Risultato: oggi una certa Sinistra, nel fare ciò che sarebbe il suo mestiere, per dirla alla Moretti, e cioè mobilitarsi per una ferrea opposizione al Governo Berlusconi, si ritrova a inseguire i movimenti spontanei di tutti coloro che mostrano di non aver perduto la voglia di indignarsi e di protestare, ma che non trovano un partito in grado di incanalarla e di trasformarla in azione politica.

Più che di strategia per raccogliere di nuovo il consenso di massa, i partiti della Sinistra forse dovrebbero, con umiltà, ricominciare ad ascoltare. Disertando la tv.

 

Peter Wagner.  I partiti politici di Sinistra, i partiti del Movimento dei lavoratori sono stati storicamente una risposta al bisogno di azione collettiva nelle condizioni in cui il capitalismo emergeva insieme a una conoscenza molto limitata della democrazia. In linea di massima i partiti erano riusciti a mettere l'accento su due delle proprie tematiche principali, cioè la completa partecipazione politica così come veniva espressa nell'abolizione di ogni limitazione al suffragio e il riconoscimento dei diritti dei lavoratori così come erano difesi dai sindacati e istituzionalizzati nel Welfare State. La crisi dei partiti politici della Sinistra negli anni recenti è in parte successiva al loro successo in questi due punti. In seguito a una situazione di completa partecipazione politica e di solidarietà sociale bene assicurata, sembra che attualmente i progressi della vita politica e sociale dipendano invece più da circostanze particolari e individuali che da azioni collettive organizzate. C'è, perciò, in realtà una profonda crisi dell'azione collettiva che si riflette non poco sul declino delle organizzazioni di partito.

Se lo scenario prospettato fosse vero, i partiti politici sarebbero meno importanti e potrebbe emergere una forma di partecipazione politica più individuale e meno organizzata. Tuttavia anche se si ammettesse, il che penso sia impossibile, che la libertà e la solidarietà oggi in Europa sono garantite, un problema resterebbe e sarebbe sempre più centrale: la tendenza del capitalismo liberale a rimuovere i problemi dalla sfera della discussione e supporre che possano essere affrontati "automaticamente", considerando il risultato indipendentemente dall'azione di molti individui. Molti problemi del nostro tempo, come, per esempio, la crisi dei mercati finanziari e l'inquinamento atmosferico dovuto al traffico di macchine,  emergono in tale scenario. In prospettiva il ruolo dei partiti politici oggi non è solo quello di rappresentare alcuni interessi della collettività (anche se questo compito non scomparirà), ma piuttosto quello di sostenere il principio che riflettere e decidere insieme su argomenti comuni sia il fulcro della vita politica.

I partiti di Sinistra hanno reagito alla trasformazione delle condizioni di azione collettiva in due modi: alcuni, e più drasticamente il Partito Laburista britannico, hanno realmente smantellato le loro organizzazioni politiche e hanno costruito reti di contatto, apparentemente diretto, con gli elettori attraverso sondaggi di opinioni, gruppi di studio, eccetera, eccetera; altri hanno cercato di allargare le loro organizzazioni a diverse forme di attivismo politico nella società. Si può qui vedere un contrasto tra democrazia mediatica da una parte e democrazia della partecipazione dall'altra. Oggi, pare che la prima strategia abbia più “successo” dell'altra. Tuttavia il compito di mantenere viva la comunicazione politica potrà essere realizzato solo se il secondo disegno sarà sviluppato in modo più forte e spesso anche in modo più partecipe

 

Percy Allum. La forma-partito pone dei problemi complessi. E' noto che storicamente si è sviluppata nel tempo una serie di forme-partito, a partire dalla Rivoluzione francese, la quale ha sanzionato la sovranità popolare come base della legittimità politica. Così c'era il "Partito dei notabili", ossia un'organizzazione politica che la classe dirigente dell'Ancien régime si è data per garantirsi il consenso popolare, trasformando in tal modo il proprio potere economico in potere politico e quindi nel potere di governare. In seguito si è formato il "partito di massa", la cui ragion d'essere originaria era l'organizzazione degli "esclusi" dai privilegi, cioè gli operai e le classi indigenti, che potevano contare solo numericamente. Il partito di massa del socialismo tedesco (PDS), organizzato in forma piramidale, si è esteso a tutto il territorio nazionale in funzione delle esigenze parlamentari. Ma rapidamente ha mostrato quei limiti burocratici messi a nudo all'inizio del secolo sia da Rosa Luxemburg (<<nella degenerazione del partito e nello sciopero generale>>) sia dal suo collega di partito il sociologo Robert Michels (<<nella legge ferrea dell'oligarchia>>). Va detto tuttavia che questa forma-partito andava bene per integrare i gruppi subalterni all'interno dello Stato. Anche Palmiro Togliatti propose nel 1944, come modello del "partito nuovo", il PCI, un partito di massa, che il politologo francese Maurice Duverger lo indicava come il partito dell'avvenire nel suo celebre studio: I partiti politici (1951). La Sinistra ha sempre preso il partito burocratico di massa come l'unico possibile modello invece di vederlo per quello che era: non un modello assoluto, ma una forma storicamente determinata.

Tuttavia la storia dei partiti prende un'altra piega nel secondo dopoguerra ed è venuta fuori un'altra forma-partito essenzialmente elettorale: il partito 'pigliatutto' di massa. Come Alessandro Pizzorno ha sottolineato, è vero che la mobilitazione militante si riscontra più facilmente in periodi di intensi mutamenti sociali, quali quello provocato dalla seconda guerra mondiale. Ma credo, personalmente, che tutti, e la Sinistra in particolar modo, hanno sottovalutato l'effetto dell'introduzione nel 1945 del suffragio universale. Esso, tra l'altro, ha raddoppiato con il voto alle donne l'elettorato, facendo sì che la popolazione veramente politicizzata fosse un'infima minoranza dell'elettorato. Tutto ciò per dire, contro le teoria della Sinistra, che non regge il rapporto tra attività partitica e comportamento elettorale, nel senso che più sono le persone coinvolte nelle manifestazioni politiche, più voti ne scaturiscono per il partito alle elezioni politiche. A questo proposito è interessante leggere le relazioni delle istanze locali del PCF negli anni '50, dove sono descritte tutte le varie attività del Partito, e poi osservare i modesti risultati elettorali.

E' anche vero che si deve tener conto, a partire dagli anni '50, di un insieme di altri cambiamenti, notati da Kirchheimer: la frammentazione della struttura sociale che lo sviluppo economico e il benessere hanno portato. Va osservato a questo riguardo che la classe operaia non è mai stata la maggioranza della popolazione maschile dei Paesi europei  continentali, contraddicendo l'ipotesi dei dirigenti dei partiti operai di massa. Inoltre, l'altro sviluppo, cioè le nuove forme di comunicazione di massa (iniziate con la TV, eccetera) ha fatto sì che i partiti di massa abbiano perso il rapporto diretto con la loro base. Oggi l'informazione politica è mediata da gruppi, spesso ostili ai partiti di Sinistra. Una delle conseguenze di questi sviluppi economico-sociali e politico-comunicativi è costituita dal fatto che i partiti in generale, e quelli della Sinistra in particolare (non più di massa, anche se formalmente hanno ancora quella struttura burocratica), sono diventati in realtà delle macchine politiche, il cui ruolo si è ridotto alla designazione dei candidati (generalmente dalla propria 'nomenklatura') ai posti elettivi e alla raccolta di fondi per le campagne elettorali. Di conseguenza hanno perso le loro radici nella società. Anzi alcuni politologi sostengono che con la perdita delle loro radici sociali i partiti si sono rifugiati nello Stato, usufruendo delle risorse statali (finanziamento pubblico, eccetera) per conquistarsi il consenso elettorale (e così una propria legittimità). E' noto che, quando la mobilitazione viene meno, ai programmi politici si sostituisce il patronage  (ossia la distribuzione dei favori e dei servizi personali).

Cosa si può fare? E' una buona domanda alla quale non è facile rispondere tanto è noto che formulare un programma è un conto, ma poterlo realizzare è un'altra cosa, in considerazione degli elementi aleatori dovuti agli aspetti imprevedibili, come la situazione internazionale che un singolo Stato non può prevedere. In ogni modo certamente la prima cosa che la Sinistra deve fare è formulare un progetto, poiché senza un progetto la Sinistra non esiste politicamente. Per esempio, con tutti i limiti (e sono parecchi) la "terza via" di Tony Blair è un progetto politico e si può dire la stessa cosa  con l'ingresso dell'Ulivo nell'Euro che fu la sua bandiera nelle elezioni del 1996. Tuttavia si ha l'impressione che, dopo essere riuscita vincente per l'Ulivo la carta dell'Euro, la Sinistra non è più riuscita a proporre una strategia.

A questo proposito vanno dette due cose: 1) l'Ulivo aveva vinto nel 1996 non tanto per i propri meriti, quanto per i demeriti altrui, cioè la mancata alleanza tra Polo e Lega, che aveva assicurato la vittoria a Berlusconi nel 1994. Infatti si può spiegare il disinteresse di Berlusconi per la Bicamerale nel momento in cui aveva capito che rifacendo l'alleanza con Bossi avrebbe vinto nel 2001, e così è stato. Basta guardare i risultati elettorali del 1994 e del 2001 in rapporto al 1996 per convincersene; 2) la Sinistra non sembra essersi resa conto di questa realtà e quindi  agire di conseguenza.

In ogni modo la futura strategia della Sinistra dovrebbe collegare lo sviluppo industriale con la riforma sociale in modo da permettere a tutti di realizzare il proprio potenziale. Cosa d'altra parte difficilissima. Gli slogan degli estremisti sia di Destra che di Sinistra sono estremamente seducenti, soprattutto per gli elettori tradizionali della Sinistra che vivono in una situazione di disagio economico e di identità. E' facile dire che bisogna proporre risposte riformiste alle ansie e alle insicurezze di coloro che perdono il lavoro, eccetera. Ma il problema è che efficaci risposte riformiste non si sono ancora trovate: nuovo Welfare, formazione permanente, politiche attive del lavoro sono tutti palliativi. Cosa fare? Certamente una politica riformista, se non altro perché il massimalismo non risolve mai niente. Oggi come nel passato. Se è vero, come si dice, che <<la politica è l'arte del possibile>>, la politica della Sinistra, se vuole ancora essere progressista, deve essere <<l'arte di allargare l'area del possibile>>. Questa era anche la pretesa della "terza via" di Blair : ci sono dei rischi, ma anche delle opportunità. L'etichetta della responsabilizzazione dei cittadini deve essere intesa secondo il principio: <<nessun diritto senza responsabilità e nessuna autorità senza democrazia>>. Non c'è dubbio che il progetto riformista deve avere come fondo minimo la partecipazione democratica, ossia la concreta difesa dei più deboli e dei poveri nel mondo e la lotta contro le ingiustizie e contro le esclusioni.

 

 

Ci sono margini concreti alla possibilità, da parte della Sinistra, di opposizioni e di correttivi al potere capitalistico e alla globalizzazione?

 

Salvatore Aloise. Al G8 di Genova lo si è visto in modo chiaro: le Sinistre, pur nella difficoltà di rappresentarselo, si pongono ormai il problema di prospettare correttivi al potere capitalistico e alla globalizzazione. Il pensiero unico non è più dominante. Per la Sinistra moderata e riformista è stata quasi una scoperta  capire che, anche al di fuori del liberalismo, esiste un modo per rapportarsi alla globalizzazione e che i Movimenti anti-mondializzazione non sono da esorcizzare. Ora il rischio è di volere a tutti i costi cercare un contatto e ricevere un rifiuto, trovarsi contestati, per esempio sulla guerra in Afghanistan, come è accaduto a chi è andato a Porto Alegre. Oppure si deve avere il coraggio di ammettere che lo stare all'opposizione rende più facile assumere delle posizioni, mentre, stando al governo, questo riesce più complicato. Come ricordavano Masssimo D'Alema e altri ex ministri al momento del dibattito se andare o meno a Genova: <<ma si può andare a contestare una riunione al cui ordine del giorno avevamo contribuito quando eravamo al Governo?>>. Oggi questa consapevolezza di dover integrare questi correttivi anche in una Sinistra di governo esiste e si fa strada. Diverso il problema per la Sinistra alternativa, in primo luogo per Rifondazione Comunista, che ha sempre sostenuto la necessità di dover recuperare questi Movimenti e non si è dovuta misurare con questo tipo di contraddizioni     

 

Peter Wagner. Se parlassi di successi in risposta alla precedente domanda, è ovvio che la Sinistra non sia riuscita a sconfiggere il capitalismo, anche se è stato temporaneamente possibile contenerlo e correggerne alcuni effetti. Attualmente alcuni di questi correttivi, che spesso risalgono agli anni Sessanta e Settanta, sono sotto minaccia, e questo è ciò che spiega in qualche misura il prevalere di un clima conservatore, come detto prima, che in parte non è infatti una forma di conservatorismo tradizionale, ma una forma socialdemocratica (principalmente focalizzata, come già detto, nella critica sociale). E' singolare che due componenti della Sinistra, presumibilmente radicale, adottino strategie politiche molto limitate: Rifondazione Comunista e, analogamente, il PDS tedesco, sebbene possano considerarsi critici nei confronti del capitalismo, spendono la maggior parte della loro energia a difendere gli aspetti del precedente riformismo. E una tra le maggiori organizzazioni all'interno del Movimento No-global, Attac, mette al centro della sua lotta politica una nuova imposta, il Tobin tax, non certo un obiettivo rivoluzionario.

Riconsiderare lo stesso concetto di capitalismo è in questa situazione un'importante necessità di coinvolgimento politico. Mentre non c'è nulla di nettamente sbagliato nella critica al capitalismo della Sinistra storica, essa è stata  chiaramente insufficiente. E la sua maggiore inadeguatezza è stata la quasi totale assenza di comprensione per il modo in cui le regole capitalistiche, non solo la sua ideologia, in realtà esprimevano la promessa di libertà. La critica di Sinistra è stata e rimane certamente ferma nell'evidenziare il modo distorto come tale libertà sia realizzata, se lo fosse, in situazioni di capitalismo. Ma è una parte non trascurabile di tutta la verità che il capitalismo ha anche fornito quelle libertà che mancavano in altre condizioni socio-politiche. Tuttavia questa verità, temo, non sia stata ancora affrontata adeguatamente e completamente, né tra i riformisti che tendono ad abbracciarla troppo acriticamente, né tra i rivoluzionari che tendono a negarla ugualmente in modo acritico, cioè in termini di una mancanza di autocritica.

L'altra importante necessità di oggi è di considerare il problema dell'Europa seriamente, cioè non solo per essere europeisti, come lo può essere ogni persona ragionevole (e, soltanto per inciso, temo che si debba sfortunatamente considerare la posizione oscillante dell'attuale Governo italiano su questo problema in modo molto serio), ma per considerare la costruzione dell'Europa come momento storico che possa prestarsi a rivitalizzare le stesse possibilità della politica. Questo è non solo così, anche se potrebbe essere altrettanto vero, perché una più ampia organizzazione politica possa operare molto più efficacemente in condizioni globalizzate di quanto potrebbero i più grandi Stati-nazione europei.

"Il keynesianismo in un Paese", che è fallito in Francia durante il primo Governo Mitterand, sembra, in linea di massima, possibile per una politica economica europea coordinata.

Tuttavia più importante è la possibilità di superare le limitate strutture nazionali della politica, spesso ancora modellate dal ripristino di regimi del dopoguerra,  con strutture contenute di partecipazione alla rappresentanza e un'apertura ristretta della sfera pubblica. Anche se si dovrebbe essere ottimisti persino nelle migliori situazioni (dal momento che c'è incluso certamente anche un notevole rischio), l'apertura di democrazie abbastanza consolidate (meglio non pensare all'Italia di oggi) verso la costruzione di una nuova organizzazione politica contiene l'opportunità di allargare gli orizzonti del dibattito e dell'azione politica. Contemporaneamente si ha la possibilità di stabilire sulla scena globale un protagonista politico che offra un'alternativa agli Stati Uniti in termini sia democratici-repubblicani sia socio-economici. Stranamente né la Sinistra riformista né quella radicale, malgrado qualche eccezione, sembra abbiano individuato questa opportunità.

 

Percy Allum. Per principio, sì. Ma il problema è che il potere capitalistico e la globalizzazione sono le due facce della stessa medaglia. Poi ci sono in questo sviluppo, come in tutte le cose umane, aspetti positivi, anziché negativi. E, come spesso accade, gli aspetti negativi colpiscono le popolazioni più deboli. Inoltre non si vede, nonostante il fortunato slogan dei No-global: <<Un altro mondo è possibile>>, l'alternativa all'organizzazione economica dei mercati dopo il fallimento delle command economies (economie pianificate centralmente). La soluzione sarebbe un mercato (e soprattutto quello finanziario) ben regolato. Con lo sviluppo delle comunicazioni (ora world  wide web/internet) il virtuale si è sostituito al reale ed è quello che determina (o piuttosto surdetermina) la formazione e l'allocazione delle risorse.

Mi rendo perfettamente conto delle difficoltà pratiche che esistono: a) nell'assenza di un governo del mondo, un grande potere strategico (USA), sfruttando la logica dei mercati finanziari, effettivamente impedisce una retta gestione delle risorse; b) i possessori delle risorse, sia economiche sia finanziarie sia sociali (soprattutto relative al mondo del lavoro), sono in grado di ricattare il potere politico che intende introdurre correttivi per limitare il potere capitalistico. Come ha sostenuto anni fa un autorevole filosofo e sociologo liberale francese, Raymond Aron: <<va da sé che in un regime fondato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione i provvedimenti presi dai legislatori e dai ministri non saranno mai contro gli interessi dei proprietari...>>. A cui si può aggiungere quello che ha scritto Charles Lindblom, nel suo noto  volume States and Markets, che nelle società occidentali un solo gruppo gode di una situazione privilegiata nei rapporti con il governo: quello degli affari che beneficia di una situazione unica, dovuta essenzialmente alla sua posizione strutturale, predominante nell'economia di mercato. Di fatto il mondo degli affari, a differenza degli altri gruppi, dispone di due mezzi per influenzare il governo: uno, direttamente, attraverso la sua organizzazione di gruppi di interesse e l'altro, indirettamente (ma più forte), tramite la sua posizione strutturale nell'economia (cioè investire o non, con tutte le conseguenze economiche e sociali). E' vero che, se S. E. Finer aveva sostenuto una simile tesi a proposito dei sindacati negli anni '70, i quali, a suo dire, sarebbero diventati <<i padroni effettivi della scena industriale>>, tuttavia è bastata l'esperienza thatcheriana degli anni '80 per dimostrare l'inconsistenza di questa tesi in un'economia di mercato.

 

 

E' importante per le Sinistre non perdere il legame con la propria cultura politica, ereditata dal passato?

 

Salvatore Aloise. E' indispensabile non perdere il legame con il proprio passato. Il rosso delle bandiere che si ricomincia a vedere nelle manifestazioni è la prova, se ce ne fosse stato bisogno, di questa esigenza di radicarsi alla propria cultura politica. L'ansia di rincorrere il modernismo, unita alla pervicace tentazione di tagliare i legami con il proprio passato, hanno, da una parte, disorientato l'elettorato e, dall'altra, svenduto quell'identità che era il punto forza della Sinistra. E oggi, dovendo misurarsi con partiti come Forza Italia e con uomini come Berlusconi, senza storia politica, questo legame è addirittura indispensabile. Non solo per la Sinistra, ma per il Paese

 

Peter Wagner.  Innanzi tutto possiamo interrogarci su che cosa sia l'eredità della Sinistra. La Sinistra è nata, a mio parere, in quella costellazione culturale del tardo XVIII secolo segnata dall'illuminismo, la Rivoluzione francese e il romanticismo. Fondamentale in questo secolo sono l'istanza illuministica di emancipazione, l'asserto idealistico-romantico che il mondo così come è non è l'unico che ci possa essere e l'attivismo dei rivoluzionari che era sostenuto dall'idea che un mondo diverso possa essere realizzato dall'azione dell'uomo. Nel nostro tempo noi tutti, probabilmente, siamo giunti alla percezione che niente di ciò è assolutamente evidente, e certamente non la combinazione di tutti e tre gli elementi che rappresentavano una costellazione piuttosto unica della storia dell'umanità. Se almeno in qualche modo vago, sempre più oscuro e confuso, noi ancora conviviamo con l'immaginazione creativa originata da quella costellazione, ora ci dovremmo convincere che tale eredità deve essere attivamente mantenuta, altrimenti si può perdere, e la perdita sarebbe immensa.

Detto ciò, è necessario aggiungere che tale memoria storica non dovrebbe essere né storicistica né monumentale. C'è realmente bisogno di una autointrospezione critica, di una svolta autocritica nei confronti della propria memoria collettiva (per usare un'espressione recentemente coniata da Jean-Marc Ferry, seppure in un diverso contesto). Due derivazioni da quella costellazione storica hanno dimostrato di essere particolarmente dannose. Primo: l'idea che una buona politica potrebbe semplicemente derivare da una buona conoscenza. Secondo:  l'idea che, qualora la frammentazione sociale creata dal capitalismo fosse stata superata, gli individui avrebbero facilmente costituito associazioni libere e armoniche. Ora dobbiamo sapere che il problema di certe conoscenze e il problema di una buona organizzazione politica rimarrà con noi anche nelle migliori condizioni socio-storiche. Vorrei che potessimo accettare per vera questa analisi, ma temo che sia impossibile: le tentazioni per soluzioni facili rimangono.

Ma supponiamo per un momento che ciò invece sia possibile. Allora, e questa osservazione è importante quanto la precedente, la discussione ha bisogno di avere una seconda svolta. Spesso accade, e non soltanto a qualche superato protagonista della Sinistra, si diventi prigionieri di un liberalismo autosoddisfatto, come conseguenza dell'autocritica già menzionata. Questo  è necessario che sia evitato, non solo nell'attuale corrente di pensiero nella quale un liberalismo individualista, basato sui diritti, viene proposto come la dimensione intellettuale, relativamente accettabile dell'egemonia globale, che sembra difficile da rifiutare. Tuttavia tale eredità ha inizialmente fornito alla Sinistra tutti i mezzi per criticare questa concezione, soltanto che i mezzi sono insufficienti o non vengono usati in modo appropriato. La Sinistra ancora tende a pensare che i problemi con la politica abbiano origine dal regno del capitalismo e sarebbero immediatamente risolti una volta che il capitalismo venga superato. Questa è la ragione per cui la Sinistra ha cercato di concentrarsi su una critica di politica economica più recentemente arricchita da una critica tecnologica. Si è trascurato il compito assegnato a una critica propria della filosofia politica, e ciò è la ragione per cui, anche nella pratica (per ritornare alla seconda domanda), la Sinistra è stata così inerme di fronte alla distruzione della vita politica.               

 

Percy Allum. La risposta è senz'altro sì. La fine del PSI è là a farci ricordare una cosa importante: oggi quasi tutti gli esponenti più in vista di quel Partito sono nelle fila di Berlusconi. Recentemente Guglielmo Epifani, successore di Sergio Cofferati alla testa della CGIL ed ex socialista del PSI, ha detto: << Craxi vinse alla Midas, noi perdemmo...>>.  Con il senno del poi si potrebbe dire che se avesse vinto Giolitti la storia sarebbe stata diversa. Diverso il rapporto tra PCI e PSI e, senza la guerra fratricida, la Sinistra sarebbe diventata prima una forza solida e di governo. Forse non saremmo arrivati ad avere Berlusconi. Certo. Ma serve anche rileggere la storia, dopo averne visto gli esiti, e non dimenticarla. Tuttavia esistono dei problemi. In altre parole, per vincere le elezioni, la Sinistra dovrà allargare la sua base, poiché quella tradizionale (la classe operaia) non ha mai rappresentato la maggioranza dell'elettorato e molto meno quella della popolazione. Ma facendo ciò (si sono visti i segnali anche in Gran Bretagna), c'è il pericolo di perdere il proprio elettorato tradizionale di Sinistra per ragioni economiche e di identità. Per quanto riguarda le ragioni economiche, va tenuto conto che i ceti disagiati del neoliberismo e della globalizzazione hanno conosciuto finora solo le 'fregature'. Quindi sono attratti dall'estremismo (di Destra o di Sinistra) e dal populismo (tipo berlusconiano o chirachiano). Inoltre c'è un ulteriore problema ed è che non esistono più le istituzioni che, nel passato, creavano la cultura politica di Sinistra. Per diventare partiti di governo i partiti di Sinistra rappresentano meno gli interessi politici di forze sociali specifiche. Anche per il fatto che il concetto della politica come conflitto sociale è sempre meno attuale.

La conseguenza logica di questi sviluppi storici, nonché di quelli sociali e di comunicazione politica sul comportamento elettorale, è che, più si cerca di allargare il sostegno elettorale in aree considerate precedentemente quelle degli avversari, più elettori sono disponibili a votare per questi avversari nelle aree tradizionalmente di Sinistra. Dire che gli elettori di oggi sono più pragmatici e meno ideologici di quelli di ieri è ripetere una banalità. Ma, come è stato detto, i partiti hanno man mano perso le loro radici sociali e si sono rifugiati nello Stato, dal quale prendono le risorse (posti istituzionali, finanziamenti pubblici, eccetera) per conquistarsi il consenso elettorale, potere e legittimità. Di conseguenza i partiti (e non soltanto quelli di Sinistra) sono percepiti dagli elettori come più remoti e, aggiunto allo scetticismo crescente della venalità del ceto politico (Tangentopoli insegna), ciò porta alla cosiddetta antiparty politics (politica antipartito) visibile nel crescente non-voto (non a caso definito, a sua volta, "partito del non-voto"). 

 

 

 


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