ANTOINETTE CALABRETTA  

 

 ARIA AUTUNNALE


ã Proprietà letteraria riservata all’Autore




 

Prefazione

 

È arduo parlare di poesia, sempre, specie per chi non è, per così dire, addetto ai lavori, e in un tempo in cui circola abbondantemente, nel bosco fitto della grande e piccola editoria, una infinità di produzioni che suscita perplessità. Ma quando si legge qualcosa di autentico e genuino si è tentati di fermarsi un po' a riflettere. Forse il proliferare di scrittori di "poesia" più o meno sconosciuti, più o meno acculturati, lontani dal mondo delle Lettere e ancor di più dalle Accademie, non è casuale in questo trapasso di Millennio; forse la voglia di pubblicare non è solo semplice aspirazione alla gloria; forse c'è qualcos'altro che urge dentro e che, in maniera ancora confusa, tende a prendere forma per farsi voce di tutti o voce dei più.

Affinché questa "voce" possa manifestarsi sempre più chiara e "dirci" qualcosa, magari non di nuovo, ma di "vero" e "autentico", credo sia il caso di abbandonare le alture e piegarsi ad ascoltare. Forse qualcosa sortirà. Forse una speranza risorgerà a dare nuova linfa alla nostra umanità confusa e frastornata dall'assordante tambureggiare di voci che hanno "declamato" troppo e "dato" poco.

È con l'intento di ascoltare appunto che bisogna, a mio avviso, accostarsi alla raccolta di liriche di Antonietta Calabretta: né poetessa, né letterata, ma donna di una terra tormentata, quale la Sicilia, trapiantata in una terra "felice" che per lei, come per molti, ha significato l'unica possibilità di vita e per altri addirittura il benessere e la ricchezza, quanto non la notorietà e continua ad essere "un mito" per tutti o quasi.

E dalla lettura si alza una flebile voce, come una lievissima musica, a raccontare una storia che ne racchiude tante, ma è sempre la stessa: quella di chi ha "dovuto" strappare le radici dal proprio cuore e colmare "da sola" il vuoto sanguinante che lo strappo ha procurato. "Banalissima" storia di una emigrante forzata, di una donna provata nei suoi sogni e nei suoi affetti, di un'anima in pena sempre pronta, con coraggio, a lottare contro la sofferenza fisica e psicologica, e a sperare di alimentare, col sogno, la vita.

"Banalissima" dicevo non perché insignificante (mai la storia di un uomo è tale), ma perché così comune a tanti da non suscitare alcun interesse. Eppure così attuale da diventare emblematica, se è vero che i sentimenti espressi sono di tutti coloro che, volontariamente o meno, con valigie di sogni e di speranze, si sono allontanati  dalla loro "terra" soffrendone lo sradicamento, la nostalgia e la solitudine.

La prima nota accompagna un tema che è centrale nella silloge: quello del ricordo, che si materializza ora in un "faro/ amante fedele/ complice di muti sospiri/ segreti cullati/ dalla sinfonia del mare"; ora nella figura del padre morto che "per altri sentieri/ percorri il tuo cammino", e a cui l'autrice chiede: "nei miei sogni… / vienimi a trovare/ di te parlami,/ di altre dimore/ raccontami", ora in quel "mare profondo/ mare amaro" della sua terra; ora in una foto che suscita "Memorie di speranze perdute/ nel vento  dell'attesa", dove è un'immagine che ritornerà nell'ultimo componimento di chiusura di cui dirò oltre.

Quasi incastonata tra i ricordi sta la vicenda umana dell'autrice che quasi grida la sua rabbia in Italia mia per il dolore e la solitudine determinati dalla perdita delle radici e sottolineati dalla reiterazione del verso "Figlia di nessuno hai voluto che io fossi". In questa lirica appaiono in nuce quasi tutti i temi presenti negli altri componimenti: l'amore viscerale per la sua terra che esprimerà in alcune liriche in cui rivivranno i luoghi dell'infanzia lontana (Il focolare e la rosa, Piccolo mare, Via La Farina) dove si manifesta una forte capacità evocatrice; il tema della solitudine col suo carico di angoscia dove al peso del sentirsi soli si accompagna un dolore percepito sempre più come elemento costitutivo della vita stessa "Il nulla e il vuoto/rimbombano in me/ come lontane risonanze./ Il cuore si stringe in agonia,/ e, in una morsa straziante, mi trascina là dove/ mete sconosciute/ mi attendono"; il valore sacrale degli affetti che in Italia mia fa tutt'uno col sentimento di amore per la patria dove : "Le ossa dei miei antenati nel tuo/ ventre conservi ancora./ Il loro spirito la mia tomba veglia" e che in Padre mio pare riecheggiare il sentimento di "corrispondenza d'amorosi sensi" di foscoliana memoria nei versi "In silenzio la pioggia bacia la tua tomba,/ mentre, lontano i tuoi tre rami/ ti cullano con il loro pensiero d'amore" quasi a rispondere a quella voce degli antenati che in Italia mia "penetrò/ finché giunse il mio udire" in una comunicazione segreta e costante resa possibile dall'amore che va oltre la tomba; il tema del "ritorno" che è speranza di rivedere la propria terra, ma è soprattutto recupero del passato, dei sogni e delle speranze di un tempo, di una giovinezza sempre attesa ma mai vissuta (Addio giovinezza), di un amore semplice e forte che possa racchiudere e rivivificare con la sua linfa una esistenza sentita come vuoto, come "morte".

In questa ottica sono da leggere le liriche d'amore (Cuore, Come un fiore, Leone, Fiamma d'amore, Verme umano, Negli occhi tuoi neri) nelle quali l'autrice esprime l'eterna vicenda amorosa in cui coraggio, generosità, sdegno, illusione e delusione, insomma la passione richiama al fuoco metaforicamente rappresentato in Desiderio dall' "Etna che maestosa stai/ fra terra e cielo/ con la tua bocca possente/ di fiamma regale che sfida chi vuole/ frenare i tuoi fiumi di passione infuocati", che è motivo fortemente sentito tanto da ritornare nell'ultima terzina di Fiamma d'amore: "di cenere il tempo riempie il braciere./ Ma dentro la bracia, come vulcano,/ continua a crepitare faville d'amore" o negli ultimi versi di Radici. "Un sospiro trema,/ eppure un cuore è sempre colmo d'amore".

È in questo sentimento dell'amore che abbraccia gli affetti familiari perduti, la patria madre e matrigna, la natura con i suoi solari paesaggi marini o le tenebrose sere tempestose, con i suoi fiumi e i suoi prati e le vie colorati di gerani del suo paese natio, la vita e la morte, che è da riconoscere il fulcro dell'ispirazione poetica della Calabretta.

La voce flebile dell'amore è quella che costituisce il filo conduttore di tutta la silloge e dà un tono unitario al variegato mondo poetico della scrittrice, la quale trova nella forza possente di questo sentimento la capacità di risalire dall'abisso del vuoto ogni qualvolta sembra esservi precipitata. Non solo, ma dinanzi al dolore assoluto, la morte, la cui presenza aleggia frequente in molti versi, l'amore assume un ruolo inedito. Se la vita è madre, con le dolcezze e le sofferenze che porta in sé, in Madre Morte, anche la negazione della vita, la morte appunto, è rappresentata arditamente come madre, che maternamente sottrae alla vita la sua bambina, per uno slancio di amore che paradossalmente nega la vita se questa, come spesso accade, è fonte di dolore. All'autrice è negata anche questa soluzione perché lei deve mietere il suo grano con le sue stesse mani, deve consumare tutte le sue forze e percorrere tutto il suo calvario. A lei non resta altro che un barlume di vita, ma potente, nei ricordi "che ritornano/ in primavera quando/ ci svegliamo/ e sbadigliando ci destiamo/ dal sonno lento dell'inverno/ … e nella mente svolazzano/ come papere/ dopo un bagno nello stagno/ …nelle sere d'estate/ quando qualcosa/ ci trascina verso il mare/ … in autunno/ quando la fiamma del focolare/ diminuisce il tempo./ I ricordi ritornano/ in inverno/ quando nel sonno/ si trova riposo/ e ricomincia così,/ la lunga attesa/ del risveglio".

E con questi versi si chiude la silloge quasi ad indicare nel risveglio l'unica speranza scandita dal tempo che più o meno dolcemente, ma sempre inesorabilmente, tutto travolge e consuma.

In questo ritorno ciclico delle stagioni, in questo ritorno prepotente dei ricordi che "vogliono dire/ le loro parole/ chiedono un posto sulla carta/ su un libro, sulla libreria,/ in biblioteca…", c'è una forza vitale che alimenta quella voce che si fa sentire attraverso le metafore, le allitterazioni, le similitudini, la parola semplice, il verso spezzato, i paragoni arditi e le sottili analogie, che quando più quando meno riuscite, costituiscono lo strumento espressivo semplice , ma adatto a cantare una storia emblematica.

Angela Pennisi

 

 

 

 

 

Ricordi

ricordi

di un faro

amante fedele

complice di muti sospiri

segreti cullati

dalla sinfonia del mare.

 

 

 

Aria autunnale

 

Il velo di un tempo passato

striscia la rena trascinando

con sé orme di passi

di un tempo che fu.

 

In silenzio l'aria autunnale

vola baciando il velo

mentre guarda lontano

quei luoghi non più esistenti.

 

L'imbrunire

porta con sé un'effimera pace,

che dolcemente accarezza l'anima in fatica.

 

 

 

Italia mia

 

Eri anche mia, Italia mia,

ma non sei voluta essermi madre.

Hai preferito amare gli stranieri

anziché i figli tuoi, Italia mia.

 

Figlia di nessuno hai voluto che io fossi,

e di torture hai voluto cibarmi.

Non dalle tue braccia, ma da venti e tempeste

hai voluto che io fossi cullata.

 

Figlia di nessuno hai voluto che io fossi.

Dal seno materno la mia bocca togliesti;

e pietre deponesti sulla mia via.

Da mani che lasciarono timbri neri sulla mia pelle

hai voluto che io fossi accarezzata.

 

Figlia di nessuno hai voluto che io fossi.

Le tue belle arti non volesti insegnarmi.

Perché hai voluto che dalla

tua acqua non fossi dissetata e dal

tuo grano non fossi nutrita?

 

Figlia di nessuno hai voluto che io fossi.

Dal profumo di gelsomino mi portasti via,

e per sentieri lontani trasferisti il mio essere

imprigionandomi in labirinti; e da mani

complici, viva, io venni sepolta.

Al mio grido d'amore tu rimanesti sorda.

Le ossa dei miei antenati nel tuo

ventre conservi ancora.

 

Il loro spirito la mia tomba veglia;

la loro eco penetrò

finché giunse il mio udire,

e dissotterrandomi con mani e piedi,

a vivere tornai.

 

Adesso, Italia mia,

sviscerata da sola

la mia esistenza,

con nostalgia mi richiami

perché da te possa ritornare.

 

 

Padre mio

 

Per me, tua figlia, in silenzio,

pregavi

per la mia luce.

 

Nell'ombra,

alla Madonna

accendevi una candela.

 

Le tue mani ossute sulla mia fronte

alleviavano il mio cuore quando

il dolore acuto il mio corpo invadeva.

 

Dove sei, Padre mio?

per altri sentieri

percorri il tuo cammino.

 

Anche tu hai amato in silenzio;

e in silenzio solitario

hai vissuto la tua vita.

 

Potevi tu rompere il muro

della tua solitudine? Sì, forse,

ma non sapevi come;

o forse tu non hai voluto.

 

Sapevi di svegliare

l'ira degli dei terrestri

se anche tu reclamavi il tuo territorio

con le tue virtù e i tuoi talenti.

 

Paura avevi di offendere

questi dei se anche tu un po'

di gioia avessi goduto.

Ed inconsapevole, a loro facesti spazio.

 

Dove sei adesso?

Dov'è la tua anima conservata?

Quale angelo ti venne affidato?

 

Nei miei sogni, ti chiedo:

vienimi a trovare,

di te parlami,

di altre dimore

raccontami.

 

 

 

Un treno, una ferrovia

 

Din… Din… Din… Din… Din…

Sul muro della stazione ferroviaria,

dritta e svelta la campana annuncia

l'arrivo imperioso del treno

destando ansie a chi solo sta per rimanere,

e speranze in chi per sentieri lontani s'avventura.

 

Folgorante il treno arriva.

Volti trepidanti si radunano.

 

Un saluto, un abbraccio, un addio.

Lacrime ingoiate in silenzio.

Poi lo sbattere cupo delle porte

ronza nell'aria profonda e grigia.

 

Impetuoso il treno riparte.

Fra poco sarà già lontano.

Con sé porta via speranze e gioventù;

amori appena cominciati;

amori finiti,

e altri mai finiti.

Amori ancora non nati spaziano nell'aria

in cerca di cuori che dentro li raccolgano.

 

Binari nascosti dentro la muta campagna,

misteri lontani in essi conservano.

 

Un treno, una ferrovia:

un'aquila in volo

verso il nido che l'attende.

 

 

 

 

 

Addio, Giovinezza

 

Addio, Giovinezza.

Vai via prima ancora d'averti conosciuta.

Non ti è stato dato il tempo di sorridermi.

 

Il viso non più giovane io vedo

dal finestrino del treno

che furtivamente rispecchia il mio volto.

 

Addio, Giovinezza.

Come una foglia

riluttante ti separi

dal  ramo che ti diede vita.

 

Il tempo t'ingiallisce e ti appassisce

per poi, come polvere, farti sparire

nell'umido suolo dell'autunno.

 

Altre foglie verdeggianti

prenderanno il tuo posto.

 

Addio, Giovinezza.

A lungo ho atteso il tuo arrivo.

Dove sei stata tutti questi anni?

Adesso che ti ho ritrovata

e posso sorriderti

tu devi andare via.

Hai appena sfiorato il mio viso,

e già ti debbo dire addio.

 

Che tristezza il non averti vissuta in pieno!

Mi sei sempre sfuggita ed io non ti ho mai rincorsa.

Credevo che il tempo fosse tutto mio;

ignara ero della tua tenera brevità.

 

Dei miei tormenti non hai potuto darmi conforto.

Eri troppo tenera e dopo tutto… la giovinezza

è fatta per sorridere non per subire

a lungo, dolori ingiusti.

 

Così tu, Giovinezza, ti sei sempre tenuta

nascosta per proteggerti.

 

Adesso come foglia appassita,

debbo rassegnarmi al destino

che l'autunno traccia inesorabilmente.

 

 

 

 

 

Cuore

 

Cuore che tanto hai amato

chi non ti ha saputo amare,

cullati adesso nel vasto prato dell'amore

dove ogni fiore e filo d'erba

emanano il loro sorriso profondo.

 

Avvolgerti adesso tu puoi nell'amore

di chi ti fa sorridere e piangere di tenerezza.

 

La freccia non più ti penetrerà per ferirti,

ma per aprirti la via che ti porta da chi sa amare.

 

I sassi della montagna non più

appariranno per bloccarti il cammino,

ma per dirigerti là dove

la libertà di amare è infinita.

 

 

Cinguettio d'uccello

 

Un uccello messaggero appartenente

alla mia verde età mi venne in sogno

cinguettando melodie e arie di un tempo;

quando le rose, libere di fiorire,

sbocciavano sui giardini di ogni luogo,

 

quando l'aria primaverile trasportava

nei sobborghi il suono della melodia del tempo,

 

quando l'erba libera di nascere

in ogni pezzo di terra bruna,

ne faceva un prato tutto verde.

 

Puoi tu, uccello cinguettante,

riportare alla Rosa la libertà

di sbocciare ed emanare il suo

profumo per i borghi?

 

Puoi tu riportare alla Rosa

la libertà di rimanere senza essere

dalle mani incuranti schiacciata?

 

Puoi tu, uccello cinguettante,

sprigionare un cuore serrato

da sbarre di ferro e dare libertà

al canto racchiuso nella Rosa?

 

Solo l'aria del tempo che passa

può dirlo con certezza.

 

 

 

 

 

Come un fiore

 

Come un fiore

le mie mani ti raccolsero;

sul mio seno con amore ti cullai.

 

Le tue spine nascoste io non vidi,

e gentilmente sul mio cuore ti posai

credendo che il tuo profumo

ravvivasse la mia anima.

 

Dalla tua rugiada

credevo d'essere dissetata,

ma veleno fermentato

versavi sulla mia bocca.

 

La tua voce e le tue parole,

come fili di ragno,

il mio cuore intrappolavano.

 

Ma l'uragano nebbia

e nuvole spazzò via;

il tuo viso trapunto

di bugie emerse.

 

Corpo senza vita,

succhiato da mille bugie

e promesse non mantenute.

 

Come vampiro,

all'altrui sangue ti nutrivi

e in vita ti mantenevi.

 

Il torrente con sé

l'impurità porta via,

e nel fondo del mare,

nella nullità,

si perde il tuo viso.

 

 

 

 

 

 

Sognare

 

Mare profondo

mare amaro

lo spirito inebria.

 

Sole d'estate

dormire mi fa.

 

Sulla spiaggia

con occhi chiusi

 sogno l'amore.

 

Dormire vorrei:

nel sogno trovare

la mia realtà,

la mia casa,

le cose perdute

ritrovarle nel sogno -

e nel sogno rimanere

con la mia realtà.

Svegliarmi? Perché?

quando è nel sogno

che la mia realtà esiste.

 

 

 

 

 

 

 

Foto

 

Foto di volti

una volta conosciuti

e tanto amati.

 

Foto che racchiudono

un frammento di tempo

e di speranze;

speranze inghiottite dall'attesa

e dall'inesorabile inutile esistenza

di un dio incompetente.

 

Destino sconosciuto rimane nella foto:

il sorriso di una madre

che già sa cos'è la vita;

il viso di un padre che fa credere

che poi la vita non è tanto male.

Mangia, bevi, dormi,

vivi la vita, anche se la vivi nel buio.

 

Visi racchiusi nel tempo:

un presente non vissuto.

 

Amate persone:

un infuso di lontana e vaga memoria.

Memorie di speranze perdute

nel vento dell'attesa.

 

 

 

 

 

Lingua muta

 

Lingua muta

tante cose vuol dire:

una voce vuole trovare.

 

Pensieri in cerca di parole.

Corde vocali in cerca di suono

vibrano nel silenzio della mente.

 

Fra poco gli alberi spogli

si copriranno di verde:

lingua muta la sua voce troverà.

 

Al risveglio della Primavera

una melodia forse può cantare.

Lingua muta forse non più sarà.

 

 

 

 

 

 

 

Leone

 

Davanti a me appari

robusto e forte.

Mi guardi con persistenza.

Chi sei?

Da dove vieni?

A passi lenti

ti avvicini a me.

 

Il tuo odore riconosco.

So chi sei.

So che vieni da lontano.

 

Mi fai paura -

ma più non fuggo.

I miei passi incontrano i tuoi.

Le mie braccia si schiudono:

con trepidanza

ti accolgono.

Per me già trovasti

un posto da pascolare

nell'erba gialla e verde.

Riscaldami

nelle tue forti

e orgogliose braccia.

Odore

sapore di terra e fuoco

porti con te.

Da solo -

in malinconia

i tuoi occhi hanno vissuto.

Non più solitudine per te:

insieme vivremo nel fuoco del tuo sole.

 

Mi guardi ancora?

so cosa vuoi dirmi:

è giunta l'ora

di non fuggirti più.

 

 

 

Voce sconosciuta

 

Nel serrato buio della notte profonda

una voce inerte e remota mi trascina

là dove è sospeso il vuoto.

 

È una voce che non riconosco,

che non mi appartiene,

che non è mai stata mia.

 

Chi sei?

Che vuoi?

Cibarti tu non puoi dei miei sudori.

Va con i tuoi pari.

Di me dimenticati.

Nulla ho più da darti.

I miei sudori appartengono

alla mia forza,

la mia anima all'infinito.

 

Voce che insisti a trascinarmi

nel fondo del tuo pozzo,

sappi che non ho più nessun

conto da saldare.

Io non ti debbo nulla.

 

Per molto tempo ti sei cibata

rubandomi via la giovinezza,

i miei amori, le mie speranze dorate;

la mia luce; le mie gioie te le sei

ingoiate senza pietà.

 

Non ti sarò obbediente.

Non più ti farò nutrire

del mio cuore.

Non più mi farò trascinare nel fondo del tuo pozzo.

Da me non avrai più nulla di cui

saziare il tuo goloso egoismo.

 

Ti sfiderò se ci proverai ancora.

Io e te non abbiamo nulla da dirci.

 

 

 

 

 

 

 

 

Desiderio

 

Etna che maestosamente stai lì

fra terra e cielo

con la tua bocca possente

di fiamma regale che sfida chi vuole

frenare i tuoi fiumi di passioni infuocati,

 

fa' che il tuo calore raggiunga

il suolo della terra che con

trepidanza ti attende per unirsi

al tuo infuocato ardore.

 

Unisciti alle forze supernaturali

per difendere e proteggere

 nostra Madre Terra.

 

Brigida, Inanna, Persefone!

uscite dall'Etna

per far tremare e sparire nel nulla

l'arroganza dell'uomo

distruttore della natura,

 

radunatevi e ridate alla Terra

la libertà di procreare

le sue maestose bellezze.

 

Ridare si devono ai mari le spiagge

e le acque limpide;

ai fiumi la libertà di scorrere

lungo il loro cammino;

ai bambini i prati

per correre fra l'erba verde;

ai monti i robusti

e forti alberi verdeggianti;

agli animali il loro dominio

sul cielo e sulla terra;

al sole il suo splendore

nell'aria fine e trasparente;

al vento

il profumo dei fiori selvatici:

che la sua brezza ci accarezzi

portandoci gioia e libertà di vivere

sul suolo di nostra Madre Terra.

 

 

 

 

 

 

Il focolare e la rosa

 

Sul focolare con fuoco di segatura,

cuoce la magra cena in una pentola

nera affumicata.

 

Fuliggine, dominio di ragni,

negli angoli fa da sfondo

ad un silenzio che non serve più.

 

Una mano palpa nel buio

occhi che cercano luce.

 

Una solitaria lampadina

velata di tristezza

un lieve fascio di luce emana

posandosi sulle pareti

di mattoni logorati,

mentre svelti razzolano

per i muri spaventati.

 

La notte -

sapore crudo

di vergine in eterna gravidanza.

 

Una finestra con portali semichiusi :

antico altare non più in uso.

 

Nell'ombra un tavolo con sopra

frutta invisibile e caffè senza sapore:

un lume spento

in attesa d'essere acceso.

 

Buia è la sera, e nel buio bisogna

vedere e trovare la via.

 

Sul muro, appesa in cornice semplice,

l'Addolorata rimane muta tra il suono

di passi affaccendati

ora svelti,

ora lenti, ora silenziosi;

passi che fanno da sfondo

ad una cupezza ammaliante.

 

 

 

 

 

 

 

Padre

 

Senza dirmi addio

sei andato via per prendere le ali della morte.

 

Racchiuso nelle braccia della notte,

sei stato trasportato dall'aquila notturna

nell'immensità

dove siede il muto silenzio.

 

La Signora Luna, vestita del suo bianco mantello,

ti fece strada con i suoi raggi bianchi e luminosi.

 

Obbediente tu la seguisti affidandoti a Lei

con tenera rassegnazione.

 

Tre rami del tuo tenero albero,

piansero al capezzale  del tuo

letto ormai eterno.

 

Anche tu, ultima mia radice,

sei andato via nel regno di Persefone.

 

Di te rimane il ricordo,

la tenerezza

e il bene che desti in silenzio

a chi a te si affidava

per conforto e aiuto.

 

Lontano, il tuo corpo è adesso racchiuso

in una tomba grigia

cementata nel vasto giardino delle ombre.

 

In silenzio la pioggia bacia la tua tomba,

mentre, lontano, i tuoi tre Rami

ti cullano con il loro pensiero d'amore.

 

 

 

 

 

 

Onde marine

 

Col sorriso ammantato

di stelle lucenti,

la notte discende dolce sulla terra.

 

Con il fruscio delle onde marine,

suona la melodia del canto notturno.

 

Con la morbida carezza di chi sa amare,

la riva siede con forza

a dare sostegno alle acque che,

con continua insistenza,

ritornano a baciare il manto di sabbia.

 

Là in mezzo al mare,

nella barca del pescatore

la luce del faro

balla la danza delle onde marine.

 

 

 

 

 

Sorriso riccioluto

 

In mente mi viene il tuo sorriso

che di speranza illuminava

l'aria attorno a me.

 

 Al mio cuore il tuo sorriso riccioluto

dava conferma del tuo amore paterno.

 

Come ogni cosa amata del passato,

anche tu sei entrato nel giardino

dei ricordi belli e dolorosi.

 

 

 

 

Fiamma d'amore

 

Come l'Etna dalla bocca infuocata

sbocca l'eterna passione,

 

la fiamma crepita dal ceppo

ardore d'amore

penetrando nel fondo del cuore che ama.

 

Di cenere il tempo riempie il braciere.

Ma dentro, la bracia, come vulcano,

continua a crepitare faville d'amore.

 

 

 

 

 

 

 

Radici

 

Radici sparse nel mondo,

spezzate qua e là.

 

Un fiore sboccia,

ma radice non ha.

Il seme non sempre fa radici,

eppure, un fiore nasce e sboccia.

 

Un terremoto qua e là

scuote la terra bruna,

eppure il suolo, sotto i piedi,

rimane, sempre, a sostenerci.

 

Un sospiro trema,

eppure un cuore è sempre colmo d'amore.

 

 

 

 

Piccolo mare

 

Dolce la notte discendeva, lentamente,

e l'aria, l'odore di abeti

trasportava d'intorno per le vie.

 

Nella casetta dal tetto basso,

dal letto con lenzuolo bianco

e coperta cielo azzurro,

un lume con lingua in fiamma

illuminava in silenzio la stanza

della nonna-padre.

 

Col volto sottile e gentili movimenti,

le ombre ballavano su pareti e soffitto,

quando lei si muoveva

per la stanza, indaffarata nelle sue

piccole faccende serali.

 

Magia di vivere portava ella

con il suo minuto corpo e mani

che sapevano tessere la tela del tempo.

Lo striscio delle pianelle consumate

dal tempo e dagli stenti, davano

nello sfondo  del focolare un'accogliente

sinfonia appartenente alla realtà

degli spiriti poeti.

 

Nel braciere in silenzio

ardeva la bracia sotto la cenere,

mentre un caldo mattone involtato

nello scialle veniva posto sotto

la coperta che sembrava un piccolo

mare con la sponda bianca.

Io e la mia nonna-padre

eravamo le due piccole barche

di questo piccolo mare tutto nostro.

 

 

 

 

Verme umano

 

Come un verme schiacciato,

svanisce il tuo volto

nell'irreparabile nullità.

Hai preferito vanificarti,

anziché darti all'amore.

 

Come un verme hai agito:

nessuna tua sostanza hai voluto

ti sostenesse di fronte

al più semplice e al più

bel sentimento che è l'amore.

 

Come un verme che si nutre

di putredine, svanisce adesso

il tuo viso nell'aria affumicata

dall'eterna nebbia.

 

Un verme umano non può amare

né essere amato da un fiore

fresco e profumato, poiché

di putredine vuole nutrirsi

e dedicare ad essa la propria esistenza.

 

 

 

 

 

Negli occhi tuoi neri

 

Negli occhi tuoi neri non più mi perderò.

Dentro le tue pupille i miei sogni perduti troverò.

 

Nelle tue braccia mari infiniti nuoterò,

e sulla tua vela l'aria del futuro navigherò.

 

La tua mano - zampa di leone -

baciata dalla terra e dal fuoco,

con rozza dolcezza,

il volto mi accarezza.

 

Nella tua notte buia e profonda,

mi accingo a ritrovare i miei perduti tesori.

 

Negli occhi tuoi neri non più malinconia ci sarà.

Luce porterò dentro la tua grotta

e di estasi il tuo cuore riempirò.

Negli occhi tuoi neri non più mi perderò.

 

 

 

 

 

Luna birichina

 

Con il cappello alla birichina

tu splendi, Luna bianca, e sorridente

mi svegli nella notte perché io possa

ammirarti nel tuo folgorante splendore.

 

Della notte ti servi per farti da manto,

e del coperchio del cielo notturno

per farti da cappello.

 

Con persistenza mi svegli.

Dal mio letto verso la finestra

il mio viso si volta.

Ed ecco che verso di me tu miri

i tuoi raggi prima che nella tua

bruna fase si nascondino.

 

Con graziosa civetteria

tu da me ti fai ammirare.

Persistente lì ferma te ne stai,

e con il tuo sorriso mi guardi orgogliosa

per esser riuscita a svegliarmi.

 

Da Signora in cielo te ne stai,

e padrona della notte a dormire

mi rimandi per suggerirmi, poi nel sogno,

versi poetici che parlano

del tuo cappello alla birichina.

 

 

 

 

 

Via La Farina

 

Nei caldi e silenziosi pomeriggi

governati dal sole fisso sul cielo,

suona folgorante la tromba

del gelataio annunciando l'ora

della delizia in via La Farina.

 

La nonna col suo curvo e minuto corpo,

sull'uscio s'appresta con spiccioli

in mano, e con amoroso gesto,

il gelato mi intima a comprare.

 

Pane, gioco e gelato ella dava

al mio cuore giovane e pieno di vita.

 

Allegria e schiamazzi di bambini:

con occhi e bocche avidi

si radunano attorno al gelataio.

 

Attenzione egli presta

alle richieste e al vocio

di bambini che insieme

schiamazzano e impazienti

gridano, "Io voglio cioccolato!"

"Io fragola!", "A me vaniglia!"

 

Il gelataio con mani ossute e flessuose,

castelli di gelato su coni costruisce,

mentre con agilità

gli spiccioli nella cassetta

pone, e pronto per il prossimo

cono, continua la sua cantilena:

"Gelati! Gelati! Spumoni!"

 

"Quah! Quah! Quah!"

Papere gialle, spensierate:

 le loro ali svolazzano

mentre fili d'erba

beccano per le vie d'intorno.

 

Sul muro in un'alcova,

come in un altare, tutta solitaria,

l'acqua della fontana, con dolce andatura

il suono calmo, fermo e dolce

dona al pomeriggio estivo,

adornando così, come una gentile cascata,

il muro e le piatte pietre spezzati

che pazienti fanno da gradino.

 

Sul balcone

gerani rossi, gentili e robusti,

verso il cielo il loro sguardo voltano,

contenti d'essere dal sole baciati.

 

 

 

 

 

Nebbia

 

Con insipidezza il mio orizzonte

vieni ad offuscare.

 

Perché tu vuoi

che io non veda chiaro?

Perché a me vicina te ne stai?

Credi che di te io sia innamorata?

 

Sole, sciogli questa nebbia

che mi circonda l'anima,

luce e chiarore portami attorno.

 

Di tulipani e margherite

adorna il mio giardino.

 

Corona la mia chioma con rami di gelsomino

ed il mio cuore riempi con dolci sorrisi.

 

Fa che una mano forte e robusta

mi guidi là dove i sogni diventano realtà.

 

 

 

 

Mete sconosciute

 

Di tristezza il mio cuore si colma.

Voce e corpi nel nulla svaniscono,

e di nuovo la desolata verità

appare ancora immutabile.

 

Nel silenzio il mio cuore

lentamente si racchiude;

e come un altare solitario

e abbandonato, si sprofonda

in un abisso senza fondo.

 

Qualcosa muore dentro di me.

 

Il nulla e il vuoto

rimbombano in me

come lontane risonanze.

Il cuore si stringe in agonia,

e, in una morsa straziante, mi trascina là dove

mete sconosciute mi attendono.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Notte oscura

 

Nella notte oscura

il sonno mi manca.

La mia anima è invasa da vuoti pensieri.

Pareti e tetti crollano.

Alla speranza aggrapparsi non si può.

Fili s'ingarbugliano,

e il ragno ingoia l'ingenua.

Un viso in silenzio piange

e nel buio una lacrima si perde.

Ancora una volta il cuore sanguina.

Una voce vuole gridare,

ma solo il vuoto è lì ad ascoltare;

e nell'abisso il cuore ritorna a sprofondare.

 

 

 

Tempesta

 

La notte

tempesta di mare

nel sogno ulula.

 

Io fuggo.

Terra ferma cerco

con i miei piedi.

L'uragano urla

fischia fino all'ultimo fiato.

Le Furie si uniscono,

chiedono giustizia.

 

Fischi di rabbia,

gioie e dolori incastrati

in un terremoto di fango.

 

Fuggire si vuole:

salvarsi se si può;

ma da chi? Da che cosa?

E' la vita salvezza?

 

 

Una lacrima

 

Un vento gelido

con un soffio

il tuo lume spense.

 

Una lacrima

per te ho pianto.

 

Amore sconosciuto

Giovane-vecchio

 

solo, nell'aria

la tua anima adesso vaga.

 

Nell'ombra della morte

la tua giovinezza hai vissuto.

 

Desolata solitudine in veste funebre

guidava il tuo cammino verso il nulla.

 

Addio, amico mio.

Il tuo viso verso un altro

orizzonte è ormai volto.

 

Alla tua veglia

solo muri grigi

e sedie polverose

ti furono presenti.

 

Come un aquilone

hai vissuto la tua vita

fra promesse non mantenute:

un fedele amore spezzato

per un attimo di oblio.

 

Figlio del vento

nessuna  acqua ti fu

abbastanza per dissetare

la tua sete di amori sconosciuti.

 

Amore etereo

ti posavi qua e là

avvelenandoti,

a tua volta avvelenando

chi a te affidava il suo amore.

 

Addio amico mio.

Una lacrima

per te ho pianto.


 

 

 

John Jr.

 

Il cielo ti tradì

il mare t’inghiottì.

 

La riva

non distese

le sue braccia.

 

Dormi

nel profondo

abisso.

 

Il tuo corpo ritrovato -

non più speranza

di vederti ritornare.

 

Al volere degli dei

non si può

che inchinare il capo.

 

Ma una parola pende

dalle labbra di chi

seguì lo sbocciare

di una speranza -

«Perché?»

 

 

 

 

 

Madre Morte

 

- Vado -

mi dice

la Signora

Madre Morte.

 

Perché

- le chiedo -

non mi porti con te?

 

- Non è

la tua ora;

devi ancora

mietere il grano

e con le tue mani,

non con la falce -

 

- E chi è quella

bambina

che porti in braccio? -

chiedo.

- Mia figlia,

sono madre anch’io.

Che ti credi

Che solo la vita

è madre?

 

 

 

 

 

 

 

 

Ricordi

 

I ricordi ritornano

in primavera quando

ci svegliamo

e sbadigliando ci destiamo

dal sonno lento dell’inverno.

 

Ricordi –

Ricordi

nella mente svolazzano:

papere dopo un bagno nello stagno.

 

Ritornano –

si riuniscono

vogliono dire –

le loro parole

chiedono un posto sulla carta,

su un libro, in libreria,

in biblioteca –

chiedono ai lettori:

immedesimarsi –

accoglienza –

riconoscimento

comprensione.

I ricordi ci tengono

compagnia

quando la vecchiaia

irrompe

e imponente si siede

su una vita

già vissuta.

 

I ricordi

ritornano

nelle sere d’estate

quando qualcosa


 

ci trascina verso il mare.

Volgere lo sguardo verso il faro –

sorgente luminosa in fondo al mare

solo nel silenzio della notte –

misterioso

austero

solenne

come un nonno

mentre fuma la sua pipa.

 

I ricordi ritornano

in autunno

quando la fiamma del focolare

diminuisce il tempo

e la terra si spoglia

di cose già consumate.

 

I ricordi ritornano

all’imbrunire

quando il tempo

si ferma nel nulla –

la terra s’acquieta

e la notte spalanca

le sue ombre.

 

I ricordi ritornano

in inverno

quando nel sonno

si trova riposo

e ricomincia così,

la lunga attesa

del risveglio.