Eça
de Queiróz
di Salvatore Statello
(Il Faro, n° 17/20, 2000)
Cento
anni fa, il 15 agosto 1900, moriva a Parigi José Maria Eça de Queirós. Era
nato nel 1845 a Pavoa de Varzim (un paese sopra Oporto). Figlio di magistrato,
dopo gli studi in legge e i primi tentativi di lavoro nella pubblica
amministrazione e nell’avvocatura, ha intrapreso la carriera diplomatica. È
stato console a Cuba, New Castel, Bristol e infine a Parigi, dove si è spento.
Durante
il periodo universitario a Coimbra, partecipò attivamente alle lotte
studentesche contro il romanticismo ormai agonizzante. Lo stesso Eça tenne una
conferenza nel casinò della città sull’affermazione del realismo come nuova
espressione d’arte. I nuovi modelli, presi dalla cultura francese e inglese,
erano Nerval, Hugo, Heine, Zola, Poe, Swift, Dickens e
Flaubert. Condusse una vita da “dandy” e viaggiò anche nel Medio
Oriente, proprio per assistere all’inaugurazione dell’apertura del canale di
Suez.
Aveva
collaborato a vari periodici, ma la sua affermazione avvenne nel 1875 con la
pubblicazione di La colpa di don Amaro. Una prosa mai vista prima
in Portogallo. Con una tagliente ironia, “la santa ironia”, smaschera
i vizi del mondo bigotto che ruota attorno alla chiesa di un paesino di
provincia. Successivamente è stata la volta de: Il cugino Basilio,
Il mandarino, La reliquia, I Maia, L’illustre
casata dei Ramires (tutte opere già tradotte in italiano, presenti
nella vecchia collana della BUR).
Anche
grazie al fatto di vivere lontano dal proprio paese, per impegni di lavoro, lo
scrittore poté vedere con un certo distacco la realtà portoghese e, quindi,
sferzarne i costumi. Nelle sue opere, non lasciò niente d’inesplorato. Dai
vizi della chiesa all’incesto, dalla piccolezza morale dei grandi
uomini illustri
allo squallore della infedeltà coniugale e dei ricatti, dalla vita di
provincia a quella della metropoli, rendendosi conto dell’abisso fra la
concezione di un ideale infinito e il limite e la meschinità di questo mondo
angusto e circoscritto.
La
morte, per tubercolosi, lo colse
mentre curava la pubblicazione di La città e le montagne: una
specie di testamento/riconciliazione con la madrepatria. Dopo una critica
serrata alla tecnologia di allora, all’amata/odiata città, questa volta
Parigi, capitale della fatuità, il protagonista ritrova la gioia e la forza di
vivere nella semplicità e nella pace delle montagne della sua fanciullezza.
Tante
altre opere sono state pubblicate postume.
La
grandezza di Eça de Queirós, forse ha subito il destino della sua patria, cioè
quello di restare ai margini dell’Europa e, nel suo caso, sconosciuto a favore
di altri scrittori le cui nazioni si sono imposte per importanza anche a livello
politico. Già lo stesso Zola aveva detto: “I Portoghesi hanno un grande
scrittore, quale la Francia ne conta ben pochi: Eça de Queirós”. Forse con
la nuova concezione di Europa, anche alcuni grandi scrittori, rimasti conosciuti
soltanto a pochi, appartenenti a nazioni che, per importanza ed intrighi
politici, hanno avuto una storia ai margini di quella europea, s’imporranno
all’attenzione di un pubblico sempre più vasto.
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