I POETI DEL FARO D’ARGENTO

1997

 

 

 

 

 

CIRCOLO SOCIO-CULTURALE

"IL FARO" - RIPOSTO

 

 

 

 

 

©Proprietà letteraria riservata ai singoli Poeti

 

 

 

Ogni Autore è responsabile del contenuto della propria composizione.

 

 

 

 

 

 

AVVERTENZA

Nel consegnare alla stampa il quarto volume de "I Poeti del Faro d'Argento", contenente le liriche premiate alla VI edizione del concorso Premio Internazionale di Poesia "Il Faro d'Argento" - 1997, corre l'obbligo di ringraziare la Giuria, presieduta dalla Prof.ssa Angela Barbagallo e composta dal Prof. Giuseppe Piazza, dal Preside Prof. Aurelio Strano, dal prof. Salvatore Vasta e dal Preside Prof. Vincenzo Vasta.

Un grazie ancora al Prof. Salvatore Vasta che, a nome della Giuria, ha formulato le motivazioni delle Poesie premiate e che ha tenuto il discorso di apertura della cerimonia della consegna dei premi (qui pubblicato nell'introduzione), alla Prof.ssa Linda Auditore e al Prof. Salvatore, rispettivamente Segretaria e Presidente del Concorso, che hanno coordinato tutti i lavori.

Un grazie anche all'Amministrazione Comunale di Riposto, in particolare nella persona della Dott.ssa Mariella Di Guardo, Assessore alla Cultura, per la collaborazione.

Si ringraziano, infine, tutti i Poeti partecipanti, che con le loro liriche inviate, hanno dato lustro all'operato di questa Associazione Culturale.

Nella presente antologia sono inseriti i componimenti la cui pubblicazione è stata espressamente autorizzata dagli autori. Oltre alle opere premiate, nella sezione "Altre poesie", trovano posto anche quelle che la Giuria ha riconosciuto degne di pubblicazione per l'alto punteggio riportato.

Lucio Torrisi

 

 

 

 

INTRODUZIONE

Josif Brodskij in una delle sue ultime confessioni, pubblicata postuma, dal curioso titolo "La mia vita è un'astronave" offre una metafora molto significativa della sua idea di poesia. Dice: "Lo sviluppo della poesia è come un treno in corsa. […] Se saltiamo in vettura durante il percorso (e la situazione varia secondo la carrozza su cui si è montati, il prezzo del biglietto, la disponibilità) può accadere che ci si trovi in una carrozza senza che si capisca ciò che accade fuori dal finestrino. La reazione più immediata – e la più diffusa – può essere quella di voler scendere al più presto".

Il lettore arguto potrà dunque darsi nell'immediato una ragione del perché Brodskij abbia paragonato la sua vita ad un'astronave e non ad un treno. L'astronave potrebbe non arrivare mai ad una meta, perdendosi negli spazi siderali; la corsa del treno resta comunque spazialmente connotata. E Brodskij di quell'astronave, (poiché non è mai sceso), ha fatto la ragione della sua esistenza: un mezzo di trasporto privilegiato per – diciamo così – aleggiare, esplorando i mondi possibili dell'estetica in poesia.

Sulla poesia, come momento di autocolloquio, come esplorazione di questi mondi possibili, esistenzialmente vissuti, collocabili temporalmente nell'arco della vita – sulla volontà della poesia di affermarsi come lettura sui generis del proprio Esserci, nessun poeta dimostra di esporsi oltre quel confine che è insieme estetico ed etico. Non si espone cioè al giudizio altrui circa le motivazioni della sua produzione, ma nel valore della sua scrittura e nella forma in cui lo ha codificato.

Affermazione , questa, peraltro discutibilissima, tenuto conto degli orientamenti – anche contemporanei – delle varie scuole poetiche, ma che serba nel profondo una verità comune:"quella della poesia come ricerca privata, delicata, difficile. E la sua bellezza sta proprio nella complessità estrema della sua genesi, nel reticolo di elementi intricati che compongono un testo" (Valerio Magrelli). Se l'homo fosse in qualche modo (avuto riguardo per il più complesso ed articolato possibile) rimasto appagato – definitivamente – da una qualche forma estetica di lirismo, l'attività poetica avrebbe avuto una sua morte naturale. Ma così non è.

Una poesia di Derek Walcott, Ulisse ai Caraibi, è esemplificativa di tale status: la chiosa è quasi aforistica: "I classici potranno consolare. Ma non abbastanza". E poiché la poesia già da tempo ha finito di essere consolatoria è forse lecito azzardare un'ipotesi: che cioè tutto ciò che diviene classico ha il sapore del consolatorio, anche se intriso di una mistica ed insostituibile bellezza poetica. E ciò che allora consola l'uomo, il poeta "non classico", è lo scarto del "poetare oltre" il limite del già poetato; una parola che corre, inarrestabile, in un altrettanto inarrestabile processo di autoperfezionamento ed autocompiacimento estetico. E ciò accade sempre, indipendentemente dal fatto che la poesia nella sua epifania editoriale e sociale – come suggerisce Nico Orengo – possa venire attenzionata, ciclicamente, con ripetitività.

Nella poesia a noi quotidianamente contemporanea è difficile stabilire con certezza se la componente estetica prevalga su quella etico-sociale o viceversa: lo si nota abbondantemente anche in buona parte delle liriche che la Giuria ha avuto il piacere di leggere. Forse è anche degna prova rileggere il tutto sotto l'egida categoriale dell'esistenziale, quale forma più idonea di lettura a recepire l'impulso primigenio della volontà del poetare, della volontà "di raccontare a lampi l'impoetico" (Gianni D'Elia", di veicolare nuove idee, di cogliere nuove realtà.

Ed è questo il significato ultimo della partecipazione ad un premio poetico: la possibilità di una lettura immediata, prima facie, di una propria proposta poetica; la possibilità del contatto diretto con la rilettura del mondo poetico che, di quella trama complessa che è la realtà, viene operata da altri.

Un'infinità di mondi poetici possibili il cui urto è indispensabile affinché la trasmissione di Se sia negli altri. Sono così momenti storicamente determinati della vita a rappresentare in forma prioritaria il contenuto di gran parte delle liriche che ci sono pervenute: contenuto drammaticamente vissuto, in chiave anche sentimentale in alcune; motivi del recupero memoriale (di dati e luoghi) in altre; riproposta degli spaccati dei temi comuni alla tradizione popolare, per quanto attiene alla poesia in dialetto.

Comune a tutte le liriche è comunque l'istinto del fissare l'attimo, di trasferire in campo estetico il momento esistente. È un passato – più o meno remoto – a farsi vivo, a parteciparsi, che affiora stratificato e talvolta sradicato penosamente anche dalla stessa coscienza del poeta.

Penso a questo punto di aver reso ragione alla premessa iniziale: nella poesia non può esserci meta, solo corsa; corsa il cui fine è correre. Indicare verso quale dove ("dove" di che specie?) sarà compito di ciascuna poesia del presente volume che il lettore avrà il piacere di apprezzare.

Salvatore Vasta

 

 

 

 

Prefazione

Salutiamo con simpatia la pubblicazione di questo nuovo volume, edito dal Circolo Socio-Culturale "Il Faro" di Riposto contenente le liriche premiate alla VI edizione del concorso Premio Internazionale di Poesia "Il Faro d'Argento".

Ancora una volta, come per gli anni passati, tornano, per la voce dei poeti, le policromie dei colori della parola che tendono ad esprimere le sfaccettature dei moti dell'anima, le malinconie del cuore riflesse in comunione lirica con la natura e, soprattutto, gli interrogativi dell'uomo su se stesso, sul destino delle cose e dei valori, in questo inquietante crepuscolo del secondo millennio che sembra tingersi sempre più del nero di una notte che evoca fantasmi ed ombre angoscianti.

È, infatti, per questo serpeggiante "senso" del non senso presente che nella produzione lirica contenuta nel volume, con modulazioni diverse, con intensità variata, prevale, in lingua italiana, in vernacolo e in altre lingue del mondo, la nenia affettuosa e malinconica della rievocazione del passato. Chi legge, ha infatti, l'impressione che alle radici dell'esistenza, del privato del personale, alle fonti della memoria ancestrale, il poeta si reca per ritrovare un "porto sepolto" circondato da acque serene, onde attingere conforto, sostanziare l'anima e virilizzare lo slancio istintivo di vita che sempre prevale sul silenzio della morte, se è vero che "la luce" prevale sulle tenebre del nulla.

E in questo viaggio a ritroso, lentamente si spiana l'orizzonte brunato e tornano i valori con la loro carica emotiva ed è la vita, quasi per miracolo di ricreazione. La parola vibra nella metafora e congiunge ai moti del cuore quelli segreti della bellezza del sorriso di un bimbo, di un fiore che si schiude alla carezza del sole, di un tramonto che cinge il cielo nell'abbraccio rosato mentre gli uccelli si librano nell'aria con grazia estasiante. E tanti, tanti altri motivi lievitano nelle liriche del volume, come quello della comunione dell'uomo col mare, nel bene e nel male, come quello della fede, o come quello della tenerezza di una donna che esprime l'amore col canto delicato e pudico del cuore. Mi piace sottolineare, come presidente della Giuria, interpretando il pensiero della Commissione, la "dignitosa capacità espressiva" delle liriche premiate, segnalate e offerte in lettura, dignità che spesso si è arricchita di creatività metaforica, specie nei componimenti in vernacolo.

E proprio questa crescita qualitativa, che si è accompagnata ad una partecipazione più ampia al concorso Premio Internazionale di Poesia "Il Faro d'Argento" costituisce motivo d'orgoglio e stimolo a sempre migliorare operatività, da parte di quanti si impegnano a dare il proprio contributo perché la poesia, non solo non muoia, ma si proponga come luce di vita.

Afferma Eugenio Montale che la poesia non è un bene necessario, ma aggiunge che essa cammina con la vita e che perciò finché la vita è, ci sarà poesia.

Angela Barbagallo

 

 

 

 

GIURIA

Prof.ssa Angela Barbagallo – Presidente

Prof. Giuseppe Piazza

Preside Prof. Aurelio Strano

Prof. Salvatore Vasta

Preside Prof. Vincenzo vasta

Prof.ssa Linda Auditore (Segretaria)

 

 

 

 

SEZ. A - POESIA IN LINGUA ITALIANA

  1. Ritornando a Praino, padre di Andrea Di Pietro, Giarre (CT);
  2. Dove l'oleandro s'infiora di Girolamo Savoia, Palermo;
  3. Il Vecchio e il pesce spada di Marco Guglielmino, Torino;
  4. Emigrante di Roberta Stincardini Movahedian, Perugia
  5. Laureana di Daniele Spanò, Messina.

POESIE FINALISTE:

  • Per Alessandro di Ettore Piccolo, Frascati (Roma);
  • Desiderio di Natale di Franca Indelicato, Riposto (CT);
  • In un brivido di Elena Cimino, Gela (CL)
  • La Croce di Vittoria Gigante, Messina;
  • Che dirò alla mia donna di Gennaro De Falco, Napoli;
  • Misteri di Maria Nivea Crimi, Francofonte (SR);
  • La breve favola di Sergio Barbieri, Voghera (PV)

POESIE SEGNALATE:

  • L'emigrante di Vito Fortuna, Mezzolombardo (TN);
  • Tutto e uno di Filippo Belfiore, Piedimonte Etneo;
  • Vecchi di Giuseppe Risica, Tonnarella (ME);
  • La stagione della gioia di Franca Fusco, Trieste;
  • Belle époque di Isabella Affinato, Fiuggi (FR);
  • T'incrocerò, Signore di Gennaro Osso, Paola (CS);
  • Logos di Antonella Smiriglia, Capo d'Orlando (ME)

PREMI DI PARTECIPAZIONE ALLE POESIE:

  • Tu poesia preghiera di Carmen D'Anna Grimaldi, S. Teresa di Riva (ME);
  • Il silenzio di Lina Donzello, Ispica (RG)
  • Il ragazzo di Berlino di Fedel Franco Quasimodo, Milano
  • L'eternità di Antonino D'Agata, Catania
  • Disinganni di Libero Segheri, S. Salvatore (LU)
  • Con l'ultima nebbia di Agostino Zaffora, Formigine (MO)
  • Ad occhi asciutti di Francesco Albanese, S. Egidio M. Albino (SA)

SEZ. B - POESIA IN LINGUA STRANIERA

  1. La carezza di Evangelos Parameritis - Grecia;
  2. En La Mañana di Teresa Nelide Marzialetti Mariani - Uruguay;
  3. Tienes di Emma Villareal de Camacho - Messico;
  4. Non assegnato;
  5. Non assegnato

SEZ. C - POESIA IN DIALETTO SICILIANO

  1. Rancuri di Vito Tartaro, Ramacca (CT)
  2. Inquinamentu ecologicu vistu di l'api di Rocco Valenti, Capo D'Orlando (ME)
  3. Emigranti di Mario Bonnanno Conti, Messina
  4. L'amuri ranni ro Signuri di Paola Ferraro, San Pietro in Casale (BO)
  5. La libbertati di Alfonsina Campisano Cangemi, Caltagirone (CT);

POESIA FINALISTA:

  • Un cantu d'un piscaturi di Salvatore Puglia, Trappitello (ME)

PREMI DI PARTECIPAZIONE ALLE POESIE:

  • Cori di pueta di Carmelita Randazzo Nicotra, S. Pietro Clarenza (CT)
  • Fativi capaci di Giovanni Bonaccorso, S. Tecla, Acireale (CT)

PREMIO SPECIALE FUORI CONCORSO ad Antonietta Steka-Assonitou, (Atene - Grecia)

 

 

 

 

POESIE PREMIATE

SEZIONE A

LINGUA ITALIANA

 

 

 

 

RITORNANDO A PRAINO, PADRE

Antiche masserie,

masserie sparse fra generose vigne terrazzate.

Una casa, una stalla ed un palmento,

solo echi di memoria.

Scheletrica pergola senza ombra;

il ricordo del cane

a riposare sotto l'albero di gelsi

che, nudi, tende in preghiera

i suoi rami risecchiti dagli anni

e dai venti di tramontana.

Una vecchia cisterna libera

folletti di amori appena sussurati,

ricordi di promesse e di cori

offerti al sorriso di mille stelle,

di appassionate note

di romantico organetto

veleggianti sui profumi di sambuco

e di gelsomino.

Fra antichi sapori di fieno

e odor di mosto e profumo di mele,

padre,

curva rivedo la tua schiena

a rigirare le zolle della dura terra,

ammorbidite appena dal sudore della fronte.

Eppure il tuo canto solitario

intonava alla vita e all'amore;

gradito ti riusciva il plauso

degli uccelli che beccavano

fra i solchi della terra ancora umida:

A sera, il suono della campana,

battuta dai venti di nuove speranze,

ti riportava al calore della tua casa.

Alla luce incerta di un lume affumicato,

da tuo volto, il sorriso saltava a pungere

i nostri cuori ed i nostri occhi.

Grazie per quel sorriso, padre.

Andrea Di Pietro

 

 

DOVE L'OLEANDRO S'INFIORA

Dove l'oleandro s'infiora tra i pini

e s'alza superba la palma alla riva,

sei venuta col vento d'estate,

portando sapori di alga e di sole.

Beato ho volato conte

in solchi d'azzurro

coi bianchi aquiloni

del mio sogno lontano,

ascoltando la tua voce

nel canto eterno del mare.

E ogni giorno,

sulla tavolozza del tempo

che fugge

ho dipinto il tuo volto

con tutti i colori

che la luce mi ha dato.

Cinta d'ibisco in collane,

con ali di pianto

sei andata col vento d'inverno

nell'ignoto paese del nulla.

Ora la palma s'incurva dolente

ed io,

prigioniero del mio cielo

che muore,

attendo smarrito

ogni giorno l'estate.

Girolamo Savoia

 

 

LAUREANA

D'immagini sbiadite

d'un borgo morente

si riempie

lo sguardo

Facce comuni

fissano

questi occhi

di forestiero

Nulla rimane

dei viaggi

d'infanzia:

il dialetto misterioso

dei nonni

Un grande cassetto,

miscellanea

di umili giochi

E il rumore secco

delle foglie spezzate

che imbottivano i letti

È Triste

osservare adulto

i ricordi d'un tempo.

Daniele Spanò

 

 

 

 

POESIE PREMIATE

SEZIONE B

LINGUA STRANIERA

 

 

 

 

LA CAREZZA

La carezza di mia madre era dolce

era delicata come il petalo di una rosa.

E il suo bacio era come il mio miele

Le sue parole,

profumavano come incenso di Damasko.

E il suo augurio come una mano protettrice

sul mio lungo, ignoto cammino.

Evangelos Parameritis (GRECIA)

 

 

EN LA MAÑANA

En la mañana

a s o m a

el nitido cielo

de fin de estación.

Estación de fragancia de cedro.

Estación bañada

de un sondeo especial

por la alta congestión

de la melancolía.

Un soplo de angustia

del color inconfundible

de la juventud de ayer

se dilata

se pierde

y se oculta

en una extraña sensacíon

adentro de mi corazón.

La aurora interior

de un pincel verde

en la posición adyacente

de la palabra

modera a la desilución

por la fuerza rápida

y milagrosa de la poesía.

El cielo de mi sentimiento

siempre está abierto

a la deliberación espiritual

en la mañana

de la estación radical

de mi destino,...

NELLA MATTINA

Nella mattina

s p u n t a

il nitido cielo

di fine stagione.

Stagione di fragranza di cedro.

Stagione bagnata

di un sondaggio speciale

per l'alta congestione

della malinconia.

Un soffio d'angoscia

del colore inconfondibile

della giovinezza d'ieri

si dilata

si perde

e s'occulta

in un'estranea sensazione

dentro il mio cuore.

L'aurora interiore

di un pennello verde

nella posizione adiacente

alla parola

modera la delusione

per la forza improvvisa

e miracolosa della poesia.

Il cielo del mio sentimento

sempre sta aperto

alla deliberazione spirituale

nella mattina

della stagione radicale

del mio destino...

Teresa Nelide Marzialetti Mariani (URUGUAY)

 

 

 

 

 

POESIE PREMIATE

SEZIONE C

DIALETTO SICILIANO

 

 

 

 

RANCURI

Avissi avutu na manata di paroli

di chiddi ca sannu di capicchiu di matri

e fenu vagnatizzu

ti li cicavva, Ninu,

pi scuddariti la morti

o darici sapuri di cuccia

Ma non n'aneva chiù

cà m'allamparu dintra

quannu non visti a nuddu

spuniriti cruci di chiummu e cruna di chiova

o pruìriti

na tinta vota d'acqua

Mi siccaru d'intra

li paroli di terra lavurata frisca

e pagghia ncritata

chiddi ca fannu calari lu sonnu

a picciriddi murritusi

e spizzutano d'ugghianzi

Ristaru sulu parulazzi

mparintati cu "rancuri"

a cutturiarimi:

rancuri pi l'omini

ca si votanu di ddabbanna

vidennu un Cristu viddanu

circari la morti pi riventu

Divintassi meli

sta nucidda di lava

ca mi coci lu pettu

Vito Tartaro

 

 

INQUINAMENTU ECOLOGICU VISTU DI L'API

D'intra nu vecchiu zuccu d'alivera

si cumminò un vacanti a na manera

chi pigghiò forma commu un cupigghiuni,

Un sciammu d'api chi runzava attornu,

caperu ch'era bonu p'abitari,

a una a una mentri ch'èra jornu,

si nni traseru pri si sistimari.

Prima criaru u postu pa Rigina

armannu un bardacchinu o megghiu postu,

poi ci purtaru a pappa la chiù fina,

chiddha riali di lu megghiu gustu,

Ma quannu l'assaggiò So Maestati;

arrichiamò a doviri tutti quanti:

Sta pappa; è dicattiva qualitati;

unni a pighiastu; pezza di furfanti?

L'apuzzi arispunneru umiliati:

So Maistati nn'avi a pirdunari,

su i ciuri di cattiva qualitati;

la pappa bona non si può truvari.

Li jardina su tutti abbannunati,

non c'è chiù nuddhu addettu a curtivari,

i ciuri sunnu tutti avvilinati,

di bonu chiù non c'eni chi pigghiari.

O iti versu u voscu, unni c'è a manna,

dha i ciuri su di milli qualitati,

nutreru a bon'armuzza di me nanna

cumprisu tutti quanti i me antinati.

Sta strata l'amu fatta tanti voti,

i ciuri puru dha sunnu nfittati,

truvari a pappa bona non si poti;

non c'è chiù scampu, semu arruinati.

Si chiovi, l'acqua stissa è puzzolenti,

quannu chi cadi feti di sintina,

eni nfittata di li scappamenti

unni si brucia nafia e binzina.

Chistu è u principiu di la nostra fini,

di numiru già semu pocu e nenti

cumprisu l'aceddhuzzi canterini

cu tutti l'autri esseri viventi.

Rocco Valenti

 

 

EMIGRANTI

L'aluzzi iaprimu

e u caudu nidu

e spaddi ni lassamu,

taliamu assai luntanu

ma u caudu suli ni 'llucia sempri

st'ucchiuzzi cianciulini.

Niautri simu u spagu 'nta bilici,

catina di spiranza

chi 'ttacca comu fierru

puru i cori chiù duri;

niautri simu i facci bruciati

chi vistiti sempri niuri.

Carusi chi criscinu

spra 'zzotti terra

troppu duri di 'zzappari:

fimmini troppu stanchi

di spittari n'anticchia i caluri

di uomini bruciati di stienti

e 'nfiniti sfuorzi.

Friddi curriduri di treni chini

nacanu i suonni di viaggi accusì luonghi

chi struppianu i forti cristianazzi

'nta Natali disgraziati

luntani di ciarameddi e

di caudi fuochi d'intra.

Mammuzzi 'ddilurati

nun risparmianu amuri

davanti a fotografii sculuruti

sciugghiennu smurittiusi

i cuocci du rusariu,

sutta l'umbra tisa di patri 'impalati,

'nvicchiati 'nto duluri mutu,

mucciatu cu rispiettu

'nta facci senza risata.

Genti luntana, genti strania

chi nenti po capiri

d'un populu 'nticu

chi sempri si movi

comu cidduzzu scappatizzi,

chi sempri cercanu

situazioni chiù cristiani.

Amati spunni di nu Strittu

truppu ranni, vi salutamu!

Ca spiranzedda di putiri purtari,

un jornu nun luntanu,

sti stanchi ossa

a sbiancarisi sutta

stu pussenti suli

chi duna muzzicani amari

d'un pani sempri chiù niuru.

Mario Bonanno Conti

 

 

L'AMURI RANNI RO SIGNURI

Un viddanu c'avia 'zappatu u so turrinu,

assitatu supra lu varduni,

si mangiava n'ugna i pani e 'ddu vulivi,

quannu antìsi ri rarrieri u filu i vuci.

- È inutili ca mangi pi campari,

è 'rrivata l'ura ri murìri,

stai giratu, nun c'è nenti ri talìari,

sugnu aria, e nenti atru ri virìri. -

A 'du mischinu ci aggruppò lu masticuni,

ri lu scantu arristò paralizzatu,

no pinsieru priò sibbitu u Signuri,

r'alluntanari 'du tirruri mai pruvatu.

Spirava c'arrivava un picuraru

assicutannu i crapi no vadduni,

ma nall'aria, tuttu parìa stranu,

nun si virìa né na cieddu, né un lapuni.

- Si 'ssi pronti, saluta luto munnu,

chiuri l'uocchi e nun fari risistenza,

è 'rrivatu, tu rissi, lu to turnu

ri lasari 'pi sempri st'esistenza.

U viddanu, 'ntenzionatu a nun muriri,

ci rissi c'avia cosi ri finìri,

c'era ancora lu lavuri ri zappari

e un piezzu ri turrinu ri spitrari.

- E va 'bbeni, ti vuogghiu accuntintari

ci rissi 'da vuci fatta i vientu -

ti lassu ancora u timpu i travagghiari

e natra vota sarà vanu ogni lamientu.

U viddanu, pinsannu i siri furbu,

na nà stanza arristò pi misi chiuso,

e ogni sira, a Cristu ri la cruci,

u priava 'pi nun sentiri 'da vuci.

Ma i figghi ciancìevunu 'pa fami,

ogni 'ghiornu mancava lu mangiari,

era tiempu r'affruntari 'du mumientu!

Taliò tantu i figghi e la mugghieri

e na carizzza fici a tutti quanti,

supra un fuogghio scrissi li so peni,

raccumannanno a tutti i siri manzi.

No cielu scuru e annuvulatu

c'era ancora la luna ca lucìa,

- si tristi luna, propriu com'ammìa -

ciancìa lu viddanu scunsulatu.

Appena pronti u sceccu co varduni,

s'antìsi nà stadda natra vuci,

no muru si vitti na gran luci

ca pigghiava a forma ri na cruci.

- Viddanieddu tornitinni no to liettu,

oggi chiovi, lassa stari u sciccareddu,

d'ora in poi, fatti a cruci ogni matina

e porta sempri u rusariu na sacchina. -

O Venerdì, quannu nesci Cristu 'ncruci,

u viddanu è sempri 'mprima fila,

hiavi l'uocchi fissi no Signuri

ca ci resi prova i grandi amuri. E...

quannu u vientu fa sentiri a so vuci,

'cca 'zappa 'ntterra fa na cruci,

si stringi forti o piettu a so sacchina

unni teni a biniritta curuncina.

Paola Ferraro

 

 

LA LIBBERTATI

Na siratina

ca nun avìa chi fari

mi misi suls sula a rimiscari

e ammenzu a li vicchiùmi

a la strasatta

satàu fora

u pupu di lannitta

vecchiu

arruggiatu

cu la facci giàllina

e la povira vucca senza ciatu

Cu ci l'avia purtatu

nta me casa?

Forsi me frati

quann'era picciriddu...

forsi li murticeddi ginirusi...

cosi luntani

cosi di carusi...

Ma chi gran pena mi facìa

ddu pupu!

Sulu suliddu

jittatu nta la gnuni

senza chiù vuci

senza ca nuddu ci tirassi i fili...

Megghiu accussì!

- m'arrispunnìu cu l'occhi

ddu pupu abbannunatu nta la gnuni -

Chi mi ni fazzu di na vita fàusa?

Megghiu accussì!

libbiru e scurdatu....

Oramai

mi pozzu 'nsunnari

la bedda riginedda

d'o me cori

e la spata di lanna

fa brillari

vicinu a mia

la so vucca di meli

Alfonsina Campisano Cangemi

 

 

 

 

POESIE FINALISTE

 

 

 

 

IN UN BRIVIDO D'ARGENTO

Sul pendio della notte

laddove i silenzi

sono i soli padroni

e anche l'anima tace

saggiando itinerari di stelle

ci ameremo

E la luna fiorirà

sui nostri corpi

su sgomente attese di vuote clessidre

Le nostre pene veleranno aliti di vento

Indosseremo il cielo

in cima al nostro respiro

Due ninfee

sorrideranno

sullo specchio increspato dello stagno

Elena Cimino (Gela – CL)

 

 

CHE DIRÒ ALLA DONNA…

A Stefania

Che dirò alla donna che dorme

nei campi? Se ha il cuore di zingara

già sa che nel grano di notte c'è ancora

il tepore del sole. Se è stanca di vita

non ascolterà parole troppo sature

d'amore.

Eppure è dolce amarsi quando il vento

posa sui corpi il fieno dei campi. E sentire

la timidezza dei corpi ammantati d'erba.

E poi vagare nell'aria ignota del mattino

con un altro segreto nel cuore.

Non è che questa, ancora, la mia vita di

poeta.

Gennaro De Falco (Napoli)

Nato a Napoli, studia giurisprudenza nella stessa città. Il suo amore per la poesia è nato negli anni di liceo. La sua convinzione principale è che essere poeta è una condizione di vita, "Un dogma sostanziale all'Esistere". Da poco ha deciso di partecipare a concorsi letterari.

 

 

LA CROCE

Solo dopo aver percorso tanta strada

mi sono accorta

di non aver camminato.

Solo dopo aver masticato tante parole

mi sono accorta

di essere muta.

Solo dopo aver cullato tante litanie

mi sono accorta

di non averti mai conosciuto.

E certamente

nonostante anelassi incontrarti

avrei ingrigito di solitudine la mia vita

mancando ogni giorno all'appuntamento

se tu stesso dalla croce

non mi avessi chiamato

con il mio nome segreto

non mi avessi accarezzato

con le tue mani inchiodate

non mi avessi sorriso

con le tue lacrime di sangue

non mi avessi sorriso

con le tue lacrime di sangue

non mi avessi sorriso

con le tue lacrime di sangue

non mi avessi attirato

con la tua corona di spine

non mi avessi accolto

nelle tue piaghe d'amore

non mi avessi avvinto

con il tuo ineffabile "perdono"

non mi avessi folgorato

con il tuo grido d'abbandono

non mi avessi appagato

con il tuo "tutto è compiuto"

non mi avessi – attraendomi – salvato

con la tua gloriosa croce.

Vittoria Gigante (Messina)

 

 

DESIDERIO DI NATALE

Gli addobbi di Natale

hanno mille forme e colori

e tanta varietà puoi trovare

anche negli umani dolori.

Alle luci di Natale

mettiamo l'intermittenza.

Perché non c'è mai intervallo

per l'umana sofferenza?

Vorrei che in Questo Giorno,

come per incanto,

avessero interruzione

i mali che ci affliggono tanto.

La droga, la denutrizione,

le guerre e la violenza,

il degrado dell'ambiente

e quello della gente.

I neonati nei cassonetti

della spazzatura

ed i bambini soggetti

ad abusi contro natura.

La tragica follia

di quella gioventù

che i sassi tira giù

dai cavalcavia.

Tanti disoccupati, cui più nulla rimane,

hanno deciso

di essere torce umane.

Gli extracomunitari,

una squallida esistenza,

sfruttati dal lavoro nero

e dalla delinquenza.

Il cancro della corruzione

allo stadio terminale,

ma chi lo combatte

è trattato come un criminale.

Manca la fiducia

in chi e in cosa sperare,

anche se dentro brucia

la voglia di cambiare

e continuiamo, sempre,

a dire di "si"

a chi comanda, comandato,

che "tutto resti così".

E tutti questi mali

hanno una sola sorgente:

l'egoismo e i falsi ideali

che ottenebrano la mente.

Che significato avrebbe

il 25 Dicembre,

per poi ricominciare

l'indomani di Natale?

Vorrei che negli altri giorni,

con impegno costante,

si fosse tutti più buoni

contro l'iniquità imperante.

Spezzare le catene

del male con il bene

e nascere di nuovo

leggeri e senza pesi,

liberi dalla grettezza

del nostro piccolo mondo

e scoprire la bellezza

di percorrere fino in fondo

la strada della fratellanza

e della solidarietà,

che sola può salvarci

con tutta l'Umanità

Franca Indelicato (Riposto – CT)

 

 

U CANTU D'UN PISCATURI

L'unna du mari smaniusa

si lassa cullari

'n mezzu a li scogghi

si metti a pazziari

si spezza, si arza

cu granni lamentu

poi supra la sabbia

finisci u turmentu.

Luntanu na barca

fa l'amuri cu celu

l'accarizza lu bacia

ci cunta i duluri

lamintusu risona

u cantu d'un piscaturi.

Uri interi a piniari

a scrutari lu celu

a circari i scacciari

un tristu pinzeru

mari e silenziu

travagghiu e duluri

senza notti né iornu

cu la gioia du ritornu:

chista è a vita

d'un piscaturi…

E ogni tantu la sira

si ti ssetti 'nta riva

po sintiri i luntanu

na vuci un lamentu,

ma tu non scappari

non aviri timuri

chiddu è un cantu

u cantu d'un piscaturi.

Salvatore Puglia (Taormina – ME)

 

 

 

 

POESIE SEGNALATE

 

 

 

 

TUTTO È UNO

Quell'oceano di spighe

ondeggia alla maniera

di un largo mare,

rallenta le brezze.

Rifulge il sole,

le cornacchie

sul colle hanno gracchiato

e l'eco laggiù rotola.

L'oceano di spighe

è quello che più chiama,

insieme si altalenano

Quante sono'

Contarle è uno smarrirsi

nel numero, ma esse

formano il tutto ad una ad una.

Tutto è uno,

nel vasto universo,

dall'atomo di sabbia

alla cellula,

al sole gigante,

al mio cuore che guarda le spighe!

Filippo Belfiore (Piedimonte Etneo – CT)

Nato a Piedimonte Etneo (Catania) nel 1910, è stato educatore nel plesso elastico dello stesso comune.

Cultore e compositore di musica, ha conseguito premi e riconoscimenti in vari concorsi di poesia di cui alcune sono state inserite in antologie.

Ha partecipato a numerosissimi concorsi in cui è stato premiato o segnalato.

 

 

TU POESIA PREGHIERA DEL MATTINO

Tu poesia

preghiera del mattino

non lasciarmi nel silenzio,

parlami, raccontami del tuo mondo;

fammi entrare nel tuo rifugio

di misteri pieno.

Salvezza troverò nelle tue braccia

quando tentativi faranno

per rompere la linfa che a te mi lega.

Se carezze d'ali mi darai

cancellerò pagine nere,

come se non mi appartenessero.

Conforto per l'animo mio,

faro al calar della sera,

non avrò paura delle ombre.

E, quando avrò freddo,

riscaldami coi tuoi sorrisi.

Non lasciarmi nel dolore del tuo addio!

Viva sempre nel mio cuore

Tu Poesia preghiera del mattino

regalami emozioni,

restami compagna!

Carmen D'Anna Grimaldi (Messina)

 

 

L'EMIGRANTE

Nel treno, affollato di anonimi visi,

ho visto oggi il tuo emigrante del sud.

Un viso sparuto; senza età;

solcato da sottili rughe profonde,

ragnatele del tempo

e di troppe speranze deluse.

Gli occhi son grandi, colmi di tristezza

L'abito stinto, sgualcito come è il cuore,

veste un corpo segnato da rudi lavori.

Gli altri, ciechi nel cuore,

sfuggono lo sguardo timorosi.

Antichi pregiudizi affiorano alle menti.

Nei loro occhi: disgusto e paura.

Ti guardo. Comprendo il tuo immobile silenzio.

Leggo il corso dei tuoi burrascosi pensieri:

La paura dell'oggi, la speranza del domani;

la triste solitudine in terra straniera;

il doloroso ricordo di chi lontano aspetta.

Chiudo gli occhi e vedo immagini e volti

che un tempo anch'io ho conosciuto.

La forte, selvaggia e cruda natura;

i monti sterposi arsi dal sole;

le fesse terre zollose da sempre avare

ed il verde spumoso mare ornato di scogli.

Rivedo le case bianche ed assolate;

le strade e piazze polverose.

Risento le vecchie nenie di un tempo lontano

e lo scalpitio dei muli sui ciottoli di pietra.

Rivedo il viso cereo di donna

consumato dalla rassegnazione

e gli occhi umidi di bimbi

nell'accorato struggente singhiozzo.

Gli altri pensano ch'io dorma,

invece ho il cuore che tumultuosamente piange.

Vito Fortuna (Trento)

Nato a Palermo, svolge l'attività di medico ospedaliero cardiologico a Mezzolombardo (TN). Dal 1995 partecipa a concorsi letterari, riportando sempre lusinghieri risultati.

Si ricordano i successi nei concorsi: Premio Letterario Internazionale "Omaggio a W. Goete", Premio Internazionale "E. A. Poe", Premio nazionale "C. Pavese", Premio Letterario "A. Di Benedetto", Trofeo Letterario "Orso di Biella, Premio nazionale "Città di Avellino".

 

 

LA STAGIONE DELLA GIOIA

Voglio centellinare

il sapore della gioia

e serbare piccole gocce

edulcoranti bocconi amari.

Voglio registrare

la voce della primavera

ed ascoltarla

al tempo dei silenzi.

Voglio catturare

il calore del sole

per riscaldarmi

nei giorni di gelo.

Passa la vita

e alterne vicende

si susseguono,

simili a stagioni.

Franca Fusco (Trieste)

T'INCROCERÒ SIGNORE

T'incrocerò, Signore,

sulla mia larga via

di piaceri della vita

leggero come il vento

illuso e senza affanni,

e Tu, deriso e stanco,

salirai l'erta via del Golgota.

Chissà

se mi potrò distrarre

dagli impegni caduchi

ed aiutarti a portar su la Croce.

Gennaro Osso – (Paola – CS)

Nato e residente a Paola (CS). Pensionato. Scrive versi da sempre. Collabora a riviste letterarie nazionali. È inedito in volume, ma le sue composizioni sono inserite in riviste, periodici, antologie scolastiche, religiose, d'amore, ecc. È autore di diverse raccolte di poesie: "Serenata alla notte", "Versi nel vento", ecc. Ha ricevuto vari riconoscimenti nazionali ed internazionali.

 

 

LOGOS

I miti cadono, come stelle nella notte di san Lorenzo

e l'uomo accartoccia la sua anima

in un biglietto da mille lire.

Mi stanno chiamando ad edificare

il tempio del dissoluto,

ma i miei visceri si rivoltano.

Insensato irretire il mio

correre sui sentieri dell'utopia;

rischiare la banale esistenza

su quel precipizio delle idee,

forse morire per un sogno.

Logos, vorrei il mio logos,

dimenticare come e perché ho vissuto,

raggiungere l'assoluto con uno sguardo

e lavarmi, pulirmi da queste incrostazioni.

Guardo gli uomini, ma non li riconosco…

Bisogna vivere di nulla o vivere di tutto, oggi,

quando solo i saggi sanno

che nulla e tutto coincidono.

Possediamo soltanto quello che abbiamo dentro.

Per niente al mondo smetterò di cercare

il mio logos.

Antonella Smeriglia (Capo D'Orlando – ME)

Nata a S. Agata Militello, giovanissima si è laureata in giurisprudenza a Messina con il massiomo dei voti. Successivamente si è laureata in scienze politiche, sempre a Messina, con 110/110 e lode accademica; è iscritta presso il consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Patti ed esercita la professione forense.

 

 

 

 

PREMIO DI PARTECIPAZIONE

 

 

 

 

AD OCCHI ASCIUTTI

Ti ho amato

con la freschezza

del fanciullo,

con la prepotenza

dell'uomo,

con la rabbia

in corpo.

Ti ho amato

con struggimento,

con dolore

con gioia,

con passione.

Ti ho amato così

e ti ho amato

per niente.

Qualsiasi cosa

possa capitare

sappi che ho amato più te,

che la mia stessa vita.

Se ho sbagliato

nel volerti bene,

ti chiedo scusa

e me ne vado,

in punta di piedi,

senza far rumore.

Ti do l'ultimo bacio

ad occhi asciutti,

e pieno di lacrime nascoste.

 

 

FÀTTINI CAPACI

Ni mancavunu, figghia, scecchi a fera!

Giustu di chissu t'av'a 'nnamurari?

'Na matri pi 'na figghia chi si spera?

di 'n bonu e 'n beddu matrimoniu fari.

'N matrimoniu, beddu 'n tutti i sensi:

cu 'n giuvini finicchiu, bravu, bonu..

Tu lu canusci a chissu? Cu' è ci pensi?

Iu, 'ddoppu u lampu, non vulissi u tronu!

Non sapi di travagghiu. Comu mangia?

Non sapi a suciita, né chi è a famigghia.

S'a fa viaggiannu sempri, jennu 'n Francia.

L'amuri, figghia, nun è sulu baci,

carizzi, e… poi a comu pigghia pigghia.

Pensaci bonu, e fattini capaci!

Giovanni Bonaccorso (Acireale – CT)

 

 

I GUARDIANI DEL SONNO

Notte, gelida notte, che vegli sulle macerie di questo mondo distrutto, traballante è la gloria, per l'uomo di carne che percorre la storia. E noi fragili simboli dell'onesto vivere, guardiani di noi stessi, incapaci di difenderci, aspettiamo l'alba solenne che ripulisca gli uomini dai residui del niente.

Bagnata è la strada e svestiti son gli alberi in tenuta da notte, sotto la luna beffarda che impietosa mi sfotte.

Beato quel cane che riposa al portone annusando gli odori del giusto compenso, vorrei anch'io far lo stesso ma devo star sveglio per proteggere chi dorme indifeso nel sonno.

Così abbaio sul foglio e sfogo i pensieri, come un cane rabbioso che ringhia ai misteri.

Occhi aperti per scrutare l'ignoto e l'incauto domani, ma il sonno mi avvolge e mi abbraccia più forte, sento cedere il corpo al pericoloso richiamo, le serrande degli occhi chiudersi piano.

La mano è intontita e non trovo più il foglio e pensar che l'insonnia mi colpisce da anni, proprio adesso che occorre non riesco a star sveglio e questo misero scritto diventa un inferno, confuso e intricato, maè come sono adesso, ad un'ora dall'alba su questo mondo ch'è un cesso. Ancora mezz'ora e potrò nuotare nei sogni, aggrappato al cuscino galleggiando nel mare; anche stanotte è passata senza farmi ammazzare.

BUONANOTTE ASSASSINI.

Gianluca Gavelli (Forlì)

 

 

CON L'ULTIMA NEBBIA

Apparve in un'alba

senza uccelli,

con l'ultima nebbia,

rideva sommesso,

con la forza del passato

negli occhi di cannella.

Batteva il rame

respirava il freddo o il caldo,

mansueto.

Chi era?

un sopravvissuto alla solitudine,

che trascinava la sua carcassa

senza materia.

Sentiva il vento alzarsi

spingere i giorni

i lamenti i pensieri

dell'uomo.

Chi era?

Aveva nascosto

così bene il suo volto

che nessuno sapeva chi fosse, se berbero o folle.

Un giorno andò,

a tempo lento,

nel profumo di zenzero,

la strada girava,

svaniva in un punto

si perdeva, nel biancastro dei calcari.

Correva, ora, la mano salutare,

urlava: non cercatemi appartengo al sogno!

Agostino Zaffora (Formigine – MO)

 

 

 

 

ALTRE POESIE DEGNE

DI PUBBLICAZIONE IN VOLUME

 

 

 

 

AUTUNNO

Cominceranno

a cadere le foglie

e le sorelle vive

lacrimeranno

per le sventurate

passate

dall'alto dei cieli

all'umile terra.

Il loro grido

lacererà l'aria,

sibili e stridori,

ululeranno

alla bianca luna

tuta la forza

di un vento assassino

e la veemenza

di sorella negra

armata

di lucida falce.

Tumuli antichi

dagli anfratti

sempre bui

daranno nuovo pasto

alle fameliche bestie.

Le foglie tacciono!

Lassù nel cielo

ancora più stelle,

ancora più anime,

naufraghe dello

spazio infinito.

Mario Bonanno Conti (Messina)

 

 

VULISSI, O 'MA

Russu lu suli comu affruntatu

arreri l'Etna s'innagghiutu,

Russu lu suli comu affruntatu

arreri l'Etna s'innagghiutu,

accucciati 'nta l'albereddi da campagna

l'acidduzzi stanchi da so jurnata

ncoru tutti fannu l'ultima cantata.

Suddisfattu, ridi lu celu

e so stidduzzu cc'addumaru.

I voi 'dda stadda,

i jaddini 'ddo puddaru

calunu lucoddu, ccu la vozza china,

aggiuccati finu a dumattina.

Sentu friddu, vulissi dormiri, o 'mà,

vulissi lu passatu prisenti, tuttu 'ccà

e fussi cuntenti, cuntenti di campari,

'ccu pocu pani, ma paci truvari.

Vulissi, o 'mà…

quannu 'nto 'mmernu fitto

attornu a conca,

mangiannu pani schittu,

quannu ppì lustru 'na favuzza di miccu

addumata di lumi quasi sempri siccu

'ppi pinuria di pitroliu e di dinari,

quannu supra li tò jnocchia,

stancu, 'ccu la testa appuzzatu,

ascutava i tò stori 'ncantatu

e filici sintivu a carizza

da to vuci e da to manu 'ccu tinnirizza…

'Dda cinniri cauda 'na favuzza

u pà cuceva, o 'na cipudduzza

'ppi spizzuliari e passari a sirata

'ccu scherzi, jochi e 'na bedda risata.

Vulissi, o 'mà…

"Gira lu munnu comu 'na rota,

esiri non si po' cchiù di 'na vota".

Oggi c'è lu prugressu,

aerei, tilefunu, radiu e tivvù,

di machini non si 'nni po' cchiù!

C'è musica, ballu e coca cola,

amuri liburu e mangiari beni;

ma l'omu lu stissu vidi peni,

e 'ddo so cori assai duluri teni,

disgrazi, droga, aids e guerra,

sunu tutti mali di sta terra.

Vulissi, o mà…

vidiriti 'na vota 'dda mò porta entrari

e jù a festa li campani sunari,

sèntiri 'nciauru da tò risatedda

e aviri cunfortu 'dda tò vucca bedda.

Ora 'ddo mò cori tinnireddu

nova spiranza s'adduma e svampa;

e sinu a quannu idda campa

e di 'nfilu di vuci ni resta 'na lamma

iù ti ringraziu sempri, o mamma.

Andrea Di Pietro (Giarre – CT)

 

 

GIORNI TRISTI

Sembra fumare l'umida terra,

ricamata da foglie ingiallite

cadono piano, da alberi secchi

gocce di nebbia, rugiada e brina.

Cantano tristi passeri soli,

tra foglioline di piante d'ulivo,

guardano in alto…

in cerca del sole,

fino a che il giorno, piano…

poi muore!

Diàfano tondo sembra la luna,

persa in quel nero di cielo profondo,

irradia di bianco, ogni casa già buia,

e regala sorrisi, a i bimbi nel sonno.

Fischia il vento tra tegole rotte

e porta lontano rametti appassiti,

confonde le voci e le urla di donne

che aspettano sveglie, figli e mariti.

Piccoli funghi ai piedi dei tronchi

spiccano bianchi un po' tutt'intorno,

sfrecciano in cielo gli ultimi stormi,

mentre già spoglio, il glicine dorme.

Sembrano candidi i sassi del fiume

dove una volta si andava a lavare,

e lì, tra i sassi, un nido di piume,

per un fringuello…

che non vuol più cantare.

Crepita il fuoco ormai quasi spento

mentre la nonna si conta le rughe,

insegue ricordi, volati nel tempo,

e chiude il suo cuore…

alle tante paure.

Buchi di stelle accese sul mondo,

spiano fredde il tristòre dell'uomo,

un nero lenzuolo avvolge quel vuoto,

rotto soltanto da un cane rabbioso.

Poi…

Splende su tutto un raggio di sole,

che porta la gioia, riscalda ogni dove.

Canta felice il fringuello del fiume…

che cova di già,

nel suo nido di piume!

Paola Ferraro (Bologna)

 

 

CLOCHARD ALLA METROPOLITANA

Ho il cuore che si spalma, come buro.

La mia mente è saltata quando ti ho incontrato.

La tempesta dei secoli ha investito l'anima,

mi sono ritrovata con una lacrima di paura

sul palmo della mano.

Giacca su un cappotto sudicio, scarpe bucate

che un essere a te uguale ti ha donato per pietà

o forse con disprezzo.

Il capo reclinato, lo sguardo perso

in un sonno senza sogni,

perché quei sogni hanno reso la tua vita un inferno.

E sei uscito, sei ai bordi, ma sei bellissimo, imponente.

Il mio esistere è sconvolto di fronte all'impotenza,

ma resterai in quel cuore che si spalma,

in una giornata di pioggia

diverrai una lacrima di gioia,

trasportata dal vento furioso della mia fantasia.

Antonella Smeriglia – (Capo d'Orlando - ME)

 

 

TI AMO

Ti amo nell'ora in cui apri le braccia

per stringere il mondo.

Nell'ora in cui accarezzi

le rose rosse

del mattino primaverile, salutando

con un largo sorriso i primi raggi del sole.

Dando il buongiorno agli uccelli che volano

d'albero in albero, giocando.

Nell'ora in cui parli del dolce pane

che mangeranno i bambini

che non sono nati ancora.

Nell'ora del vespro e del dopocena

quando ci dividiamo l'acqua e il pane.

Nell'ora in cui accendi il lumino

davanti all'immagine di Gesù Cristo in croce

con una preghiera per il domani della PACE.

Allora quando le tue labbra cantano

la ninna nanna alle culle dei bambini

e costruiscono per le loro speranze e i sogni

di un domani migliore.

Ti amo perché apri gli orizzonti

e riempi la nostra vita d'amore

ed il nostro cielo di bianche colombe.

Evangelos Parameritis – (Drapetsona – Atene, Grecia)

 

 

IL RESPIRO DEL MARE

A quanti sospiri

di innamorati cuori

di fronte a te

avrà fatto eco

la voce della tua risacca?

A quante mute domande

di smarriti animi

accoccolati sulla tua riva

avrà dato risposta

il brusio della tua battigia?

A quanti occhi

di romantici spiriti

al tuo cospetto

avrà affascinato l'invito

del tuo immenso abbraccio?

E di quante stelle infine

lontanissime e superbe

avrai catturato il luccichio

tremolante e confuso

tra le schiumose onde

di tante tue insonni notti?

Mare infinito

possente amico

immane forza d'oblìo

ghermisci un po'

anche il mio cuore,

cullalo come fanciullo

tra le tue grandi mani

d'onda

e placa la sua ansia

dondolandolo pigro…

Lascia che il tuo respiro

a lui giunga

come il più dolce alito

di vita

e infondi in lui la forza

del movimento tuo immutabile

ed antico…

Roberta Stincardini Movahedian (Perugia)

È nata e vive a Perugia. Sin da piccola ha nutrito l'amore per la poesia, compagna dei momenti belli e difficili della sua vita.

Ha riportato lusinghieri consensi ai concorsi: Comune di Corciano (PG), S. Andrea delle Fratte; "Insula Romana" di Bastia Umbra (PG); Trofeo Letterario Biellese "Orso di Biella"; "Trofeo Medusa Aurea" – Roma; "Prosa e versi" – Genova; "Acta" – Torino; "Ulivo d'Oro" – Torino; "Agli Ticino" – Bellinzona (Svizzera); "Un verso per salvare una vita" – Torino.

 

 

IMPRONTE

Hai lasciato

del tuo passaggio

impronte forti

sul mio cammino,

che vado ricercando

quando la solitudine

mi inonda…

Ma il vento a volte

le confonde

con la polvere del mondo

e più non so trovarle…

Hai lasciato

dei tuoi baci

tracce di fuoco

sulle labbra mie riarse,

ma il freddo sopraggiunto in fretta

ha screpolato la mia pelle

e più quel tuo sapore

non risento…

Hai lasciato

nel mio cuore

un grande vuoto

da che te ne sei fuggito

e l'eco del mio desiderio

lo trovo tutto intatto

nel canto della nostalgia

che di te mi ha rapito…

Roberta Stincardini Movahedian (Perugia)

 

 

FACITIMI LI CUNTI

Ora ca li cannuna arifriddaru

(centumila li morti, centumila!)

dicinu ca la guerra timminau.

Ora ch'è n'autra vota menzanotti

ni lu Kuwait amiricanizzatu

scrivuni (Centumila li caduti!):

la bella paci riturnau 'n saluti.

Centumila li morti! Cu' capisci

di nummira vo farimi li cunti?

Quantu sunnu li vivi cu la uerra

dintra la testa, quantu li stizzeri,

quantu li stizzi cavudi e saliti

nta li firiti di li cori vunchi?

Facitimi li cunti, pi favuri,

e mi diciti quantu focu d'occhi

ci voli pi bruciari na città

di dudici miliuna di spriveri.

Si non basta lu chiantu ca si fa

pi centumila morti, ci mittiti

lu chiantu di l'indiani massacrati,

di chisti chiusi dintra li riservi

comu pecuri, chiddu d'Hiroscima

e Nagasaki, di lu Viettinammi,

lu chiantu di l'America Latina,

di li figghi di Mamma Palistina.

Facitimi li cunti, pi favuri.

Junciticci, su ancora ci ni voli,

lu miu, c'ha fattu un lagu ca fumia

largu cent'anni e longu quattrucentu.

Facitimi li cunti, pi favuri,

c'aju a vulari supra Nova Yorka

lestu, chiù lestu ancora di lu ventu,

carricatu di lacrimi e d'amuri.

Facitini li cunti, prima ancora

ca chiantunu a Palermo o a Siracusa

la statua di farsa libirtà.

Facitimi li cunti, pi favuri.

Vito Tartaro (Ramacca – CT)

 

 

PEPPI

Setti piccati cancillati

pi ogni zazzamita ammazzata

Piccatu lu nàsciri

piccati saputi

piccati scanusciuti:

si n'accucchianu tanti ni deci anni.

Pi ogni zazzamita ammazzata

setti piccati scuntati.

Ottu pi sette cinquantasei

deci pi setti sittanta

dudici pi setti uttantaquattru…

Si armau di sfileccia

di ghiacci di jina

e partiu pi la caccia.

Rigistru di morti lu quadernu d'italianu.

Quattru journu unu

dui lu dui

cincu lu tri

novi l'innumani

tutali minsili

tutali annuali

diffirenza…

Ma ristavanu sempri piccanti pinnenti

pirchì non sapeva quant'eranu

chiddi senza cuscenza.

E quannu capiu ca non bastavanu

tutti li zazzamiti di lu munnu

cu la prima varba

ntisi viniri la malincunia

Grapiu vucca na sula vota

pi rispùnniri a la dumanna

"ma chi ti senti Pe'?:

"Un piccatu

un piccaturi contra la natura"

Poi non parrau chiù

tranni forsi cu li zazzamiti

quannu si cògghinu lu suli.

Vito Tartaro (Ramacca – CT)

 

 

U RATTA RATTA

Cumpari Petru, cosa mi cuntati?

Javi chi non vi chiù dun annu.

Oh cumparazzu!… non mi nni parlati!…

m'arruinavi rattannu rattannu.

Cumpari caru; jò sulu vi cumprendu;

vui siti liccu1 di pasta rattata;

u tumazzu2 abbundanti vi fa dannu,

jò vi cunsigghiu megghiu na nsalata.

Cumpari, chi capistu? vi sbagghiati;

u ratta ratta si manciò i me unghia.

V'addumannu pirdunu, mi scusati;

allura cumparuzzu aviti a rugna!3

Chi rugna e rugna; ss'autra ci mancava;

è u ratta e vinci ch'è na malanova4.

Allura cumparuzzu chistu è signu,

chi siti un tallaruni senza gnegnu5.