ANGEL GONZALEZ (POETA DELLA GENERAZIONE DEL '50)

di Alessandro Ghignoli

(“Il Faro”, n° 9/10, gennaio-giugno 1998)

 

 

Una delle abitudini, per quanto riguarda i movimenti poetici spagnoli contemporanei , è di soffermarsi quasi esclusivamente sulle generazioni dei '98 e del '27. Sottolineare il fatto che durante tutto il corso del Novecento si siano sviluppate in Spagna idee, percorsi, movimenti e gruppi poetici più diversi, ci pare abbastanza superfluo. Uno di questi è la generazione del '50 che ha prediletto tra le sue caratteristiche più peculiari un linguaggio quotidiano e dell'esperienza, un uso dell'ironia sempre molto originale. L'importanza che deriva da questi particolari registri linguistici, ci evidenziano una contrapposizione del poeta verso la visione “ufficiale" della vita, imposta in quell'epoca dalla dittatura franchista.

L’ attitudine realista di questa generazione va oltre le finalità dell'oggetto lirico, il verso particolarmente narrativo e prosastico cade nell'uso di una parola quotidiana. La visione della vita e del suo ambiente risulterà scettica, realistica, funzionale con una forte inclinazione al concreto. È evidente il tentativo di comunicare delle verità per cercare di migliorare il livello di vita, la poesia inizia così ad avere una funzione impegnata all'interno della società, nel suo consorzio umano, contagiando i più diversi livelli sociali allora presenti. La scommessa di questa generazione è una poesia sociale, civile, immediata, che rifiuta una semplice creazione fine a se stessa, sinonimo di incomunicabilità e incomprensione. Rivalutano una parola che contrasta con quella la cui unica funzione era esclusivamente estetica, per costruire una lingua di tipo etico, una poesia utile e funzionale. Ci ricorda il poeta di Oviedo, Angel Gonzáles: "sigo creyendo que la palabra poética, si logra alzarse hasta el nivel de la verdadera poesía, no es nunca inútil". In questi anni di realismo sociale, in cui si aveva un'adesione quasi generale al linguaggio diretto e scarsamente elaborato, aiutò i poeti a creare un nuovo modo di scrivere. Vi è la ricerca di un contatto tra l'esperienza dell'autore con quella del lettore che, come nel caso di Angel González nella poesia "Aquí, Madrid, Mil Novecientos ...” vive la stessa storia di solitudine del poeta che è concreta, reale, in un anno preciso ed in una città precisa: 'Aqui, Madrid, mil novecientos / cincuenta y quatro: un hombre solo./ (...) / Un hombre con un año para nada / delante de su hastío para todo ". Una solitudine condivisa alla inevitabile ricerca di un lettore partecipe in cui l'intimità e la storia si fondono per arrivare ad un'unica posizione. La coscienza di responsabilità etica ed il senso di solidarietà collettiva si armonizzano in un sentire mutuo.

La visione del tempo è assai presente nei suoi testi e diviene schiava di un suo particolare uso e di una sua logica. Le norme temporali più stereotipate sono superate: "Ayer fue miércoles todas la mañana./ Por la tarde cambió: /  se puso casi lunes, " un utilizzo quasi ironico con l'intento di affermare e negare allo stesso tempo la nostalgia. L'amore, il senso della vita, la speranza, sono in continuo sviluppo all'interno del concetto di tempo che Angel González tenta di introdurre nella storia. Storia in cui s'inserisce il carattere urbano in senso scenografico, o per meglio dire la città diventa il luogo dove si svolgono i quotidiani riti dell'incontro, della speranza, della disperazione, dello scontro, dell'evoluzione dei sentimenti. La città con le sue strade, i suoi vicoli e giardini fanno non solo da sfondo ornamentale, inducono lo stesso personaggio poetico ed il lettore ad entrare in uno spazio che determina non solo la storia della poesia, ma la storia stessa di tutti noi. Evidentemente il territorio dei sentimenti e dell'amore non può fuoriuscire da questa logica, la ricerca di un angolo appartato, il luogo dove appoggiare o sistemare una tenerezza alla ricerca di sicurezza è a volte difficile da incontrare. L’urbe crea così quei motivi di avvicinamento e di lontananza per ogni possibile contatto umano, città piene di tutto quell'arredo urbano che rendono tali, luoghi che però senza la presenza dell'uomo con tutte le sue coerenze e precarietà, sarebbero fondamentalmente vuote. L'uomo è visto quasi come vittima sacrificale all'interno di quelle strutture costruite da lui e per lui e che solamente con uno slancio di pura tenerezza può far realmente sue: "Se amaban. // No demasiado jóvenes ni hermosos / ( ... ) / Pero se amaban y se mantenian / juntos. Juntos se les veía / en la misa de doce, los domingos".