Cèline
 
Pantomima
 

Nel 1952 Céline torna a parigi dopo la prigionia e gli arresti domiciliari che ha subito in danimarca. E' un nemico della patria, un caso imbarazzante: l'autore dei famigerati libelli antisemiti, un uomo ed uno scrittore che tutti vorrebbero dimenticare. Gravemente debilitato nel fisico, Céline riprende il suo vecchio mestiere di medico a Meudon, e accudisce una clientela di poveracci cui non osa chiedere l'onorario. Tormentato dall'insonnia, ricomincia a scrivere circondato dagli animali che giramo per casa: gatti, cani, pappagalli... "Féerie pour un autre fois", pubblicato da Gallimard in quello stesso 1952, e' il libro con cui Céline tenta di riprendere un posto nelle patrie lettere. E lo fa a suo modo, cioe' attaccando tutto e tutti, cercando una resa dei conti, scagliando il suo rancore contro persecutori veri e presunti, sfrenando la sua vocazione di vittimista. Eppure sembra trovarsi a suo agio in quel clima di scontro totale: "E' l'odio che mi tiene sul flutto!" All'apertura del libro siamo a Parigi nel 1944, poco prima che Céline, inseguito dalle minacce di Radio Londra, decida la fuga in Danimarca (la Baltavia), attraverso la Germania. Nel suo appartamento al settimo piano di Rue Girardon, a Montmartre, da cui crede di controllare i movimenti di spie e nemici, Céline riceve una visita interessata, quella di una vecchi amica che si guarda intorno con l'aria di chi gia' pregusta la ormai prossima presa di possesso di quelle stanze. Il racconto deflagra rapidamente, diventa pura invettiva, accumula sulla pagina, come stravolti da un vortice ciclonico, i detriti di un'intera vita: l'infanzia al Passage Chouseil con la madre merlettaia, le sfilate con i Corazzieri, le ferite riportate in guerra, l'Africa, la medicina degli ambulatori di periferia, "la piccola religione della danza" (cioe' la passione per le ballerine), le soffernze danesi, le supposte persecuzione dei giudici e dei "patrioti" che gli devastano l'appartamento, distruggendo sette manoscritti. Un ribollente inferno di voci, di urli, di rumori primordiali, contro cui si batte, unico campione di un'umanita' non degradata, la moglia Arlette-Lilì. "Al principio era l'emozione... Ho voluto una prosa che nasce come la musica, senza mediazioni": cosi' Céline in un'intervista di quegli anni. Qui la musica cèliniana e' una sorta di furibonda partitura jazz, arrischiata su ogni oggetto capace di produrre un suono, quasi in un disperato corpo a corpo con i propri strumenti, fra percussioni inaudite, borborigmi e onomatopee che sembrano saggiare le potenzialita' estreme della letteratura. Una sfida immane anche per un maestro di versioni céliniane come Giuseppe Gugliemi; una provocazione che non risparmia l'editore (le "ennerreffe") e i lettori: "... Avete delle teste molto troppo smilze... prima di tutto c'e' la vostra ignobile maniera di leggere... fissate manco una parola su venti... guardate lontano, stremati..."

Ernesto Ferrero