Praino
 
 

EDOARDO PRAINO

 

STORIE DELL’OLTRE

 
 

La Cucina di Sangio è stato il luogo dove si sono materializzati gli ectoplasmi che avrebbero successivamente preso forma nelle Storie dell’Oltre. Nella Cucina del “Dottor Sangio” (dottore ad Honorem perché dispensatore di cure) ci si andava per farsi curare dai continui contraccolpi dovuti alla “Sbandata” che altro non era la sintesi del modo di percorrere la strada (o meglio mulattiera) della vita, su una allegorica macchina, per alcuni di noi. Cioè con l’accelleratore a tavoletta, su un’automobile scassata e senza freni, completamenti ubriachi. Nella Cucina l’atmosfera era pesantissima, i metaforici coltelli delle nostre elucubrazioni erano piantati ad un palmo dal soffitto, fuori dalla porta c’erano i mostri, si pisciava sempre nel lavandino e tutti i discorsi finivano sempre con la bomba atomica. A volte la “Cura” durava notti e giorni interi ed era sempre di tipo farmacologico. Nella cucina ci si arrivava già “fatti” e afflitti da questioni come “il cuore della mamma”, “il rapportarsi” e “l’invegendamento”. Il “cuore della mamma” è una miscela di paranoie piccolo borghesi di tipo deamicisiano, cioè una specie di prete repressore che manomette una sofisticata astronave, che ha come obbiettivo il viaggio nel cosmo, impedendole di partire. E’ la paura di quello che ti senti nel cazzo e nel cuore perché pensi di perdere qualcosa che non fa parte della tua natura. E allora fai cose di cui non te ne frega un cazzo, che ti portano a frequentare gente lontana in posti sbagliati, all’insegna della finzione. “Il rapportarsi” è lo scoglio successivo, quello per cui ognuno di noi deve mediare le proprie convinzioni con il quieto vivere ed, a volte, far finta di far proprie le convinzioni degli altri. “L’invegendamento” è la mazzata finale. E’ l’approccio con l’altro sesso che ti fa mettere in secondo piano questioni di primaria importanza, con l’effetto di un addensamento della nebbia che solitamente avvolge la strada che stai percorrendo. Quando sei invegendato ragioni col cazzo e non con la testa. Risolvere anche solo in parte queste tre questioni portava a volte ad un momentaneo diradamento della nebbia che ti consentiva per un istante a vedere con lucidità le cose.

 
 

UN BRUTTO FILM

 

E’ un filmaccio uestern ambientato in un salun. Non è a colori. Le tonalità della pellicola variano dal marrone chiaro a quello scuro. Dietro al bancone c’è un panzone con i basettoni che è anche lo sceriffo del villaggio ed, in teoria, dovrebbe garantire l’ordine in quello schifo di posto, ma che in realtà pensa solo a vendere le sue bottiglie di aguardiente parteggiando sempre col più forte. Nell’angolo destro del salun, con le spalle al muro e lo sguardo rivolto sia all’ingresso che allo specchio del bar, per meglio controllare la situazione, c’è un pistolero che ricorda gion uein prima maniera, cioè dall’apparenza bonaria ma in realtà una gran testa di cazzo. E’ sempre circondato da gregari armati, riverenti, che tratta come servitori. C’è chi gli accende il sigaro, chi gli pulisce gli stivali chi gli porta il mazzo di carte truccate per spennare il pollo della situazione. A chi meglio lo soddisfa gli regala un dollaro da spendere per un bel bicchiere di aguardiente da bere alla sua salute. Ride e scherza sempre, ma se uno dei suoi accoliti cerca di prevaricarlo lo uccide senza pietà. Come quella volta che tre spietati pistoleri venuti dall’est, all’inizio suoi complici, vollero mettere in discussione il suo predominio. Entrarono nel salun sparando all’impazzata e fecero fuori parecchi peones e qualche suo gregario. Forse sarebbero riusciti ad eliminarlo se non fosse stato per l’intervento di un altro personaggio. Quest’ultimo, ora seduto nell’angolo sinistro del salun in posizione speculare rispetto a Sam (chiamiamo così il primo personaggio), ricorda clint istvud dei tempi di “per un pugno di dollari” e lo chiamano “il Monco”, proprio come nel film. E’ un taciturno, ma la sua presenza garantisce l’assenza dei soprusi contro i peones sotto la sua protezione, da parte di Sam e dei suoi gregari. Infatti il divertimento preferito di Sam e della sua banda quello di sparare sui peones inermi e di violentare le loro donne. Il Monco è il buono della situazione. Buono per modo di dire, perché non esita certo a prendere a ceffoni ed a fare assaggiare la suola dei propri stivali ai peones che non lo trattano con il dovuto rispetto o oppure che dissentono minimamente da una sua opinione. E’ cosa certa però, che oltre a garantire a questi la protezione dalle angherie di Sam e della sua banda, non si è mai tirato indietro dall’offrirgli tortillas, fagioli ed un bicchiere di aguardiente quando era di buon umore. In quel momento regnava una situazione relativamente tranquilla. I gregari di Sam bevevano, giocavano a carte, sparavano per scherzo per aria ed in mezzo alle gambe dei loro peones per farli ballare, quando entrò il reverendo Tomas. In quel posto senza legge il reverendo Tomas era la figura di riferimento di molti peones, anche se in realtà la sua presenza era garantita da Sam e dalla sua banda e non si tirava certo indietro nell’avvallare gli affari illeciti di questi ultimi in cui spesso era coinvolto in prima persona. Il suo era un finto buonismo, strumentale per il controllo dei peones più incolti e bigotti. Tutto nacque quando il reverendo Tomas si avvicinò al più bigotto dei gregari del monco andandogli a bisbigliare qualcosa nell’orecchio. Questi era un peones con gli occhi azzurri, pare di origine polacca. Gli disse di lasciare perdere il Monco e che se fosse passato sotto la protezione di Sam avrebbe avuto in regalo una bella bottiglia di aguardiente e poteva forse addirittura diventare uno dei pistoleri di gion e dividere con gli altri il frutto delle rapine. Gli disse anche di fare opera di convincimento verso gli altri e che tanto il Monco sarebbe presto rimasto vittima di Sam e della sua banda. Poi il reverendo uscì dal salun rivolgendo uno sguardo d’intesa a Sam ed al barista. A questo punto Sam, che fino ad allora era rimasto seduto nel lato opposto del salun, si alzò e si avvicinò bonariamente al monco. Fino ad allora nessuno dei due aveva osato affrontare l’altro, anche perché entrambi erano i pistoleri più temibili ed una sparatoria sarebbe sicuramente finita con la morte di entrambi e dei loro seguaci, compreso il barista. Ma questa volta l'approccio era diverso. Sam rivolgendosi al bancone disse: “una bottiglia del migliore per il mio amico Monco! Subito!”. Il Monco, in silenzio, accettò di buongrado, senza mai togliere però il dito dal grilletto. Sam si sedette di fronte al monco e disse: “perché scontrarci? Nel salun c’è posto per tutti e due! Beviamo alla nostra salute!”. Ovviamente il uischi era drogato ed il monco, sospettoso com’era, ne ingerì solo un sorso, ma gli bastò ad avere quel leggero intorpidimento che consentì al peones polacco, che in quel momento gli si era avvicinato con una scusa, di distrarlo. In quel momento il Monco era girato verso il peones e Sam ne approfittò subito per scandirgli una brutta cotoletta col taglio della mano sul collo. Subito dopo, approfittando della momentanea incoscienza del Monco, quasi tutti, peones compresi, si accanirono contro il monco a terra tramortito, tranne alcuni di quelli più fedeli che rimasero in disparte per non rischiare di essere a loro volta vittima dei maltrattamenti. Sam e la sua banda erano ormai i padroni incontrastati della situazione. Infierirono più che poterono sui peones rimasti fedeli al Monco e, dato che l’occasione era quella di un festeggiamento, anche sui loro. Quando la festa finì ci furono molti morti e feriti tra i peones. Qualcuno si salvò andandosi a rifugiare presso il reverendo dichiarando la propria fede. Si era dunque stabilito un nuovo ordine nel salun. Un ordine dove Sam e la sua banda avevano il diritto di vita o di morte di chiunque abitasse in quel luogo. Tranne di uno. UN cinese. Un pericoloso sicario cinese esperto in arti marziali, temutissimo dalla sua comunità, che sedeva a terra con le gambe incrociate, appena fuori dalla porta del salun. Chen. Ad un certo punto Sam notò fuori dal salun quello strano cinese e gli disse: “Hei! Muso giallo! Vieni a bere anche tu alla salute dello zio Sam!”. Quest’ultimo gli rispose: “grazie, non bevo”. Improvvisamente un’atmosfera gelida pervase il salun. Tutti, pistoleri e peones guardarono nella direzione del cinese pronti a scagliarsi su di lui al minimo comando di Sam. Nel mentre Chen volse impercettibilmente lo sguardo in una certa direzione e comparvero come dal nulla migliaia di cinesi armati di coltello pronti ad affrontare i “diavoli bianchi”. Quello che avvenne dopo ancora nessuno lo sa.

 
 

IL VIAGGIO

 

Era l’alba. Alla stazione c’erano solo bambini. I pochi anziani erano coloro che non erano voluti partire continuando a vagare, come sperduti, tra una sala e l’altra , tra una galleria e l’altra. Alcuni di loro vociavano dai loro angoli pronunciando frasi apparentemente senza senso, ma che tradotte da archetipi codici dicevano importanti verità. Erano gli uomini senza tempo. Tutte le gallerie conducevano ad un solo binario dove arrivava un unico treno. L’atrio della stazione era immenso coperto da una grossa cupola retta da enormi colonne.

 
 

LA ROCCIA

 

Saranno state le cinque o lo sei di sera di una giornata autunnale, quasi al crepuscolo, stavo portando la macchina dal meccanico. L’officina si trovava all’interno di una galleria dismessa in fondo a via Ravenna, luogo dove ho passato la mia prima infanzia. Il meccanico non era ancora arrivato e nell’attesa mi sedetti su una piccola roccia che fuoriusciva da una “crosa” . Era la stessa roccia dei miei giochi della prima infanzia, era li da sempre, forse da milioni di anni, da prima che qualcuno, secoli fa, la inglobasse nell’architettura della stradina di mattoni e della scalinata. Mi sdraiai su di essa con abbandono e cominciai a percorrere a ritroso la mia vita. Pensai ai miei 45 anni di età, a tutti i progetti mancati, alle occasioni perdute, ad una vita fatta di compromessi, alle difficoltà che mi si sono presentate e che mi sembravano insormontabili. Pensai che la vita è come un fiume che sfocia in un mare sconosciuto. Un fiume con salti, rapide, ostacoli di ogni genere che solo se conosci bene riesci a percorrere con disinvoltura. Un fiume senza tempo che non muta percorso. Se solo avessi avuto più coraggio. Poi mi addormentai. Un’esplosione bianca mi sveglia e vedo intorno a me alcuni bambini vocianti che mi dicono: “Biscaglia alzati! Cosa fai li sdraiato. E’ ora di andare! Marco ha visto quelli della banda dello Smistamento appostati qua sopra che ci vogliono attaccare. Hanno le cannette con gli spilli quelli! Dobbiamo respingerli!” Appena apro bene gli occhi rimango sconvolto. I bambini sono i miei amici di quando avevo 9 anni di età e sono vestiti come allora, con tanto di magliette a righe e pantaloncini corti e Biscaglia era il mio soprannome per quelli della banda. Mi tocco e mi rendo conto che anch’io sono come loro, cioè un bambino. Chi mi grida d’alzarmi è il capo della nostra banda. E’ un po’ più grande di noi ma molto più deciso. Lui il “Fiume” qualche volta lo ha già percorso, ma senza il ricordo di averlo fatto. Ha incosciamente acquisito un po’ di esperienza come tutti quelli che hanno uno spirito più antico. Io invece questo ricordo ce l’ho molto chiaro, ne ho percorso 45 anni, cazzo! In quale paradosso posso essere finito? Mentre sono ancora intontito dalla situazione mi becco sulla guancia una cannetta fatta di carta di giornale con uno spillo inserito sulla punta, sparata da una cerbottana. A quel punto mi sveglio di brutto e affronto il tipo che mi ha scagliato il dardo, il quale non pago, mi si sta avventando. Mi ricordo perfettamente dei colpi di arti marziali fatti sotto la guida del Maestro Canale fino all’età di 26 anni e prima che lui se ne renda conto, gli sferro un calcio sul muso, naturalmente con la forza di un bambino della mia età però sufficiente ad indurre quest’ultimo alla fuga. “Dove hai imparato quel colpo?” Mi chiede il capo. “Bravo! Da ora in avanti tu sarai il vice capo.” Continua. A me sta bene anche perchè il capo mi è simpatico e da ora in poi cercherò di non fare cose che possono cambiare il corso del tempo. Mi sento benissimo e non mi riesce difficile comportarmi da bambino, per cui sto ancora con gli altri bambini a parlare della inaspettata vittoria contro la banda dello Smistamento e poi qualcuno dice che deve tornare a casa a fare i compiti, allora ci rendiamo conto che e tardi e bisogna tornare a casa. Sono i primi anni sessanta, c’è sempre un sottofondo musicale che esce dalle finestre fatto di canzoni d’epoca, quelle di carattere melodico tipo Nilla Pizzi e quelle più moderne degli “urlatori”, cioè Celentano & company . Mi guardo bene intorno e riconosco il mio quartiere, con la strada ancora non asfaltata, nemmeno una macchina. Il palazzotto dove abitavo in quel periodo. Cazzo come sto bene! Suono alla porta d’ingresso e mi apre una giovane signora alta e bruna di nemmeno quarant’anni. Riconosco mia madre. Mi dice: - Guarda come hai ridotto le scarpe! Ti ci vogliono un paio di scarpe alla settimana! Poi intravedo un bambino piccolo di un anno che è mio fratello ed una ragazzina di 14 anni che sta leggendo un libro, mia sorella. Mio padre non è ancora tornato dall’ufficio. E’ uno sballo incredibile! Mia sorella mi guarda e mi dice: - Come sei strano oggi. Vai a prendere il sussidiario che ti aiuto a fare i compiti. Fingo naturalmente di farmi aiutare. Appena finisco di fare i compiti sento un cigolio di chiavi proveniente dalla porta d’ingresso e riconosco la voce di mio padre che bestemmiando inveisce contro il governo. Aveva appena preso la busta paga e l’aumento di stipendio tanto atteso era veramente ridicolo. Ci sediamo a tavola. I sapori sono quelli di un tempo, la minestra di patate, le salsicce fatte in casa, la frutta non bella a vedersi ma con un gusto che avevo quasi dimenticato. Non so se tutto questo è dovuto all’acutezza dei gusti di un bambino o all’oggettiva qualità del cibo di allora, comunque il sapore e l’odore del cibo per me è quasi inebriante e mangio, molto lentamente, tutto, sotto lo stupore dei miei famigliari. Io infatti all’epoca ero molto schizzinoso, mangiavo poco e poche cose ed ero magro come un chiodo. Dopo la cena la televisione. Un grosso televisore con due grossi manopoloni ed un solo canale. Prima c’era “Carosello” con gli spot pubblicitari di allora tali e quali. Ogni spot durava circa cinque minuti ed era fatto da “scenette interpretate dai personaggi televisivi in auge, tipo “il tenente Sheridan” che non commetteva mai errori nella risoluzione dei suoi casi ma aveva commesso l’errore di non aver usato la brillantina “Linetti”. Infatti alla fine di ogni scenetta si toglieva il cappello, faceva vedere la zucca pelata e diceva: - Anch’io ho commesso un errore, non ho mai usato la brillantina Linetti! Poi c’erano i cartoni animati che era la cosa che mi piacevano di più. Insomma mezzora di spettacolo di buona qualità, impensabile successivamente quando la pubblicità diventerà una forma di convincimento forte ed immediata con spot che massimo durano 20 secondi basate prevalentemente sulla fica e sul successo. Poi c’è uno sceneggiato intitolato “Una tragedia americana” . Una specie di antenato delle telenovele. Palloso da morire. Non mi piaceva allora e non mi piace nemmeno adesso. Allora vado a cercare tutti i miei giochi. Il trenino elettrico, l’elefantino, i soldatini. Incomincio con l’osservarli con attenzione ricostituendo tette le mie sensazioni di allora e poi incomincio a giocarci veramente. Mi rendo conto che devo lasciarmi andare e non oppormi all’andamento delle cose. Gli eventi devono procedere con naturalezza in questa vita parallela se non voglio rischiare che avvengano cose che possano stravolgere completamente il mio destino e quello degli altri. Sono le otto del mattino e mi preparo per andare a scuola. Non c’e un rumore a parte qualche rumore di motociclo che echeggia in lontananza solo ogni tanto. La scuola è la “Mameli” e l’aria che si respira è quella “Deamicisiana”.

 
 

L’ALLEANZA

 

Erano quasi tutti degli sfigati che conducevano separatamente una vita alienante fatta di soprusi e umiliazioni quotidiane. Alcuni di loro si conoscevano già da molto tempo, praticamente dall’infanzia, dai primi anni delle medie superiori. Un incontro casuale in un bar tra Giuseppe e Roberto cambiò il corso della loro STORIA.

 
e.praino@portogenova.it
 
 
 
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