Il libro

 

 

Home La storia La preparazione Edizioni passate La prossima Links

Edoardo Verona

-------------

Villanova d’Asti

e suoi dintorni

Rievocazioni storiche

Le opere pubbliche - Le Istituzioni

Le Chiese

Riflessioni e considerazioni

 

Scuola Tipografica San Giuseppe - Asti

 

PROVINCIA DI ASTI

COMUNE DI VILLANOVA D’ASTI

Il Sindaco

Queste pagine, intese a far conoscere e apprezzare Villanova con le sue Opere Pubbliche, le sue Istituzioni, le sue Chiese, e a valorizzare le sue belle pianure, hanno altresì un fine di bene a favore di una filantropica Istituzione.

Il lavoro non è solo una registrazione di fatti e di notizie che tornano ad onore di Villanova e dei suoi dintorni, ma chiaro nell’esposizione, è altresì ricco di sentimento e di riflessioni e considerazioni, formative di bene, massime per la gioventù.

E per l’accenno alle coltivazioni e all’attività di queste popolazioni, il libro acquista un interesse maggiore.

Le possibilità di un maggior sfruttamento agricolo e industriale sono esposte certo un po’ rapidamente, ma pure dovrebbero bastare a persuadere tecnici e’ industriali a dar vita sul luogo, a qualche piccola industria o manifattura, per offrire lavoro a parecchie famiglie non abbienti.

Ci è quindi ben gradito dovere, accordare egida e favore all’interessante lavoro. Nel contempo volentieri raccomandiamo la pubblicazione alle famiglie e agli ospiti, gentili, affinchè vogliano, ad un’opera di bene, dar appoggio e il più generoso favore.

 

 

Villanova d’Asti, 20 Marzo 1949.

 

IL SINDACO

Grand’Uff. Dott. Adolfo VILLA

Notizie generali

Chi, durante una bella mattinata di Maggio, percorra la linea ferroviaria Asti- Torino, vede svolgersi d’ambo i lati uno dei più suggestivi aspetti di vita agricola. Il passeggiero, toccato il territorio di Villanova d’Asti, entra in una vastissima e fertile pianura, che si estende verso la provincia di Torino.

La campagna è meravigliosamente verde, rigogliosa, direi quasi lussureggiante di vita. Il suolo offre quadri di superba bellezza. Si alternano coltivazioni di cereali, foraggi, lino, canapa, filari di gelsi e, nei diversi toni di verde e nel fluttuare dorato delle biade, granoturco, striscie di rosseggianti trifogli e di erba medica cantata dal gran Virgilio.

Attorno, nella pace silente della campagna di Villanova, si alternano fattorie, cascinali e piccole case di coloni, nell’ondulata serie di dossetti verdi. Salutiamo con rispetto quelle casette; sono il frutto di lunghe rinunzie, di sudori, di lagrime.

Nella distesa di questi campi, si riconosce l’opera di una popolazione attiva, laboriosa, che trova nell’agricoltura il suo miglior conforto. L’uomo che falcia, la donna che rivolta il fieno, i buoi aggiogati che conducono l’aratro. Intanto le allodole e le rondini si alzano dai solchi e cantano, volando a ondate.

Questi contadini hanno nelle stalle il loro patrimonio più prezioso. Vi prospera l’allevamento del bestiame, che macchietta pascendo i verdi piani e anima le grandi stalle di pacati ruminanti.

E’ notevole che, anche qui, nella parte piana, si viene sempre più accentuando la tendenza a servirsi di macchine agricole.

Chi si reca nell’epoca della mietitura e s’indugia su queste estese pianure, comprende che vogliono significare in tutta la loro nobiltà, la bellezza e il vigore del lavoro agricolo. A mietere, a mietere, si dicono l’un l’altro, questi bravi agricoltori. Il frumento, granito e maturo, biondeggia come oro ed oscilla col capo chino sotto la serenità biancastra del cielo. Sì, a mietere, prima che si levi improvviso l’uragano a devastare in un attimo il frutto di tante fatiche e la speranza dei ricchi e dei poveri. Cadono sotto i colpi della falce messoria le spighe, e legate in pingui covoni, sono portate sull’aia o ammucchiate sotto la difesa di un rustico tetto.

Negli intervalli di riposo, i mietitori si recano dove l’aria è mite, all’ombra verde e tranquilla degli alberi e là sdraiati, fanno una parca merenda e, in allegri conversari o in sonnellini riposanti, aspettano l’ora in cui riprenderanno il lavoro. Che febbre di lavoro, che trepidazione ad ogni soffio di vento, ad ogni nuvoletta apparsa all’orizzonte! E che sollievo e che letizia, quando il sole, tramontando in una limpidezza cristallina di cielo, promette sereno anche il domani!

Evviva il pane, profumo delle mense, vita, forza e allegria di un popolo!

Intorno alle qualità degli abitanti di questa plaga, come possiamo rilevare anche dalle cronache, vengono descritti come uomini attivi, onesti, frugali, come sono tuttora, dediti con secolare vigore di vita alla tranquilla opera dei campi; e le prospere ragazze le vedete passare per le strade di campagna ed attendere a facili lavori, col capo coperto di leggeri cappelli di paglia dalla larga tesa, oppure cinto il capo di un fazzoletto a colori, stornellando allegre canzoni. E quando tace la voce umana, in questa smisurata quiete, non si sente che l’armonia delle cose. Il silenzio dell’anima rende allora capaci d’intendere il silenzio della natura, "il divino del pian silenzio verde! " (1)

Chi scrive, quante volte, in aperta campagna, ha ammirato questa natura nell’alterna vicenda delle stagioni, ammantata del suo verde, smaltata dei suoi fiori, nel suo vasto lembo di cielo! E quando le nubi sfaldate rivelano la maestosa corona delle Alpi, allora le alte

(1) (G. Carducci, Sonetti).

vette bianche di nuova neve, paiono frammenti di mondi, sospesi tra un contorno di cielo indorato dal sole.

Qui più che altrove voi riscontrerete la longevità degli abitanti. Vivendo in questa distesa serena di pace, si rinfrancano dei lavori, riposando al rezzo nelle ore del meriggio, alternando la fatica col riposo e ristorandosi delle molte faccende, nei dolci ozi tranquilli delle veglie invernali.

Sono qui ben noti e attuati i prosupposti per la miglior produzione del grano: sementi elette, diligente preparazione del terreno, semina a righe dove è possibile, concimazioni naturali e chimiche a tempo e luogo.

Ma a completare il quadro delle coltivazioni, nella parte piana di questi terreni, gioverà pure la frutticultura, che può contribuire a migliorare le condizioni dei coltivatori, offrendo un raccolto prezioso e rimunerativo.

La frutticultura, finora non ha preso qui uno sviluppo confortante. Ma con adatti dissodamenti e lavori di concimazioni, ogni casa di campagna, anche qui potrebbe avere il proprio frutteto. Converrà vigilare le piante, scegliere bene le varietà, non abbandonare le pianticelle, ma accudirle con la potatura e con la difesa dalle malattie. Dovrebbe essere anche cura del Governo, dei Municipi, degli Enti morali, quella di diffondere il necessario insegnamento speciale, col mezzo delle Cattedre ambulanti di agricoltura e con tutti gli altri mezzi che possono essere suggeriti dall’esperienza. La frutticultura offre la materia prima per le marmellate e conserve alimentari che ogni famiglia può prepararsi; e si potrà anche in tal modo giungere al punto di emanciparsi dal tributo che diamo all’estero per il rifornimento di questo importante, nutriente e sano alimento.

L’agricoltura non si limita qui. alla coltivazione della terra, ma comprende ancora il vasto cerchio dell’economia rurale propriamente detta a cui si riferisce l’orticultura, l’allevamento e l’ingrasso di suini, un largo allevamento di animali da cortile, cioè polli, anitre, oche, galline faraone, tacchini. Dal mercato che si svolge a Villanova il giovedì, si esportano in tempi normali, polli e uova per decine di migliaia di lire settimanalmente. Sono pure curate le conigliere, gli alveari e le colombaie.

L’agricoltura è certo la prima delle arti. La semplicità e purezza dei costumi, la robusta costituzione, la vita libera dei campi, i lavori che occupano incessantemente l’agricoltore, lo allontanano dagli svaghi pericolosi che le Città offrono ai loro abitanti.

L’uomo dei campi è più vicino a Dio; il suo sentimento religioso è vivo e sincero. Le meraviglie della natura, il ritorno regolato delle stagioni, i benefizi di una terra feconda e quella tendenza che lo spinge a innalzarsi alla divinità, onde invocare abbondanti le messi e supplicare lontani i flagelli, tutto concorre a fare della campagna un ambiente, ove il lavoro dispone alla fede, alla virtù, al patriottismo.

C e n n i s t o r i c i

Origine e fondazione di Villanova

Dell’origine e fondazione di Villanova, abbiamo documenti che risalgono al tempo di Ottone III della Casa di Sassonia ,regione montuosa della Germania.

Ottone III, disceso in Italia, ben accolto dai feudatari, sempre pronti a cambiar padrone, si fece incoronare Re a Pavia e a Roma Imperatore.

Nel 1001, Ottone III donava al monastero di S. Felice di Pavia, un villaggio, denominato Corveglia (Curtis vetula) con tutti i terreni circostanti. Esiste ancora oggidì la borgata con tale nome, vicinissima all’attuale Villanova d’Asti.

Le Benedettine del monastero di S. Felice di Pavia, fecero costruire in Corveglia, un monastero che dedicarono pure a S. Felice e venne occupato da religiose di quell’Ordine. Attorno al monastero, oltre 1a chiesa, erano la scuola, giardini, orti, mulino, stalle, granaio.

Nelle vicinanze, a levante e in amena pianura, protette e difese dal monastero, si raccoglievano le umili case dei contadini che vivevano e lavoravano alla dipendenza del monastero stesso. Questa località divenne presto centro di nuova vita e di cultura vasta e intensa. L’abitato, che andava così formandosi e aumentando di popolazione, fu denominato in un primo tempo, semplicemente Villanova, e in seguito Villanova della Piana (1)

Conviene ricordare che le fondazioni dei benedettini erano allora autonome; ogni monastero faceva da sè; l’abate (o l’abbadessa) come il feudatario, nel suo distretto, imperava sovrano sopra la sua comunità e sui terreni assegnati.

Il massimo propulsore del movimento monastico, fu San Benedetto di Norcia. I pericoli di una vita che aveva principale scopo la guerra, inducevano a cercare pace nei monasteri. A centinaia, a migliaia sorgevano, in quei tempi, i monasteri in tutta Italia, per opera dei Benedettini, ai quali la regola del fondatore faceva obbligo di lavorare sette ore al giorno, lavoro sotto tutte le forme, intellettuale e manuale, nei campi e nell’officina.

A Montecassino, in provincia di Caserta, esiste ancora la celebre abbazia fondata da S. Benedetto nel 529. L’Ordine dei Benedettini ha dato alla Chiesa, nel corso dei secoli, ventiquattro papi, duecento cardinali, milleseicento arcivescovi e moltissimi vescovi canonizzati santi. E fu un umile benedettino, Giovanni Gersenio, che scrisse il più sublime libro religioso del medio evo: Della Imitazione di Cristo, "il libro che illumina e penetra tutto il gran dramma umano, spogliandolo d’ogni ingombro di falsità e di menzogna " (2). Giovanni Gersenio fu abate di S. Stefano in Vercelli dall’anno 1220 al 1240.

La regola monastica era, ed è ancora oggi, considerata come una garanzia di una vita più regolata e perfetta. Ma le istituzioni monastiche non furono solo ispirate dalla tendenza all’ascetismo. In una società tutta compresa di misticismo, le associazioni monastiche si assumevano pure l’incarico di varie opere, come aprire ospizi ai viandanti, erigere ospedali, creare istituti per vecchi, orfani, ecc. Tutte queste istituzioni avevano naturalmente un’impronta religiosa. Le spade dei legionari romani si erano irrugginite; occorrevano altri mezzi, altri centri di civiltà, cioè pregare, studiare, trascrivere libri, dissodare terreni e affermare esigenze superiori ai materiali interessi.

 

 

I terreni del Monastero di Corveglia

I terreni assegnati dall’Imperatore Ottone III al monastero di Corveglia, erano lavorati da contadini vincolati alla terra, detti servi della gleba.

Un fattore fissava le ore di lavoro, distribuiva ad essi i ferri del mestiere, fissava i lavori dei boaro, del carrettiere, dello zappatore e così via. Oltre l’annuo censo in denaro e in frutti, i soggetti lavoratori della terra, dovevano prestare al monastero di Corveglia particolari servizi, come battere il grano, far la legna, trasportare il vino, e per il consumo giornaliero, fornire latte, burro, ortaggi, frutta, secondo le coltivazioni del terreno. Il fodro, come dicevasi allora, ossia la contribuzione che gli abitanti del luogo dovevano al monastero, veniva imposta dall’abbadessa.

Nella borgata Corveglia, esistono ancora oggi i resti di un antico castello che dovette servire come difesa dagli assalti delle soldatesche mercenarie di passaggio.

 

(1) Nei cenni storici ci siamo tenuti a pubblicazioni e a documenti che hanno riferimenti alla storia dell’Astigiano e particolarmente: Statuti Comunali di Villanova d’Asti, con introduzione di Mons. Pietro Savio, addetto alla Biblioteca Vaticana - Bosio: La Chiesa d’Asti - Carme di Antonio Astesano - Codice di Asti detto di Malabaila - Grossi e Grandi: Storia di Asti - Dizionario Feudale di Francesco Guasco di Bisio - N. Gabiani: Asti e le sue vicende Cesare Cantù: Storia degli Italiani.

(2) Cesare Guasti, con note di G. M. Zampini sulla Imitazione di Cristo.

Del castello appare ancora l’alta torre, segnacolo di un passato fosco, ma al quale le pie monache benedettine, hanno dato allora, l’impronta della loro gentilezza e del loro sereno spirito di carità.

Nell’aggregato delle abitazioni di Villanova, si stabilirono pure in seguito, i canonici regolari di S. Agostino, che riconoscevano la signoria del monastero di S. Felice.

Certo, una notevole trasformazione di vita accadde in Italia, quando i monaci, aprendo i loro chiostri, si fecero incontro al popolo per aiutarlo, predicando il Vangelo, assistendo i malati, istruendo la gioventù per sottrarla dagli ambienti malsani, dalla bettola, dalle chiassate rumorose che caratterizzavano la vita del medio evo.

 

Fine di Ottone III

Durante l’impero di Ottone III (983-1002) III territorio in Italia era ancora diviso in tanti staterelli (feudi), quanti erano i conti, i marchesi, i vescovi, che presero il nome di feudatari. A cominciare da Ottone I, gli Imperatori di Germania estesero anche ai vescovi i diritti feudali, creando i vescovi conti.

Il feudatario, in mezzo ai suoi vasti tenimenti, si fabbricava il castello, edificio massiccio con torri merlate e attorno, fossi, controfossi e ponte levatoio. Nell’atrio del castello, teschi di cinghiali e di lupi, aquilotti imbalsamati, corna di cervi, indicavano i divertimenti dei signori. Fra gli stemmi si vedevano armature, lancie, mozze ferrate, e negli stanzoni, attorno a vasti camini, si raccoglieva la famiglia a giocare agli scacchi, o ai dadi, a ricamare, a bere e a udire le novelle e le canzoni dei menestrelli e giullari, ossia buffoni di professione.

Ottone III aveva umiliato e spogliato alcuni feudatari laici, irrequieti, arbitrari e prepotenti e, mentre si recava a Roma, seppe della morte del Papa. Fece allora eleggere un papa tedesco intitolatosi Gregorio V. Dovette in seguito reprimere a Roma, i baroni rivoltosi, capeggiati da un certo Giovanni Crescenzio, che aveva usurpato il governo della città e fatto eleggere un antipapa.

Ottone fece decollare Crescenzio e dodici caporioni e sospenderne i cadaveri ai merli del castello, e fece subire atroci tormenti e mutilazioni all’antipapa.

Ottone, preso in seguito da rimorsi, andò a confessarsi da S. Romualdo, fondatore dei Camaldolesi, il quale gli impose per penitenza di andare scalzo da Roma fino al Santuario del Monte Gargano.

Ottone poco dopo finì i suoi giorni nel monastero di S. Apollinare a Ravenna; tutto in digiuni e salmodie, come affermano alcuni storici, vestito di cilicio, dormendo su di una stuoia di papiro, in penitenza dei suoi peccati. Sopraffatto da malattia, moriva a soli 22 anni nel 1002.

Nel medio evo, erano frequenti i casi di ricchi, di altolocati, i quali vicini a morire, stanchi e disingannati del mondo, si ritiravano a vivere nella solitudine, e prendevano l’abito monastico, regalando al monastero in cui entravano, i loro beni.

Durante l’impero di Ottone III, l’èra volgare toccò il suo millesimo anno. Molti storici affermano che all’avvicinarsi dell’anno mille, i popoli credettero di essere giunti alla fine del mondo.

" Chi può immaginare lo stato di una società che crede di essere alla vigilia dell’intero suo scioglimento? Moltissimi vestirono il saio monastico; a turbe accorrevano ai santuari devoti, con processioni di reliquie venerate, e con sante litanie supplicavano Iddio ad aver misericordia dei popoli che a momenti dovevano tutti comparirgli davanti.

" I buoni trassero occasione di inculcare pietà, sviare da private vendette, indurre a penitenza, a rispettare le chiese e l’innocenza. Quando il terribile mille passò, gli spiriti, a poco a poco, ripigliarono confidenza e si ritornò alle cure del mondo ma la rinfrancata devozione, rese più appariscente il primato della Chiesa, unica società inconcussa fra tanto scompiglio " (C. Cantù, Storia degli Italiani).

Nel medioevo, si moltiplicarono in seguito, per tutto, le Confraternite dei battuti o disciplinanti, che visitavano le chiese e accompagnavano il Viatico. Le Confraternite furono principalmente diffuse da S. Bernardino da Siena e da S. Vincenzo Ferreri, nella prima metà del 1300. In quel periodo di tempo s’introdusse pure la devozione, estesa fra i secolari, di farsi seppellire con la tonaca di battuti o di un qualche Ordine religioso, come volle essere Dante Alighieri, morto a Ravenna nel 1321.

 

 

Vendita di Corveglia e Villanova

al Comune di Asti

Molte città nel XII secolo, per ragioni demografiche, cioè per l’aumento della popolazione, concedevano ai contadini dei borghi di lasciare la campagna e di farsi cittadini, accasandosi in città, e li facevano esenti da ogni gravezza, accomunandoli ai diritti degli altri cittadini.

Le città erano allora governate da vescovi conti.

In quel tempo i borghigiani di Villanova diedero segno di malcontento e di ribellione per il trattamento che veniva fatto a loro riguardo, per cui il monastero dovette chiedere man forte ai signori vicini di Riva, di Chieri e di Poirino,. i quali, sotto colore di patrocinio, turbavano la giurisdizione del monastero e talora ne occupavano il territorio.

Il 24 Aprile 1210, veniva il monastero reintegrato nei suoi diritti, ma nel corso delle liti coi signori vicini, contraeva forti debiti. Trovandosi impotenti le monache a soddisfare nel tempo consentito, si decideva la vendita di Corveglia e di Villanova al Comune di Asti.

Il 25 di Ottobre 1215, si stipulava il contratto, in virtù del quale l’Abbadessa delle religiose benedettine del Monastero di S. Felice, vendeva ad Asti, Villanova e il Monastero di Corveglia con tutti i terreni circostanti, colti e incolti, gerbidi, pascoli, boschi, con tutte le coltivazioni all’atto del contratto.

Il Comune di Asti veniva così a provvedersi di un granaio sicuro e copioso, possedendo in quelle parti un vasto territorio. I villanovesi divennero così cittadini astesi, non come singoli, ma attraverso la formazione comunale. Da allora l’abitato venne denominato Villanova d’Asti.

 

Villanova si erige a libero Comune

Il governo dei vescovi conti, meno duro di quello dei feudatari laici, aveva naturalmente attirato nelle città i servi della gleba liberatisi dal pesante giogo feudale. Quando poi i vescovi ebbero a lottare contro i feudatari laici, i cittadini diedero loro valido aiuto. Dell’aiuto dato ai vescovi i cittadini si valsero per partecipare con loro al governo della città. Così a poco a poco si venne sostituendo al governo dei vescovi e dei conti, il governo del popolo e si costituirono i liberi comuni, che erano una specie di associazione contro gli abusi e le prepotenze dei feudatari.

Il Comune si governava come un piccolo Stato; alla testa stavano alcuni magistrati, detti Consoli, i quali facevano eseguire le leggi, comandavano la milizia, presiedevano i tribunali, coadiuvati da un Podestà. I Consoli erano pure aiutati da un Consiglio di cittadini.

Nel 1285, per opera di Oddone Biandino, capitano del popolo di Asti, anche Villanova si costituiva a libero Comune, e otteneva giurisdizione su Solbrito, Supponito, Dusino, Monastero, Villanovetta, Brassicarda, Corveglia, Valdichiesa. Un monastero con alcune case intorno, poco distante dalla chiesa dedicata a S. Felice, formavano un piccolo borgo detto Villanovetta, che per essere senza mura, era sovente infestato da quei di Valfenera, cosicchè gli abitanti, più non potevano coltivare le campagne e il monastero trarne profitto. Villanovetta, venne in seguito demolita e, per ordine del Podestà di Asti, Turello Milone, gli abitanti furono obbligati a ritirarsi in Villanova, che venne in seguito munita di forti mura (anno 1240), disegnate dallo stesso Podestà e circondata da grandiose fosse (1).

Allora vennero pure ad abitare Villanova, le genti di Dusino, Solbrito, Corveglia, Supponito, S. Paolo, Monastero e altri piccoli borghi e castelli che le stavano attorno, affinchè riunita la popolazione di questi luoghi, fosse valevole a sostenere l’impeto dei nemici in quei calamitosi tempi di guerriglie tra Ghibellini che tenevano per l’Imperatore e per il potere civile, e Guelfi che tenevano per il Papa e per il potere ecclesiastico.

Monastero, era pure un piccolo borgo che trovavasi nella pianura tra la stazione ferroviaria e il Ciocchero. Venne demolito quando Villanova fu circondata di baluardi o bastioni. A ricordo del monastero dei Benedettini già esistente in quel luogo, fu eretto un pilone, ora in rovina, che trovasi vicinissimo alla strada provinciale che dalla stazione di Villanova va alle cascine dei Savi. Il pilone è in un praticello di forma triangolare, nelle vicinanze delle rovine del Castello, ultimamente di proprietà del Conte Viglietti

Ma l’antico castello di Supponito (detto in seguito Ciocchero), coi terreni adiacenti fin verso Villanova fu un tempo di proprietà del Conte Suppone, di sangue illustre, che teneva la Contea di Torino e di Asti negli anni dall’880 all’890. Il luogo di Supponito ebbe il nome dal Conte Suppone, sotto il regno di Carlo il Grosso imperatore, re di Germania e d’Italia; costui riuniva tutto il retaggio di Carlo Magno, ma nessuna delle qualità necessarie a sostenerlo. Come incapace e mentecatto, Carlo il Grosso fu deposto da imperatore, e morì miserabile l’anno 887; e allora, come dice il Cantù, la corona di Carlo Magno andò per sempre a pezzi, e i vari popoli si elessero re nazionali e si costituirono in stati indipendenti.

Concorse Supponito all’edificazione dei bastioni di Villanova d’Asti, insieme ai borghi vicini nell’anno 1248. Nell’anno 1487, era Signore di Supponito, un certo Antonio, giudice della città di Chieri che sposò Caterina di Montafia, nobile castellana di quei luoghi, nata il 9 Dicembre 1435. Nell’anno 1531, Supponito, con altre terre e castelli, fu, dall’Imperatore Carlo V regalato in dote a Beatrice di Portogallo, moglie del Duca di Savoia Carlo III, padre di Emanuele Filiberto. Nell’anno 1588 il castello di Supponito apparteneva in feudo a S. Paolo, e ne era Signore Ricci Tommaso.

Villanova, sentinella avanzata verso i confini del Ducato di Savoia, e al margine della grande strada Torino - Asti - Genova, fu valido baluardo contro le soldatesche straniere. Di qui vide passare gli eserciti di Crociati, in diverse spedizioni, incitati dalla predicazione di Pietro l’Eremita e di S. Bernardo, diretti in Palestina, per liberare il Sepolcro di Cristo dagli infedeli. Di qui passarono nel 1174, le milizie tedesche, che scese dal Moncenisio, comandate da Federico Barbarossa, incendiarono Susa, Chieri, Asti, e posero l’assedio ad Alessandria.

Nell’anno 1494, il giorno 9 Settembre, Carlo VIII, re di Francia, giungeva da Chieri a Villanova, con un esercito di 40.000 uomini, e venne ad ossequiarlo il Marchese di Monferrato Guglielmo VII Paleologo, ed immenso popolo plaudente, dei luoghi vicini, credendo d’incontrarsi con un liberatore; fatto ricordato da una lapide, della quale non rimane che copia nell’archivio comunale di Villanova.

Carlo VIII poté giungere fino a Napoli, ma si alienò presto la popolazione con la prepotenza, per cui, ritirandosi

dall’Italia, presso Fornovo, venne sconfitto dalla lega italiana e a stento riuscì a rivalicare le Alpi (1495).

Nell’anno 1565, il Duca Emanuele - Filiberto di Savoia, essendo a Villanova, invitava per lettera la Comunità di Buttigliera a giurargli fedeltà, delegando a riceverla Girolamo Valperga, arcivescovo di Tarantasia, governatore del Contado di Asti.

(1) Soltanto nel 1691 si cominciò ad abbattere i bastioni di Villanova e nel 1734 vennero quassi appianati.

Nell’anno 1641 venne ad accamparsi nelle pianure di Villanova, col suo esercito, il Principe Tommaso di Savoia e di qui si recò a Torino e proseguì all’assedio di Chivasso.

Nell’anno 1642 le milizie piemontesi comandate dal generale Broglia, cinsero d’assedio la piazza di Villanova, la quale oppose vigorosa resistenza; e per la sua posizione in aperta campagna, lungi dalle boscaglie e cinta da forti mura, presentava ostacoli insuperabili al nemico. Cadde tuttavia dopo un lungo assedio, senza opinione di connivenza del Governatore di Villanova, il quale accusato poi di tradimento, non poté liberarsi che con la fuga.

Nell’anno 1690 l’esercito francese comandato dal Maresciallo Catinat, distrusse Riva di Chieri, Crivelle, S. Paolo e recò gravi danni a Villanova.

Nell’anno 1705, l’11 Novembre il Maresciallo francese Vendome, occupò Villanova e il 12 assalì Riva di Chieri, difesa da 400 dragoni Savoiardi sotto il comando dei colonnello Saint-Etienne, che dopo vive resistenze, si ritrassero in buon ordine.

Nell’anno 1706, sul finir del mese di Agosto, il Principe Eugenio di Savoia, venuto in aiuto ai piemontesi, comandando il suo esercito, si recò di sua persona a Villanova d’Asti, ove trovò una scorta di 200 cavalli mandatigli incontro dal Duca Vittorio Amedeo Il, e proseguì con quella senza arrestarsi fino a Carmagnola, al fine di abboccarsi coi cugino, contro l’esercito francese che venne sbaragliato, dopo l’eroico sacrificio dell’artigliere Pietro Micca.

Villanova ottiene i suoi Statuti

Villanova ebbe in seguito i suo istatuti comunali, che erano decreti relativi all’ufficio dei magistrati, all’amministrazione del pubblico, alla procedura civile e criminale, ai pesi e alle misure, alla salubrità, all’annona, ai traffici, a quanto insomma occorreva ai bisogni del Comune.

Godeva Villanova di tutti i privilegi feudali e ben meritano speciale menzione i suoi statuti civili e criminali ottenuti nel 1414, i quali statuti, scritti in lingua latina su pergamena, si conservano tuttora negli archivi comunali di Villanova d’Asti.

A salvaguardare la sicurezza del Comune e dei suoi abitanti, esistevano particolari disposizioni: i messi o guardie comunali, dovevano senza alcuna rimunerazione, seguire il Podestà per Villanova, ad ogni richiesta, sotto pena di soldi dieci; esisteva il divieto di condurre in paese chi fosse in guerra col Comune o in, lite con particolari persone; si doveva accorrere al suono della campana della torre; vi era obbligo di chiudere le porte e levare i ponti ogni sera; il Podestà aveva l’obbligo di vigilare sulla conservazione delle mura dei bastioni; era vietato scavalcare le mura o le porte, andar per le vie con armi sia di giorno come di notte, girare di notte senza lume; dopo il suono della campana della sera era interdetto portare per il paese tizzoni accesi ed accendere fuochi per le vie. A custodia notturna della piazza erano incaricati ogni notte quattro uomini dai diciotto anni in avanti, i quali dovevano denunciare ogni delitto venuto a loro conoscenza.

Le vie furono illuminate solo molto tardi; non mancavano però, specialmente agli angoli delle strade, immagini religiose, o larghe croci di legno, davanti alle quali, la pietà dei fedeli manteneva accesa qualche debole fiammella, simboli religiosi che dovevano risvegliare devoti sentimenti e trattenere i malfattori dalle malvagie azioni.

Nel 1500 Villanova era popolata da oltre 6000 abitanti; il territorio del Comune villanovese si presentava oltremodo vasto, spingendosi fin sotto Montafia, Villafranca, Valfenera, Poirino, Riva, Buttigliera, con un raggio che in più punti andava oltre i sei chilometri, Il Comune aveva fornaci proprio per i laterizi occorrenti alle costruzioni pubbliche e private; esistevano parecchi mulini comunali; numerosi erano gli artigiani, specialmente fabbri ferrai, falegnami, carradori.

Provvedevano all’assistenza religiosa le chiese di S. Martino di Dusino, di S. Felice, di S. Giovanni, di S. Pietro, di S. Paolo, di S. Michele. Nella relazione della visita pastorale di Mons. della Rovere dcl 1570, risulta che oltre a queste chiese, altre ne esistevano, ove si celebrava per il popolo che abitava in territori lontani dalle parrocchie. Si riscontravano chiese a Corveglia, a Palazzo, a Valdichiesa, a Brassicarda. Ai pellegrini e ai malati bisognosi, soccorreva l’ospedale del Comune. L’ospedale possedeva immobili.

La chiesa di S. Martino fu consacrata da Mons. Domenico della Rovere, vescovo di Asti, il giorno 3 Novembre 1570.

Aggiungiamo qui che i Vescovi conti di Asti, portavano altrettanto bene la spada, quanto sapevano esser degni della mitra e dei pastorale.

Il sistema di coltivazione dei terreni era subordinato ai bisogni della vita: cereali, vino, ortaggi, tela, legna. Abbondavano i cereali e il fieno, non era scarso il vino, e in buona misura si produceva canapa, lino, ortaglie e legna.

Le donne passavano il loro tempo nel ripulire e stendere la biancheria, filare e lavorare di maglia. In molte case esisteva il telaio a mano per tesser la tela, e ancora oggi molte famiglie di Villanova, posseggono preziose pezze di tela di lino e di canapa, che serbano per mettere a disposizione ogni anno in occasione della solennità del Corpus Domini, per adornare e ricoprire interamente le strade del paese. Ed è veramente da ammirare, con quanta cura il popolo villanovese dispone ogni anno le vie del paese come lunghe gallerie, adorne di drappi, trine, merletti, ricami preziosi, quadri, dipinti sacri e profusione di fiori per dare maggior risalto alla solenne processione del Corpus Domini.

Dagli antichi statuti di Villanova, appare che gli abitatori di queste terre, già avevano una particolare devozione verso la Beata Vergine; e la loro devozione verso il Sacramento dell’Eucarestia, fu accresciuta da miracoli che si verificarono in alcune città d’Italia, per cui il Papa Urbano IV, nel 1263, estese a tutta la Chiesa, la festa del Corpus Domini; S. Tommaso d’Aquino ne compose poi la bella ufficiatura.

Ci è caro qui ricordare la bella e devota cerimonia religiosa, che si svolge nella quarta domenica di ogni mese, dopo la Messa solenne, nella chiesa parrocchiale di S. Martino, cioè la processione col Santissimo, lungo le tre navate, col canto del Pange lingua e accompagnamento d’organo.

A Maria Vergine si tributò anche qui l’entusiasmo della massima devozione; e il dogma dell’immacolata Concezione, fu sostenuto fin d’allora, fervorosamente, dai francescani, che tenevano pure un convento a Villanova. Di Lei. infine, paravano in quei tempi, eloquentemente, S. Pier Damiani, S. Bernardo, S. Bonaventura, e fu una gara per circondarla con la poesia del perdono e con fiori di tenerezza.

Aggiungiamo inoltre, che l’Ave Maria, si rese generale dopo il 1240; e S. Domenico (1) introdusse il Rosario, devozione che fu poi connessa alla ricordanza della vittoria di Lepanto (7 Ottobre 1571) in cui fu decisa la superiorità dei cristiani sopra i turchi, vittoria che viene ricordata dalla Chiesa ogni anno, nella prima domenica di Ottobre, con la festa del Stinto Rosario.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1) S. Domenico (1170 + 1221) fondatore dell’Ordine domenicano. Il papa Onorio III approvò l’Ordine domenicano, che si diffuse rapidamente in tutta Europa. Fu canonizzato da Gregorio IX nel 1234.

Da quest’ordine uscirono molti santi, quattro papi, 60 cardinali, più di 1000 vescovi

Descrizione del Codice manoscritto antico

comprendente gli Statuti di Villanova d’Asti

Il codice membranaceo ed originale, come viene descritto da Pietro Savio, è racchiuso fra due assicelle, un tempo ricoperte di cuoio, al presente lacero per larghi tratti d’ambe le parti. Misura cm. 31 x 23. Sul dorso dell’assicella posteriore è scritto: Libro degli statuti di Villanova d’Asti 1414.

Fregiano i bordi delle due tavole, doppia greca ed elegante disegno geometrico.

Mancanti le cinghie che univano le assicelle, sono sostituite da striscie di pelle.

A mezzo il bordo esterno delle tavole, sono due fermagli in bronzo cesellato. All’interno del codice, lo scritto è in bel carattere gotico, alto da quattro a cinque millimetri.

Il corpo di scritto si presenta con grazia, aggiungendo eleganza le iniziali dei singoli capitoli e i titoli in rosso.

Le condizioni del codice sono buone; alquanto deteriorate sono due miniature. La prima riproduce lo stemma orleanese, la seconda, quello visconteo. I gigli sono a oro in foglia, su campo turchino.

Al margine superiore, due angeli, di delicata espressione, pendono in mezzo i gigli orleanesi, riprodotti in oro in foglia, in scudo turchino.

Sul margine inferiore, all’angolo destro, è ritratto lo stemma del Comune di Villanova: Leone rampante giallo in scudo azzurro.

Il codice, conservato nell’archivio comunale di Villanova, è classificato nella categoria prima, e viene catalogato nell’inventario, nei seguenti termini: " Libro in carta pecora di fogli 123. contenenti li Statuti antichi di questa Comunità di Villanova d’Asti ".

Sul merito dei miniatori calligrafi del XIV e XV secolo, abbiamo prove nel prezioso codice e soprattutto nei volumi che si chiamano libri corali. Tanto le lettere iniziali, quanto il contorno dei fogli, sono fatti segno alla comune ammirazione, perché insuperabili per l’impasto e l’intonazione dei colori, e più specialmente per l’applicazione dell’oro.

E Dante ci riferisce che " ridevano le carte " pennelleggiate dai miniatori del suo tempo.

Siffatto splendore e tanta magnificenza d’arte, devesi all’infinita pazienza e al vero amor del bello. Le arti si conservavano allora mistiche e religiose, e si credeva non si potesse raggiungere il vero bello, se non mediante l’ispirazione, né questa ottenere se non con cuore mondo, viva fede, orazione fervorosa.

In un breviario antico si leggono le seguenti parole in latino: " O quam grave pondus scriptura! dorsum incurvat, oculis caliginem facit, ventrem et costas frangit ".

 

Pianta della fortezza di Villanova

Altre note storiche

La pianta della fortezza di Villanova, raffigura un ottagono irregolare in terra e sostenuto da muraglie, dietro le quali correva tutto in giro la strada coperta, sovrastante ad ampio fossato. Delle due porte, l’una era sul fronte Est verso Asti, l’altra guardante verso Chieri, spalleggiata da bastione o baluardo di S. Sebastiano. Una terza porta, segreta, detta porta di soccorso, dava verso Valfenera, ed era fortemente sostenuta dal Bastione Grosso.

Completava la difesa esterna, sul fronte che prospetta Isolabella, la torre o bicocca di S. Martino, la quale, unitamente a quella di Supponito, ergentesi sul fronte opposto (ambedue in piedi tuttodì) servivano col torriere che perennemente vigilava, ad avvisare i villici e il presidio dell’approssimarsi del nemico.

Tale era dunque quella Villanova che il Della Chiesa chiama " Castello murato, fortezza di molta riputazione, piena di popolo; il quale, per la grande fertilità dei campi, è molto ricco ".

Date le guerriglie continue che sì svolgevano tra Villanova, Valfenera, Riva, Buttigliera, Cocconato e sul contado di Asti tra i Marchesi del Monferrato, i Conti di Savoia, i Principi d’Acaia e i Marchesi di Saluzzo, più tardi tra Francesi e Spagnuoli in Piemonte, nel secolo XVI, gli abitanti dei borghi isolati, dovevano per forza di cose, rifugiarsi tra le mura di Villanova fortificata.

Più volte cinta d’assedio, in quei calamitosi tempi, la piazza di Villanova, oppose vigorosa resistenza, e per la sua posizione in aperta campagna, lungi dalle boscaglie e cinta di forti mura, presentò ostacoli insuperabili al nemico.

Ospedale dei Pellegrini

L’istituzione dell’Ospedale dei Pellegrini, si confonde con la fondazione di Villanova d’Asti, e si presume derivasse dala Commenda, ossia dal priorato di Barcellaria, di spettanza dell’Ordine Gerosolimitano di Malta, posto in vicinanza di Supponito, presso il luogo di S. Paolo della Valle; difatti sussiste ancora la regione detta Barcellaria, e nel catasto di Villanova d’Asti, trovasi il quartiere Barcellaria.

Questo ospedale fu amministrato dal Comune di Villanova fino a che fu ridotto in Congregazione di Carità ad istanza del Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano di Malta.

Commenda di S. Pietro in Supponito

Si vuole che la chiesa di S. Pietro in Supponito, siccome derivante dalla chiesa dei Benedettini già esistenti nel luogo di Supponito, non avesse, in un primo tempo, cura d’anime, perchè ridotta in Commenda col titolo di Priorato di S. Pietro. La Commenda era una rendita o beneficio ecclesiastico che il Papa conferiva ad un sacerdote, o ad un laico, vita sua durante. Questa Commenda di S. Pietro, ebbe fra i suoi titolari, l’abate Goffredo di Saluzzo dei Signori della Manta, il cardinale Carlo Tournon legato pontificio nella Cina, l’abate d’Arcour e l’abate di Cecidano. Esiste ancora la cascina che era della Commenda all’entrata nel paese e viene detta " La Cumanda ".

(Dal Codice di Asti detto di Malabayla)

N. 812. Come il signor Ottone Candelerio, milanese, giudice della Corte Imperiale, sentenziò contro Uberto di Casasco e suoi consorti, doversi mettere la Badessa Cecilia, di S. Felice di Pavia, nel possesso di certe terre di Villanova. Anno. 1184. Mercoledì, 22 Agosto.

N.814. Precetto fatto dal Vicario imperiale a Giovanni Martino, di autenticare le disposizioni dei testimoni nella causa vertente fra la Badessa a e il silo monastero, e Uberto Conte di Biandrate. Anno 1185, Luglio 10

N. 815. Altro ordine dato (Tal Vicario dell’Imperatore Ottone di Germania, a Martino figlio di Filippo, di autenticare le dette testimonianze di alcuni testi uditi in altra questione vertente. In questo atto è nominato il Conte Umberto di Biandrate, il Marchese Guglielmo di Monferrato, la badessa Cecilia dei monastero di Villanova, Uberto di Riva di Chieri. Anno 1186, Febbraio 16.

N. 816. Sentenza pronunciata dal Vicario dell’Imperatore a favore della badessa Cecilia del monastero di S. Felice, riguardo a Villanova Anno 1186, Febbraio 16.

N. 818. Possesso da darsi alla badessa di S. Felice, del luogo di Villanova e di tutti i diritti e giurisdizione, per precetto ed incarico del giudice della Regia Corte. Anno 1187, Ottobre 24.

N. 833. Vendita di Villanova e Corveglia, fatta al Comune di Asti, dalla badessa Massimiliana e dalle monache e Capitolo, con tutti i suoi diritti e le giurisdizioni. Quest’atto parla pure di Dusino, Corveglia, Valfenera. Anno 1215, Ottobre 25.

Alcune delle carte dell’Archivio comunale di Villanova d’Asti

Pergamena dell’anno 1444 del 2 Maggio: Privilegio e concessione del Duca di Milano Filippo Maria Visconti alla Comunità di Villanova di agire liberamente e decidere delle cause civili e criminali e dar sentenza di prima istanza.

Pergamena dell’anno 1426 del 26 Aprile: Concessione fatta dal Duca di Milano Orleans governatore dell’astigiano o, sopra S. Paolo, S. Michele e Solbrito, sotto la giurisdizione di Villanova.

Pergamena dell’anno 1426: Investitura del luogo di San Paolo, S. Michele, e Solbrito al signor Riccio.

Dal volume degli statuti di Villanova si legge: " Nell’anno 1633 il giorno di S. Sebastiano (20 di Gennaio) nel territorio della Comunità di Villanova fece un. grandissimo caldo, e nei mesi di Giugno e Luglio vi furono giorni freddissimi ".

Altra carta: Anno 1563, il 30 Aprile. Confermazione di Emanuele Filiberto Duca di Savoia delli privilegi e Statuti delli uomini di Villanova.

Carte riguardanti lo smembramento dei castelli Lettere di ingiunzione del dott. Lelio Cauda, delegato di S. A. R. il Duca di Savoia, per la smembrazione e separazione dei Castelli di S. Paolo, Solbrito, Traversola, Dusino, S. Michele, dal luogo di Villanova. Questo scritto parla dell’Ill.ma Donna Margherita Contessa di Camerano e Dusino, ed Emilio Riccio conte di S. Paolo, Tomaso di Montafia, e Mari Antonio Riccio Conte di Solbrito, e Giacomo Curbis Conte di S. Michele che con li uomini di detti luoghi, convennero che si procedesse allo smembramento come sopra indicato. L’atto venne firmato nel Castello di S. Paolo, come più indicato e più comodo alle parti interessate. Dato in S. Paolo, firmato Lelio Cauda, delegato di S. A. R. il Duca di Savoia Vittorio Amedeo I. Anno 1623.

Da altra carta risulta che il Capitano Tommaso Riccio fu Podestà di Villanova nell’anno 1550. Il diritto alla nomina di Podestà di Villanova era, in quel tempo, riservato alla famiglia Riccio con rescritto di Anna d’Orleans.

 

L’istruzione del popolo nelle antiche scuole Parrocchiali di Villanova e nei Monasteri

Primo ordinamento degli studi

Nel medioevo l’istruzione era quasi completamente nelle mani della Chiesa. Le scuole di quel tempo erano tenute dal clero, annesse ai vescovadi, ai monasteri, alle parrocchie. A Villanova esistevano le scuole parrocchiali. La Chiesa che, di fronte alle invasioni dei barbari, si era affermata tutrice dell’eredità di Roma, ne adottò la lingua rendendo generale l’uso del latino.

Sarebbe ingiusto accusare la Chiesa del medioevo, come nemica dell’istruzione. Al contrario, si deve al clero, se in mezzo alle barbarie e alle guerre, si mantenne viva la tradizione della cultura.

Nel 1179, il terzo Concilio di Laterano, promulgava il seguente Decreto:

" La Chiesa di Dio, essendo tenuta, quale buona e tenera madre, a provvedere ai bisogni corporali e spirituali dei poveri, desiderosa di procurare ai fanciulli poveri la felicità d’imparare a leggere e di far progressi nello studio, ordina che ogni cattedrale abbia un maestro inteso ad istruire gratuitamente i chierici di quella chiesa e gli scolari poveri, e che gli venga assegnato un benefizio che, bastevole alla vita di lui, schiuda così la porta alla gioventù studiosa. Un sacerdote insegnerà presso le altre chiese e nei monasteri, dove un tempo esistevano beni rivolti a questo fine ".

Le scuole episcopali o vescovili, erano aggregate alle chiese cattedrali, e frequentate specialmente dai chierici avviati al sacerdozio, ma anche dai laici; l’esclusione dei laici avvenne più tardi.

Le scuole dei monasteri erano poche e in luoghi appartati, e furono frequentate anche da laici.

Un terzo genere di scuole, erano le scuole Parrocchiali, che formavano un vero ordinamento scolastico attorno al parroco e al curato, e costituivano un primo tentativo delle nostre scuole rurali.

Nelle scuole parrocchiali, oltre l’insegnamento del leggere e dello scrivere, s’impartiva l’insegnamento della dottrina cristiana, uno dei più antichi e sacri doveri dei parroci; il compito di istruire - docère - si univa così a quello di predicare e di propagare la fede.

Oltre le suddette scuole ebbero, in Italia, diffusione le scolette elementari private. I rudimenti dell’alfabeto erano dati da chiunque, spinto dal bisogno o per vocazione, fosse in grado di farlo. Il più delle volte erano dati da un grammatico privato, o da un padre di famiglia non digiuno di lettere, o anche da un sacerdote.

A Villanova, senza alcun dubbio, esisteva la scuola parrocchiale nella Pievania di S. Pietro e nella chiesa di S. Felice, l’attuale chiesa di S. Martino. Gli alunni di tali scuole, dati i tempi, erano pochi, di famiglie più volonterose o più ragguardevoli del luogo.

Accanto alla scuola tenuta dagli ecclesiastici, vi era, per le fanciulle, la scuola tenuta dalle monache del monastero di Corveglia. Queste umili scuole, erano chiamate ad un compito essenziale: far imparare a leggere e a scrivere, e istruire la scolaresca nella dottrina cristiana.

Si passava alla prima lettura, compitando sopra un libriccino latino, contenente le preghiere della Chiesa e i salmi più comuni, detto per ciò Salterio. Fu il primo libro di lettura in uso nel lontano medio evo.

Nel monastero di Corveglia, per l’educazione e per l’istruzione delle fanciulle, come nelle scuole femminili di quel tempo, si tenevano presente le lettere di S. Girolamo a Leta, sull’educazione di sua figlia Paola, lettere che sono un prezioso documento pedagogico di primi tempi del cristianesimo.

Giova qui ricordare l’eccellenza di alcuni suoi consigli, sull’insegnamento della lettura e della scrittura.

" Mettete nelle mani di Paola, lettere intagliate in legno; fatele conoscere i rispettivi nomi : ella si istruirà con diletto. Ma non basta che sappia a memoria i nomi di queste lettere e che le denomini successivamente nell’ordine dell’alfabeto: voi le mescolerete spesso tutte insieme, ponendo le ultime al principio, e le prime nel mezzo. Fatele poi unire le parole, promettendole un premio, o dandole per ricompensa ciò che ordinariamente piace ai fanciulli della sua età. Non le rimproverate le difficoltà che prova nel comprendere; al contrario, incoraggiatela con lodi; fate in modo che senta ugualmente la gioia di aver fatto bene e il dolore di non essere riuscita ".

Per la scrittura, S. Girolamo, come Quintiliano, raccomanda che i fanciulli si esercitino prima su tavolette di legno.

Questi procedimenti sono ancora oggi adottati nelle nostre scuole elementari.

Per l’opera di istruzione e di educazione verso la gioventù, vanno pure ricordati i canonici regolari di S. Agostino, della prevostura di Corveglia, ed i Francescani (minori osservanti) del convento di Villanova.

Col fiorire dei Comuni, dal 1100 al 1300, sorsero le Università per gli studi superiori, cioè diritto, eloquenza, filosofia e medicina. Si usciva dalle università col titolo di dottore. Fin d’allora gli studenti si davano a vita libera e spensierata, consumando denari in divertimenti.

Frequentarono l’università Dante, Petrarca, Boccaccio. Per opera di questi grandi scrittori, il dialetto toscano, divenne la lingua nazionale d’Italia.

Più tardi, insieme al sorgere delle università, si affermarono e si moltiplicarono le scuole comunali. I maestri furono stipendiati dal Comune, anche a Villanova. Ma non furono sempre trattati allo stesso modo: in un luogo godevano esenzioni dai dazi, altrove godevano dell’alloggio gratuito, o anche la facoltà di riscuotere le quote degli scolari, oppure di tenerli a pensione.

Quando la scolaresca era numerosa, il maestro era aiutato da ripetitori per la cura dei più piccoli; al Comune toccava di sottostare ad altra spesa; quella del ripetitore. I maestri avevano l’obbligo, non solo d’insegnare e di educare, ma anche di condurre i ragazzi alle funzioni di chiesa, di far da notaio nel Comune e di recitare i discorsi funebri.

Nelle scuole comunali, vennero presto di moda l’abbaco e la tavola pitagorica, con le regole pratiche, brevi e schematiche, per le quattro prime operazioni dell’aritmetica.

L’arciprete della chiesa di S. Martino, Giacomo Goria, dottore in diritto ecclesiastico e civile, curò con zelo e competenza il diffondersi dell’istruzione fra tutte le classi del popolo di Villanova. Fu arciprete di S. Martino dal 1597 al 1602. Fu in seguito incaricato d’impartire l’istruzione e l’educazione, ai figli del Duca Carlo Emanuele I; poi nominato vescovo di Vercelli, ove attivamente lavorò per la Chiesa e per il popolo dal 1611 al 1648.

Fondò pii istituti, provvide a studi e nella sua beneficenza ricordò Villanova, lasciando l’occorrente per il vitto, l’alloggio, il vestito, a tre suore Orsoline, che in Villanova dovevano risiedere ed istruire la gioventù. Morì il 3 Gennaio 1648 e la sua spoglia mortale, fu deposta nella chiesa di S. Elena da lui fatta erigere, nel suo paese nativo, a Villafranca d’Asti.

Villanova sotto varie dominazioni

I Comuni tutti insieme non seppero mai stabilire una buona federazione che li avrebbe salvati dai nemici prepotenti. Le discordie, le lotte, le vendette, fecero perdere ai Comuni la loro libertà. Non ebbero la civile prudenza che cioè non v’è autorità senza unità, e che le libertà parziali non valgono, senza l’indipendenza. E dell’unità nazionale, neppure nacque il pensiero.

Così l’Italia continuò per molti secoli ad essere preda or dell’uno or dell’altro dominatore straniero.

 

Villanova sotto il dominio dei Visconti di Milano

(Dominio di Gian Galeazzo Visconti)

 

" Il 18 Marzo 1384 Gian Galeazzo Visconti, Duca di Milano, conferiva al Comune di Villanova le concessioni al medesimo Comune dal proprio genitore e da sè accordate ".

(Archivio comunale di Villanova)

Gian Galeazzo, ambizioso e dissimulatore, è il più grande dei Visconti. Per regnare non esitò a far uccidere lo zio Bernabò. Ridotto tutto il dominio visconteo nelle sue mani, lo portò alla massima potenza. Servito da illustri generali, acquistò il dominio di Asti, Alba, Verona, Piacenza, Bologna, Perugia, Assisi. Nè meno grandiose furono le sue opere pacifiche: fece scavare il Naviglio, diè mano alla fabbrica del Duomo di Milano e della Certosa di Pavia.

Già si apprestava ad assoggettare Firenze, quando improvvisamente moriva nel 1402, a soli quarantanove anni.

Gian Galeazzo Visconti, aveva dato in isposa la figliuola Valentina a Augi d’OHeans della Casa Reale di Francia, e nel contempo diede in dote alla figlia, il Ducato di Milano, compreso Asti

Luigi d’Orleans prese quindi possesso di Asti, come erede dei Visconti, riordinandone l’amministrazione; ma dopo alterne vicende, il dominio passò a Filippo Maria Visconti, figlio di Gian Galeazzo.

Villanova sotto il dominio di Filippo Maria Visconti

" Il 2 Maggio 1444 Filippo Maria Visconti, duca di Milano, conferiva al Podestà di Villanova, piena giurisdizione nelle cause civili, criminali e miste, con autorità di pronunziare sentenze su qualsiasi delitto, giusta gli statuti del Comune. Accorda inoltre agli uomini di Villanova di poter modificare i loro capitoli, ordini, statuti e riforme. Conferma da ultimo tutti i privilegi al medesimo Comune in qualsiasi maniera da sè concessi e dai suoi predecessori ".

(Archivio comunale di Villanova)

Filippo Maria Visconti, cupo, diffidente, abile a celare i sentimenti proprii e a giovarsi degli altrui, con l’aiuto di un valoroso condottiero, Francesco Brassone, detto il Carmagnola, riuscì ad affermare la sua autorità su quasi tutto il ducato di suo padre. La repubblica di Venezia si oppose però ai suoi grandiosi disegni e ne seguì una lunga guerra fra Milano e Venezia. La guerra si trascinava con alterna vicenda, quando Filippo Maria moriva improvvisamente nel 1447. Con Filippo Maria si estinse la Casa dei Visconti di Milano.

Villanova sotto il Dominio di Francesco I re di Francia

(Dominazione francese)

 

" Nel mese di Agosto 1528 Francesco I, re di Francia e signore di Asti, conferma agli uomini del Comune di Villanova, i diritti, le concessioni, i privilegi, le immunità, le franchigie e le libertà loro accordate e confermate dai suoi predecessori Conti di Asti ".

(Archivio comunale di Villanova)

Francesco I, salito al trono di Francia dopo la morte di Luigi XII, era appena ventiduenne, coraggioso, eloquente, animoso cavaliere. Sapeva coll’aperto ingegno e con la prontezza far sue le cognizioni altrui.

Desideroso di possedere il Ducato di Milano, Francesco I scese in Italia alla testa di 90.000 soldati e poté avanzarsi senza resistenza sino a Marignano (ora Melegnano), presso Milano. Ivi avvenne la celebre battaglia detta dei Giganti, per l’eroismo di entrambe le parti (Settembre 1515). I francesi rimasero vincitori e vennero in possesso del ducato di Milano con tutte le sue dipendenze.

Francesco I, ambizioso, avrebbe desiderato anche la corona imperiale; invece essa toccò al re di Spagna Carlo V.

La guerra non poteva tardare fra i due giovani e potenti sovrani. Francesco scese in Italia, passando per il Cenisio con un poderoso esercito e si accampò intorno a Pavia. Ma quivi attaccato dagli eserciti di Carlo V, fu sconfitto in battaglia campale. Caddero sul campo 10.000 francesi e, lo stesso re Francesco I, fatto prigioniero, diede notizia del disastro alla madre con le parole: Tutto è perduto fuorché la vita e l’onore.

Francesco fu portato prigioniero in Ispagna e per riavere la libertà dovè dare in ostaggio a Carlo V i proprii figliuoli e rinunciare alle sue pretese in Italia.

Dopo parecchi anni di altre ostilità contro Carlo V, fu costretto a chiedere la pace nel 1544 e tre anni dopo Francesco I moriva.

Favorì le arti, protesse e ospitò alla sua corte Leonardo da Vinci e Benvenuto Cdlim; il primo fu il genio più universale del suo Secolo, pittore, scultore, architetto e scienziato; il secondo fu artista mirabile, cesellatore sommo

 

Villanova sotto il dominio di Carlo Quinto imperatore

(Dominazione spagnuola)

 

 

" Il 21 Marzo 1530 Carlo V imperatore e signore di Asti, conferma al Comune e uomini di Villanova, i privilegi, le libertà, le franchigie, gli statuti, le immunità, il mero e misto impero e piena giurisdizione, nonchè il pedagio, ripagio, pascoli e le altre regalie e concessioni loro accordate dai suoi predecessori conti di Asti ".

(Archivio comunale di Villanova)

Carlo V nacque a Gand, città del Belgio, nel 1500. Prima re di Spagna e delle due Sicilie, ottenne indi la corona imperiale, contesagli da Francesco I, re di Francia. Governò la maggior monarchia che il mondo avesse conosciuto, dopo Carlomagno. Si disse che sul suo impero non tramontasse il sole, tanto era vasto. Combatté lunghe guerre per il dominio di stati di Europa, principalmente contro Francesco I.

" Uomo dei più insigne e dei più fatali che la storia ricordi; l’oppressione dell’Italia, la strage dei Paesi bassi, le oscillazioni in Germania, l’ignoranza nell’economia politica non bastarono a togliergli la potenza dell’impero In Bologna venne incoronato Imperatore dei Romani dal Papa Clemente VII nel 1519. Così consumavasi l’italico avvilimento, cominciato con le discordie e finito allora per la concordia di soli potenti " (C. Cantù).

Durante il suo impero si era costituita una lega tra il Papa e Francesco I, per far valere contro Carlo V, certi diritti. Carlo V, quando seppe della lega, mandò in Italia un esercito di lanzichenecchi, fanatici luterani tedeschi. Fra lo spavento delle popolazioni, questo esercito mosse su Roma. Nel 1527 la Città fu presa d’assalto da quei masnadieri e orribilmente saccheggiata; seguirono stragi, violenze inaudite su le persone e le cose, incendi e devastazioni di capilavori.

Il Papa Clemente VII, chiuso in Castel S. Angelo, dovette assistere impotente a frenare quella strage.

Carlo V, pur mostrandosi dolente per tanta distruzione, non impedì che continuassero per nove mesi le sfrenate violenze di quelle soldatesche fanatiche e ubbriache.

Clemente VII, dopo un lungo assedio, firmò una tregua, con la quale doveva pagare un’enorme somma di denaro; ma primi di averla interamente versata, riuscì a fuggire travestito da ortolano.

Carlo V, stanco di tante lotte, abdicò ritirandosi indi nel monastero di S. Giusto, in Ispagna.

La leggenda racconta che, essendo tormentato dalla gotta e non vedendosi più considerato dal mondo, volle anticiparsi gli onori della tomba e, disteso ancor vivo nella bara, vennero fatte le esequie, ossia le preci che si cantano intorno al feretro. Cessava di vivere il 27 Settembre 1558, in età di 58 anni.

Villanova sotto il governo di Emanuele Filiberto

" il 30 Aprile 1563 Emanuele Filiberto, duca di Savoia, Principe di Piemonte e Conte di Asti, conferma agli uomini di Villanova i privilegi e le franchigie loro accordate, nonché gli statuti loro municipali ".

(Archivio comunale di Villanova)

Col trattato di Castel Cambresis (3 Aprile 1559) Emanuele Filiberto ebbe tutti i suoi stati fino allora occupati dai Francesi e dagli Spagnuoli. Da questo punto la Casa Savoia appare potenza italiana ed ebbe peso fra le potenze europee.

Il giovane principe si era già immortalato nella vittoria di S. Quintino nella guerra di Fiandra (provincia del Belgio). Gli stranieri avevano lasciato i suoi stati in triste condizione. Emanuele Filiberto cercò subito di rimediare a tanti mali. Riordinò la pubblica amministrazione e la giustizia, promosse gli studi, riaprendo l’Università a Torino, ravvivò l’agricoltura, protesse l’industria, favori il commercio. Fece aprire canali diffondere lanifici e setifici, abolì la servitù della gleba, formò la milizia e accrebbe la flotta che, alla battaglia di Lepanto, fece buona prova. Tenne a segretario Annibal Caro, colui che tradusse l’Encide di Virgilio in versi sciolti.

Fu il vero restauratore dello stato Sabaudo. Chiuse la sua operosa vita nel 1580.

Da allora Villanova seguì le sorti di Asti e fatti notevoli non avvennero finchè i francesi non tentarono nuovamente di rivalicare le Alpi.

Passarono ancora molti anni prima che l’Italia raggiungesse la sua indipendenza, dall’Alpi alla Sicilia.

Bisognava far vergognare gli Italiani della loro decadenza politica e morale, inducendoli a riflettere sugli esempi della passata grandezza.

A questi fini attesero letterati italiani, come Vittorio Alfieri (1), nato ad Asti nel 1749, il maggior poeta tragico italiano, e più tardi, il Grossi, il d’Azeglio, il Pellico, il Tommaseo, il Giusti, il Gioberti, il Balbo, illustre storico piemontese.

Anche l’insigne storico e letterato Cesare Cantù, col suo romanzo " Margherita Pusterla", e Alessandro Manzoni con l’immortale suo libro " I Promessi Sposi ", svelarono quali fossero i mali di una dominazione straniera.

Ad educare il sentimento nazionale giovarono pure gli autori drammatici, come Rossini, Bellini, Donizzetti, Verdi; e quando sul palcoscenico gli attori facevano allusione alla patria, era un fremito in tutti gli spettatori e uno scoppio di applausi, nel quale si scorgeva il vivo desiderio di un’Italia libera indipendente e forte.

E soltanto dopo lunghe e sanguinose lotte per l’indipendenza nazionale, sotto lo scettro di Casa Savoia, è stato possibile ricostituire l’unità della patria nel 1870 con Roma capitale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1) Fu’ merito del fiero astigiano l’aver cooperato con le sue opere al rinnovamento civile dell’Italia. I nuovi destini dell’Italia, l’Alfieri li’ intravide, e in un suo sonetto all’Italia futura gli parve di sentirsi dire:

"O Vate nostro, in pravi

Secoli nato, eppur creato hai queste

Sublimi età che profetando andavi"

I n g i r o p e r V i l l a n o v a

 

 

Villanova ha l’aspetto di una piccola città di provincia con le sue vie simmetriche, ampie, asfaltate, in perfetta pianura. Dista chilometri 34 da Torino e 25 da Asti. Dalla strada provinciale Asti - Torino, che fa capo ai due ingressi del paese e lo attraversa da levante a ponente, si può facilmente rilevare l’ampiezza e il rettilineo delle sue vie.

Essendo centro essenzialmente agricolo, l’attività industriale e commerciale è sopita; per questo riguardo l’avvenire del paese, è nelle mani del caso e senza una mente esperta che ne favorisca lo sviluppo.

Tra gli edifici pubblici, è degno di menzione il palazzo municipale, caratteristico per l’ampia gradinata d’ingresso e per l’atrio con due colonne scanalate. Il fronte dell’edificio arieggiato stile romano neoclassico. E’ fornito di sale e di uffici adatti; venne costruito nel 1828.

Riteniamo di dover far qui menzione di due antichi quadri dipinti su tela, esistenti nelle sale del Comune, cioè quello che rappresenta S. Barnaba, uno dei dodici apostoli, di cui ricorre la festa il giorno 11 Giugno, e quello che ritrae l’Immacolata Concezione. S. Barnaba veniva detto patrono principale di Villanova il 4 Aprile 1728.

Mons. Paolo Maurizio Caisotti, vescovo di Asti, il 2 Giugno 1764, trovandosi a Villanova in visita pastorale, ordinava che il giorno 11 Giugno ,sacro a S. Barnaba, venisse osservato dal Villanovesi come giorno festivo ed innalzava l’officio del Santo a doppio di prima classe con ottava.

La tela di S. Barnaba, conservata nel palazzo comunale, reca a tergo la scritta seguente: " 1699 fatto da Giacomo Banchino nel Sindacato del Sig. Giovanni Battista Riccio ".

L’apostolo S. Barnaba venne martirizzato nell’isola di Cipro, che era stata da lui beneficata con le sue ultime predicazioni. Ivi esiste la sua tomba e sul tramonto del quinto secolo fu scoperto, ancora intatto, il suo corpo.

La tela, ossia il quadro dell’immacolata, ha sua ragione in particolare culto alla Vergine, deliberato dal Comune villanovese nel 1690. " Propongono detti signori Sindaci, esser proponimento universale di far osservare la festa de l’Immacolata Concetione della Vergine Santissima, la quale cade alli 8 dell’instante dicembre, nella chiesa delli molto reverendi padri di S. Francesco (minori osservanti) et a l’altare maggiore, per l’anno corrente e per gli anni susseguenti il Conseglio gli provvederà. Et detto molto illustre Conseglio, tutti unanimi attese le gratie ricevute da questo publico dalla protetione de l’Immacolata Concezione della Vergine Santissima, massime ne l’occasione che li francesi, dichiarata che fu la guerra, entrarono in questo presidio, et che, per un certo timore avvenutoli, come si vide, dalla protetione di Maria sempre Vergine, uscirono da questo presidio, senza danificare alcun particolare, nonostante le minacie fattoci del saccheggio e del fuoco, il dopo essersi fermati per il spatio di due hore, alli cinque del passato giugno, essendone anche stato essimito questo publico dal pagamento della contributione e dalli medesimi francesi chiamata, per la quale fu ingionta; et ciò non per altro che per la protetione suddetta; per ciò ha ordinato et ordina che di horavanti, annualmente si debbi far osservare et solenisar da tutti li particolari et abitanti di questo luogo, et finaggio, la suddetta festa; mandando alli signori Sindaci, presenti e futuri, di far pubblicare li tiletti alle chiese.

L’anno del Signore mille seicento novanta et alli cinque del mese di novembre " (Archivio comunale di Villanova).

Degna di rilievo è la torre del Comune. Chi, giungendo dalla stazione ferroviaria, deve inoltrarsi nel centro del paese, si trova di fronte la massiccia e quadrata torre del Comune, che s’impone allo sguardo del passante per l’arco con sottopassaggio. Misura m. 5,50 di lato e m. 26 di altezza. La campana della torre, che coi suoi lenti rintocchi ha chiamato a raduno il Consiglio comunale per tanti anni, è stata tolta e mandata alle fonderie per esigenze di guerra, durante il governo fascista. Sostituita in seguito con altra, presa alla chiesa della Confraternita.

Quasi al centro del paese, si fa notare il castello dei conti Villa, al quale le aggiunte e le modificazioni diedero carattere di castello antico. E’ adorno di torri merlate, di portici e loggiati a mezzodì, e contornato da un piccolo parco ombroso, che ne rende piacevole il soggiorno. Fu già riccamente arredato di mobili e di oggetti d’arte.

Prospiciente alla piazzetta Guglielmo Marconi, al centro del paese, vi è il palazzo già occupato dagli Uffici di Pretura; ora sono collocati l’Ufficio distrettuale delle Imposte, l’Ufficio del Registro e l’Esattoria consorziale.

Sulla stessa piazza si ammirano, fra l’intonaco della casa con facciata a mezzodì, listoni trasversali di tavolette antiche, in terra cotta con fregi ben conservati, lavori che risalgono al 1400.

Nel capoluogo prestano l’opera loro professionisti, quali: Avvocati, Dentisti, Geometri, Ragionieri, Periti agrimensori, Notaio.

In via Roma hanno la loro sede la Cassa di Risparmio di Torino e l’Istituto di S. Paolo di Torino, che disimpegnano lodevolmente tutto il servizio di Banca.

Nella stessa via si trovano le due antiche farmacie del luogo, e proseguendo troviamo l’Ufficio postale, telegrafico e telefonico e il Comando di Stazione dei Carabinieri. Esiste pure un’officina tipografica di notevole importanza per i lavori che si eseguiscono e per la nitidezza dei caratteri

Il sevizio di assistenza santuaria, medico, ostetrica e veterinaria è fatto funzionare regolarmente da professionisti alacri, premurosi per la salute pubblica e per la formazione nel popolo di una sana educazione fisica.

Un grave e importante problema igienico, che attende una soluzione dagli enti competenti e che dovrebbe essere affrontato, è quello che riguarda il deflusso o lo scolo regolare e rapido delle acque del paese nei fossi periferici e intorno all’abitato; tali acque, stagnando nei fossi, non solo possono inquinare l’aria, ma dar motivo ad infezioni intestinali e al tifo addominale.

Esiste a Villanova la Società Operaia di mutuo soccorso, legalmente riconosciuta con Decreto del Tribunale di Asti il 10 Dicembre 1891. E’ composta essenzialmente di operai, agricoltori, artigiani e tende a promuovere l’aiuto materiale e morale dei soci. Non venne mai meno allo scopo per cui venne istituita. Oltre agli utili, in caso di malattia, il Regolamento prescrive che la Società ogni anno farà un anniversario con Messa cantata per tutti i soci defunti, alla quale interverrà tutta la Società preceduta dal Consiglio di Amministrazione. Ogni anno si celebrerà pure la festa in Commemorazione della fondazione della Società.

Le principali piazze destinate ai mercati sono la Piazza Supponito, ove si svolge ogni giovedì l’animato mercato del pollame, delle uova e di scelte razze di ammali da cortile per l’allevamento; la piazza municipale, adibita per il mercato degli ortaggi. Lavoro di non lieve considerazione è la bella tettoia, di solida costruzione, fatta costruire dal Comune su largo spazio, dove l’importante mercato del bestiame, uve, bozzoli, suini ecc. trova comodo svolgimento.

La piazzetta di S. Giovanni, ora piazza Guglielmo Marconi, al centro del paese, va ricordata per un fatto storico. Durante le guerre scatenate da Napoleone Bonaparte, quasi’ tutti gli Stati europei vennero sconvolti.

L’uomo che dal nulla si era imposto all’Europa, aveva aperto ostilità anche col Papa Pio VII (1).

(1) Pio VII (Chiaramonti) nato a Cesena (1740 + 1823) ristabilì la Compagnia di Gesù che era stata abolita dal Papa Clemente XIV (Ganganelli) nel 1773. L’Ordine dei Gesuiti ha dato un numero rilavante di uomini illustri nette scienze e nelle lettere. Fondato dei S. Ignazio di Loyola nel 1534.

Per ordine di Napoleone, il Pontefice venne spogliato dei suoi Stati, che vennero riuniti all’Impero francese. E poichè Pio VII protestò solennemente con la scomunica contro le spogliazioni, fu tenuto prigioniero e confinato prima a Savona, poi in Francia a Fontainebleau.

A Savona viene trattato non altrimenti che un volgare prigioniero, segregato dai suoi consiglieri, frugate le lettere, circondato da spie e guardie.

Chiuso in una carrozza, e portato di là verso la Francia, Pio VII nel tragitto è di passaggio a Villanova, il 24 Aprile 1812; ed essendo stata la Sua vettura fermata sulla piazza suddetta, tutto il popolo, il clero e le autorità erano ad ossequiano. Le campane suonavano a festa e la folla commossa si prostrò per riceverne benedizioni. Il Pievano della parrocchia di S. Pietro, Francesco Birelli, gli porse il saluto con una forbita orazione, con soddisfazione del Santo Padre, delle autorità e del popolo di Villanova.

Pio VII, nell’aspro tragitto, potè consolarsi degli omaggi resigli da tutto il popolo. e qui pure ripeteva: " Coraggio e preghiera, coraggio e pazienza; può darsi che i nostri peccati ci rendano indegni di rivedere Roma; sia fatta sempre la volontà di Dio "

Passando per il Cenisio, giunse a Fontainebleau. Sentendosi malato e incerto dell’avvenire, volle ricevere il Viatico e dispose di tutto come in punto di morte. In quel palazzo fu detenuto fino alla caduta di Napoleone.

Nel concetto del conquistatore più non restava luogo a prudenza o a moderazione. E che diceva Napoleone; pensa forse il Papa con la sua scomunica di far cascare le armi di pugno ai soldati?

Ma il disastro della campagna di Russia fece crollare di colpo la potenza napoleonica. Caduto Napoleone dopo l’ultima sconfitta a Waterloo nel Belgio (18 Giugno 1815), il nuovo Governo di Francia ordinava la liberazione del Papa, il quale allora si avviava a Roma in trionfo, accolto dappertutto festosissimamente.

L’entrar di Pio VII a Roma, fu una delle più affettuose solennità, e lo ricevettero i Principi e i Re detronizzati, i Cardinali, le truppe italiane e austriache, tra l’acclamazione festante del popolo.

Napoleone, vistosi da tutti abbandonato e fallitogli il tentativo di fuggire in America, venne fatto prigioniero dagli inglesi e portato nell’isola di S. Elena, perduta in mezzo all’oceano Atlantico, dove morì il 5 Maggio 1821, in età di 52 anni.

Un importante problema destinato a favorire la salute pubblica è stato risolto dal Comune con la costruzione di un ampio lavatoio pubblico, (1) formato da due vasche, ove l’acqua viene al bisogno ricambiata. Quale possa essere l’utilità di tale provvedimento è facile supporlo, quando si pensi che per tali necessità erano a disposizione solo le acque di uno stagno o quelle del pozzo, non esistente in tutte le case.

Vanno pure qui ricordati coloro che dedicarono e dedicano parte del loro tempo alla divina arte dei suoni e del canto, vogliamo dire i giovani che fanno parte della banda musicale del luogo. Fra le arti belle la musica e certo la prediletta, così opportuna a sollevare lo spirito, a ricreare, a dilettare. Ma purtroppo la banda musicale non ha avuto sempre i consensi, gli aiuti e gli incoraggiamenti che si sarebbero desiderati. Primo incoraggiamento però, dovrebbe venire dai genitori, i quali dovrebbero acquistare un istrumento musicale per i loro figli, dai quattordici anni in avanti, per lo studio della musica. Come sarebbero lieti i giovinetti di ogni famiglia, di possedere uno strumento musicale (tromba d’armonia, clarino, cornetta, flauto, violino ecc.) Non fanno difficoltà i genitori a spendere migliaia di lire per l’acquisto della bicicletta per i loro figli, che è diventata oggi di uso comune. Vadano pure i giovani, a loro piacere, in bicicletta, però una parte di riposo nelle giornate festive e nella stagione invernale, sarebbe anche meglio impiegata nello studio di uno strumento musicale. Superate le prime difficoltà ed acquistata franchezza e abilità, si vedrebbe di quanta compiacenza ed onore possa esser fonte la conoscenza della musica.

(1) Dono munifico dei figli del Dott. Carlo Villa.

Villanova conta pure buoni alberghi, quali sono il San Marco, il Cannon d’Oro, il Ristorante Reale, il Ristorante buoi Rossi, nei quali i viaggiatori trovano il massimo confort, unito alla più schietta cordialità da parte dei proprietari.

Aggiungasi vari caffè, trattorie e osterie.

Non mancano artigiani e negozianti.

Artigiani: Esistono fabbri, carradori, elettricisti, falegnami, ciclisti meccanici, mugnai, bottai, lattonieri, calzolai, orologiai, segherie, sartorie, salai, ombrellai, capimastri e muratori.

Negozianti: Esistono cartolerie, chincaglierie, mercanti di tessuti, frutta e verdura, commestibili, macellerie, mercerie, panetterie, paste alimentari, salumerie, pasticcerie, drogherie, utensili da cucina e ferramenta.

Lo scambio delle merci è e sarà sempre fonte di guadagno e di benessere e uno dei più arandi fattori di civiltà.

L’artigiano e il negoziante che si abituano alla previdenza e all’economia, ottengono, per ordinario, una buona salute, una posizione indipendente, la domestica felicità e la stima generale.

Ma non si deve intendere per vero commercio l’avaro scambio di oggetti al più caro prezzo, nè il monopolio di prodotti per farli rincarare, nè l’alterazione delle derrate, nè l’inganno, nè le molteplici frodi esercitate da individui privi di onestà.

Il commercio, nel senso più esteso ed devoto, è la creazione, la moltiplicazione, la diffusione di prodotti utili; si sviluppa e prospera con la confidenza, con l’onoratezza, con la lealtà, con l’onestà.

Fra le attività del luogo, sono da notare due mulini, quattro segherie, un maglio, due pastifici, alcune officine, una fornace per laterizi ora inattiva.

Per comodità dei viaggiatori, oltre la ferrovia, fa servizio giornaliero da Villanova a Torino e ad Asti, una lussuosa autopulman.

 

Il tradizionale carro tirato da buoi a S. Isidoro

Nella prima domenica di Settembre, ricorre la festa patronale, S. Isidoro, giorno che fa vibrare i cuori, portando gioia serena e giusta compiacenza tra questa popolazione, anche perchè la terra, fedele amica, ha già offerto buona parte dei raccolti dell’annata.

In tale giorno passa per le vie del paese, dalla chiesetta del Santo alla piazza municipale, il tradizionale corteo col carro tirato da mastodontici buoi. Le campane suonano a festa e le note della banda musicale diffondono l’allegria nelle vie stipate di popolo. Più che una festa di folclore rappresenta ciò che sopravvive dei costumi, della religiosità e dell’anima di questo popolo. E resteranno ancora queste costumanze accompagnate da cerimonie religiose, in cui il popolo, conservatore per eccellenza, ritrova maggiormente se stesso.

Per conoscere l’origine del Carro, o Carroccio, bisogna interrogare la storia.

Nell’anno 1036 l’Imperatore Corrado II di Germania, discese in Italia con l’intento di abbassare la potenza dei Vescovi e dei feudatari. Ma l’Arcivescovo di Milano, Ariberto, aiutato dal popolo, si ribellò agli ordini dell’imperatore, il quale per indebolire l’Arcivescovo, rese ereditari, con un editto famoso, tutti i feudi, grandi e piccoli, mettendoli sotto il dominio imperiale. Per effetto di questo editto decadde ogni autorità dei Vescovi sopra i loro vassalli. Ne seguì una lotta che durò alcuni anni, per impedire che tutti i feudi venissero assoggettati all’autorità dell’imperatore.

Si fu precisamente durante queste guerre che l’Arcivescovo di Milano, Ariberto, per meglio serrare ed eccitare i suoi militi, ideò il Carroccio. Era questo un carro a quattro ruote, tirato da buoi, e portante un’antenna, dalla quale pendeva lo stendardo del Comune; a pie dell’antenna sorgeva un altare, accanto al quale il sacerdote, in presenza dell’esercito, celebrava la Messa, benediceva i guerrieri e assolveva i morenti. Attorno al carro si schieravano gli stendardi delle varie contrade. Agli uomini più forti del Comune era affidata la difesa del Carroccio nei giorni di battaglia.

Così il Carroccio diventò simbolo del Comune, emblema della patria, di religione e di libertà comunale, possente stimolo alle più alte imprese.

L’uso del Carroccio si estese a poco a poco in tutti i Comuni. E anche Villanova ebbe il suo apposito Carroccio, verniciato a colori vivaci e custodito ancora oggi gelosamente (1)

Attorno a questo carro i Comuni videro il principio della loro libertà; intorno ad esso pugnarono coraggiosamente, iniziando così la lotta per assicurare l’indipendenza della nazione italiana.

Villanova e l’urbanesimo

Tu proverai siccame sa di sale

Lo pane altrui e come é dura calle

Lo scender e salir per l’altrui scale

Dante

 

L’urbanesimo è la tendenza delle popolazioni rurali a trasportare la propria dimora nelle città.

Indaghiamo la motivazione di questo fenomeno, che tende a sempre più accentuarsi anche tra la popolazione di Villanova, paese essenzialmente agricolo, privo di industrie e di manifatture. E prima il i tutto osserviamo che se il lavoro viene a mancare per chi abita queste campagne, le quali comprendono, nel raggio di pochi chilometri, cinque o sei altri Comuni rurali, naturalmente e forzatamente i disoccupati, cioè coloro che non posseggono ne casa propria, nè terreni, dovranno andare in cerca di lavoro ove il lavoro non manca. Lo sforzo per acquistare una posizione più valida nel mondo, ha una certa dignità, tanto più quando ha per scopo di provvedere il vitto, il vestito e le comodità della famiglia.

Ma purtroppo i miraggi cittadini del salario in contanti e del facile divertimento, hanno assottigliato anche le famiglie di coloni in possesso di terreni e di comode case di campagna. Lo sviluppo delle grandi industrie e il moltiplicarsi delle officine e un genere di lavoro ritenuto meno aspro, hanno contribuito a far dimenticare a molti ciò che rappresenta di bello, di utile, di grande, l’opera dell’agricoltore e la viti rurale nell’avvenire delle famiglie e della nazione.

A fermare l’esodo di questi rurali verso le città industriali, soprattutto dei disoccupati e dei non abbienti, basterebbe lo spostamento di alcune industrie in questi centri di abitazione. Le autorità del posto potrebbero facilmente determinare lo spostamento di manifatture e di piccole industrie, dalla città a centri di campagna. E non è di ieri questa tendenza. I capitali per queste iniziative sono negli operai stessi, che ora vanno in cerca di lavoro altrove; nelle loro braccia, nei loro sudori.

L’industria e l’agricoltura potrebbero così integrarsi ed equilibrarsi, per svolgersi nel senso del maggior vantaggio comune. L’industria, il commercio e l’agricoltura dovrebbero essere collegate insieme, fiorire e produrre insieme. E’ sempre vero però che l’agricoltura è la fonte di tutte le ricchezze e che le nazioni più floride, più ricche, sono tutte essenzialmente agricole, prima di essere industriali.

Dal punto di vista morale, occorre onorare gli uomini dei campi, non con sentimentalismo rettorico, arcadico, ma migliorando le loro condizioni economiche, dando loro abitazioni sane, favorendo lo sgravio di carattere fiscale, fornendo a prezzo di favore, macchine, concimi, sementi; anticipando somme per sperimentazioni agrarie e per tutto ciò che riesca a vantaggio dell’economia domestica dei piccoli coltivatori.

"Bisogna maggiormente avvincere anche la donna a questa nostra bella e forte semplicità di vita agreste. Bene spesso, la donna, insofferente dell’isolamento nei centri

(1) L’attuale carro fu costruito nel 1790, nel 1.° centenario del voto della Concezione

sparsi delle nostre campagne, si lascia illudere dall’apparenza di una maggior felicità, emigrando in centri urbani. Illusioni, tremende illusioni! Ad avvincere i giovani alla propria terra è pure necessario che la vita nelle campagne sia migliorata e abbia buona parte di quel conforto che dà la vita cittadina e che esercita tante fatali seduzioni, specialmente sui giovani e anche sulla donna. L’illuminazione elettrica nelle case, l’acqua potabile, il cinematografo, l’apparecchio radio, devono dare anche nei centri rurali, l’impressione tangibile della vita in consorzio civile " (Arturo Marescalchi).

I giovani che abbandonano il verde dei campi e la carezza dell’aria pura per assumere un lavoro in ambienti chiusi e alle volte malsano delle città, lavorano e guadagnano molto, ma spendono quanto guadagnano; così fatta è la vita della città. Pochi risparmiano, pochi pensano ai tardi anni della vecchiaia, a quegli anni in cui l’uomo gioisce dei beni migliori.

Lavorano giorno e notte. I giovani, dopo brevi anni di questi lavori, invecchiano; il loro aspetto si cambia, il loro sguardo diventa pensoso e ancora in buona età, sentono il peso della vita matura.

Abbandonarono la terra, il campo, il costume dei loro padri. Poveri figliuli! Anch’essi hanno trovato per le strade le spine, anch’essi hanno avuto le loro sofferenze, i loro dolori.

Quanto più fortunato sei tu, o giovane, che ti sei fatto persuaso fin dai teneri anni dell’importanza della missione dell’agricoltore. Qui, dinanzi all’aia che fece fare tuo padre, qui giocheranno i tuoi ragazzi, giocheranno alla palla e faranno le corse; si faranno slanciati e robusti col lavoro, così come voleva tuo padre, così come volevano i tuoi nonni, e nei giorni dell’ansia e dello sconforto, che non mancano mai nella vita, meglio dei compagni che abbandonarono la terra e il costume dei loro padri per recarsi in città, meglio sapranno reggere il cuore e chiudere l’occhio pensoso per un nuovo e sereno risveglio…

 

L’Emigrato villanovese

Desiderio di ritorno al paese nativo

Ti, lascerai ogni cosa diletta

Più caramente, e questo e quello strale,

che l’arco dell’esiglio pria saetta.

Dante

 

" Se la vita al fine ci concederà quel breve riposo, quell’ozio dolce, a cui l’anima anela da così lungo tempo, per rifarsi nuova, ritorneremo. Torneremo ai fertili piani, ai colli festanti, al paese, dove i dolori di nostra madre e i timori di nostro padre, furono d’improvviso acquietati dal nostro primo vagito, dove la casa, che fu dei nostri nonni, conserva ancora l’eco della nostra infanzia.

Abbiamo bisogno di un sonno lungo e soave nell’antico letto di noce di casa nostra; di sentirci svegliare dal canto delle rondini che balbettano di ramo in ramo, sulla vicina pianta di casa nostra.

Oh, albe di Maggio delle nostre campagne fiorite! Alito di fieni appena rasi, campi dai sole invasi, note rapite al cielo… Par ancora di sentire il canto della contadinella a onde a onde che si perde come un soffio blando sur un campo di lino fiorito. Rimango in ascolto col cuore sospeso, mentre l’alba mi rinfresca la fronte.

Da quella casa partii fanciullo per prepararmi l’avvenire della vita. Era un lunedì di Ottobre che non impallidì più mai nella mia memoria.

Piangevo… Mia madre mi aveva stretto al suo cuore e baciato, bagnandomi di lacrime calde; mio padre mi aveva fatto coraggio con una sollecitudine premurosa, accompagnata da amorevoli parole che mal celavano il suo turbamento interiore.

Partii… E passarono gli anni e gli anni, che sembrava non finissero mai. Vidi le città superbe e le strade vaste; vidi i palazzi e i templi e i monumenti che i popoli innalzano per conservare la memoria di sè; vidi le piazze e i cimiteri e la gara degli uomini, e sentii l’affanno che la vita sparge entro il cuore dell’uomo. Oh come crescendo in età, quest’affanno avvolse nelle sue tortuose spire anche me!…

E qual era, quale fu dunque la meta? La conquista di beni maggiori che dànno alla vita gli agi e i tranquilli riposi? Illusioni, amare illusioni! Troppo breve è la vita e irta di troppo lunghe contese.

O mia vecchia casa paterna, o anni sereni della mia giovinezza, voi solo potete col ricordo fugace, recar conforto all’anima che si affanna verso mete che sempre più si allontanano ". Un Villanovese

 

L’Asilo Infantile

 

Il cuore si rivela nelle istituzioni di beneficenza e di assistenza che provvedono a tutti i bisogni della popolazione, dalla tenera infanzia alla vecchiaia.

L’asilo infantile di Villanova, per munifica elargizione di una cospicua somma, fatta dal compianto Giuseppe Pittaluga, ebbe nel 1910 una nuova sede e uno spazioso ed ampio edificio, fatto costruire appositamente.

Onore va pur tributato a1 costruttore e impresario Carlo Cerutti villanovese, e a tutti gli artefici che con lui si affaticarono per costruire e dare snellezza, grazia e compimento a questo edificio. L’origine dell’Asilo, risale al 1860, per iniziativa della Congregazione di Carità.

L’opera della famiglia non può, per molte ed evidenti ragioni, dedicare ai bimbi parecchie ore della giornata, assorbite da altre cure. Nell’asilo infantile, ambiente sereno, ove sono evitati i pericoli materiali e morali della strada, le buone e brave maestre del Cottolengo, a cui i bimbi vengono affidati, sanno educarli al bene e crescerli come le mamme li desiderano, cioè più bravi e più buoni.

Come possiamo facilmente osservare, in questi asili rivive in devoto omaggio di riconoscenza e di metodi, la figura dell’abate Aporti, il fondatore del primo asilo infantile a S. Martino dell’Adige; la sua opera buona trionfò e gli asili si popolarono presto di poveri e di non poveri.

La carità illuminata dalla fede dà letizia al cuore dei bimbi. La bellezza della piccola anima infantile ha’ certamente bisogno di essere protetta. Le prime impronte sono indelebili, e lo spirito del fanciullo, come terso cristallo può essere facilmente appannato. La loro anima ancora innocente, costituisce tale spettacolo di sublime bellezza che Iddio stesso ne rimane innamorato: " Lasciate che i pargoli vengano a Me ". E’ la soavissima voce del Redentore che ha trovato il suo accento più dolce per scendere nel cuore dei piccoli innocenti.

Due sono le debolezze dei fanciulli: quella fisica e quella spirituale. Per l’educazione fisica nulla dev’essere trascurato; ma sarebbe opera vana quando essa non fosse integrata dalla bontà.

Ecco perché nell’asilo infantile, i pargoletti devono vivere in un’atmosfera leggiadramente e soavemente religiosa. La loro anima, soffusa dalla purissima luce del Vangelo, concepirà solo pensieri angelici.

Le famiglie mandino dunque con fiducia i loro piccoli a questo asilo, ove essi troveranno affetto maternamente sollecito, godranno gioia pura, e riceveranno principi di dottrina cristiana ed entusiasmi di amore per la famiglia e per la Patria.

Il locale scolastico

 

L’Amministrazione comunale di Villanova, già da molti anni, ha voluto che sorgesse in modo stabile e decoroso, un apposito locale per le scuole elementari.

L’edificio comprendente dieci aule per le classi dalla prima alla quinta elementare, rappresentava fin d’allora la soluzione di un problema di utilizzazione di spazio e di razionale distribuzione di ambienti. Venne costruito nell’anno 1877, essendo Sindaco del Comune il cav. Alessandro Gonetti, chimico farmacista del luogo

Le aule, non soverchiamente spaziose, comprendenti da trenta a trentacinque alunni, sono congiunte da un corridoio, da chiudersi a vetri nella stagione rigida.

In questa sede vengono a trovare adeguata e degna accoglienza fanciulli e fanciulle ancora incoscienti, per uscirne giovinetti educati e istruiti, preparati ad affrontare le alterne vicende della vita.

Opera quindi della scuola: istruire l’individuo, insegnargli le prime nozioni dello scibile umano, educargli la mente e il cuore, infondergli sane massime di una saggia morale, guidano sulla via dell’onestà e dell’operosità, formarlo all’amore di Dio, della famiglia e della patria, ecco altrettanti obblighi. E non esiste più alcuno che osi negare l’assoluto valore educativo della pedagogia cristiana e rifiutare l’ausilio del principio religioso rimesso in onore nelle scuole. Se la scuola non si mantiene in grado di contribuire a questo, e s’illuderà che bastino le lettere dell’alfabeto e le quattro operazioni dell’aritmetica, riconosceremo troppo tardi, d’aver seguito una falsa via.

Il maestro, non ha dinanzi delle teste da rimpinzare di idee, come si riempie un baule di vestimenta. Ma è a contatto con un essere dal cui esame corporeo, e dallo studio delle facoltà mentali, memoria, intelligenza, volontà, deve venire per lui la conoscenza delle qualità e deficienze dello scolaro.

E allora, all’insegnamento empirico che si fonda esclusivamente sulla pratica, ecco così sostituito l’insegnamento scientifico, l’insegnamento moralizzatore.

L’opera educativa e didattica degli insegnanti, in tutte le scuole, si esplica certamente in modo ammirevole; ma se, malgrado tutto, la preparazione degli alunni lasciasse talvolta qualche lacuna, possiamo dire che la colpa è dei programmi. Questi benedetti programmi, per ragazzi di scuole elementari, per quanto ritoccati le mille volte, comprendono tutto lo scibile, e certo non è possibile riempire di cognizione le teste dei nostri ragazzi, nella stessa maniera che un sacco si riempie di grano.

Villanova d’Asti è sede di Direzione didattica governativa, cori circoscrizione che comprende le scuole di una decina di Comuni.

Villanova ai suoi caduti per la Patria

 

Alla grande guerra 1915 - 18 Villanova diede il suo generoso contributo. Alla memoria dei Caduti venne innalzato un bel monumento, opera egregia dello scultore P. Canonica, essendo a capo dell’Amministrazione comunale il Grand’Ufficiale Dottor Adolfo Villa.

Questo monumento, solido e severo nella sua pietra e nel suo bronzo, atto a sfidare il tempo, idealizza il puro sacrificio delle madri e dei figli.

All’incorruttibilità della pietra e del bronzo, fanno gentile riscontro il verde rigoglio dei tigli, dei cipressi e di aulenti rose che, rinnovandosi ogni primavera di foglie e di fiori, saranno sempre l’espressione più geniale dei migliori sentimenti nostri di riconoscenza e di amore verso i gloriosi Caduti.

I Villanovesi caduti per la guerra

Ai gloriosi Caduti, qui di seguito ricordati, che sull’ara della patria hanno dato in olocausto la loro fiorente giovinezza, Villanova rivolge un pensiero mesto e riverente, con fiori, lagrime e suffragi.

Cavaglià Giov. Battista di Francesco classe 1895 soldato 3.° Alpini + 2-6-1915.

Gilli Sebastiano di Giovanni cl. 1893 soldato 3.° Alpini + 2-6-1915.

Novara Tommaso di Giovanni cl. 1885 sergente 3.° Alpini + 28-11-1915.

Tamagnone Giacomo di Giuseppe cl. 1895 caporale 21.° Fanteria + 11-12 -1915.

Tamagnone G. Battista di Domenico cl. 1895 soldato 7,0 Fanteria + 21 5 - 1916.

Risso Giovanni di Valentino cl. 1896 soldato 225.° Fanteria + 6 -7 -1916.

Vergano Antonio di Benedetto cl. 1893 soldato 3° Alpini + 6-8-1916.

Cerruti Ettore di Carlo cl. 1892 soldato 1.° Genio + 14-8-1916.

Bosio Giuseppe di Tommaso cl. 1895 soldato 3.° Alpini + 27 - 8-1916.

Cucco Stefano di Simone cl. 1893 sergente 140.° Fanteria + 12-10-1916.

Garrone Carlo di Giovanni cl. 1884 soldato 1.° Genio + 11-11-1916.

Savio Marco Ferdinando fu Giovanni cl. 1883 soldato Esercito Francese + 20-11-1916.

Gambino Marco fu Francesco cl. 1884 soldato 113.° Fanteria + 18 - 3-1917.

Giovenale Giovanni fu Giuseppe cl. 1890 capitano 17.° Artiglieria + 4-5.1917.

Oddenino Giovanni di Bartolomeo cl. 1881 soldato 38.° Fanteria + 24 - 5 - 1917.

Gamba Bernardo fu Ignazio cl. 1890 soldato 3.° Alpini + 20-5-1917.

Burdet Carlo fu Carlo cl. 1886 sergente 3.° Alpini + 20-5-1917.

Tamagnone Antonio fu Tommaso cl. 1888 soldato 225.° Fanteria + 5-6- 1917.

Bianco Tommaso di Maurizio cl. 1897 soldato 2.° Alpini + 24-6-1917.

Mosso Michele di Giuseppe cl. 1895 soldato 78.° Fanteria + 5-8-1917.

Baiotto Giuseppe Francesco di G. Battista cl. 1896 sotto tenente 247.° Fanteria + 20 - 8 - 1917.

Navone Francesco fu Michele cl. 1895 soldato 278.° Fanteria + 29-8-1917.

Villa Francesco di Domenico cl. 1891 caporale 52.° Sez. Sanità + 9-9-1917.

Bianco Giovanni di Battista cl. 1892 caporale 2.° Granatieri + 7-10-1917.

Villa Stefano di Ernesto cl. 1895 soldato 3.° Alpini + 3-11-1917.

Varetto Vittorio di Giuseppe cl. 1894 sergente 3.° Alpini + 22.11-1917.

Bicocca Pietro di Carlo cl. 1897 aspirante 5,° Bersaglieri + 4-12-1917.

Torta Giacomo di Stefano cl. 1898 soldato 3.° Alpini + 18 - 12 - 1917.

Brossa Carlo di Guglielmo cl. 1899 soldato 9,° Artiglieria + 9-9-1918.

Baiotto Domenico di Antonio cl. 1898 caporale 3.° Alpini + 16-6-1918.

Villanovesi morti per lesioni od infezioni incontrate in servizio per la guerra

Pittarelli Antonio di Tommaso classe 1894 soldato 74.° Fanteria + 20-8 - 1915.

Rosso Costantino di Michele cl. 1890 soldato 74.° Fanteria +3-11- 1915.

Bianco Domenico di Battista cl. 1897 soldato 7.° Fanteria + 16 - 2.1917.

Cavajà Carlo di Matteo cl. 1878 soldato 50.° Fanteria + 7-11-1917

Gorgerino Natale di Francesco cl. 1891 soldato 3.° Alpini + 4-11-1918

Montefameglio Guido di Clemente cl. 1896 soldato 2.° Genio + 9 - 6 - 1918.

Meriano Pietro di Antonio cl. 1890 soldato 3.° Alpini + 5 - 6-1918.

Gamba Vittorio di Ignazio cl. 1882 caporale 3.° Alpini + 27 - 7 - 1918.

Bosco Pietro fu Battista cl. 1890 soldato 3,° Alpini + 27-10-1918.

Musso Francesco fu Giuseppe cl. 1895 soldato 3.° Alpini + 20-11.1918.

Quagliotto Bartolomeo fu Giacinto cl. 1885 soldato 3.° Alpini + 19-10-1918.

Savio Paolo di Marco cl. 1881 soldato Milizia Territoriale + 28-10-1918,

Varetto Vitagliano di Giorgio cl. 1889 soldato 11.° Artiglieria + 9 - 11 - 1918.

Vioglio Ernesto fu Luigi cl. 1886 soldato 3.° Alpini + 21-10-1918.

Favaro Enrico di G. Battista cl. 1896 soldato 3.° Alpini + 31.10.1918.

Bosco Michele di Francesco cl. 1887 soldato 3.° Alpini + 10-11-1918.

Torazza Tommaso di Biagio cl. 1881 soldato 1.° Compagnia Suss.za + 1 - 5 - 1918.

Viaretto Giuseppe di Giorgio cl. 1893 Soldato 3.° Genio + 20-4 - 1919.

Natta Tommaso di Giovanni cl. 1889 Soldato 61.° Fanteria + 18-1.1919,

Vergnano Giuseppe fu Antonio cl. 1881 Soldato 74.° Fanteria + 21. 11 - 1919.

 

Villanovesi segnalati dispersi durante la grande guerra

Molino Giovanni di Tommaso del 1892 soldato 65.° Fanteria Disperso 6-6-1916 in Albania

Meriano Giovanni di Giuseppe del 1897 soldato 257.° Fanteria Disperso 19- 8-1917 M.Te Fenelik.

Agagliati Giovanni di Giuseppe del 1893 soldato 252.° Fanteria Disperso 19-8-1917 M.Te Faiti.

Marlietto Giacomo in Cesare del 1897 soldato 3.° Alpini Disperso 28-10-1917 S. Biagio Val Resia.

Favaro Luigi di Giovanni del 1889 sergente 3.° Alpini Disperso 20 -11-1917 M.te Tomba Montenero.

Gilli Giovanni di Giuseppe del 1890 caporale 3.° Alpini Disperso 20-11- 1917 M.te Grappa.

Sclaverano Giovanni fu Giuseppe del 1889 soldato 8.° Fanteria Disperso 8-8-1918 Prigion. in Austria a Kg-F.Station.

Le gite domenicali

 

Nei giorni festivi è bello vedere le famiglie dirigersi verso la passeggiata dei viali od al Santuario di Villanova che porta il nome: Madonna delle Grazie, o più brevemente la Madonnina.

Specialmente nelle ore del pomeriggio, non poche famiglie si recano per diporto nei luoghi più ameni, che fanno corona a lèvante del paese, ove prosperano i vigneti e le piantagioni di alberi da frutta.

Da Villanova, dopo un buon tratto di pianura, il paesaggio muta forma e figura e cede il posto a splendidi vigneti, dei quali a ragione vanno orgogliosi quei buoni agricoltori. Su questi colli benedetti dal sole, voi potete ammirare la lunga serie di filari che si svolge in vari modi a seconda del sistema tradizionale, di legatura e disposizione dei tralci.

Una gita attraverso questo territorio, durante l’epoca della vendemmia, è consigliabile.

Ed è specialmente in Settembre che si ripetono le gite, ed è possibile assistere alle operazioni della vendemmia.

Allora le brigate, coi loro cesti, si spandono come sciami nel vigneto, cantando festose canzoni e cogliendo le belle uve dorate e nere, di quel nero leggermente appannato di argento che indica la maturità.

Tutto è movimento e festa in casa dell’agricoltore, che raccoglie in questo modo il frutto di un’annata di lavoro assiduo, intelligente.

Ben presto i tini fermenteranno allegramente e alla festa della vendemmia sta per succedere la festa della spillatura del vino nuovo. E allora conviene ricordare le parole d’oro in S. Giovanni Grisostomo:

Vinum Dei, ebrietas opus diaboli est,

cioè: che il vino è opera di Dio, l’ubbriachezza è opera del diavolo.

Questo popolo si diletta di canzoni nelle varie fasi della vita; al ritorno dei mietitori dai campi del lavoro e specialmente alle vendemmie e anche alla spannocchiatura del granoturco nelle tiepide serate autunnali, e quando riposta la messe pensa di aver terminate le fatiche.

Un rinomato poeta dell’antichità romana, ci riferisce che già allora, nelle medesime circostanze, "i forti agricoli, contenti di poco, coi figli, con la fedele consorte e coi compagni di lavoro, allietavano l’anima e il corpo nel suono e nel ballo, e la gioia esultava in canti, e forse anche in dialoghi di versi regolati dall’orecchio e misurati dalla battuta del piede " (Orazio, Ep. II)

Altre volte l’itinerario dei gitanti si spinge fino ad Albugnano, per visitare la famosa abbazia di S. Maria del Vezzolano, che è la più importante costruzione in istile lombardo che esista in Piemonte.

E ogni anno si organizzano pure gite per visitare le grandiose opere dei Salesiani nella frazione Becchi di Castelnuovo, ove nacque S. Giovanni Bosco, o anche per portare comitive a Torino per ammirare monumenti di merito insigne, fra questi la grandiosa basilica di Maria Ausiliatrice e il Santuario della Madonna della Consolata.

Per chi si reca a Torino sono altresì da segnalarsi come opere d’arte dedicate a cantare le glorie della fede cristiana le seguenti:

1. - La grandiosa Basilica di Superga, opera insigne del Iuvara, fatta erigere sui colli torinesi dal Duca Vittorio Amedeo II in ringraziamento della vittoria contro i Francesi, ottenuta per intercessione della Beata Vergine nel 1706.

2. - La Cappella della Santa Sindone in Torino, presso il Duomo, con ardita cupola del Guarini. In essa si conserva la Santa Sindone, cioè il lenzuolo, ove venne avvolto il Corpo di Nostro Signore, quando fu deposto dalla Croce.

3. La chiesa del Corpus Domini di Torino, eretta sul luogo ove avvenne, il 6 Giugno 1453, il miracolo passato nella storia col nome di Miracolo del Santissimo Sacramento. L’Ostia consacrata uscì da se stessa dal sacco, ove era stata da un ladro racchiusa coi vasi sacri che aveva rubato in una chiesa di Esille, in Val di Susa, e si sollevò in alto e vi rimase, splendente di luce, finchè l’Arcivescovo, fra il giubilo della popolazione non la raccolse in un calice che tuttora si conserva come preziosa reliquia. Nel centro di detta chiesa, un’iscrizione sul pavimento, ricorda il luogo preciso ove il prodigio è avvenuto.

La provincia di Asti entro ben determinati confini verso Torino, è percorsa da due grandi arterie di comunicazione e di transito, una per Chieri. a 13 chilometri da Villanova, l’altra per Poirino che dista, appena 8 chilometri. In queste due località si recano pure sovente i villanovesi anche per ragioni di attività commerciale. E qui va data lode ai gitanti di Villanova che sanno ridere, scherzare, cantare all’aria libera, ma sanno anche astenersi dalle chiassate che fanno distinguere la gente per bene da quella che non è tale.

 

Natale e Pasqua nei riti seguiti con viva comprensione dal popolo di Villanova

NATALE

Il Natale è la festa più bella della religione cristiana, la festa che commemora l’alleanza tra il cielo e la terra e tende ad affratellare gli uomini nei sentimenti di carità e di amore. E’ la festa della famiglia.

Giorno di liete rimembranze, di auguri e felicitazioni, di promesse divine, di pure ed intime gioie.

E la poesia di Natale così è sentita dalla popolazione di queste campagne e dalle famiglie di Villanova.

In Dicembre spesso l’atmosfera è rigida e sibila la tramontana. Nella notte che precede la solennità del Natale, le povere genti di questi borghi, si raccolgono nel tepore delle stalle.

Verso mezzanotte, squillano le campane con un suono che riesce più solenne nel notturno Silenzio.

" E quando intorno echeggiano

Le campane che annunziano Natale,

Un senso allor di, giubilo

E di dolcezza tutti i cuori assale.

Ed ecco tutti affollansi

Intorno al crocchio, i bimbi e le fanciulle,

Ecco le madri innalzano

Le stanche teste dalle dolci culle.

Mentre le mucche, attonite,

Sollevano esse pur l’occhio e il muso,

E la vecchietta tremula

Lascia cader dallo stupor il fuso ".

Donne, vecchi e fanciulli, uomini di ogni età, muovono allora alla chiesa e tutto un popolo di semplici e di poveri, si raccoglie per la Messa, intorno alla culla del Dio fattosi uomo. Egli, il re del cielo, disceso dalle stelle al freddo e al gelo di una grotta, come ripete con soave armonia il canto pastorale del popolo nostro, reca la pace degli angeli a tutti gli uomini di buona volontà.

La gioia del cuore innocente dei fanciulli dinanzi al presepio, è monito al povero cuore degli uomini, che non conoscono più i palpiti della felicità vera, e non sanno capire la divina poesia di Betlemme.

La mattina di Natale c’è la Messa solenne. Le grandi navate delle due chiese parrocchiali sono gremite di gente.

Le arti decorative, gli addobbi, le luci delle vetrate a colori e dei ceri, il suono dell’organo, il canto della Messa solenne, tutto dà all’animo una compostezza che commuove ed eleva. Tutti sono in ginocchio, quando il celebrante eleva l’Ostia e il Calice, mentre il campanello, le campane e l’organo segnano il momento solenne.

E lo stesso avviene in tutte le chiese del mondo, in tutte le più piccole parrocchie, più o meno fastosamente, ma cogli stessi riti, con le stesse parole, con lo stesso sentimento, si celebra il divino anniversario.

Da tutti i credenti è invocata quell’alba, in cui gli uomini, deposte le armi e gli odii di partito, seguiranno le direttive di quella pace annunziata dagli angeli nella notte di Natale.

Potranno così echeggiare in tutte le anime le parole fatidiche della pace Natalizia, foriera di nuovi tempi per l’umanità travagliata e stanca.

Purtroppo ogni abisso di dolore è stato toccato, e pare che tutto, pensiero, tradizioni, varietà di razze e di costumi, millenni di civiltà si siano, con le guerre, annullati e sperduti.

Ora si ricomincia, purificati. E la speranza è la vita.

 

PASQUA

 

Pasqua è la risurrezione, lieta, ridente; è l’inizio di opere feconde. La solennità di Pasqua è preceduta dalla Settimana Santa.

Forse in nessun’altra epoca dell’anno, il popolo manifesta la sua religiosità come durante le cerimonie della Settimana Santa, nella quale la Chiesa con speciali riti, commemora la passione, la morte e la risurrezione del Salvatore.

Le funzioni cambiano da paese a paese nella loro veste esteriore, ma uguale è lo spirito che le anima. Nei canti, nei riti, nelle processioni, è sempre drammatizzato il racconto evangelico della passione.

Il popolo di Villanova partecipa a queste solenni funzioni, come la processione della domenica delle Palme, la visita ai Santi Sepolcri il Giovedì Santo, e alle cerimonie del Venerdì e a quelle del Sabato Santo.

Dal Mercoledì il rumore delle raganelle, delle nacchere e conchiglie sonore, delizia desiderata dai fanciulli irrequieti, e come il singulto dell’anima cristiana intorno ai dolori e alla tristezza del Salvatore.

Il Giovedì Santo è consacrato ai Sepolcri, cioè alle visite dì quegli altari chiamati Sepolcri, sui quali si conserva il Santissimo Sacramento. Un caratteristico movimento di gente di ogni condizione passa da una chiesa all’altra, in visita di omaggio di pietà e di amore a Gesù che entra in agonia e si prepara alla morte redentrice.

Il Venerdì Santo, la chiesa è squallida, gli altari nudi, tacciono le campane e l’organo. Si scopre e si adora il Crocefisso deposto, in terra sopra un drappo. In tale giorno non si dice Messa; si ritorna il Santissimo all’altar maggiore, cantando l’inno Vexilla regis prodeunt (1) Nel tardo pomeriggio del Giovedì o del Venerdì Santo, si fa la processione col Cristo morto, seguito dai dodici apostoli che indossano camice rosso, con tuba e mazza. Segue il clero e lunga fila di compagnie e di popolo. E’ una solenne affermazione di fede nell’uomo Dio, innalzato sulle folle, simbolo di pace e di perdono.

Nel Sabato Santo tutto si rinnova nel trionfo di Cristo; la liturgia si fa più lieta, le campane squillano, l’organo riprende le sue note ed echeggia l’Alleluia festoso.

Il giorno dopo è la Pasqua. Nel solenne giorno, ogni parola della Chiesa è di giubilo, ed ogni sua funzione termina con l’Alleluia, parola che in ebraico significa: Lode a Dio.

 

(1)Vexilla Regis prodeumt: Il vessillo del Re si avanza, cioè la santa Croce. Bellissimo inno della Chiesa, di saluto alla santa Croce che è detta speranza unica, dalle cui braccia pende il prezzo del mondo, perchè fu fatto sostegno del corpo del Signore che ci apportò il gaudio Pasquale.

A Pasqua si diffonde lieto il suono delle campane, si diffonde solenne nel trionfo primaverile della natura, nella festa delle anime credenti. Passano ogni anno queste pagine di sublime poesia religiosa e ogni anno si rinnovano emozioni e sentimenti profondi che non si cancellano.

Il Manzoni, nel suo bell’inno alla Resurrezione, vuole che la gioia della domestica mensa nel giorno di Pasqua, sia accompagnata con un pensiero di fratellanza, e dice:

O fratelli, il santo rito

Sol di gaudio oggi ragiona;

oggi è giorno di convito;

Oggi esulta ogni persona:

Non è madre che sia schiava

Della spoglia più festiva

I suoi bamboli vestir.

Sia frugal del ricco il pasto;

Ogni mensa abbia i Suoi doni;

E il tesor negato al fasto

Di superbe imbandigioni,

Scorra amico all’umil letto,

Faccia il desco poveretto

Più ridente oggi apparir.

Giovani di Villanova

che si avviano alla carriera degli studi

Villanova diede i natali a uomini ragguardevoli, che si distinsero nelle scienze, nella carriera medica, legale, nelle belle lettere, nella religione, nell’insegnamento. E ben ci duole non poterli ripetere tutti singolarmente, per esiguità dei nostro lavoro.

Benefattori insigni, favorirono e fondarono opere destinate al cullo, alla beneficenza verso vecchi, poveri, inabili a1 lavoro. Laureati in medicina, esercitarono con molta valentia, e l’opera loro si svolse nel paese nativo, a Villanova, che amarono sempre devotamente. Avvocati e dotti magistrati si sono segnalati nella carriera giudiziaria, come Pretori. Altri avanzarono nella carriera amministrativa, raggiungendo il grado e la carica di Prefetto del Regno. Dalle accademie militari, giovani villanovesi, uscirono ufficiali che, per ottime qualifiche nel servizio prestato, vennero, in seguito di tempo, designati con particolari segnalazioni, per l’avanzamento nella carriera. Ed è ancor vivo il rimpianto per la scomparsa di chi illustrò Villanova, raggiungendo il grado di Generale di Divisione.

Ricordiamo alcuni nomi: Giovanni Canta, fondatore del Ricovero S. Giovanni Evangelista; Don Luigi Crovella, fondatore del Santuario di Villanova; Avv. Commendatore Maurizio Bechis, Prefetto del Regno; Grand ‘Ufficiale Augusto Villa, Generale di Divisione; Avv. Alessandro Riccio e Avv. Luigi Barberis, Pretori; Dott. Cav. Angelo Goria, medico chirurgo, capo di pubbliche amministrazioni.

A questi studiosi aggiungiamo ancora altri che si segnalarono nell’esercizio della loro professione, quali ingegneri, notai, farmacisti, insegnanti, geometri, ragionieri.

I giovani di questa località che si avviano agli studi, cercheranno certamente di educarsi ai doveri della vita civile, emulando gli alti esempi dei loro predecessori, che accoppiarono il senno al sapere, la valentia alla prudenza sensata e all’operosità della vita.

I giovinetti di Villanova, che dimostrano buone attitudini allo studio, si iscrivono oggi, particolarmente, alle seguenti scuole:

1.- Scuola secondaria di avviamento professionale, per la preparazione ai vari mestieri. Comprende tre tipi di scuole: tipo industriale, tipo agrario, tipo commerciale.

2.- Scuola media triennale, comune a quanti intendono proseguire gli studi dell’ordine superiore.

3.- Istituto tecnico quinquennale, che prepara all’esercizio di alcune professioni, con tre sezioni: fisico matematica, ragioneria agrimensura, e a parte quella per geometri.

4.- Istruzione classica: Liceo classico quinquennale.

5.- Istituto magistrale, quinquennale, che prepara all’abilitazione all’insegnamento nelle scuole elementari. Vi si accede con l’esame di ammissione dopo la classe quinta elementare.

6.- Istruzione militare. Ottenuta la licenza delle scuole medie si può domandare l’ammissione ai Collegi militari di Roma, Napoli, Milano. Dopo tre anni di frequenza, l’alunno promosso viene iscritto all’Accademia di Modena (per Fanteria e Cavalleria) o di Torino (per Artiglieria e Genio}. Il corso dell’Accademia militare ha la durata di due anni, dopo di che gli alunni meritevoli di promozione, conseguono la nomina a sottotenente e vengono aggregati ai rispettivi corpi.

Parecchi giovinetti di Villanova, sentendo la vocazione per il Sacerdozio, seguono la voce di Dio che li chiama. Il loro amore per la famiglia non diminuisce per questo, anzi si fortifica, purificandosi nella preghiera e nel sacrifizio.

Scuola di canto corale

Per l’addestramento ai canti di chiesa, che devono accompagnare i sacri riti, nelle due Parrocchie di Villanova, sotto la direzione di competenti, i cantori si esercitano all’esecuzione di Messe, Mottetti, Tantum ergo, ed altre composizioni musicali, tanto che, in altri tempi, già si presentarono, con onore, a concorsi di musica sacra (1).

Perché questa scuola di addestramento sia sempre all’altezza del suo compito, occorre che siano invitati al canto, sempre nuovi elementi, scielti fra i giovani che dimostrino buone disposizioni.

Ricordino, i giovani, che la musica è la più suggestiva delle arti belle.

Quando ascoltiamo le note soavi di una musica in chiesa, ed i canti che accompagnano le sacre cerimonie, ci sentiamo avvolti in un’onda di misticismo, ed ogni pensiero profano, si diparte dalla nostra mente. Quell’onda di musica e quei canti, in quel luogo fatto per la preghiera, ci invitano a piegare il ginocchio dinanzi all’Essere Supremo.

La musica in chiesa ci parla della suprema bontà e bellezza di Dio, e mentre ci toglie dagli occhi la visione delle bellezze terrene, ci idealizza in una comprensione divina, e quasi ci suggerisce le parole con le quali noi dobbiamo confessare a Lui le nostre colpe e chiedere il perdono.

Anticamente la musica era in possesso esclusivo della Chiesa. Nella chiesa ufficiata dai Francescani, già esistente a Villanova, e in quella dei monaci regolari di S. Agostino della prevostura di Corveglia, vi erano scuole di canto corale. E nei giorni festivi, dopo 1a predicazione di un frate, cha animava alla fratellanza dei popoli, seguivano i canti e le cerimonie dei chierici e del clero, a cui si univano i cori popolari d’uomini che empivano le anguste navate, per ringraziare il Signore di aver dato loro una patria. Il primo libro di canto di chiesa, secondo certe regole, è stato composto da S. Ambrogio, vescovo di Milano (340 + 397) uno dei più eruditi Padri della Chiesa; battezzò S. Agostino e compose il " Te Deam laudamus " celebre inno di ringraziamento.

Il papa S. Gregorio Magno (540 + 604) diede in seguito, al canto ambrosiano, un più grande sviluppo, e creò il nuovo canto religioso detto da lui gregoriano, che crebbe splendore al culto divino, con motivi semplici e grandiosi.

A Guido d’Arezzo, monaco benedettino (990+1050) si attribuisce l’invenzione delle sei prime note della scala musicale: ut, re, mi, fa, sol, la, che si adoperarono nella pratica. Queste sillabe, sono improntate ad un inno dell’ufficio di S. Giovanni: Ut queant laxis, Resonare fabris, Mira gestorum, Famuli tuorum, Solve polluti, Labii reatum, Sancte Joannes.

Più tardi si cambiò un in do e si aggiunse si.

Soltanto nel secolo XVI comincia la brillante epoca della musica sacra. Pier Luigi da Palestrina (località presso Roma) nato nel 1524, fu il riformatore della musica sacra. Scrisse la famosa Missa Papalis a sei voci, " con melodia semplice, rispettando l’espressione rituale e adattandola alla varia significazione dei cantici e delle preghiere".

Il Papa, dopo averla intesa, esclamò: "Sì, sono appunto le armonie di quel canto nuovo che l’apostolo S. Giovanni ha udite nella Gerusalemme celeste ".

Lo Stabat Mater, composto dal Palestrina, per la Cappella Sistina, è riguardato come il coronamento di tutte le sue opere musicali. " Nessuno, come lui, possiede la mistica tenerezza, l’incantevole soavità delle armonie, per rivelare i dolori della Madre di un Dio, e le ambascie dell’Incarnato, o trasportarci in un mondo invisibile, ad ascoltare le sinfonie di cui gli angeli circondano il padiglione dell’Eterno " C.Cantù. Fu autore di 93 Messe a più voci, mottetti, inni, salmi, lamentazioni ecc.

 

 

(1)Vanno qui ricordati per la loro attività nell’insegnamento del canto, come organisti nelle due parrocchie: Giuseppe Bussetti, Michele Cumino, Alberto Venturello, Rev. Don Giov. Asso.

Frate Jacopone da Todi, francescano, morto nel 1306, è l’autore dello Stabat Mater, le cui strofe esprimono il dolore della Madre divina ai piedi della croce; è l’inno più appassionato del dolore, che sia uscito da ispirazione cristiana e che poi doveva trovare commovente eco, nelle armonie del Palestrina, del Pergolesi, del Rossini.

Nella produzione di musica sacra italiana moderna, deve essere ricordato, sopra tutti, Lorenzo Perosi, nato nel 1872, fecondo genio musicale.

I suoi Oratori, vengono rappresentati con esito trionfale. Gli Oratori, sono specie di drammi musicali, con argomento sacro, che si eseguiscono senza azione scenica.

Il Perosi, svolse la vita di Gesù Cristo in Oratori: La Passione dì Cristo - La Trasfigurazione - La Risurrezione di Lazzaro - La Risurrezione di Cristo - Il Natale del Redentore - L’Entrata di Cristo in Gerusalemme - La Strage degli Innocenti - Il Giudizio universale - Mosè. Compose pure Mottetti, salmi, un Padre nostro, una Messa, uno Stabat Mater, Dies iste per l’Immacolata, ed altre melodie sacre per canto.

Visita al Cimitero di Villanova

Il 2 novembre, dì dei nostri morti, giorno consacrato alla commemorazione dei fedeli defunti, siamo venuti in mesto corteo, in questo luogo, ove tutto ci parla con silenziosa e mistica eloquenza, della fragilità umana. Lungo la solitaria via del camposanto è un continuo sfilare di persone che portano fiori, corone, veli e nastri, per ornare le zolle, la croce, il cippo, la tomba, ove giacciono i loro cari morti.

Entriamo. In breve le tombe del sacro recinto sono cosparse di fiori che il dolore innaffierà di lagrime.

Qui tutti si sentono piccoli dinanzi all’arcana potenza che regola la nostra vita. Qui ha termine l’orgoglio della ricchezza, come l’umiliazione della miseria, e tutti soggiacciono alla stessa legge, tanto nell’esuberanza della gioventù, come nella decadenza della vecchiaia.

I devoti traggono al cimitero in processione. Arrivati si sparpagliano per ogni parte e ogni tomba ha qualcuno prostrato su di essa che prega cogli occhi lagrimosi.

Certo, il pensiero della tomba rinsalda il sentimento cristiano, e in un attimo di riflessione, si dimenticano le amarezze della vita, pensando che veramente non abbiamo qui città permanente, perchè la figura di questo mondo passa, come si esprime l’apostolo S. Paolo. E la vita diventa così un’espiazione che rende sacre le lagrime, e nell’amore e nella speranza, i credenti trovano una significazione morale al loro dolore.

Osserviamo che molti abbellimenti naturali e cure particolari vennero apportate dal Comune a questo asilo di pace, adorno di numerosi vialetti, contornati di verde, di cipressi e di altre conifere. E numerose e ricche tombe vennero fatte costruire da privati in quest’ultimo ventennio, disegnate certo da veri artisti, conoscitori dei materiali che trattavano e degli effetti che volevano produrre.

Ma, " all’ombra dei cipressi e dentro l’urne confortate di pianto, è forse il sonno della morte men duro? " (1).

L’arte certamente ha cercato di rendere meno triste il desolato aspetto della morte.

Le sculture che si osservano, le allegorie, i simboli e tutte le rappresentazioni figurative o geometriche delle tombe, raggiungono il buon gusto e sono encomiabili esempi di intima religiosità.

Altre belle costruzioni sono le numerose tombe, nell’ultimo ampliamento, a forma di piccole cappelle, con decorazioni di colonnine, lesene, capitelli, archi, vetrate colorate e minuscoli altari nell’interno, che tendono a esprimere il senso religioso del luogo, per il quale si dimentica la materia e si eleva lo spirito nel pensiero di Dio e dei cari trapassati.

 

 

(1) Foscolo, Carme, I Sepolcri

Non mancano tombe arricchite di preziosi marmi e con un insieme architettonico non secondo a nessun altro per armonica grandiosità. Ciascun insieme è sempre arricchito dai principali elementi architettonici per le arti costruttive, cioè cornici, colonne, capitelli, piedestalli, lesene, archi, mensole, elementi fusi e ben collegati, che rivelano certo lo stile a cui appartengono, rimpiccoliti per adattarli alle esigenze e alle relative costruzioni.

Altre tombe esprimono gusti particolari, stilizzati con adatte caratteristiche. Altre con stile prevalentemente a base geometrica e qualche decorazione in mosaico.

Si impongono per l’architettura e per i marmi, le tombe addossate al muro di cinta, con ben meditati concetti che raggiungono qualche volta la perfezione.

Opere tutte, sacre alla pietà e alle memorie, che rivelano quali siano i legami di affetto dei villanovesi verso i loro cari estinti.

La nostra visita volge al termine; abbiamo seguito le pie preghiere di tanti cuori commossi dalla pietà, dalla riconoscenza, dall’amore, e abbiamo pregato con loro per i nostri cari, per coloro che fondarono ospedali e opere di bene, per quei tanti che morirono martiri del lavoro o sacrificarono la vita per la Patria; e ricordato abbiamo nello stesso tempo, anime dette, assetate di bene, che ora pregano dal Cielo perché torni agli uomini la vera pace.

Rifacendo la strada col mesto corteo, ci ritornarono alla memoria i versi del Parini:

Ah, quella è vera fama

D’uom che lasciar può qui,

Lunga ancor di sè brama

Dopo l’ultimo dì!

 

Ricovero S. Giovanni Evangelista

Il Ricovero San Giovanni Evangelista è sorto in seguito al legato del compianto signor Canta Giovanni fu Bernardo, deceduto a Villanova il 20 marzo 1928.

Dopo una corsa non breve di anni e di meriti, come vide approssimarsi il termine dei suoi giorni, il signor Canta Giovanni, con testamento olografo 6 aprile 1924, lasciava lire 300.000 con mobilio e biancheria, per un Ricovero per vecchi, poveri e inabili al lavoro, che assumesse la denominazione di Ricovero San Giovanni Evangelista.

L’Istituto, che venne eretto in Ente Morale con Regio Decreto 3-4-1930, ha per scopo di provvedere gratuitamente e nella misura dei propri mezzi, al ricovero, al mantenimento e all’assistenza dei vecchi d’ambo i sessi che siano poveri ed inabili al lavoro, nati e residenti in Villanova d’Asti.

L’Istituto provvede al suo scopo, con le rendite proprie, con le donazioni, con le oblazioni, coi contributi degli azionisti, e con assegni eventualmente corrisposti dal Comune, o dalla Provincia o da privati

L’Amministrazione dell’Ente è affidata alla Congregazione di Carità, al cui Statuto dovrà quindi farsi richiamo anche per l’Amministrazione dell’Ente stesso.

Non possono essere ricevute persone affette da malattie contagiose o mentali.

Nel caso di insufficienza di posti gratuiti, per l’accettazione si darà la preferenza agli inabili che versino in più grave miseria ed in maggior abbandono.

Entro i limiti di posti disponibili, potranno essere ricoverati a pagamento, persone di Villanova, inabili, non aventi titolo a ricovero gratuito, con norme che vengono stabilite dal Regolamento.

Il Bilancio del Ricovero viene tenuto completamente distinto e separato da quello della Congregazione di Carità.

Alla memoria del filantropico signor Canta Giovanni, altamente benemerito del paese, l’Amministrazione pose nell’atrio del Ricovero, un Busto in marmo del compianto benefattore, che servirà di esempio e d’incitamento ad altra beneficenza, ora che il costo della vita ha reso assai più gravosa l’assistenza ai poveri vecchi, molti dei quali videro la figura di questo mondo passare come un sogno e alle poche soddisfazioni della vita, succedere delusioni e infinite amarezze. Osservateli: il loro silenzio è devoto e pietoso il raccoglimento.

La sola beneficenza e carità cristiana potranno soccorrere alle più gravi necessità dei bisognosi di assistenza.

Ogni età ha i suoi beni e i suoi mali, ha privazioni e conforti, doveri e meriti proprii.

Tra le più dolorose miserie, molte giacciono avvolte nel mistero; e quindi non la mano che si protende dobbiamo guardare, ma il volto illividito, la lagrima furtiva, ma il guardo cupo, avvisino i dotati di ricchezze che l’ora è suonata per consolare e salvare un loro simile infelice.

L’Ospedale infermi, già esistente a Villanova d’Asti, il cui regolamento venne approvato con R. D. 13 ottobre 1847, e stato soppresso, e con la Legge 3 Giugno 1937 del Governo fascista venne pure soppressa 1a Congregazione di Carità.

Dal 1884 prestano servizio sollecito di assistenza, le buone suore del Cottolengo nelle suddette istituzioni, ed ora specialmente verso i poveri ricoverati. Da oltre cinquant’anni nel medesimo ufficio, con intera abnegazione si cambiano, si succedono le une alle altre, e non si accorge del mutamento, perché la bontà d’animo e la dolcezza dei modi, sempre è la stessa; un solo spirito, un solo scopo le anima, perché e la carità di Cristo che le spinge, confortate da quella " fede che è sostanza di cose sperate e argomento di quelle che non appariscono ".

 

Chiesa di S. Martino

 

L’attuale chiesa di S. Martino è la medesimo che anticamente portava il nome di S. Felice. La mutazione del nome avvenne in tempo molto posteriore alla sua fondazione.

Per avere notizie di tale cambiamento, dobbiamo riferirci all’antica Pieve di S. Martino di Dusino, già esistente prima del 941. Le Pievi furono le prime vere parrocchie, ed ebbero pressochè tutti i diritti di oggidì. Erano centri di plebe, ossia di popolazione, dove si insegnava la religione ed anche le scienze civili.

Dal capoluogo della Pieve di S. Martino di Dusino, dipendevano altre parrocchie minori: cioè quella di S. Pietro, di S. Giovanni, di S. Andrea, di S. Secondo a Ferrere, di VaIfenera, di Villata, di Cellarengo, del Palazzo Valgorrera, di S. Felice in Villanova, di S. Paolo, di S. Pietro di Solbrito. Va qui pure ricordata la prevostura di Corveglia, che apparteneva ai monaci regolari di S. Agostino.

Nella seconda metà del 1500, la chiesa parrocchiale di S. Martino di Dusino, col relativo benefizio, veniva trasferita a Villanova e sottomessa all’autorità dell’Arcipretura.

Non sono chiare le ragioni che determinarono tale trasferimento. Certo, da allora, l’assistenza religiosa peggiorò per Dusino, e la Cappellania risultante, sotto il titolo di S. Rocco, doveva professarsi succursale di altra chiesa; e cioè, l’antica parrocchia, da madre era così diventata figlia dell’Arcipretura di S. Martino in Villanova.

Nel 1585, Mons. Angelo Peruzzi, vescovo di Sarsina (1), quale visitatore apostolico a Dusino, " non trova più la chiesa arcipretale, ma solamente la Cappella di S. Rocco, nella quale è celebrata la Messa ogni festa, da un sacerdote mandato e, spesato dall’Arciprete di S. Martino di Villanova, che ne ha l’obbligo, perché la sua Arcipretura, una volta era a Dusino (2).

(1) Sarsina Antica città dell’Umbria, in provincia di Forlì.

(2) Sac. Alessandro Pescarmona - Dusino, ricordi storici sulla antica Pievania di S. Martino ed attuale Prevostura di S. Rocco.

L’attuale chiesa di S. Martino, è di notevole dimensione, cioè m. 38,50 x 18,25 in planimetria, escluse le cappelle. L’architettura è in stile romanico lombardo, con colonne a fasci, e volte a crociera i cui spigoli a rilievo s’incrociano. La costruzione risale a circa il 1100. Le otto cappelle laterali, vennero costruite in tempi posteriori.

La facciata fu rimaneggiata totalmente, anche quanto a stile.

Il coro e il campanile sono del 1824. L’interno della chiesa è arricchito da numerose opere d’arte. L’altar maggiore, di marmo finissimo e di morbida fattura, lo eseguì il milanese Carlo Pellagata nel 1777. Degno di pregio, nel giudizio degli artisti, è un altro altare, di delicatissimo intaglio in legno, con molte statue di perfetta modellatura ed ornato, in purissimo stile barocco.

La bellissima statua dell’Immacolata Concezione, in stile barocco, di splendida modellatura, eseguita dal Clementi, venne donata dal vescovo di Asti Faà di Bruno nel 1840.

" Di gran pregio sono le tele dei Moncalvo (1), rappresentanti il Natale e l’Immacolata, e quella della Madonna del Rosario. Ma soprattutto va ricordata una tela rappresentante la Vergine con gli Angeli e Santi, attribuita giustamente a Macrino d’Alba.

Gli affreschi del presbiterio e del coro, buoni per disegno, vivacità ed armonia di tinte e ben conservati, furono dipinti dal Peretti nel 1825

La chiesa è pur fornita di paramenti e suppellettili preziose per fattura e materiale, conservate con diligenza, in ottimo stato.

Tutto il resto della chiesa, internamente ed esternamente, ebbe una radicale riparazione e decorazione in tempi recenti, prima dall’Arciprete Mons. Luigi Lanfranco, prelato domestico di Sua Santità, deceduto il 4 novembre 1941, poi dall’attuale Arciprete Rev. Don Bartolomeo Lanfranco, che porge esempio di sollecito zelo a vantaggio di questa popolazione.

Cappella di S. Isidoro

S. Isidoro fu assunto dai Villanovesi a patrono del luogo. Ivi esiste una bella cappella campestre, dedicata appunto al suo nome Questa cappella è ricordata 1a prima volta nella visita pastorale di Mons. Felizzano nel 1743. E’ da ritenersi che la cappella di S. Isidoro sia stata eretta fra il 1700 e il 1710.

Riteniamo opportuno aggiungere qui alcune notizie sulla vita di S. Isidoro.

S. Isidoro nacque da poveri genitori nel 1100 in Madrid, città capitale della Spagna. Da fanciullo prese conoscenza della religione cattolica, assistendo con assiduità agli insegnamenti della dottrina cristiana. Questi insegnamenti furono fecondi di semi che hanno prodotto in lui frutti di viva fede e di fervida carità verso il prossimo.

Nato povero, anzi poverissimo, gli convenne porsi al servizio come garzone di campagna, presso un ricco possidente.

E fu servo coscienzioso, fedele, attivo, curando nel miglior modo gli interessi del suo padrone.

Fatto adulto, per assecondare il desiderio dei suoi genitori, decise di ammogliarsi con una giovane pia e assennata, di nome Maria Torribia. Uniformità di idee e di affetti non venne mai turbata da dissensioni e da risentimenti. Ma a turbare la loro dolce quiete venne indi a pochi anni, una sventura: la perdita del loro unico figlio. Piansero chi formava la loro più cara speranza, ma poi si rassegnarono alla Provvidenza che così aveva disposto.

Isidoro in seguito aveva preso a coltivare le terre di un tal Giovanni Vergas di Madrid, con un annuo stipendio. Questa occupazione non lo distoglieva dal recarsi costantemente a Messa ogni mattina nella vicina chiesa. E la compagna dei suoi giorni, la buona Maria, imitò i santi esempi del marito, tanto da acquistarsi, dopo morte,

il titolo di beata e come tale è onorata nella Spagna.

(1) Il Moncalvo (Guglielmo Caccia di Montabone 1568 1625). Celebre pittore piemontese, particolarmente ricordato per aver dipinto le cappelle del sacro monte di Crea, la cupola di San Paolo a Novara攠氠⁥瑳

e le storie nei, Conventuali di Moncalvo.

Fin dalla sua giovinezza, Isidoro si segnalò per una viva devozione alla Beata Vergine. La sua frugalità gli dava modo di risparmiare qualcosa che impiegava a sollevare e a sfamare molti poveri. E Iddio compiacendosi di tanta virtù, lo compensava parecchie volte con aperti miracoli.

Un giorno, avendo invitato molti poveri alla sua mensa, trovò che tutto era consumato, nè più rimaneva che una piccola porzione appena bastevole per uno solo; allora che fa Isidoro? Benedice quel poco cibo e poi pieno di fiducia nella Divina Provvidenza fa distribuire a quegli affamati, e tutti ne ebbero a sazietà e ne avanzò tuttavia una parte.

Un’altra volta, nulla più rimanendo, ecco sopraggiungere un altro povero. Non c’è più nulla la darvi, disse la buona moglie di Isidoro. Ma questi a Lei: Tu manchi di fiducia nella Provvidenza; cerca più minutamente e qualcosa troverai. Ed ecco per miracolo apparire in ogni angolo della casa una grande abbondanza di vivande, e allora fu un concorrere per tutto quel giorno di poveri a quella casa a ricevervi la elemosina, così prodigiosamente procurata.

Tutta la sua condotta appariva quella di uomo giusto, e ognuno ne restava compreso di stima e di ammirazione.

Però non gli mancarono gli invidiosi i denigratori, che rapportarono al suo padrone, che Isidoro perdeva il tempo nelle chiese, trascurando il lavoro dei campi. Il signor Vergas credette, e un giorno si portò nel campo dove Isidoro lavorava, per fargli rimprovero e minacciano di licenziamento, se non smettesse le sue esagerate pratiche di pietà, perché lavorasse le sue terre e non si trattenesse nelle chiese a pregare.

Ma qual non fu la sua meraviglia allorché, giunto a poca distanza dal campo, vide in esso due aratri tirati ciascuno da una coppia di buoi e, portatosi sul luogo, scomparvero dai suoi occhi gli aratri e i buoi, e rimase solo, in mezzo al campo, Isidoro che lavorava. Che è mai ciò che io ho visto, dice allora al suo contadino; qui vi erano due aratri e due paia di buoi; dove sono andati? E che novità è cotesta, che io me li son veduti improvvisamente scomparire? Ne sapete voi qualcosa?

Io non so altro, rispose il buon contadino, se non che al principio dei miei lavori, invoco sempre l’aiuto e la benedizione del Signore, e procuro di fare ogni cosa per la maggior gloria di Dio.

Capì allora il padrone che trattavasi di una visione celeste, e che erano ingiuste le accuse al suo agricoltore, e perciò gli diede facoltà di impiegare pure ogni giorno, nella preghiera, quel tempo che egli credesse.

Trascorreva così la sua vita nel lavoro, nell’esercizio della carità, della preghiera e di ogni sorta di opere buone, con lo sguardo rivolto al cielo, a cui sospirava, come al luogo del suo riposo.

E finalmente Dio volle esaudire il suo desiderio. Caduto infermo chiese i santi Sacramenti, che ricevette col più vivo fervore, e poco dopo entrò in agonia e cessava di vivere il 15 maggio 1160, contando egli allora 60 anni di età. Molti furono i miracoli con cui Iddio volle onorare il suo servo dopo la sua morte. Fu canonizzato dal Papa Gregorio XV, ossia dichiarato santo nel 1688, insieme con S. Francesco Saverio, S. Teresa di Gesù e S. Filippo Neri.

Chiesa di S. Pietro (Supponito)

 

L’origine della Pievania di S. Pietro risale circa il 1200 ed è opinione che venisse fondata da quei di Corveglia, i quali certamente concorsero a fondare Villanova.

La primitiva sede della chiesa di S. Pietro Pievania, era ad Ovest sul fondo della via maestra, ove esisteva, fino a pochi anni fa, l’albergo dei Buoi Rossi; accanto alla chiesa era la casa canonica e la casa rustica per il colono.

Indizio di ciò, era una pittura di S. Pietro sul muro dell’albergo detto dei Buoi Rossi; e davanti a questa immagine, ora sostituita da un quadro, ancora ogni anno, la sera del 29 giugno, i parrocchiani della Pievania, si radunano recitando preghiere e cantando l’inno degli Apostoli.

Addossato al muro dell’albergo, ora casa di abitazione privata, esiste ancora il pozzo detto di S. Pietro.

Nel 1585 essendo la chiesa della Pievania di S. Pietro in cattive condizioni di conservazione e veramente inservibile al culto, venne, per le funzioni, trasferita prima provvisoriamente nella chiesa di S. Martino, poi definitivamente nella chiesa parrocchiale di S. Pietro in Supponito, cioè nella sede attuale.

Di Supponito si fa parola in una Bolla di Benedetto VIII nel 1014, conservata nell’archivio arcivescovile di Torino, e si crede che così fosse chiamato un raggruppamento di case con un monastero, circondato da non pochi abitanti, situato pressochè nel luogo in cui trovasi ora la chiesa parrocchiale di S. Pietro. Alcuni poi entrando nelle origini più remote, assicurano che un certo Suppone, Conte di Asti, nel secolo VIII, abbia per primo abitato il luogo e dato ad esso il suo nome.

La chiesa di S. Pietro ha tre navate, con volte a crociera, sorrette da colonne in origine a fasci, cilindriche, e in seguito duplicate e riguardate contrariamente al resto del sacro edificio e con disdoro del buon gusto artistico. Queste colonne però si trovano ancora intatte nel rivestimento.

I capitelli, gli stipiti, le volte e gli altri ornamenti della chiesa, tendono allo stile romanico. Questo stile, dopo il mille, in Lombardia prese il nome di stile lombardo. Le costruzioni hanno le finestre e le porte a tutto sesto, ossia con l’arco a semicircolo. Di molto pregio e ben conservato è l’affresco sopra l’altare ove viene venerata S. Rita, rappresentante S. Biagio tra le Sante Maria Maddalena e Lucia (secolo XV, opera della scuola del Giotto).

Esistono due tele preziose del Moncalvo (1600) l’una raffigurante la SS. Trinità, l’altra S. Francesco d’Assisi.

La parte interna ed esterna di questa chiesa mostra tracce di radicali miglioramenti e trasformazioni.

Nel 1830 il Pievano Franco cav. Giuseppe eresse la sacrestia, condusse sino alla cupola la costruzione dell’odierno campanile e comprò l’attuale casa canonica.

Nel 1860 Mons. Borio Giuseppe, Pievano, ultimò il campanile e fece le pitture nell’interno della chiesa.

La nuova facciata della chiesa è stata costruita su progetto dell’ingegnere Giov. Battista Ferrante ed inaugurata il 15 ottobre 1893, essendo pievano Mons. Giovanni Goria; corrisponde allo stile interno e ha tre compartimenti, dei quali il centrale ha forma cuspidale.

Il mosaico finto nella lunetta della porta maggiore della facciata della chiesa, è stato inaugurato il 13 ottobre 1894.

La nuova balaustra dell’altar maggiore, del marmista di Torino Silvestri Secondo, su disegno dell’ingegnere Gallo Giuseppe, gioiello d’arte, è stata inaugurata dal Pievano Mons. Goria, il 16 settembre 1914.

Il quadro di S. Rita, dipinto dal prof. Stura di Torino, è stato benedetto il 20 febbraio 1928.

Con larghezza di mezzi pari al fervore organizzativo, a cura del Pievano Teol. Bartolomeo D. Bottallo, la chiesa si è arricchita delle seguenti nuove opere:

L’anno 1933, il 16 luglio, in occasione delle feste centenarie della Beata Vergine del Carmine e del Congresso Mariale diocesano, tenutosi in Villanova, Sua Ecc. Rev.ma Mons. Umberto Rossi, Vescovo di Asti e Principe, assistito dalle LL. EE. Rev.me Mons. Giovanni Battista Pinardi, vescovo titolare di Eudossia, e Mons. Luigi Mazzini, vescovo titolare di Filadelfia, procedeva all’Incoronazione della statua della B. Vergine del Carmine (1), venerata nell’artistica cappella dorata, rimessa a nuovo, e condecorata con l’altare urna di S. Teresa del Bambino Gesu’, opera del prof. Barbieri (Torino} scultore prof. Corio, decoratore prof. Bosino.

Il 18 settembre 1934 nella visita pastorale venne consacrato il nuovo altare e Grotta di Lourdes.

Nell’aprile 1936 venne benedetto il Cristo Morto - prof. Insane e Prinoth.

Il 7 giugno 1936 venne benedetto il gruppo statuario del " Ritorno del Figliuolo Prodigo a Dio " - prof. Rifessor Jun - Val Gardena.

Il 19 luglio 1936, furono inaugurate le tre nuove vetrate: " B. V. del Carmine, S. Rita e S. Teresa del Bambino Gesù " - prof. Siletti.

Il 3 gennaio 1937 venne benedetta la statua di S. Giovanni Bosco - prof. Cristiani Delago in Val Gardena.

Il 19 marzo 1937 venne benedetta la statua di S. Giuseppe - prof. Rifessor Junior.

Il 10 ottobre 1937 vennero inaugurate le tre nuove vetrate della facciata della chiesa: " Agnello Divino - l’Arcangelo S. Michele - Angelo Custode " - prof. Siletti.

Il 19 marzo 1939 inaugurazione delle tre grandiose vetrate del Coro, "S. Pietro in gloria - liberato dal carcere - sul mare in tempesta" - prof. Siletti.

Il 23 luglio 1939 consacrazione del monumentale altare maggiore - opera del prof. Chiocchiarello - Ditta Allegra, marmista e tabernacolo di sicurezza, Ditta Novo; munifico dono della famiglia Ponza Celestina Serafina e colonnello Giov. Battista.

Il 21 luglio 1940 inaugurazione dei nuovi banchi.

Il 12 ottobre 1941 inaugurazione delle nuove vetrate " S. Francesco d’Assisi agonia di S. Giuseppe - opera della Ditta Albano Macario.

Il 16 luglio 1944 inaugurazione del nuovo altare a S. Rita (2), in marmo bianco statuario che, nei suoi minuti ricami, richiama alla mente gli artistici altari della Certosa di Pavia, - opera della Ditta Allegra; venne pure benedetto il nuovo trittico a S. Rita, opera del prof. Corio, indoratore Morino e statua a S. Rita, opera del prof. Corio.

Nel territorio parrocchiale di S. Pietro sono site le seguenti chiese: Santuario della B. V. delle Grazie - Confraternita della SS. Annunziata - Cappella interna nell’ospedale ricovero - Borgata Bianchi - Gianassi Terrazze - Brassicarda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(1)La ricorrenza della Madonna del Carmine viene celebrata solennemente ogni anno il 16 luglio; la Compagnia della Beata Vergine del Carmine venne eretta nel 1633.

(2)Questo altare, con Decreto pontificio è pure dedicato a San Biagio, vescovo.

Chiesa della Confraternita della SS. Annunziata

 

Questa chiesa fu detta sotto il titolo della SS. Annunziata, certamente prima dell’anno 1618. Se ne fa l’ufficio il 25 marzo, ma la festa solenne si trasporta alla prima domenica di maggio. In tal giorno, al mattino, S. Messa solenne, e nel pomeriggio Vespro della Madonna con discorso analogo e Benedizione del SS. preceduta da novena.

In questa chiesa è eretta la Compagnia dei disciplinanti della SS. Annunziata, come si scorge da patenti del 14 dicembre 1579. Le è unita la Compagnia delle Consorelle, dette umiliate, sotto il titolo di S. Anna, eretta nell’anno 1713.

La chiesa della Confraternita è in istile rinascimento, ispirato alle bellezze dell’antichità. Essa ha la figura ovale con una grande cupola a volta molto elevata.

La pareti interne sono dipinte con figure ed ornati, stile barocco. Vi sono due tribune o coretti, una sopra la sacrestia e serve di camera per le adunanze del Consiglio della Compagnia; l’atra dalla parte opposta serve di sito per le guardarobe dove si ripongono gli arredi sacri, alcuni di broccato d’oro.

L’orchestra è scolpita in legno, con statue d’angeli in stile barocco fiorito. Il coro è molto ampio, di forma quadrata, con gli stalli ed inginocchiatoi per l’ufficiatura. L’altar maggiore e 1a balaustra sono in marmo policromo.

Nel coro campeggia l’icona della SS. Annunzata. Oltre all’altare maggiore, vi sono due altari laterali, cioè l’altare degli Innocenti e quello di S. Anna.

Esistono preziosi quadri, dipinti su tele, con cornici antiche e di pregio. Nel 1935, durante le riparazioni all’Icona del coro, furono rinvenute, dipinte su tela, queste parole, in latino:

D. O. M.

Beato Angelo a Clavasio

Con fraternitatis hujus

Instructori

Beatis fastis adiecto

Gratulates

Confratus Poenites oppidi Villanove.

Dio - Ottimo - Massimo

Beato Angelo da Chivasso

Fondatore della Confraternita

In occasione delle feste celebrative

In onore di questo Beato

Quando fu elevato ai fasti della santità

I Confratelli disciplinanti di Villanova.

Questa scritta vuol ricordare che i confratelli disciplinanti di Villanova, con animo grato, hanno posto un dipinto rappresentante il Beato Angelo da Chivasso, fondatore della Confraternita, al di sopra dell’Icona, nell’occasione delle feste celebratesi ad onore di questo Beato, quando fu elevato ai fasti della santità.

Al di sopra di detta Icona, esiste ancora questa tela che ci rappresenta il Beato Angelo, Padre francescano, avente fra le mani il libro " Summa Angelica ".

 

Santuario della Beata Vergine delle Grazie

E ben dì patrio amor, vincoli forti

Son quindi i Templi e i Santuari aviti.

Pellico

Questo Santuario venne inaugurato e aperto al culto il 14 agosto 1870, a seguito di prodigiosi avvenimenti che si verificarono, particolarmente negli anni 1821-22-23, sul luogo stesso ove sorge il sacro edifizio.

Nei pressi degli antichi bastioni di Villanova, si presentava, nel concavo seno di una valletta, una sorgente d’acqua viva; e coloro che, travagliati da malattie, bevevano con fede di quell’acqua, invocando l’aiuto della Beata Vergine, ne erano tosto guariti.

Secondo la tradizione popolare, nello stesso luogo, una pia giovinetta di nome Maria Bai, che usava condurre al pascolo il bestiame, giunti sul posto, si prostrava in preghiera e alternava fervide orazioni col lavoro delle sue mani.

Durante quel tempo, essa venne più volte rallegrata da apparizioni della Madonna, che espresse il desiderio che venisse eretta una cappella, nei pressi della fontana.

Costruito in seguito un Pilone, o Cappelletta, che esiste ancora oggi, uno straordinario numero di gente, accorse a visitare il luogo, scelto dalla Madonna, per dispensare più largamente le sue grazie.

Le molte guarigioni e grazie ricevute, bevendo con fede l’acqua della fonte, non tardarono a divulgarsi nei paesi vicini. E bello e commovente spettacolo fu il vedere, per anni intieri, ogni giorno, uno straordinario concorso di pellegrini, per visitare il luogo miracoloso, tanto che, gli alberghi, i caffè, le case, erano piene di forestieri, in modo da non poter contenere le persone accorse ad implorare le grazie della Madonna.

Si sentì quindi vivissimo il desiderio di edificare un Santuario, da dedicarsi alla Beata Vergine.

L’onore di innalzare il tempio desiderato, era riservato al pio sacerdote Don Luigi Crovella, nato a Villanova d’Asti l’11 febbraio 1811, ivi deceduto il 26 luglio 1883. Riconoscente alla Vergine, per molti favori ricevuti, confidando nella protezione di Lei, e nell’aiuto dei villanovesi, si accinse all’opera. Erano tempi calamitosi, anche per il succedersi delle fazioni locali dell’amministrazione del Comune. E tante erano le difficoltà che si presentavano a questa erezione, che anche i più zelanti, a cui veniva comunicato il suo pensiero, confermavano di sentirsi venir meno all’attuazione del suo desiderio. Ma Don Crovella perseverava, e forte dell’ascendente sulla popolazione, insisteva per tradurre in realtà le fervide speranze.

Intanto nobilitava la sua missione con un sacerdozio esemplare, porgendo continuo esempio di edificante pietà e di studio della scienza di Dio. E preparava così le vie " vigilando, orando, stando in fede, operando virilmente, e tutto facendo in carità ".

I veri uomini che hanno costruito qualcosa destinato a durare più della giornata della loro vita, hanno sempre avuto una visione trascendentale del mondo, appunto perché hanno giudicato con occhio che andava al di là del momento.

Su progetto dell’architetto Talucchi di Torino, gettava le fondamenta del Santuario nel 1866, e quattro anni dopo, cioè il 14 agosto 1870, veniva aperto al culto da Sua Ecc. Mons. Savio, Vescovo di Asti, tra l’immensa folla accorsa a propiziare nuove grazie, nel tempio, dalla pietà dei villanovesi, inaugurato ad onore di Maria Vergine.

Don Crovella che, della sua vita fece un apostolato per il Santuario che illustra Villanova, ne esultava. Lo specchiato suo disinteresse, la severità della sua esistenza, hanno intessuto intorno al suo nome, fama d’uomo giusto, che ha onorato in vita il paese nativo, e continua ad esercitare sulle anime, l’influsso della bontà, sorretta dalla speranza.

La sua spoglia mortale, dopo oltre cinquant’anni, dal Camposanto venne trasportata nel Santuario da lui fondato, il 3 maggio 1936, presso la fonte degli antichi bastioni. Ricordare Don Crovella, è atto di squisita riconoscenza cristiana.

Le popolazioni cercano ancora, commosse, questo luogo, pieno di tante care memorie, e nel tempio della Madonna, meditano compunte, con quanta fede una folla di credenti accorresse in questi fortunati contorni, ad implorare l’effusione delle divine grazie.

Tutto qui rammenta che la Chiesa non è una compagine di sassi, ma edifizio vivente, di cui Gesù Cristo è pietra angolare, e membri i fedeli, i quali, per la sua grazia, diventano come pietre vive, formate dalla fede, rassodate dalla speranza, riunite dalla carità, giusta il pensiero di S. Agostino.

L’edifizio, artisticamente, rivela le forme dello stile detto dell’Impero o Neoclassico, cioè ritorno alle bellezze dell’antichità romana. Anche l’elemento decorativo, accompagna l’elemento costruttivo. Le arcate sono a tutto sesto, cioè con l’arco a semicircolo. Le decorazioni interne, rendono l’edifizio più leggiadro e spirante tutta grazia e semplicità.

La bella cupola, sormontata da una statua della Madonna, pare inviti il pensiero a staccarsi dalle basse cose, e rappresenti i voti di tutti i fedeli che si elevano concordi a Dio.

I due altari laterali, sono dedicati uno a S. Giuseppe, l’altro a S. Luigi Gonzaga.

Molti miglioramenti vennero recentemente apportati al Santuario, dall’attuale rettore Don Carlo Torta, aiutato efficacemente dalla popolazione. Abbellimento importante, sono le belle invetriate a colori, disegnate a figure di Santi e di storie sacre, ripetendo all’occhio ciò che all’orecchio dicono i sacerdoti, e così, per i sensi e per l’immaginazione, giungendo al cuore e all’intelletto.

Le devote funzioni, sono seguite dal popolo di Villanova, che si porta sovente al Santuario, massime alla domenica, in cui l’anima si mette più a contatto con Dio.

Le sacre immagini, il bellissimo simulacro della Madonna col Bambino, i numerosi ex voti, e la tomba del fondatore del Santuario, addormentato nella speranza della risurrezione, tutto infonde una pietà austera insieme e consolante.

E viene invocata da tutti, la Beata Vergine delle Grazie, perché prenda a prosperare, le nostre famiglie e le nostre campagne ,e interponga la sua mediazione presso Dio, affinché comandi alle nubi che apprestino a tempo opportuno le piogge fecondatrici; comandi al sole che, con l’attività dei suoi raggi, maturi i frutti dei nostri campi; comandi alle grandine che non portino danno ai nostri poderi, e allontani dalle nostre case e dalla nostra patria, le infermità e le discordie.

Feste religiose in cui più particolarmente viene Invocata la B. V. delle Grazie in Villanova d’Asti

Prima domenica di agosto: Festa solenne annuale del Santuario, con concorso di grande numero di fedeli.

L’Immacolata Concezione (8 dicembre) in onore di Maria Vergine, preservata dal peccato originale.

La Natività di Maria Vergine (8 settembre).

L’Annunciazione (25 marzo) che ricorda l’Incarnazione del Figlio di Dio.

La Purificazione (2 febbraio).

L’Assunzione di Maria Vergine al cielo (15 agosto) che ricorda la sua assunzione in corpo e anima al cielo.

Il santo Rosario (nella prima domenica di ottobre).

La devozione con cui più comunemente, il popolo di Villanova, onora Maria Vergine, è quella del santo Rosario.

Frazione Valdichiesa

La frazione Valdichiesa è una piccola borgata dipendente dal Comune di Villanova, presso la carrozzabile che da Villanova conduce a Riva presso Chieri, e vicinissima alla linea ferroviaria Asti-Torino. Si giunge da Villanova in tre quarti d’ora di strada.

Anticamente era munita di castello, circondato da ampio e profondo fossato. Valdichiesa apparteneva alla Contea di Asti. Questo castello fu eretto in feudo da Galeazzo Visconti Duca di Milano, il 25 ottobre 1370 e assegnato a Margherita

e Isottina Borgognino, sorelle, nell’anno 1371 e queste ne furono le prime feudatarie.

Furono in seguito Signori di Valdichiesa: Guglielmo Asinari nel 1423, poi Margherita Asinari, poi Valperga Ghirone conte di Masino fino al 1626; poi il figlio Ghirone Francesco Villa e 1a sorella Silvia Maria fino al 12 luglio 1670. Il feudo passò poi al Marchese di Breglio Giuseppe Lodovico Solaro fino al 1702, poi a Cesare Giustiniano Afieri fino al 1796. L’ultima signora di Valdichiesa è Visconti Venosta Luisa, nata Alfieri, che con regio assenso in data 21 aprile 1903, assume il titolo di Marchesa di Breglio e signora di Valdichiesa.

Il capitano Bertolino da Verona, il 6 aprile 1395, entrò con le sue genti d’armi in Valdichiesa, allora forte piazza di confine. Per ricuperare la piazza di Valdichiesa, fu inviato un corpo di truppe sotto gli ordini di Giovanni Pallido, nobile cittadino astese, che in accordo col podestà di Villanova, potè ottenere il pacifico sgombro della piazza di Valdichiesa, mediante compenso in denaro. Così fu aggiustato, con reciproca soddisfazione, un affare donde avrebbero potuto scaturire deplorevoli conseguenze.

Presentemente solo una piccola parte esiste ancora di questo già forte e contrastato castello, adibito ora ad abitazione agricola. Nell’archivio comunale di Villanova d’Asti, troviamo due documenti che riguardano Valdichiesa.

Documento dell’anno 1626: Atti criminali istituiti dal governatore Reinaldo di Villanova, contro certi Lionello, Bosio, Asinari, feudatari di Valdichiesa, per offese fatte a quei di Villanova. Documento dell’anno 1631: riguardanti atti di lite contro il marchese di Ciriè, per la dipendenza del castello di Valdichiesa da questo luogo (Villanova).

L’attuale chiesa è dedicata alla Beata Vergine. Il santo titolare della chiesa è S. Bernardo di cui ricorre la festa li 20 agosto. Esiste 1a casa per il sacerdote cappellano.

L’amministrazione è affidata al Rettore della Borgata, nominato dai borghigiani. Per le funzioni religiose è addetto ora come cappellano il Rev. Don Giovanni Asso, abile maestro d’organo nella chiesa dell’arcipretura di S. Martino in Villanova d’Asti, ove dirige pure la scuola di canto corale, semenzaio di giovani cantori, ed insegna l’arte bella che affina il sentimento e fornisce nobile riposo dalle più pesanti fatiche.

La scuola elementare della frazione, provvede per l’istruzione degli alunni.

Frazione Corveglia

La borgata Corveglia, ebbe un passato più grandioso dell’attuale presente. Della sua storia abbiamo parlato nei cenni storici. Un tempo appartenne ai Conti di Biandrate e ai Signori di Riva. Concorse alla fondazione di Villanova cogli altri borghi e castelli vicini. Gli abitanti furono sempre buoni e attivi lavoratori.

Anticamente, oltre il monastero delle Benedettine, esisteva un convento dei Canonici regolari di S. Agostino, la cui chiesa di S. Pietro era ancora in piedi, nell’anno 1343, e oggi si vedono ancora le antiche tracce.

Il castello di Corveglia, prima di essere adattato completamente ad abitazione rustica, apparteneva al Conte Emilio di Groppello.

Questo paesaggio, nel corso dei secoli, ha continuato a plasmarsi e a tramutarsi, assumendo altre forme anch’esse moriture e caduche, come tutte le forme dell’universo.

Esiste una modesta cappelletta dedicata a S. Antonio da Padova, e se ne fa la festa il 13 giugno.

Frazione Brassicarda

(Cappella dei Bianchi - Cappella dei Gianassi-Terrazze)

Anticamente era detta Braida Sicardae, ed era forte castello. Vi risiedeva l’autorità giudiziaria ed il Comando militare.

Si giunge dal capoluogo, dopo tre quarti d’ora di strada, attraverso a fertili campi coltivati a grano, segala, granoturco, canapa, lino, e a belle distese di praterie. Su questi piani e in prossimità sono pure distribuiti gli sparsi casolari delle frazioni Bianchi, Gianassi, Terrazze.

Questa terra era dei potenti Conti di Biandrate al tempo della massima grandezza di questi signori, feudatari di numerosi villaggi e castelli (1). Brassicarda è più antica di Villanova. Verso il 1300 durante le guerre tra i Conti di Biandrate e la Repubblica Astese, nella battaglia che si venne a mezzogiorno di Buttigliera d’Asti, il Conte Manuel di Biandrate fu sconfitto e perdette molte terre e castelli, e pure il castello di Brassicarda ne ebbe grande rovina.

Brassicarda fu in seguito nel feudo di Villanova d’Asti, e ne venne smembrata e data in feudo a Possavino Giov. Francesco il 13 settembre 1734 con titolo di Conte. Da questo passò alla figlia Margherita, maritata Borgera Francesco Antonio, Barone di Cly, il 17 gennaio 1738. Passò poi al Conte della Motta Avogadro Francesco, il 13 settembre 1765. L’Avogadro vendè il Castello di Brassicarda al Marchese d’Olmo, Gozzani Giov. Battista, il 26 novembre 1773. Questo fu l’ultimo Conte di Brassicarda.

Del castello si vede ancora una piccola parte ridotta a cascina. Questa frazione conta oggi una dozzina di famiglie, parecchie case, la chiesa. La miseria qui è sconosciuta e ognuno ha più di quanto occorre ai propri bisogni. E’ ricordata una certa contessa Lupis, che ha lasciato un legato per la bella e artistica chiesetta di Brassicarda, ove si trova un quadro su tela dedicato a S. Anna, Patrona del luogo, dipinto dalla nota pittrice Eufemia Navone. Suo marito ragioniere Navone, nativo di queste località, era addetto a Roma, presso il Ministero delle Finanze. Questa pittrice, vera anima di artista, dipinse pure un quadro, per la chiesa di Gianassi - Terrazze, rappresentante S. Anna con Maria bambina e uno rappresentante S. Sebastiano, a cui è dedicata la chiesa. E’ pure sua opera il quadro esistente nella cappella del cimitero di Villanova, dedicato alle anime del Purgatorio.

La chiesa di Brassicarda si crede eretta nel 1680. Essa è di proprietà di Leone Benedetti, coi banchi nella medesima esistenti, come appare da istrumento in data 24 dicembre 1877 al Rogato Cassinis (Torino). Questa chiesa, nel suo interno, rappresenta una costruzione ovale, con una volta rotonda, posta sulle mura che la circondano. L’altar maggiore, eretto simultaneamente alla chiesa, è tutto in legno ed in alto vi troneggia l’espressiva tela di S. Anna.

Ha una sacrestia ed un’ariosa casa per il sacerdote Cappellano. L’amministrazione è affidata al rettore in carica. Si celebra 1a solennità di S. Anna il 26 luglio, con l’incanto di oggetti offerti a beneficio della chiesa.

Mentre diamo queste notizie, la chiesa è fatta funzionare dal cappellano Rev. Don Giuseppe Gallina, apprezzato per l’attività e predicazione.

In queste chiesette di campagna, abbiamo avuto occasione di assistere alla santa Messa domenicale. Bisogna aver un po’ sofferto, o almeno veduto a soffrire, per intendere bene la pace, la serenità mesta che mette nell’anima una funzione religiosa nella chiesa di un villaggio. Tra quel silenzio raccolto, si dimenticano le nostre superbie, le nostre vanità, per sentirci più buoni, di una bontà umile e profonda.

Da questi banchi consunti, da quel nudo pavimento ammattonato, quante preci umili sono salite fino a Dio! Per un’ora almeno, tutti quei buoni agricoltori, quelle umili massaie, dimenticano le loro fatiche, dimenticano i campi fecondati dal loro sudore, assorti nella preghiera e nella contemplazione del paradiso, dove non si pena e non si piange, dove Dio fa splendere un sole eterno.

(1)Il Conte di Biandrate era un potente feudatario ai confini di Asti tra Chieri e il Monferrato

Cappella dei Bianchi

Il santo titolare è S. Sebastiano. E’ stata eretta l’anno 1785. La sua struttura è di ordine toscano, con una sola Volta rotonda. Vi è una tribuna in fondo alla chiesa, sopra la porta d’entrata e serve da orchestra. Esiste un piccolo coro di forma semicircolare. Alla chiesa è annessa la casa per il sacerdote cappellano. L’amministrazione è affidata al Rettore della borgata, nominato dai borghigiani. La festa titolare si celebra nella quarta domenica di ottobre, con l’incanto degli oggetti offerti a beneficio della chiesa.

Cappella di Gianassi - Terrazze

Il santo titolare della chiesa è S. Sebastiano. Si ignora l’anno della sua erezione, che è ab immemorabili. La struttura è antichissima. L’altare maggiore in marmo, è dedicato a S. Sebastiano. Esiste un altare laterale dedicato al Sacro Cuore. Vi è un coro di forma rettangolare, e una sacrestia. Il campanile, di costruzione recente, è stato ideato dall’ing. Sonaglia di S. Paolo Solbrito.

Esiste la casa per il sacerdote. L’amministrazione è affidata al Rettore in carica. Si celebrano due solennità: la festa di S. Sebastiano il giorno 20 gennaio, con Messa cantata e Vespro, preceduti da una novena con Benedizione del Santissimo. Si celebra pure nello stesso modo, la festa del Nome di Maria, nella seconda domenica di settembre, con l’incanto degli oggetti offerti a beneficio della chiesa

Per le suddette frazioni esiste la scuola elementare, con adatto locale, costruito appositamente.

Frazione Savi

La borgata Savi è formata dalla chiesa, dalla scuola, da un asilo infantile e da un aggregato di case, situate a destra della carrozzabile per Buttigliera d’Asti. Si giunge, dal capoluogo, in tre quarti d’ora di strada.

A dar pregio al paesaggio, C’è l’effetto scenico delle colline a levante, e a ponente sono estese pianure tenute a praterie e a campi ricchi di cereali, solcati da aratri indefessi, per cui questi borghigiani possono vantarsi di quella nobile gloria quotidiana che si chiama lavoro.

Il nome della borgata Savi, pare abbia un’origine antica. I nomi di alcune località, quando i feudi si resero ereditari verso il mille, furono dedotti da qualità personali degli abitanti, e così avvenne per alcuni cognomi di famiglie, dedotti dal nome della località abitata. E savi dovettero essere gli abitanti che diedero il nome a questo luogo, poichè, ancora oggi, le famiglie sono formate di gente sana, sveglia ed arguta.

Della chiesa parrocchiale, riportiamo chiarimenti e preziose notizie che gentilmente ci vennero date dall’ottimo e zelante prevosto Rev. Alfredo Don Greppi.

La chiesa è in stile barocco, un bel barocco semplice e puro, degli allievi del Juvara, privo di elaborazioni sforzate che spesso deturpano.

La navata è unica, con due altarini laterali, e termina in appropriata cupola.

Non risulta da chi sia stata eretta, nè quale sia l’anno della costruzione. Si dice che promotori e benefattori di sì bella opera, siano stati i signori Lamarmora, tra i quali primeggia, nel perenne ricordo, la religiosissima e generosa damigella Enrichetta Marchesa Lamarmora.

Il castello di quei bravi nobili, ora demolito, era nella località che ancora oggi si denomina Ciocchero.

La chiesa conserva una graziosa statua di " Mater Purissima " in legno dorato, (opera del 700) che si crede donata da Madama Cristina di Savoia, alla Lamarmora, la quale a sua volta ne avrebbe fatto dono alla Parrocchia.

Dapprima semplice Cappellania, dipendente dalla Pievania di S. Pietro in Villanova d’Asti, la chiesa di S. Marco Evangelista dei Savi, venne poi eretta a parrocchia nel 1831, dietro le istanze della nobile Famiglia del Ciocchero.

Della distinta famiglia dei Savio, è oriundo il cav. Giuseppe Savio, anima grande e generosa, che alla sua borgata ha donato un grazioso asilo infantile nei primordi del 1906, il quale ospita i bimbi del luogo, sotto la materna direzione delle Suore del Cottolengo.

Anche qui, come in altri borghi lontani dalle rumorose città, avviene di incontrarci con della buona gente, seria, ordinata, tranquilla, che attende ai fatti suoi, che ripone fiducia nel proprio lavoro, che evita i danni dell’ambizione e degli eccessi d’ogni genere.

Ed è proprio nei tuguri umili e nelle casette povere, che abbiamo trovato uomini semplici, non abituati alle raffinatezze delle città, ma pieni di spontaneità naturale. Essi ignorano 1a teoria degli opportunisti, e vedono la vita nel suo aspetto semplice, umile e buono; in loro c’è quel sentimento della bontà e della gentilezza che talvolta, uomini ricchi, non saprebbero neppure immaginare.

I dintorni di Villanova

S. Paolo Solbrito

S. Paolo Solbrito fu costituito in unico Comune il 15 febbraio 1928, epoca in cui furono uniti i due Comuni di S. Paolo della Valle e di Solbrito, in un solo Comune denominatosi S. Paolo Solbrito. Il Comune di S. Paolo Solbrito, ad Est di Villanova, di cui dista appena tre chilometri, sorge parte in pianura e parte in collina.

Ha clima salubre. Nella sua valle corre la ferrovia Torino - Alessandria. E’ a 265 metri sul livello del mare. Misura 1195 ettari. Ecclesiasticamente forma due parrocchie, con 1112 abitanti. Non conserva resti di quello che fu il paese nei secoli passati. Si sa soltanto che l’antichissimo castello di S. Paolo, demolito al principio del secolo XIX, era di origine romana.

Nel paese vi è l’ufficio postale, telegrafico e telefonico. E’ in attività il servizio di assistenza sanitaria; l’ambulatorio funziona regolarmente, con un medico, tre volte la settimana.

Da anni svolge benefica attività l’asilo infantile - Cav. Lino Sonaglia. - Le cinque classi elementari, completano, per quanto possibile, l’istruzione dei fanciulli del paese.

Vi sono, nel paese, due chiese parrocchiali: quella di S. Paolo della Valle e quella di Solbrito. La chiesa parrocchiale di S. Paolo, con tre navate, e cupola ampia ed alta, è situata sulla piazza al centro del paese. La sua facciata è del rinascimento. Ha uno snello e moderno campanile con concerto di otto campane. Nell’interno è di stile romanico. Dedicata alla conversione di S. Paolo apostolo; possiede tele degne di rilievo, quali il quadro del Rosario nella cappella omonima, della scuola del Moncalvo, e il quadro della Sacra Famiglia, nella cappella omonima, del Lorenzoni.

Nel territorio della parrocchia di S. Paolo della Valle, sorge pure, fra ridenti vigneti, li Santuario della Madonna di Serra, e la Cappella dedicata a Sant’Anna, nella collina Ravizza.

Nel Comune di Solbrito, la chiesa parrocchiale è dedicata a S. Pietro in Vincoli.

La facciata, restaurata recentemente, è in stile barocco, mentre nell’interno ha stile gotico misto a romanico (1).In quel di Solbrito, sorge pure una cappella dedicata a S. Rocco e, nella valle, una graziosa chiesetta dedicata alla Madonna.

E’ notevole il castello del Conte Gianazzo di Pamparato, con magnifico parco. Il clima sano e la lussureggiante vegetazione hanno fatto sorgere ville che non mancano di eleganza e di buon gusto.

Sono da ricordarsi per opere benefiche compiute, il cav. Lino Sonaglia, che fondò l’asilo infantile, e la Contessa Maria Gay Morenco di Montariolo, che, in ricordo del suo marito, edificò nel giardino dell’Asilo, il Padiglione " Conte Ernesto Gay di Montariolo "

Il territorio del Comune è coltivato a cereali, dei quali principale il frumento. La parte collinosa è coltivata a viti; quindi, prodotti principali sono: grano, foraggi per bestiame, uva e frutta.

(1) Il Teol. Lanfranco D. Giuseppe ora parroco di Solbrito. Fu cappellano degli Alpini nella prima Guerra Mondiale (1915-18)e si distinse per l’audacia e l’abnegazione con cui esercitò il suo ministero anche in zone battutissime dal fuoco del nemico. Si meritò per il suo audace comportamento due medaglie di bronzo e una di argento con la seguente motivazione: "Durante un periodo di azioni assolveva il suo ministero con fermezza e coraggio; risolutamente si portava anche in luoghi fortemente battuti dal fuoco nemico e benché ferito e con l’ordine di ricovero in un ospedale, restava al suo posto e rincorava con la parola e l’esempio i combattenti allo resistenza, confermando in tal modo le sue belle qualita’ di sacerdote e di soldato. Melette Davani di Gallio, 16 novembre 1917 "

Il borgo di S. Paolo esisteva già prima del 1148, anno in cui gli astigiani contribuirono alla costruzione e ingrandimento di Villanova, obbligando in seguito gli abitanti di S. Paolo, Solbrito e Dusino, ad andarlo ad abitare per difendersi così dalla repubblica di Chieri. Un primo accenno di S. Paolo Solbrito si ha soltanto nell’anno del Signore 590, anno in cui Bruningo, vescovo di Asti, permuta beni in Agliano, contro altri, siti in S. Paolo e in Solbrito.

Nell’anno 1553, il capitano spagnuolo De Suades, inseguendo da Valfenera i francesi, li sconfigge in battaglia a S. Paolo, inseguendoli poi fino a Chieri.

Solbrito ha origine più remote di S. Paolo. Pochi anni fa, si ammirava ancora, in territorio di Solbrito, il magnifico castello, con ampio parco, dei Marchesi Colli di Felizzano.

 

San Michele

Il paese si trova a 271 metri sul livello del mare e dista circa cinque chilometri da Villanova. A levante sovrasta a due belle vallate fiancheggiate da fertilissimi vigneti. Verso ponente invece si estende la pianura. Nell’estate si presta a bellissime passeggiate.

Per il servizio di assistenza sanitaria dipende da Villanova e così pure per l’ufficio postale telegrafico e telefonico.

Esiste la Congregazione di Carità fondata da diversi benefattori di S. Michele. E’ in attività l’asilo infantile fondato nell’anno 1876 dalla signora Berrino Teresa ved. Avalle, ed eretto in Ente morale. La scuola provvede all’istruzione elementare dalla 1.a alla 4.a classe.

La chiesa, eretta in parrocchia l’anno 1656, è di stile barocco. Nonostante l’antichità è molto ben conservata e sufficiente per la popolazione, che è di circa 600 anime. E’ dedicata a S. Michele Arcangelo, di cui si ha un artistico quadro, ancona, nel coro. Altra tela di valore si ha nella cappella della Madonna, che serve pure per ancona, e rappresenta in alto Maria Santissima, più in basso S. Antonio Abate, S. Francesco d’Assisi e S. Sebastiano martire.

Esiste pure un artistico battistero in marmo, di forma ottagonale, della ditta Alberto Barsanti di Pietrasanta (Carrara).

Nel paese è da ammirarsi l’antichissimo Castello dei Conti Curbis di S. Michele e di S. Raffaele. Presentemente è di proprietà del Conte Carlo Raggio di Genova.

Insigne benefattrice di S. Michele fu la signora Berrino Teresa ved. Avalle, che con testamento, lasciò quanto possedeva in denaro e beni stabili, alla Congregazione di Carità e all’Asilo infantile.

Il territorio è coltivato a vigna, campo e prato, ed è abbastanza fertile.

Causa leggi fasciste, S. Michele, nell’anno 1928, fu privato dell’ufficio comunale e divenne una frazione di Dusino. Si spera ora che ritorni Comune autonomo.

 

Cellarengo

Cellarengo dista da Villanova circa 10 chilometri. Presenta una bella varietà di aspetti, con terreno ondulato formato di altipiani e vallette, coltivato a vigneti, a campi e prati E’ a 321 metri sul livello del mare. Qualche spazio di terreno è ancora tenuto a bosco con diverse qualità di piante, principalmente quercie, pini, castagno, frassino, faggio, olmo, gaggia, ecc.

E’ capoluogo di Comune. Per l’assistenza sanitaria il Comune è consorziato con Valfenera. Esiste la Congregazione di Carità e l’asilo infantile diretto dalle Suore Paoline, le quali hanno pure un laboratorio femminile.

E’ notevole il palazzo comunale, come pure il locale scolastico, fatti costruire a regola d’arte.

Il sentimento religioso è ravvivato dalle Associazioni Cattoliche: la Compagnia religiosa del Santissimo Sacramento, del Santo Rosario e delle Figlie di Maria.

La chiesa parrocchiale, di stile barocco, è dedicata a S. Giovanni Battista. Possiede varie opere artistiche, tra le quali una bella statua della Madonna del Rosario che è un vero gioiello d’arte, di stile barocco, e alcuni armadi in stile e di pregio.

La popolazione ha per Patrono S. Firmino vescovo di Ucezia nella Francia Narbonese. La sua cappella è stata ultimamente ampliata e decorata e possiede una bella statua rappresentante il detto Patrono.

Anche la chiesa parrocchiale è stata restaurata. E qui va ricordato il prevosto Don Giuseppe Cotto che, per adattare la chiesa alla cresciuta popolazione, pensava ad ingrandirla. I lavori incominciati nel 1928 furono terminati nel 1930. Bella opera che fa onore a chi la promosse e alla popolazione che, col Parroco, volle concorrere nella spesa. La chiesa fu ampliata di parecchi metri, con la costruzione di due braccia laterali e di un’alta e magnifica cupola, dalla quale si osserva la circostante campagna e il grazioso panorama che si svolge intorno. Un concerto di tre campane arricchiva la chiesa; dette campane furono inaugurate nell’Epifania del 1934.

Persona illustre, da ricordare fu pure il Rev. Canonico della Cattedrale di Asti, Don Cerrutti, nativo di Cellarengo fondatore dell’Opera Pia Michelerio in Asti.

Titolare della parrocchia e del benefizio è S. Giovanni Battista. La popolazione conta circa 800 abitanti. Vanno ricordate le cappelle campestri: cappella di S. Orsola, della Compagnia di S. Orsola o Figile di Maria - cappella di S. Baldassarre, martire della legione tebea - cappella di S. Firmino, patrono del paese - cappella di S. Grato - cappella di Maria Ausiliatrice -. cappella di S. Pietro.

Una particolare menzione merita la cappella della frazione Menabò. Vi si celebra la Messa nei giorni festivi.

Infine vanno ricordati due castelli, uno del paese, l’altro della frazione Menabò. Questo di Menabò fu in parte distrutto alcuni anni fa. Quanto al castello del paese, era un bell’edificio medioevale; aveva un ampio salone e parecchie camere. Nelle adiacenze aveva giardini e frutteti. Il viale, con piante di platano, costeggiava una bella vigna, di proprietà del castello. Proprietario del castello era ultimamente il conte Riccardi di Netro, il quale morendo in ancor giovane età, lasciava erede la sorella, contessa Rita, che vendette il castello agli ebrei, fratelli Iona di Canale. Questi, a loro volta, lo rivendettero ad alcuni contadini, i quali ultimi, verso il 1880 lo distrussero per venderne i mattoni. Così ora del castello non rimane più traccia.

Dusino

Dusino dista poco meno di cinque chilometri da Villanova e trovasi ai margini della strada provinciale Torino - Asti. La circostante campagna ed il grazioso panorama che si svolge intorno, formano ornamento e decoro di questi luoghi.

L’aspetto dei poggi e delle colline, ridenti di vigneti, cereali, foraggi per bestiame, frutteti, hanno contribuito a far sorgere case e ville che non mancano di eleganza e di buon gusto.

Il vecchio castello del notaio Leopoldo Baietto è ora abitato dal cav. ing. Rostagno.

Dusino fu già in possesso di Ascanio I marchese d’Italia vivente nell’anno 890; più tardi passò ai Conti di Biandrate Signori di Riva di Chieri; poi venne dato in feudo a Raimondo Asinari nel 1250, con titolo di Signore di Dusino.

La Pieve di S. Martino di Dusino era una delle prime parrocchie della diocesi, per antichità. Capoluogo di Pieve in queste pianure era la Pieve di S. Martino di Dusino esistente già prima del 941.

Le Pievi furono le prime chiese pubbliche, ed erano centri di plebe, ossia di popolazione, dove si insegnava la religione ed anche le arti ed i mestieri.

Nella seconda metà del 1500 fu data a tutti i Parroci piena autorità nel governo delle anime, indipendentemente dai Pievani, e questi furono sostituiti dagli Arcipreti, con una relativa preminenza sopra il clero delle chiese parrocchiali minori, e l’incarico di trasmettere loro gli ordini papali e vescovili.

In quel tempo avvenne il trasferimento del benefizio e delle funzioni arcipretali di Dusino, all’arcipretura di Villanova; e da allora la chiesa di s. Felice, cambiò titolare e cominciò a chiamarsi chiesa di S. Martino.

A Dusino, dopo questo trasferimento, le funzioni religiose si svolgevano nella cappella di S. Rocco, da un sacerdote mandato e spesato dall’Arciprete di S. Martino di Villanova. Nei successivi rimaneggiamenti, la carica di Vicario spettò sempre all’Arciprete di S. Martino di Villanova. Dusino riebbe la sua parrocchia autonoma nel 1884.

La chiesa ora esistente a Dusino, è in stile rinascimento, ricca di marmi e di pitture, per merito dell’attuale Prevosto Don Alessandro Pescarmona che da oltre 45. anni regge la parrocchia. Sono degne di osservazione e di pregio, una Maddalena e la Sacra Famiglia, di autori ignoti ma assai pregiati. Si osservano pure i quadri: S. Francesco che riceve le stigmate e la fuga in Egitto, pregiato sì l’uno che l’altro dipinto. L’altare e la balaustra sono del Juvara, provenienti dalla chiesa Ducale del Regio Parco. Esiste un organo tubolare molto pregiato. Sculture del settecento molto ben conservate.

Sono ricordati con rimpianto: il prof. Camillo Marocco, già insegnante di belle lettere, e appassionato ed apprezzato cultore di musica, quale esecutore e quale compositore; il Generale Luigi Berardi medaglia d’oro e il Tenente Alberto Berardi, deceduto nel febbraio 1942 sul fronte russo.

L’istruzione elementare viene impartita regolarmente e proficuamente nel corso elementare completo fino alla classe quinta, in adatto locale provveduto dai Comune.

Ferrere

Ferrere è località abbastanza pittoresca; ne meno vario e piacevole è l’aspetto che offrono all’occhio, i poggi e le colline ridenti di vigneti, cereali, frutteti, foraggi per bestiame. Spazi di terreno poco fertile, vengono tenuti a bosco, le cui piante vengono scalvate ad ogni periodo di alcuni anni, producendo così ottima legna per il riscaldamento invernale. E’ notevole altresì il raccolto delle nocciuole.

Vi sono gli uffici comunali e l’ufficio postale intercomunale. Funziona regolarmente il servizio di assistenza sanitaria.

Il locale scolastico, di recente costruzione, è ben attrezzato.

Interessante il museo di insetti e di uccelli rari, regalato alle scuole dai Signori Somaglino, eredi del dott. Monticone.

La chiesa parrocchiale, in buon ordine, è dedicata a S. Secondo martire. E’ a una navata centrale e due navate laterali cieche. Stile rinascimento. Costruite circa il 1600, prolungate di una campata in avanti nel 1700; restaurata ed abbellita nel 1925 - 26. Non ha tele di pregio artistico, se si eccettua una Madonna col Bambino, di autore ignoto.

Buoni affreschi di Morgari Junior, e un grandioso altare in marmo in stile barocco.

Non esistono associazioni all’infuori di quelle religiose di Azione Cattolica.

Degna di nota è la villa Somaglino, già sede del Comando della V Divisione Alpina del Comitato volontari di liberazione.

Il Castello dei Conti Garretti di Ferrere, passato ai Conti Gromis di Trana nel 1848, ora di proprietà Navarino, è di buona architettura e ben conservato. Nel periodo dell’insurrezione partigiana, fungeva da ospedale militare ed era corredato di piccola radio trasmittente, clandestina.

Nel periodo della lotta clandestina contro l’invasore tedesco, Ferrere ospitò un forte nucleo di partigiani. Non mancarono i brutti quarti d’ora.

Nell’agosto 1944, un primo rastrellamento ad opera dei repubblicani di Mussolini. Il 25 novembre 1944 le Guardie nere tornarono in compagnia dei tedeschi, mettendo a soqquadro tutto il paese: sparatorie, cattura di civili inermi, un partigiano ucciso a fucilate (certo Baruffaldi Eligio, di Buttigliera, residente a Villanova d’Asti).

Nella notte del 26 e nel pomeriggio del 27 novembre 1944, brevi incursioni di guardie nere per rintracciare la Radio clandestina, installata nel Castello; ma non fu trovata.

Il 9 dicembre altro rastrellamento da parte di SS tedesche, in cerca di armi e di partigiani.

Nel gennaio, febbraio, marzo 1945, frequenti visite notturne di areoplani inglesi che operavano lanci di armi, munizioni, vestiari e viveri ai partigiani.

Il 7 marzo 1945, durante la famosa battaglia di Cisterna, che fiaccò l’orgoglio dei Repubblicani di Mussolini, alcune bombe caddero sul territorio di Ferrere (collina S. Giuseppe) senza produrre però danni nè vittime.

Valfenera

Valfenera dista cinque chilometri da Villanova e segna come il confine delle valli astigiane sul ciglio dell’altipiano verso Torino. Già dagli antichi Romani era chiamata Valiis Fimaria, appunto perchè situata all’estremo limite delle valli astigiane.

Se da Valfenera si volge lo sguardo a tramontana, si vede profilarsi la maestosa corona delle Alpi; e chi ha l’occhio aperto alle bellezze della natura, sente l’influsso che viene così dai grandi panorami dei monti, come dalle armonie e dai minimi contrasti di queste campagne. Guardando invece a levante, le colline discendono a dolce pendio con tratti alternati di vigne, di campi e di folte macchie. Dall’insieme si ha l’impressione di una campagna amena, tranquilla. L’occhio riposa sui verdeggianti declivi; qui il pittore e il fotografo troverebbero motivi di gusto, piacevoli contrasti di luce e di colori.

Valfenera ha una storia che l’onora, e fin dall’inizio della vita comunale, ebbe fra i suoi cittadini, persone ragguardevoli per senno e per virtù.

I primi feudatari di Valfenera, furono i signori di Gorzano che possedevano vaste estensioni di terreno tra Ferrere, S. Damiano, Canale, Valfenera, Dusino, Pralormo. Per oltre tre secoli, Cioè dal 1040 al 1400, i Gorzano furono feudatari di Valfenera.

Valfenera, come molti altri centri abitati del Piemonte, fu nel 1500 e nel 1600, più volte assediata e saccheggiata da opposte forze in conflitto, particolarmente tra Francesi e Spagnuoli.

"Villanova era piazza forte nelle mani dei Francesi, e Valfenera fu scelta come centro avanzato delle truppe Spagnuole.

Da questo fatto derivarono le rivalità fra questi due Comuni. E le guerriglie, con attacchi e scorrerie tra Villanova e Valfenera, durarono molti anni, con alterna vicenda. Ma in seguito, passato il domimo di queste terre sotto il Marchesato di Saluzzo e sotto la Casa Savoia, i rapporti fra Valfenera e Villanova si fecero cordiali, tenendo solo presente il miglioramento economico, civile e sociale delle rispettive popolazioni " (1). Gli ultimi signori di Valfenera furono i Marchesi Morozzo della Rocca. E’ interessante per Valfenera ricordare alcuni signori di questa illustre e benemerita famiglia.

- il Marchese Gaspare Filippo, che ereditò il castello e le vaste tenute di Valfenera. Arricchì il castello di una bellissima cappella che fu conservata fino al 1911.

- Carlo Filippo, fu aiutante di campo del Capo di Stato Maggiore durante le trattative col generale Bonaparte per l’armistizio di Cherasco il 28 aprile 1796.

- Enrico, capo di Stato Maggiore dell’esercito durante la guerra del 1859 e Ministro della Guerra.

- Federico, nato a Valfenera, fu Generale di cavalleria e aiutante di campo di Vittorio Emanuele II.

(1) G. B. Marocco - Valfenera nei secoli della sua storta.

- Marchesa Carolina Morozzo della Rocca, che rimase nubile; passò gran parte della sua lunga esistenza nell’avito castello di Valfenera.

Per la sua azione benefica nel campo scolastico, il Governo le decretò una medaglia d’oro di benemerenza, e in quella occasione Valfenera disse la venerazione e la gratitudine verso l’ottima Marchesa. Morì nel 1911.

Notevole importanza venne data in questo Comune alle opere pubbliche di assistenza e alle istituzioni che interessano il benessere e il progresso della popolazione.

Per l’interessamento e per gli aiuti finanziari dati da

S. E. il Senatore e Ministro di Stato Tommaso Villa, si realizzò una provvida opera a favore dell’infanzia, cioè un adatto locale per l’asilo infantile. Su disegno dell’ing. Giuseppe Villa, venne costruito l’edificio e aperto l’asilo nell’anno 1881, debitamente attrezzato e fornito di adatto materiale didattico.

Il Ricovero - Ospedale per i poveri del paese, è dovuto al cuore generoso del capitano Luigi Zabert e al notaio Francesco Binelli, che lasciarono le loro case e le loro sostanze, per dar vita e sviluppo all’importante opera di assistenza. Altri benefattori sussidiarono questo ente, fra i quali Paolo Scanagatti offrendo lire 40.000.

La chiesa parrocchiale, che oggi si presenta abbellita e ricca di artistiche pitture, ha subito nel corso di secoli, modifiche, restauri, ampliamenti, prima di avere una sistemazione definitiva. Divenuta insufficiente ai bisogni della popolazione, nell’anno 1882, per iniziativa del prevosto D. Giovanni Cortese, la chiesa veniva allungata di una campata. I lavori durarono parecchi anni e furono ultimati dall’attuale prevosto Teol. D. Luigi Quaglia. I lavori di pittura furono eseguiti dal Morgari, con affreschi pregevoli. Dallo stesso Teol. D. Quaglia, la chiesa venne arricchita dalla costruzione del pulpito, della tribuna, dell’organo e di altari con rivestimenti in marmo.

Esistono altre chiese o cappelle, nel capoluogo e sparse nel territorio del Comune, delle quali ci limitiamo a darne cenno (1)

Chiesa Santuario di S. Andrea apostolo. E’ situata sul ciglio della strada che discende verso Ferrere. Già nel 1345 figurava nell’elenco delle chiese astesi. Subì col tempo molte ricostruzioni e restauri, e per parecchi anni venne lasciata in uno stato di abbandono. Nei valfeneresi però non venne mai meno la devozione al Santo che avevano scelto a protettore delle loro terre.

E S. Andrea premiò questa loro fede con prodigiose guarigioni di infermi, tra le quali è ben nota l’istantanea guarigione di certo Giovanni Vito Ferrero che da lunghi mesi si reggeva con l’aiuto di bastoni e stampelle, per una sciatica viziata alla gamba sinistra che gli procurava veementi dolori e lo costringeva a tenere il letto quasi continuamente (23 aprile 1764). Ogni anno, li 4 maggio, viene commemorato il " miracolo " con speciali funzioni religiose a cui partecipano molti fedeli, del posto e dei paesi vicini. Il 30 novembre, ricorrenza di S. Andrea, si festeggia pure con Messe per tutto il corso della mattina.

Chiesa parrocchiale della Natività’ di Maria Vergine in Villata. E’ una delle chiese più antiche di Valfenera. E’ compresa nell’elenco delle chiese già nel 1345. Venne eretta in parrocchia nel 1923 con Decreto di Mons. Luigi Spandre. Subì’ parecchi restauri ed ampliamenti verso il 1890 e fu sopraelevato il campanile. In seguito di tempo vennero edificati due altari laterali ed eseguiti molti lavori di abbellimento nell’interno della chiesa.

Oltre la benefica azione di organismi religiosi cioè Associazioni, Compagnie, Confraternite, Pie Unioni ecc., Valfenera può dirsi pure all’avanguardia per la formazione civile e morale della gioventù. Il Circolo giovanile S. Giovanni Bosco, già nel 1935 celebrò il suo primo decennio di vita fiorente. E per dare una degna sistemazione al movimento giovanile di Azione Cattolica, il prevosto Teol. D. Quaglia, con felice pensiero, comperò e donò un’apposita casa, dotandola di ampio salone-teatro e accessori. La solenne inaugurazione venne fatta il 28 ottobre 1932.

(1) Per maggiori notizie sulle chiese vedi G. B. Marocco, opera citata.

E’ doveroso qui ricordare personalità di Valfenera che con manifestazioni di attività si ispirarono ad alte idealità di amor patrio, e giovarono al paese o con la nobiltà del carattere, o con l’elevatezza dell’ingegno, o col generoso sollievo delle umane miserie.

E prima ricorderemo S. E. Tommaso Villa, Senatore e Ministro di Stato. Nacque il 29 gennaio 1833. Fu giornalista, poi scrittore e oratore sommo. Deputato di Villanova d’Asti dal 1865 per 44 anni, poi presidente della Camera dei deputati, poi Ministro dell’Interno, poi di Grazia e Giustizia, poi Senatore e Ministro di Stato. Ha sempre aspirato ad un avvenire di libertà e di grandezza dell’Italia. Le molte benemerenze di Tommaso Villa verso Valfenera, ove risiedeva parte dell’anno nelle sue proprietà, saranno sempre additate alla gratitudine di quelle popolazioni. Chiuse la sua operosa vita a Torino il 25 luglio 1915.

- Il Conte Dott. Giovanni Quirico (1859 + 1946). Nominato medico della Real Casa nel 1896, per circa cinquant’anni assolse con sapienti cure e con delicatezza di sentimento, ai suoi doveri di medico curante.

"Lungamente rimpianto dai Valfeneresi che da lui ebbero cure, con fare quasi paterno e cortesia di modi, caratteristiche della sua personalità " (1).

- Cav. Uff. Luigi Scanagatti. Fu per molti anni Sindaco attivo di Valfenera. Lasciò alla Congregazione di Carità una cospicua somma per la refezione scolastica.

- Capitano Luigi Zabert. Lasciò le sue sostanze per la fondazione del Ricovero - Ospedale per i poveri del paese (1837 + 1890).

- Prof. Comm. Antonio Quirico (1830 + 1906). Lasciò numerose pubblicazioni letterarie e di pedagogia. Preside di scuole superiori a Pisa, a Bologna, a Roma, lasciò tracce incancellabili di bontà, nell’insegnamento, dedicando anche a Valfenera le sue cure all’infanzia e alle scuole.

- Prof. Cav. Antonio Rossi. Nato a Valfenera il 26 dicembre 1836. Si laureò in chimica all’Università di Torino. Fu insegnante di questa materia all’Università di Genova e di Torino, e per molti anni impartì tale insegnamento con sicura coscienza e con metodo. Ritiratosi a Valfenera, decedeva il 20 gennaio 1908.

- Can. Arcidiacono Agostino Marocco. Eminente figura di ecclesiastico esemplare. Nacque in Valfenera il 6 febbraio 1868. Seguì i corsi di teologia e filosofia nel Seminario vescovile di Asti. Nel 1891 conseguiva la laurea in Teologia e in Diritto canonico. Nominato prima professore poi Rettore del Seminario dalla fiducia di Mons. L. Spandre. Diresse per molti anni, con rara competenza, tutto il movimento dell’Azione Cattolica diocesana: Nella pienezza della sua attività decedeva il 15 giugno 1910.

- Decorati al valore. Maggiore Lanfranco Cav. Michele. In un’azione del 9 giugno 1916, venne mortalmente ferito e decedeva nell’ospedale di Schio, meritandosi una medaglia d’argento al valore.

Colonndlo Zabert Cav. Giuseppe. In una vittoriosa azione sul Monte Cappuccio (1915) quale comandante del 20.° Fanteria, venne insignito di due medaglie al valore. Quale Colonnello del 22.° Fanteria, portò il suo reggimento alla conquista del Podgora, al passaggio dell’Isonzo, meritandosi un’altra medaglia d’argento. Nel 1937 gli venne ancora concesso la medaglia militare d’oro al merito di lungo comando. Morì il 10 giugno 1944 in età d’anni 80.

Teol. Lanfranco D. Giuseppe; ora Parroco di Solbrito. Cappellano degli alpini (1917) si meritò, per il suo audace comportamento in zona battutissima dal fuoco nemico, due medaglie di bronzo e una d’argento. Di lui abbiamo riportato la bella motivazione in altra parte di questo lavoro.

A ricordare i Caduti nella grande guerra mondiale 1915 -1918, Valfenera fece incidere i loro nomi sopra una bella lapide ricordo, inaugurata solennemente nel settembre 1921.

E’ particolarmente da notarsi a Valfenera un importante e ben attrezzato stabilimento della Società Costa di Genova, per la filatura della seta.

 

(1) G. B. Marocco - Opera citata.