Da Bc8/9 2001
Nella
televisione degli anni ’60,bacchettona, bigotta, ferreamente democristiana, ma
sicuramente meno becera e volgare di quella odierna, c’era un programma che
voleva contribuire a colmare le ampie sacche di analfabetismo ancora esistenti
tra il proletariato italiano, povero e miserabile come pochi in Europa. Erano le
stesse esigenze dell’accumulazione capitalista (il boom economico) che
richiedevano un’alfa-betizzazione di massa almeno a livello elementare. Quella
trasmissione si intitolava “Non è mai troppo tardi”, perché si
prefiggeva di insegnare a leggere e scrivere a quegli adulti che non avevano
avuto la possibilità di farlo prima. I lettori meno giovani probabilmente se la
ricorderanno.
Il titolo di quel programma
è affiorato tra le nebbie del passato non per nostalgia dei tempi andati, ma
leggendo il numero 50/2001 di “Comunismo”, rivista teorica del “Il
Partito Comunista”, uno dei tre o quattro partiti comunisti internazionali che
rivendicano l’esclusiva del bordighismo ossia le debolezze e i limiti teorici
del Bordiga post seconda guerra mondiale (ma non solo). Uno di questi errori che
portò, assieme ad altri, alla spaccatura del Partito Comunista
Internazionalista e alla nascita “ufficiale” della corrente bordighista, fu
la valutazione della natura sociale dell’URSS. I compagni che fondarono il
partito, fin dagli anni ’30 avevano qualificato l’URSS come paese a
capitalismo di stato, interamente persa alla causa dell’emancipazione del
proletariato. Anzi, era ritenuta un nemico acerrimo di quest’ultimo, come e
forse di più che qualsiasi altro paese a capitalismo “classico”, proprio
per la natura mistificante del regime oltre che per lo sfruttamento durissimo
cui era sottoposta la forza-lavoro della federazione sovietica; per non dire,
poi, dello sterminio sistematico della vecchia guardia bolscevica e di chiunque
osasse anche timidamente criticare lo stalinismo, strappando il velo del falso
comunismo.
Tale è sempre stato il
nostro giudizio sull’ex paese dei soviet, ma Bordiga, che non era nemmeno
iscritto, cominciò a tormentare il partito con i suoi contorcimenti teorici
(capitalismo di stato? Sì, ma, forse, no…) fino a provocare, come si diceva,
la scissione del 1952. Una delle motivazioni avanzate da Bordiga per negare il
carattere capitalista dell’URSS era che si faceva fatica a individuare le
classi e i borghesi in carne e ossa, quindi era meglio soprassedere e parlare
d’altro, ossia di industrialismo di stato (?). Solo anni dopo, e sempre con
qualche riserva, accettò – e con lui tutto il bordighismo – la definizione
di capitalismo di stato. Va da sé che da questa diversa impostazione teorica
discendeva anche un diversa prassi politica, per es., considerare l’URSS un
nemico di “seconda scelta” rispetto agli USA.
Ora, per arrivare al
dunque, nel numero sopra citato di “Comunismo”, viene pubblicato un
articolo del giugno 1948 di Battaglia Comunista (che lo tradusse da L’Internationaliste,
bollettino della frazione belga) in cui si diceva chiaramente che “Nei
quadri e dietro il paravento della burocrazia si è ricostituita la classe
borghese”. Ci fa piacere che i compagni bordighisti pubblichino queste
cose (non è mai troppo tardi…) ma ci vorrebbe un minimo di coraggio (o onestà)
politico in più, spiegando come mai abbiano sostenuto posizioni opposte, invece
di dire che “Nel 1948 […] eravamo i soli a proclamare apertamente
che da ambo i lati della cortina di ferro il modo di produzione capitalistico
aveva trionfato ed imposto la sua ferrea legge al proletariato internazionale”
(Comunismo, pag. 55). No, compagni, il partito, non voi, diceva questo,
quel partito da cui ve ne siete andati sbattendo la porta affermando il
contrario di quello che adesso rivendicate.
Non è per rinfocolare
polemiche ormai archeologiche – abbiamo ben altro a cui pensare – ma non
crediamo sia un buon metodo, specie per i comunisti, forzare la storia a proprio
uso e consumo.
Lambro