ASPETTO STORICO-ARCHEOLOGICO


IL NOME ILBONO
Data l'estrema conservatività che la Sardegna manifesta anche nel campo della lingua, molto spesso un solo fonema finale, vocale o consonante, può costituire un'ottima spia per intravedere se un certo toponimo sardo sia di origine latina oppure di origine pre-latina, cioè nuragica.
Per esempio la "ESSE" finale in toponimi sardi ci indica che sono molto probabilmente di origine latina, come Austis, Cabras, Calangianus etc.. Invece la "O" finale in toponimi sardi predispone a una loro dichiarazione nuragica come Bonnanaro, Bono, Desulo, Mogoro, Orgosolo, Osilo, Siligo, Sorgono etc.. Nel toponimo ogliastrino Ilbono, pronunciato nel dialetto locale e dei dintorni, Irvono e anticamente Irbono, già la "O" finale costituisce una spia circa la sua lontana origine nuragica. Ma qualcosa di importante ci assicura che effettivamente questo toponimo è di origine nuragica: la sua connessione con un appellativo sardo che è di quasi matrice nuragica, il nome cinghiale "silvone, sirvone, sirbone". La caduta della esse iniziale del toponimo è effetto di un fenomeno fonetico, che è comune in molte lingue che possiedono gli articoli: la deglutizione del supposto articolo determinativo "Su" e la sua successiva caduta. In origine dunque il toponimo sarà stato "Silvono" e "Silbono", dopo sarà stato interpretato come "s'Ilbono", cioè "su Ilbono". Tale confusione sarà stata favorita dalla già analizzata "O" finale, la quale era differente dalla più comune "E" di Silbone. Ilbono, dunque, trae molto probabilmente la sua denominazione dalla circostanza che in epoca assai antica la zona sarà stata particolarmente ricca di cinghiali. La matrice nuragica di questo toponimo è confermata dall'esistenza, nell'agro di Ilbono, di nove nuraghi secondo Emanuele Melis, e ben 14 secondo Vittorio Angius (Casalis Dizionario s.v.). Secondo altri studiosi in nome Ilbono deriva da "Bun", altezza - elevazione; secondo altri ancora, deriverebbe da Iliesi-Ilienses che, furono popoli vissuti nei monti della Barbagia.

TRACCE DI ANTICHITÁ

Il territorio di Ilbono che ricade nella regione storico-geografica dell'Ogliastra è uno dei più ricchi di testimonianze archeologiche e artistiche, seppur ancora non sufficientemente conosciuto e apprezzato al di fuori di una ristretta cerchia di amatori ed esperti.
Per il suo consistente ed interessante patrimonio archeologico esso è stato oggetto di studio da parte del Consorzio Archeo System che ha censito e catalogato per la prima volta i monumenti presenti nel territorio. L'analisi archeologica ha permesso di ricostruire cinque complessi archeologici variamente distribuiti, dieci domus de janas, quattro menhir, undici nuraghi di cui sei a tholos semplici e cinque a tholos complesso e quattro tombe dei giganti. Molte di queste testimonianze non sono giunte integre fino ai nostri giorni, in quanto il decorso dei millenni, l'incuria umana, i lavori di bonifica agricola realizzati con mezzi meccanici e veri e propri atti vandalici compiuti da tombaroli nel corso di scavi clandestini, hanno provocato danni notevoli al patrimonio archeologico.

Il paleolitico in Ogliastra (20.000 - 7.000 a.C.)
Le prime testimonianze della presenza dell'uomo in Sardegna risalgono al paleolitico inferiore, rinvenuto per la prima volta negli anni ottanta nel territorio di comuni dell'Anglona. Non esistono documentazioni certe riguardo all'esistenza umana nel paleolitico in Ogliastra, ma alcune caverne di tale periodo fanno pensare alla sua presenza.

Il neolitico e le sue testimonianze (dal 6.000 - 1.800 a.C.)
Per quanto concerne il periodo prenuragico, allo stato attuale sembrano mancare nel territorio di Ilbono tracce riferibili alle culture più antiche del neolitico. Largamente attestato è invece l'orizzonte cronologico del neolitico recente o finale, che comprende l'intero III millennio a.C.; sono stati ricondotti a questo periodo vasti complessi archeologici, aree con elementi di cultura materiale, aspetti della religione megalitica che si manifesta con elementi diversi: Domus de Janas e menhir. Studi archeologici recenti hanno rivelato diversi fattori, soprattutto di natura geomorfologica: i gruppi umani la cui economia si basava probabilmente sull'agricoltura, sull'allevamento e sulla pesca, sono stati influenzati nella scelta dei loro insediamenti. I resti di tali insediamenti sono stati in gran parte cancellati sia dalle numerose opere di bonifica agraria effettuate nella zona, sia dai pastori e agricoltori che nelle terre e nei pascoli di proprietà hanno asportato le pietre dei monumenti o hanno addirittura operato demolizioni per costruire case coloniche. Talvolta i materiali sono stati reimpiegati nelle opere stradali o sono stati frantumati in ghiaia per la manutenzione delle strade. Attualmente nel territorio di Ilbono si riconoscono cinque complessi archeologici variamente distribuiti. Il sito più importante che potrebbe costituire un punto di riferimento per tutti gli altri è Texere, ubicato in una zona collinare e caratterizzato dalla presenza di numerosi massi sferoidali residui di alterazione granitica. Secondo gli studi portati avanti da Archeo System gli impianti agricoli in disuso testimoniano che l'area in antico era antropizzata (attualmente è adibita a pascolo nonostante la presenza di alcuni alberi di olivo) e attesta la presenza di due ambiti culturali: quello prenuragico e quello nuragico. Il suo stato di conservazione è buono ed esprime una valenza culturale funeraria per la presenza di un nuraghe, due domus de janas, una tomba di giganti in granito e quattro menhir.
Il secondo complesso archeologico come importanza è Scerì, che si trova in un discreto stato di conservazione. L'ambito culturale riguarda il periodo prenuragico e nuragico ed il complesso comprende un nuraghe a tholos complesso realizzato in granito e due domus de janas di cui una in ottimo stato. Buono è lo stato di conservazione del complesso archeologico Perda Carcina situato tra monte Paulis e la giara di Teccu. I monumenti presenti sono riferibili al periodo prenuragico e nuragico: un nuraghe a tholos semplice, due tombe di giganti e quattro domus de janas.
Il complesso archeologico di Piranserì è ubicato in una zona collinare coronata da rilievi granitici ma si trova in un cattivo stato di conservazione. Il complesso consta di monumenti archeologici riferibili all'età nuragica e romana, un nuraghe a tholos semplice e un'area d'insediamento romano. Su un altopiano granitico è situato il complesso di Monte Forru, zona attualmente adibita a pascolo. Il suo stato di conservazione è mediocre; all'interno del complesso si trovano un nuraghe a tholos complesso con villaggio e una tomba dei giganti. I monumenti appartenenti al neolitico sono dislocati sia sui rilievi sia nelle piane e non sempre si ritrovano all'interno del complesso archeologico.

IL PAESAGGIO ED IL NEOLITICO AD ILBONO
Domus de janas, menhir

L'età neolitica abbraccia un lungo periodo, che ha lasciato una documentazione abbondante dell'attività umana in tutte le sue svariate manifestazioni. In questo periodo nascono la vita sociale e le attività della pastorizia e dell'agricoltura. Alcune zone del territorio di Ilbono sono particolarmente ricche di testimonianze di questo periodo. La cronologia di quest'epoca può forse iniziare 8000 anni fa e si può concluderla con l'inizio dell'età nuragica. Per quanto riguarda la distribuzione geografica degli insediamenti, si deve riconoscere che ancora una volta è il territorio, con tutti i suoi aspetti, che motiva la scelta di un dato modello insediativo; infatti nel territorio di Ilbono i probabili siti abitativi ricalcano in linea generale le aree che sono oggetto di analisi, siano i grandi complessi archeologici o più strettamente ipogeici, oppure anche aree rituali o culturali. Nelle zone indagate l'incisione dei corsi d'acqua o la vicinanza del mare hanno determinato una maggiore frequenza umana contrapposta a una rarefazione riscontrabile nelle zone più interne. Volendo stilare l'elenco dei siti che ad Ilbono evidenziano tracce neolitiche, senza che si possa essere precisi sulla attribuzione al neolitico antico, medio o recente, ci si trova davanti a dieci domus de janas e quattro menhir esattamente in Texere, Scerì, S'abba 'e sa Murta, sa Mardona, Perda Carcina.

1 - Domus de janas in Texere
All'interno del complesso archeologico si trovano due domus de janas, una è scavata in un masso isolato di granito attraversato da un filoncello di quarzo. E' una domus monocellulare e vi si accede tramite un portello quadrangolare. Nel sito non è stata rinvenuta alcuna traccia di elementi di cultura materiale. La seconda domus è scavata in un blocco sferoidale di granito. Alla base di questo s'intravede un gradino che precede il portello. Al cattivo stato di conservazione si aggiungono varie fenditure create forse dall'uso dell'ipogeo in tempi moderni, infatti era utilizzato come forno per la cottura dei fichi secchi.

2 - Domus de janas di Scerì
Nel sito si trovano due domus una in ottimo l'altra in pessimo stato. Entrambe sono monocellulari e scavate in un masso isolato.

3 - Domus de janas in Sabba e sa Murta
La domus non si trova all'interno di un complesso archeologico, è ubicata a circa 200 metri dal torrente di riu Arridda, lo stato di conservazione è buono. La domus è pluricellulare.

4 - Domus de janas in sa Mardona
Informazioni orali attestano l'esistenza di altre domus andate distrutte da lavori effettuati con mezzi meccanici. L'unica domus conservata presenta uno stato di conservazione discreto, ed è bicellulare con un breve atrio.

5 - Domus de janas in Perda Carcina
Il complesso archeologico presenta quattro domus: tre sono monocellulari scavate in massi isolati, una è bicellulare. Lo stato di conservazione è mediocre.

6 - Menhir in Tescere
Nel complesso archeologico sono stati rinvenuti quattro menhir: due si trovano in uno stato di conservazione mediocre, gli altri in stato di conservazione buono. Nell'area circostante sono stati individuati altri spezzoni di menhir alcuni dei quali utilizzati per la costruzione di muretti a secco.

IL NURAGICO E LE SUE TESTIMONIANZE

I nuraghi, grandiose costruzioni megalitiche, divenuti monumenti simbolo della civiltà nuragica, costituiscono la testimonianza più importante della preistoria sarda sia dal punto di vista quantitativo (se ne contano circa 7000 in tutta la Sardegna), che qualitativo, per la particolare tecnica costruttiva basata sulla sovrapposizione a secco di massi enormi e per le documentazioni da essi ricavabili su quella che viene considerata un'epoca di grande splendore del nostro passato.
La tipologia dei nuraghi si riassume in due tipi fondamentali: quelli detti a corridoio e quelli detti a tholos, che presentano tra loro profonde differenze architettoniche, ma stesse caratteristiche di cultura materiale. Il nuraghe a corridoio è la tipologia più antica e precede l'avvento dei nuraghi a tholos. Il nome deriva dalla caratteristica degli ambienti interni che presentano una forma allungata detta appunto "a corridoio". La planimetria spesso circolare, si presenta talvolta di forma ellissoidale o, molto più raramente rettangolare. L'aspetto è particolarmente tozzo per la caratteristica forma schiacciata data da una base molto ampia rapportata ad una modesta altezza. Il loro numero è esiguo, se ne contano circa duecento in tutto il territorio regionale dislocati quasi esclusivamente nelle zone orientali e nord-occidentali dell'isola. Questo dato sembra conciliare le caratteristiche geo-morfologiche del territorio con la particolare struttura dei monumenti che è tale da consentire un addossamento degli stessi agli affioramenti rocciosi e dunque un perfetto mimetismo tra rocce e vegetazione. Nel territorio di Ilbono non sono stati rinvenuti nuraghi ascrivibili a tale tipologia. Decisamente più rilevante sia per importanza sia per il numero degli esemplari rinvenuti è il tipo di costruzione a tholos semplice o monotorre che costituisce il 70% dei nuraghi censiti sino ad oggi. A differenza dei nuraghi a corridoio, quelli a tholos sono stati edificati su basi regolari. Essendo piuttosto alti, solo una superficie piana unita alla particolare precisione costruttiva, poteva garantire, infatti, la stabilità delle strutture.
Al mastio, la torre centrale principale di forma troncoconica, intorno al XIII secolo a.C. si aggiunsero talvolta corpi murari ulteriori più o meno articolati dando vita ai cosiddetti nuraghi a tholos complessi. Frutto di una più avanzata organizzazione sociale ed economica delle popolazioni nuragiche, essi rappresentano la documentazione più importante dell'avvenuto perfezionamento delle tecniche costruttive perché alla torre originaria si aggiunsero vari elementi: una o più torri secondarie unite da massicce cortine murarie munite di camminamenti, talvolta inscritte in una cinta esterna detta antemurale provvista di torri di guardia.
Il mancato collegamento tra architettura e cultura materiale ha favorito in passato le più svariate interpretazioni sulla funzione del nuraghe che di volta in volta a partire dal secolo XVI veniva definito fortezza, sepolcro, luogo di culto, residenza di un capo e in alcuni casi rifugi dagli insetti malarici. Di tutte queste teorie oggi prevale quella militaristica che vede le popolazioni nuragiche in perenne lotta per il controllo del territorio. Secondo le ultime ricerche appare chiara la polifunzionalità del nuraghe, che diventa fortezza, punto di avvistamento e controllo del territorio, luogo di abitazione e incontro sociale e solo eccezionalmente si trasforma in luogo di culto.
Nel territorio di Ilbono sono stati individuati 11 nuraghi, quantità elevata se rapportata al numero di testimonianze presenti in Ogliastra (71) ma decisamente esigua rispetto alle migliaia di nuraghi dislocati in tutta l'isola.
In tutta l'area di riferimento sono stati rinvenuti solo nuraghi a tholos semplici e complessi, talvolta inseriti, altre volte no, all'interno di complessi archeologici o villaggi nuragici.

NURAGHI NEL TERRITORIO DI ILBONO

Tedili: si trova nella valle di rio Baunuxi, e la torre è addossata alla roccia naturale in materiale granitico e il suo stato di conservazione è cattivo.
Piranserì: È inserito nel complesso archeologico omonimo; è costituito da un torrione con intorno un muro ad andamento curvilineo che integra la roccia affiorante, creando una sorta di terrazzamento. Il materiale granitico è in uno stato di conservazione discreto.
Sartalai: situato a sud-ovest del monte Tarè ed aveva forse una muratura esterna. Permangono pochi resti in un cattivo stato di conservazione.
Perda Carcina: inserito nell'omonimo complesso archeologico, presenta resti di antemurale e lo stato di conservazione è mediocre.
Serra Tulè: sito nei pressi del rio Semida, è in granito con zeppe di in porfido ed è in un pessimo stato di conservazione.
Mattalè: presenta resti di antemurale ed è in cattivo stato di conservazione.
I restanti sono nuraghi a tholos complessi:
Sa Campana: a est di monte Tarè e Teddizzò, presentano resti di antemurale e sono in granito.
Elurci: nei pressi dell'omonimo rio, è in granito ed in cattivo stato di conservazione.
Monte Forru: posto all'interno di un villaggio nuragico è costituito dal mastio, due torri aggiunte e da resti di una cortina muraria. L'accesso alla camera è ostruito da materiale di crollo. Dall'ingresso della torre principale un corridoio conduceva alle torri secondarie.Il materiale utilizzato è costituito da blocchi di granito accuratamente lavorato. Mediocre lo stato di conservazione.
Teddizzò: presenta resti di antemurale, è realizzato in granito e lo stato di conservazione è pessimo.
Scerì: inserito nel complesso archeologico presenta resti di una torre principale, di un corpo aggiunto e di un antemurale, ha una caratteristica interessante: contiene al suo interno cavità naturali integrate con la muratura. Questo dato e la presenza nelle vicinanze di alcune domus de janas, fa supporre la riutilizzazione delle stesse in epoca nuragica con destinazione d'uso diversa da quella funeraria originaria. Il materiale da costruzione impiegato è il granito utilizzato in blocchi di grandi dimensioni normalmente privi di rifinitura o appena sbozzati. Le intercapedini risultanti dalla sovrapposizione dei massi irregolari sono state rinchiuse con materiale di rincalzo rappresentato quasi esclusivamente da zeppe di granito o altro pietrame come il porfido rosso. Quasi tutti i nuraghi suindicati sono inagibili in tutto o in parte perché si presentano all'interno ingombri di materiali da crollo che ne impediscono l'accesso alla cella principale, alle nicchie, al piano superiore o alle torri addizionate.
In epoca nuragica l'architettura funeraria trova la sua espressione nelle tombe dei giganti, sepolture collettive megalitiche dislocate con maggiore densità nella parte centrale dell'isola. La tomba, che richiama nella sua struttura la protome taurina, normalmente è costituita da un vano funerario sovente rettangolare, absidato nella parte posteriore, frontalmente presenta una esedra semicircolare (talvolta con una stele centrale o con filari di conci sovrapposti e ingresso architravato) che delimita uno spazio nel quale venivano svolti riti funerari, riti incubatori e propiziatori.
Nel territorio di Ilbono ne sono state individuate quattro: una nel complesso archeologico in Texere; tre in località Perda Carcina, inserite nell'omonimo complesso archeologico; una all'interno del villaggio nuragico in Monte Forru. Tali testimonianze non sono giunte integre fino ai giorni nostri in quanto, il decorso dei millenni, l'incuria umana, i lavori di bonifica agricola realizzati con mezzi meccanici o i veri e propri atti vandalici compiuti da tombaroli nello svolgimento di scavi clandestini, ne hanno provocato in tutto o in parte la rovina, apportando enormi danni a un patrimonio così importante come quello archeologico.

DALL'INVASIONE PUNICA ALLA DOMINAZIONE BIZANTINA

L'età fenicio-punica
Per età fenicia si intende generalmente il periodo che intercorre tra la fondazione delle prime città costiere e la conquista di Cartagine (dall'VIII sec. al 510 a.C.); per età punica quello che intercorre tra la conquista di Cartagine e quella romana della Sardegna (509 a.C. 238 a.C.).
La penetrazione dei fenici in Sardegna fu lenta e pervasiva. Essi occuparono tutto il Mediterraneo perché attirati dai metalli dell'occidente (argento, stagno, oro, ferro, piombo) e si spinsero sino alle rive dell'Atlantico. Importarono la scrittura introducendo la Sardegna nella storia vera e propria. I primi contatti con l'isola avvennero verso il 1000 a.C. verso l'VIII sec.; da mercanti divennero abitatori stabili della Sardegna dove fondarono alcune città colonie quali Nora, Bithia Tharros, Karali e Sulki. Solo verso il 509 a.C. prese il sopravvento Cartagine sia nei confronti delle città fenicie che dei nuragici. I sardo-nuragici ritiratisi all'interno si ribellarono a più riprese ma inutilmente. Per tre secoli la Sardegna subì il dominio di Cartagine. Le testimonianze sia di tipo urbano che extraurbano comprendono gli impianti delle città, le necropoli, le realizzazioni dell'artigianato artistico di notevole pregio quali oreficerie, scarabei, amuleti, terrecotte.
Recenti scoperte dell'interno e della provincia di Nuoro dimostrano come fosse infondata l'idea che i fenici non avessero contatti con l'interno della Sardegna. Molto più profonda però fu la conquista del territorio da parte dei punici. In Ogliastra, oltre alla scoperta di alcune ceramiche fenicio-puniche va ricordata la presenza di una parola diffusa nel territorio e legata alla erbe, (tsippiri, rosmarino), che unita ad altre in zone diverse ha fatto ipotizzare l'antico commercio semitico di essenze aromatiche. Non sono pervenute tuttavia nel territorio di Ilbono testimonianze di cultura fenicio-punica.

L'età romana
La conquista della Sardegna avvenne nel 238 a.C. e nel 227 fu ridotta a provincia insieme alla Corsica. Gli anni successivi furono caratterizzati da continue rivolte delle popolazioni sarde spesso sobillate dai punici ancora presenti nell'isola. Dopo Augusto e l'inizio dell'impero l'isola fu amministrata da funzionari nominati direttamente da Roma. I romani occuparono le antiche città fenicie, potenziarono i porti e si insediarono in luoghi strategici di tradizione nuragica. Crearono una vasta rete stradale che collegò le diverse parti della Sardegna, ponti, edifici per lo spettacolo (teatri e anfiteatri), terme ed acquedotti.
I romani furono i primi conquistatori che riuscirono a occupare le zone interne della Sardegna. Da ricerche recenti si evince che le popolazioni interne furono assoggettate a Roma sotto le direttive dei "Praefectus" i quali riuscirono a romanizzarle, ad organizzare il latifondo, ad estendere la coltivazione del grano, a diffondere la coltura dell'ulivo e iniziare quella della vite.
In Ogliastra sono numerose le testimonianze di epoca romana ritrovate nel territorio: resti di strade romane e materiali vari. Anzitutto è stato verificato il tracciato di un'antica strada che da Barisardo, dove è stato rinvenuto un miliare romano, attraversa il territorio di Parendaddai verso l'interno. Lungo questa strada sono stati rinvenuti dei villaggi romani, il più importante di questi è quello di "Paulis", dove, nel secolo scorso, sono stati rinvenuti due congedi militari di soldati che avevano militato nella flotta romana, ricevendo in compenso la cittadinanza romana e terre. Più precisamente uno dei congedi risulta essere rilasciato tra l'anno 80 e il 95 dall'imperatore Domiziano; l'altro nel 127, dall'imperatore Traiano a un certo Caio Fusio, gregario della flotta con sede a Ravenna. Questi due documenti dimostrano che i soldati erano arruolati nella zona, dove rientravano per godersi appunto la cittadinanza romana e gli altri privilegi ottenuti. Dobbiamo supporlo soprattutto per il congedo a Caio Fusio, militare della flotta ravennate, che non presidiava la Sardegna. Infatti, i romani non potevano aggregare al loro esercito e alla loro marina i barbaricini ribelli. Se li arruolavano in territorio ilbonese, significa che lo stesso era già romanizzato nel I° secolo dell'era cristiana.
La presenza dei romani nel territorio di Ilbono è inoltre segnalata oltre che da strade, anche da necropoli e materiali mobili:

1. Strada in Piranserì
Nel complesso archeologico è stato individuato un percorso che attraversa una zona collinare, divisa in piccoli poderi con colture miste per uso familiare. La strada è lunga duecento metri circa.
2. Strada in Perdu Zoppu
Il brevissimo tratto di strada (40 metri circa) è da molto tempo in disuso. La pavimentazione in granito locale è molto sconnessa.
3. Strada in San Cristoforo
E' lunga 200 metri e si trova presso la chiesa di San Cristoforo. Lo stato di conservazione è pessimo.
4. Necropoli romana in Piranserì
La necropoli consta di tre sepolture disposte a circa un metro l'uno dall'altra; due delle sepolture risultano quasi totalmente interrate, la terza, invece, ha la pavimentazione ingombra da alcuni centimetri di terra. Nel 1930 furono scavate e fra i reperti si segnalano due monete: Giulia Mamea e Alessandro Severo.
5. Materiali mobili in Caragolu
Nella località su indicata è stato rinvenuto materiale fittile romano.
6. Materiali mobili in San Rocco
Nell'area circostante la chiesa è stata rinvenuta una cospicua quantità di reperti di età romana: orli di anfora, anse con scanalature di varie dimensioni.
7. Materiali mobili in San Pietro
Sono stati rinvenuti alcuni reperti ceramici di età romana.

INSEDIAMENTI BIZANTINI

Dopo la conquista giustinianea del 534 la storia della Sardegna seguì un corso che la differenziò notevolmente dal resto dell'occidente. Mentre l'Italia passò per un breve periodo ai bizantini, quindi ai longobardi e poi ai carolingi, l'isola rimase fino al IX secolo sotto la dipendenza politica di Costantinopoli. Durante la lunga età bizantina (VI-X sec.) la Sardegna non rimase tagliata fuori dai traffici e dai rapporti culturali con i paesi che gravitavano sul bacino del Mediterraneo, anzi la sua centralità favorì la continuità di flussi di scambio e del tessuto socioeconomico di eredità romana. La cultura materiale e artistica dell'età bizantina è documentata da reperti archeologici (ceramiche, sarcofagi, capitelli, monete auree e fibbie bronzee) ed edifici di culto con pianta a croce e cupola. Fu con l'arrivo dei Bizantini che le zone interne della Sardegna conobbero il cristianesimo. Ben nota è la lettera che Gregorio Magno scrisse ad Ospitone (capo dei barbaricini), esortandolo a convertire le popolazioni interne le quali adoravano ancora pietre e tronchi d'albero.
Con la dominazione bizantina la Sardegna si trovò vicina e legata alla chiesa greco-orientale: Ilbono come buona parte dei paesi interni della Sardegna, avendo conosciuto il cristianesimo grazie ai monaci orientali, conserva ancora tradizioni e credenze; gli studi in proposito sono molto rari e si spera di acquisire nuovi elementi in futuro. All'interno delle risorse archeologiche sono da comprendere le chiese in quanto il rapporto chiesa-paesaggio apportò in Sardegna delle trasformazioni antropologiche, economiche e sociali. La costruzione di fattorie monastiche occupò spazi rurali facendo sorgere chiese e santuari e furono messi a dimora, dagli stessi monaci, alberi e piante da frutto soddisfacendo il mondo pastorale e contadino. In tal senso è evidente la convivenza dei siti pagani con i siti cristiani, comportamento che lo stesso Gregorio Magno consigliava in una lettera indirizzata al monaco Agostino: "Non dovete distruggere in questa religione i santuari degli idoli, costruite altari ponete le reliquie in modo che la gente veda i santuari e si possa avvicinare con più familiarità ai luoghi conosciuti. Siccome uccidono molti buoi in sacrificio ai demoni occorre che venga trasformata in altra usanza in onore al vero dio".
Le chiese site nel territorio di Ilbono, di origine bizantina, sono:
1. Chiesa di San Cristoforo
La chiesa sorge su un'altura che sovrasta il paese. L'edificio poggia su un affioramento roccioso ed ha pianta rettangolare con copertura a capanna. Il materiale da costruzione è il granito con porfido.
2. Chiesa di San Pietro
L'edificio è posto lungo un lieve pendio non distante dalla chiesa di S. Rocco e Sebastiano. Della chiesa sono rimasti i muri perimetrali mentre la copertura è andata perduta. Tracce di intonaco si riscontrano sia all'interno sia all'esterno della costruzione. Il materiale utilizzato è il granito tagliato nei conci poco lavorati e messo in opera con porfido e frammenti di coppi. Intorno alla chiesa sono stati rinvenuti materiali di età romana.
3. Chiesa di San Rocco e San Sebastiano
Chiesa campestre vicina a San Pietro costruita come ringraziamento per la fine di una pestilenza. L'avanzato stato di degrado dell'edificio rende difficoltosa la lettura della pianta. Si osserva tuttavia un impianto a due navate di cui una di dimensioni maggiori dell'altra, che daterebbe la chiesa molto indietro nei secoli. L'area su cui si trova la chiesa è ricca di materiale fittile riferibile ad epoca romana (orli di anfore, anse di varie dimensioni, frammenti in bronzo).

Non conosciamo esattamente quando le antiche popolazioni si siano concentrate nel paese odierno, risulta, infatti, un vuoto di conoscenze di circa mille anni e ciò forse perché la nostra zona è stata cristianizzata in ritardo, di conseguenza mancano documenti che ci forniscano un minimo di informazioni sia dal punto di vista organizzativo, che sociale in genere. Bisogna arrivare al periodo giudicale per ritrovare informazioni su Ilbono: nel 1258 risulta, infatti, che il paese fosse passato dal Giudicato di Cagliari a quello di Gallura e, dopo cinquant'anni, a quello di Pisa. Sotto Pisa, nel 1316, il paese risultava conglobato con Elini nel registro delle rendite Pisane. Secondo gli studi fatti da Don Cocco, nel 1323 passò agli Aragonesi e nel 1363 diventò feudo di don Berengario Carroz al quale versava le tasse che prima dava a Pisa. Così, assieme ad altri paesi ogliastrini, il nostro paese mandava il suo rappresentante al castello di San Michele a Cagliari, per richiedere particolari concessioni, soprattutto economiche. Nel 1479 passava agli Spagnoli e al 1550 circa si fa risalire l'arrivo del simulacro della Madonna delle Grazie. Nel 1545 risultava essere sindaco di Ilbono Gregorio Congiu e nel 1579 Antioco Cardia. Data importante per Ilbono è il 1595, anno in cui nacque il pittore manierista Andrea Lussu, al quale è intitolata una piazza del paese e le cui opere sono presenti in diverse chiese della Sardegna. Secondo l'Angius nel 1654 le famiglie ilbonesi erano 102 e nel 1678 solo 89. Comunque, relativamente a questi aspetti, abbiamo poche informazioni, anche perché gli unici documenti esistenti sono i registri parrocchiali dal 1660 in poi, sui quali è riportato esclusivamente l'andamento demografico.
Seguendo le vicende storiche del resto della Sardegna, Ilbono passò agli Austriaci nel 1708, agli Spagnoli nel 1718, al Piemonte nel 1720. Nel 1727 il Massayo L. Cucca Monni dona alla chiesa campestre di San Cristoforo i terreni circostanti. Nel 1744 si ha notizia che solo sette ilbonesi su 146 presenti ad un'assemblea, sapevano leggere e scrivere. Tra il 1750 e il 1802 dovrebbe essere stato vicario del paese Agostino Pisano. Di lui il viceré scrisse: "Egli ha avuto la virtù, che in questo paese è veramente eroica, di perdonare effettivamente chi gli aveva ucciso il padre e il fratello, riconducendo nella propria patria la pace turbata". Nel 1770 soggiornò ad Ilbono il Viceré Des Haies, giunto per cercare di interrompere una faida fra famiglie, che era costata numerosi omicidi, come riferisce Don Cocco. Durante la sagra di San Cristoforo del 1804, in seguito ad una gara di tiro al bersaglio fra polizia a cavallo (dragoni) e abitanti del paese, la festa degenerò in tragedia con la morte di cinque dragoni e numerosi feriti. Nel 1815 col Congresso di Vienna la Sardegna entra a far parte del Regno Sardo-Piemontese sotto la dinastia Sabauda. Proprio la nostra regione fu la prima in Italia a cui fu estesa la legislazione piemontese. La leva obbligatoria, cioè l'obbligo per i giovani di prestare il servizio militare per alcuni anni, un obbligo a cui i sardi non erano tenuti in precedenza, e il forte aumento degli obblighi fiscali furono gli aspetti che maggiormente pesarono sulle popolazioni isolane, poiché contribuirono ad aggravare le loro già precarie condizioni economiche. Particolarmente pesante per il mondo rurale sardo risultò l'imposta fondiaria, che gravava su tutti i proprietari terrieri, anche i più modesti. Immediate furono le reazioni negative delle popolazioni, già nei decenni precedenti scontente della politica del governo sabaudo ed ora costrette da queste nuove norme ad uno sforzo finanziario spesso insostenibile. Il loro malumero andò crescendo attorno al 1850-1860 e si indirizzò in modo particolare sulla figura di Cavour, primo ministro piemontese, a cui la fantasia popolare attribuiva la responsabilità di ogni male della Sardegna. Questo atteggiamento popolare è ben riflesso da una lunga composizione in versi, in forma di preghiera, apparsa nel 1858 su un giornale, "L'isolano", in cui il Cavour viene paragonato alla peste.

SA PESTE KAVURINA
Pro su samben preziosu
Pro sa corona d'ispina
De sa peste Kavurina
Salva nos, Deus piedosu!
Terribil'est custa peste
Senza cumparazione;
Non connoschet istajone
In ogni tempu est molesta;
Ti lassat de pes a testa
Tottu cantu dolorosu.
Dae sa peste kavurina
Salva nos, Deus piedosu!
Non naro, non conto isvariu,
Est beridade connotta;
Sa Sardigna infesta est totta
Prestu torrat a fossariu!
Mai mostresit sipariu
Fattu tantu lagrimosu.
Dae sa peste kavurina
Salva nos, Deus piedosu!


Sempre secondo don Cocco nel 1881 Ilbono ed Elini erano censiti assieme e ciò sino al 1961 quando quest'ultimo centro diventerà autonomo. Da allora ad oggi Ilbono ha vissuto, nel bene e nel male, la storia di tutta l'Italia. La sua popolazione ha, infatti, sofferto i conflitti sociali di inizio secolo, le conseguenze delle guerre mondiali, ha vissuto la piaga dell'analfabetismo e in genere tutti i problemi connessi alla cosiddetta questione meridionale: abigeato, faide familiari, emigrazioni verso altri continenti e in seguito verso i paesi europei.