L'UOMO E L'AMBIENTE



L’uomo e l’ambiente

Per Maurice Le Lannou, studioso francese, l’isolamento e la vulnerabilità della Sardegna sono il prodotto di una condizione insulare che unisce aperture all’influsso esterno e impermeabilità. La storia del nostro passato è, infatti, fatta di invasioni susseguitesi costantemente: dall’esterno sono arrivati con lo sfruttamento, anche le sollecitazioni e le trasformazioni; dall’interno, le opposizioni alle conquiste facilitate dalla naturale resistenza del territorio alle penetrazioni e l’arretramento verso le alture, con una modificazione forzata delle attività economiche ogni volta che l’isola dovette subire un’invasione armata. Col tempo poi si andò confermando, anche in Ogliastra, il malessere diffuso e persistente contro l’autorità che veniva da lontano solo per imporre tributi, modificare consuetudini radicate, o comunque per far compiere azioni giudicate prepotenti. Quando ciò accadde significò l’abbandono delle terre coltivate e la necessità di adeguare l’economia alla nuova realtà creatasi; soprattutto significò per le persone, adattare l’ambiente alle proprie necessità, modificarlo, quindi, comunque influenzarlo. E’ da precisare che i risultati di questa influenza a noi Ilbonesi di oggi non appaiono abbastanza evidenti. Tuttavia dalla visita ad alcune abitazioni sia del centro storico, ma soprattutto delle campagne, risalenti al secolo scorso, si evince che esisteva ad Ilbono una visibile differenziazione sociale e proprio le abitazioni sono state sempre uno specchio della condizione economica degli abitanti. In passato queste erano poste in modo accentrato, cosicché una si sistemava ai fianchi dell’altra, lasciando stradine strette ed irregolari tra le quali gli stessi carri a buoi si muovevano con difficoltà. Sul fianco meglio esposto ogni piano delle abitazioni aveva un poggiolo di legno: era un ambiente per la bella stagione e vi si accedeva dalla cucina. In inverno infatti la vita ripiegava all’interno, chiudendosi dentro le case. I muri erano fatti di soli due materiali: le pietre e il mattone crudo mentre i tetti erano ricoperti di tegole curve. Proprio alcune visite al centro storico ci hanno consentito di migliorare le nostre conoscenze in proposito.
In Via Silvio Pellico è ubicata una casa risalente al secolo scorso, in condizioni ormai fatiscenti, chiaramente appartenente a famiglia di modesta condizione.
I muri ormai crepati e scrostati incorniciano appena due aperture: la porta d’ingresso, tarlata e scricchiolante e una porta secondaria, che dà in un misero balcone di pochi metri quadrati, costruito con delle canne e travi conficcati alla meglio sul muro stesso. All’interno una vecchia scala in legno conduce al primo piano dove si trova la cucina: qui sulla destra un armadio a muro, contenente oggetti all’ora d’uso: piatti e pentole smaltate, la caffettiera napoletana e un ferro da stiro a carbone,il caminetto e un semplice attaccapanni per gonne e giacche. Una grande cassapanca, semplice, doveva contenere il corredo della padrona di casa. Una decina di scalini in legno con un’apertura, “sa trappa”, porta al secondo piano: la camera da letto con il suo letto in ferro e la testiera decorata a motivi floreali, un comodino e un attaccapanni a muro. Le provviste venivano conservate nella soffitta, bassa e con il tetto in legno e canne, ricoperto da tegole curve.
In Via S. Giovanni, invece si trova un’abitazione, “sa omu ‘e ir Duccus”, appartenuta, per le caratteristiche che vedremo, a una famiglia agiata. Un grande portone in ferro si apre su un vasto cortile, sul quale si affaccia una struttura abitativa a semicerchio con diversi ingressi. Nel cortile veniva depositata la legna e fatti riposare gli animali al rientro dalla campagna. Entrando nella casa si trova una scala ripida in legno che porta in cantina, dove in delle giare “su giru” si conservava l’olio; su un piccolo ripiano in canna: la frutta e le patate; in una credenza a muro provviste varie. Risalendo e, dopo aver percorso l’andito, si trova la camera da pranzo, ancora con le pareti dipinte e decorate e un pavimento a motivi geometrici. Attigua c’è una piccola camera che serviva da cappella: c’è ancora un inginocchiatoio e qui la famiglia si riuniva per le preghiere. La soffitta fungeva da granaio, col pavimento in tavole di legno su cui veniva sparso il grano e vari strumenti di lavoro. In un altro locale erano conservate varie unità di misura: “s’imbudu”, “sa brocca”, “sa carra”. Da un altro ingresso, percorso l’andito, si scende in un’altra cantina adibita alla conservazione del vino, enormi botti, tini e addirittura una pompa a mano per travasare il vino. Al piano superiore ci sono le stanze da letto: letti in ferro battuto, vecchi armadi, cassepanche lavorate.
In un angolo doveva esserci il telaio, perché in un armadio ci sono ancora “is pettenes” usati appunto per tessere. Particolarmente importante nell’economia familiare era la stanza attigua alla cucina: “sa omu e forru” dove c’era il forno e tutta l’attrezzatura per lavorare la farina e panificare: “su sedassu”, “sa scettadorgia”, “sa taula de scettai”, “is palinis”, “is cranisteddas”, poi “sa palia”, “is furcones”. Oggi il nostro paese è alquanto cambiato rispetto ad un secolo fa: era molto meno esteso, meno popolato e tutti conoscevano, oltre che il nome e cognome e spesso il soprannome di ciascuno, anche il rione dove abitava, perché non esistevano né vie né numeri civici. I rioni, infatti, costituivano quello che ora è il centro storico di Ilbono: “Funtana ‘e Idda”, era quasi il “cuore del paese”, una piazza irregolare con al centro una fontana pubblica cui tutti attingevano l’acqua che ancora non c’era nelle case. Era anche il luogo di ritrovo serale per i lavoratori che si riunivano a chiacchierare e lo spazio ideale per i giochi dei bambini. A sud il rione “Biginau ‘e giosso” (quartiere che è giù), che confinava con su “Cuccurone” che era la periferia del paese. “Bi ‘e Cresia” era la piazza dove naturalmente sorgeva la chiesa e il cimitero con alle spalle orti e poi la campagna aperta. “Prassa ‘e Cresia”, costituiva inoltre, per la presenza della Chiesa, il centro della vita religiosa verso cui convergevano tutte le stradette dei vari rioni.
“Su stradone” praticamente era la zona percorsa dalla strada principale che da Lanusei porta a Tortolì ed era limitata dal rione di “Se Ibba” e “Sa scalitta” dove ormai il paese finiva. Tuttavia per rivalutare il nostro passato che costituisce la base culturale di ogni realtà sociale, l’Amministrazione Comunale ha ben pensato di ricostruire la pavimentazione di un tempo in quasi tutte le vie del centro storico, in cui sono comparse le targhe riportanti via e numero civico.
Infatti, se il centro storico di Ilbono ha conservato, in parte, le sue caratteristiche, è proprio cambiata la periferia, anzi si può dire che, abbandonato il primo, è cresciuta una periferia residenziale in località che appena quarant’anni fa erano aperta campagna. In particolare il rione attuale di “Cuccureddu” era una collina con in cima una croce santa, ora portata a San Cristoforo. Ai piedi della collinetta, un vasto spiazzo era utilizzato dai contadini come aia, “s’orgiola”, per la trebbiatura, con i buoi, del grano e dell’orzo. Tutto attorno si coltivavano sia il grano che le viti e i mandorli. Ugualmente la zona di “Sa Remasone”, a est del paese, era un tempo, oltre che ricca di selvaggina, fittamente coltivata a vigneti, oliveti e frutteti; inoltre i pastori vi portavano al pascolo il bestiame. Nella zona c’era una “gava de sa giarra”, dove veniva frantumato il granito e trasformato in ghiaia, usata per ricoprire le strade bianche.
Nella parte bassa e periferica sorgeva il rione “sa Rugi” caratterizzato dalla croce in ferro situata su un cucuzzolo. Ai piedi c’era un abbeveratoio per gli animali che rientravano dalla campagna. Oggi vi sorge un locale dell’ASL di Lanusei un tempo ambulatorio comunale, mentre gli orti circostanti sono quasi scomparsi. Addirittura la nostra scuola è stata costruita in terreni sino a pochi anni fa adibiti a pascolo, attraversati da sentieri che abbreviavano il percorso per il cimitero e la strada per Elini. Una trasformazione radicale ha subito la zona di “Samunadorgiu”: il termine stesso significa “luogo in cui si lava”. Infatti vi scorreva un fiume di acqua limpida sulle cui rive le donne di Ilbono facevano il bucato, mentre i bambini tenevano a bada i fratellini più piccoli o le caprette al pascolo. La zona odorava di menta selvatica e di erbe che si raccoglievano per l’alimentazione come il crescione (ispini). Oggi il ponte in pietra che sovrastava il fiume sul quale passa la strada per Tortolì, non si vede più, poiché tutta la zona è stata ricoperta da un tunnel di cemento armato e adattata a giardino pubblico, con panchine e due bei monumenti in porfido rosso raffiguranti la raccolta delle olive e l’amore per la lettura.

La Chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista

Il nostro attuale parroco Padre Giorgio Monzani, su questo argomento ci ha fornito una serie di notizie.
Dagli archivi della Curia Diocesana di Lanusei risulta che i primi registri della parrocchia di Ilbono, detti “Quinque Libri”, risalgono al 1601 e sono scritti in spagnolo con la firma del Rev.mo Parroco Alonso Lasso. Ilbono, come tutti i paesi d’Ogliastra, dal 1479 era sotto la dominazione spagnola. E’ interessante notare che la Parrocchia di Ilbono era già dedicata a san Giovanni Battista.
Infatti si legge: “Liber de la villa Ilbono de la Parroquial Iglesia de S. Iua Bautista”. Più avanti negli anni, nel 1643, con il parroco Rev.mo Señor Don Bernardo De La Cabra, risulta dai registri dei battesimi che i nomi maschili prevalenti sono: Pedro, Antonio e Jõan, mentre per le donne, quasi in modo esclusivo, in tutto il ‘600, prevale il nome di Maria e Maria Grazia più tardi. Questo attesta che nel 1600 è già diffusa in Ilbono la devozione alla Madonna delle Grazie. Pertanto possiamo dire che la Chiesa Parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista è davvero del XVI secolo, quindi del 1500. Da ricordare, per esempio, che nella seconda metà del ‘500 sacerdote ilbonese era Salvatore Lussu, zio del pittore ilbonese Andrea Lussu sposatosi a Lotzorai nel 1598, dove morì nel 1627.
La chiesa era costruita sul posto attuale. Se calcoliamo che nel 1654 Ilbono contava 102 “fuochi” o famiglie, per un totale di circa 408 abitanti, possiamo anche dedurre che la chiesa era piuttosto piccola e il borgo si raccoglieva attorno alla chiesa, quello che è il centro storico di oggi.
Il censimento del 1688 dà 484 abitanti. Nel 1751 Ilbono conta 700 abitanti; si è sotto la dominazione degli austriaci, ma i registri continuano ad essere scritti in spagnolo fino alla metà del 1800. Al tempo del Regno di Sardegna, dal 1720 fino al 1861, data dell’Unità d’Italia, risulta che Ilbono era curato da un vicario assistito da due sacerdoti. Oltre alla chiesa parrocchiale dedicata a San Giovanni Battista, c’era una chiesa minore ufficiata dalla Confraternita del Santissimo. Nella campagna c’erano due cappelle, una sopra un rialto denominata San Cristoforo, a cinque minuti dal paese (così è scritto e fa pensare come nell’800 Ilbono era raccolto attorno alla chiesa parrocchiale), l’altra assai più antica ha per titolari San Sebastiano e San Rocco. Nella prima metà dell’800 è parroco il Sac. Raffaele Chillotti (come risulta dai registri amministrativi, del 25 luglio 1893).

Si passa poi dopo un anno vacante con l’amministratore Rev. Sac. Giovanni Basilio Murgia, al Rev.do Sac. Enrico Rossi, parroco e amministratore della parrocchia di Ilbono dal 1 agosto 1895. Di questo periodo conserviamo la pianta della Chiesa parrocchiale di Ilbono, firmata dal geometra Carlo Bandario di Lanusei, in data 15 aprile 1893, che poi servirà al Rev.mo Rossi per inoltrare richiesta di un contributo (allora le domande erano di competenza della Provincia di Cagliari), perché la chiesa parrocchiale era in precarie condizioni. La carta mette in risalto una chiesa molto più grande. In effetti anche i censimenti ecclesiastici danno in aumento la popolazione di Ilbono: nel 1785 sono 737 abitanti; nel 1821 sono 989. Dal 1881 vengono censiti ad Ilbono anche gli abitanti di Elini che aveva cessato di essere comune autonomo. Gli abitanti nel 1901 sono 2282, nel 1911 sono 2483. La chiesa doveva contenere una popolazione più numerosa. La chiesa fine ‘800 aveva un presbiterio con l’altare maggiore dedicato a san Giovanni Battista e le balaustre. La navata centrale era più lunga dell’attuale: c’erano due porte di due metri una al centro e un’altra più a lato, sulla sinistra. A fianco dell’altare maggiore c’era la cappella restaurata della Madonna delle Grazie, da dove partiva la navata laterale, larga m.3,70, con un’altra cappella, e così la navata sulla parte opposta con la sagrestia a fianco dell’altare maggiore, un’altra cappella (dedicata al sacro Cuore) e in fondo la struttura del campanile. Tre finestre solo sulla parte sinistra. Il contributo viene concesso e la chiesa viene rafforzata e restaurata dal parroco don Enrico Rossi. Nel 1951 l’alluvione (la stessa che distrusse Gairo e Osini), portò danni anche alla Chiesa parrocchiale, franando e rovinando la parete laterale, per cui il parroco don Foddis la restaurò, rifacendo l’abside ovale con mattoni e pietre, restringendo le pareti, e accorciando la chiesa. Le colonne centrali sono sempre rimaste tali. La storia recente è poi nota a tutti.


PERCORSI NATURALISTICI

Sin dalla dominazione romana risulta che il territorio di Ilbono era attraversato da sentieri che permettevano scambi e comunicazioni tra i nuclei agro-pastorali e il paese o addirittura tra Ilbono e gli altri paesi vicini. Molti di questi sentieri sono stati utilizzati in seguito e sino ai tempi attuali sia dai pastori al seguito del loro gregge durante la transumanza, sia dagli agricoltori che trasportavano in paese il prodotto del loro lavoro (grano, olive e frutta).
Noi abbiamo ripercorso con l’aiuto degli adulti e delle cartine topografiche alcuni di questi numerosi sentieri che si diramano nel territorio e abbiamo indicato il nome delle zone toccate e del relativo tipo di vegetazione. Abbiamo tra l’altro saputo dagli anziani, che la toponomastica spesso derivava dal tipo di vegetazione presente in abbondanza nelle zone: ad esempio Terias da “teria” (ginestra); Alinusolu da “alinu” ontano; sa Silimbedda da “silimba” (carrubo); Ceresias da “ceresia” (ciliegie); sa Frisa da “frisa” (ceppitoni); Cardeu - zona ricca di cardi; Perd ’e lione da “lione”(corbezzolo) - zona con rocce e corbezzoli ; Cannargius e Cannas - zone ricche di canne; Pala Suergiu - zona con sugherete.

ILBONO - SCERI’

Partendo dalla periferia di Ilbono lungo la strada che porta a Tortolì si raggiunge la zona di Giralecce, prima disabitata, ora popolata e coltivata con frutteti, oliveti e orti.
Percorsa Scalèspas si arriva a su Ponte Longu, ricoperto di macchia mediterranea, poi si percorre la strada per Cuccuru Orrubiu fra oliveti e olivastri, sino a Terias, zona di vigneti, oliveti e frutteti e come dice il nome, ginestre. A questo punto si continua lungo il tratturo sino a Baunuxi dove, attraversata la statale per Tortolì, ci si inoltra in una strada, asfaltata da pochi anni, che porta direttamente nei pressi di Scerì. Tutto il territorio, per buona parte pianeggiante, è ultimamente migliorato dal punto di vista agricolo: sono state impiantati vigne, frutteti e oliveti. L’importanza della zona è anche dovuta alla presenza di resti nuragici e di Domus de Janas.

ILBONO - SU TUMBARINU

Questo sito ha rivestito per il paese tanta importanza: la presenza di numerose sorgenti, da cui ancora oggi Ilbono si approvvigiona, ha consentito la coltivazione di orti e frutteti, la raccolta di castagne, noci e frutti spontanei. La vegetazione spontanea, è quella caratterizzata dal bosco e dal sottobosco: lecci, corbezzoli, eriche, digitali, tasso barbasso (in sardo “tumbaru”), ciclamini ect. Un tempo per arrivarci si percorreva un sentiero, la cui parte iniziale è stata oggi occupata da varie costruzioni, sentiero, che toccava la zona di San Cristoforo e Pala Suergiu, per inerpicarsi verso Praidas e poi verso il Carmine. Il percorso coincide in parte con la vecchia strada romana che partiva da Cea.

ILBONO - TARE’ - PAULIS

Si tratta di un percorso molto importante per gli ilbonesi che dovevano raggiungere i loro poderi o, addirittura, i paesi di Loceri e Barisardo; forse per questo è oggi anche asfaltata. Passata Sa Perda orruta, si giunge a Giralecce dove anticamente una vasca raccoglieva le acque che provenivano da Samunadorgiu e che servivano per innaffiare gli orti e gli agrumeti circostanti. Oltrepassato il Rio Giralecce e la strada statale si raggiunge “Santu Perdu”, zona di oliveti e frutteti, che circondano la chiesa omonima, ormai semidistrutta. Proprio in questa chiesetta fino agli anni cinquanta si festeggiava, come in altre chiese campestri. Più tardi quando è iniziata ad andare in rovina, i proprietari dei terreni circostanti hanno cercato di restaurarla, senza successo.
Una conseguenza sono stati i furti di varie parti della struttura: tegole, travi, infissi ect…. Proseguendo verso Sud si arriva a Nuxierrilis, dove il fiume Alalè forma una cascata: “Sa Cronta de Alalè”, dovuta ad un dislivello del terreno (nella parte anteriore oggi, come ieri, si coltivano gli agrumeti; nella parte sottostante, per la impraticabilità del terreno, è diffusa la macchia mediterranea). Andando avanti si arriva a Is Tostoinus attraversata dal ruscello omonimo e coltivata, come cinquanta anni fa’ da aranci, mandarini e limoni. Sono presenti alcune case, ancora ben tenute e strutturate come tutte le case di campagna. Procedendo si giunge ai piedi di Tarè dove la zona di Mareias è stata rimboschita da eucalipti, dopo l’apertura della cartiera di Arbatax. Un tempo erano numerosissimi gli alberi delle mandorle che ne producevano centinaia di quintali. La presenza di un’antica abitazione testimonia ancora oggi la vita lavorativa degli agricoltori. Proprio per la raccolta delle mandorle, questi si trasferivano in campagna per settimane intere, dormivano al primo piano, mentre nel piano terra si depositavano le mandorle che le donne raccoglievano dopo che gli uomini le battevano. Le foglie venivano mangiate dalle pecore che le preferivano ad altro cibo. Proseguendo si costeggia il versante di monte Tarè: è l’unico territorio comunale di Ilbono, vasto circa 77 ha. , costituito da boschi di lecci, in parte oggi distrutti dagli incendi. Qui venivano tanti ilbonesi a raccogliere le ghiande per i maiali che si allevavano in casa e contemporaneamente per prelevare legna da ardere. Oggi la zona è recintata e rimboschita con lecci; sono presenti due sorgenti di cui una alimenta un vascone per gli incendi, l’altra che nasce tra i due monti viene chiamata “Intramontes”, da cui il nome alla località. Da questo punto in poi il terreno viene sfruttato per la pastorizia sino ai confini territoriali con Loceri e Barisardo. Ogni tanto si può trovare qualche vigneto e pochi oliveti. Proseguendo si attraversa la piana di Loviccu, ricca di gustosi “cardulinu pessa” sia nelle varietà di cardo che di ferula. Più in là c’è Sartalai con il suo nuraghe omonimo da dove proseguendo si incontra la strada che da Baunuxi raggiunge Barisardo e Loceri.

L’ANTICA STRADA ROMANA

Proprio il territorio di Ilbono, sin dal periodo romano era attraversato da una strada trafficata che, partendo da Cea, e unendosi ad altre due provenienti sempre dalla costa (Arbatax e Barisardo), e che si univano a Baunuxi, si inoltrava verso l’interno, fino ai primi centri della Barbagia. Proprio da Cea, si giungeva a Perdalonga; attraversata la strada statale Tortolì-Barisardo, iniziava un percorso tra due alture (Monte Cuccu-Su Idili) che proseguiva per Perelinu e Nulassu; si passava per Funtana de Semida, poi ai piedi di Forau de Trebini si attraversava il territorio di Baccu e Arzana e si giungeva a “sa Tanca des Paras”, territorio demaniale vincolato per motivi archeologici: qui infatti è possibile vedere i resti di un’antica costruzione, forse un convento, per le feritoie che starebbero a dimostrare l’aspetto di difesa da parte di frati che vi dimorarono fino ad alcuni secoli fa. Proseguendo si giungeva a Piranserì, già sito nuragico di una certa importanza e poi si arrivava a Musureu. L’antica strada continuava nel territorio di Ardalasè, attraversava l’omonimo ruscello e giungeva alla statale per Tortolì. All’altezza del curvone omonimo ci si introduceva in un sentiero, “Sa Frisa”, da dove si procedeva per Terias zona ricca di oliveti e vigneti. Risalendo si arrivava a Cuccuru Orrubiu, si attraversava Perdu Zoppu e dopo Giralecce si raggiungeva Ilbono. Qui, all’altezza dell’attuale Vico Roma si proseguiva fino a San Cristoforo. Quindi il sentiero attraversava l’attuale ferrovia tra castagneti, alberi di noci e ciliegie nel territorio di Praidas e proseguiva per “Su Tumbarinu”, dove all’altezza del Km. 88 della statale per Nuoro, termina il territorio di Ilbono. L’antica strada romana, che per un tratto coincide con la statale, proseguiva verso Nord.