London Romance by Lelechan

CAPITOLO 1: Incontro

La sveglia suonò. Un suono fastidioso, ma familiare.
Solo dopo diversi squilli, Marco si svegliò con la mente terribilmente intorpidita. La notte precedente aveva avuto molte difficoltà a prendere sonno, lui stesso non avrebbe saputo dire se per l'emozione o per il fish and chips strafritto e straunto che Matt gli aveva proposto per cena e che lui non si era sentito di rifiutare.
Lentamente aprì gli occhi nella penombra scura e densa della stanza. Dapprincipio ebbe l'impressione di non essersi svegliato affatto, quella camera da letto non gli era per niente familiare.
Poi la foschia che gli annebbiava il cervello cominciò lentamente a diradarsi, permettendo a un semplice ragionamento di fare capolino nella sua sfera cosciente, prima che l'inquietudine che aveva faticosamente tenuto a bada il giorno prima, insieme alla frittura che proprio non voleva saperne di essere digerita prendessero il sopravvento su di lui. Cominciò così col rendersi conto che il motivo per cui quella camera da letto gli appariva estranea era che non era affatto la sua camera da letto.
Bene, a poco a poco le cose stavano cominciando ad andare al loro posto. Però, se quella non era la sua camera, perché lui si trovava lì? E lì dove, poi? Certo forse due domande insieme erano un po' troppe per il suo povero cervello annebbiato, molto più preoccupato di riuscire a capire perché quel pesce e quelle patatine si fossero dimostrate tanto testardamente immuni a tutti i succhi gastrici che aveva a disposizione: possibile che quell'organismo che era suo compito far funzionare alla perfezione non disponesse di qualcosa di più potente? Ma forse tutto ciò non era importante. La domanda a cui valeva veramente la pena rispondere, quella che avrebbe reso tutto immediatamente più chiaro e rimesso ogni tassello di Marco, della sua vita e del suo apparato digerente al posto giusto, era un'altra: ma quante birre e, soprattutto, quanti scotch whisky doppio malto, si era bevuto da quando era arrivato a Londra?
Mentre quei pochi neuroni che ancora rispondevano alle domande della vocina nella testa di Marco (vocina che, in mancanza di una migliore definizione, si potrebbe chiamare coscienza) si affannavano a conteggiare bicchieri, lattine, bottiglie e bottigliette, il fish and chips fu finalmente costretto a soccombere. Solo grazie a questo evento sicuramente degno di nota, dopo un breve ma intenso momento di esultanza, il cervello del ragazzo poté finalmente tornare a ragionare, appena in tempo per captare l'eco della domanda che aveva fatto partire il difficilissimo conteggio.
Londra?
"Cazzo!!!" Esclamò Marco balzando giù dal letto. Evidentemente una sola settimana di permanenza nella capitale del Regno Unito non era bastata a trasformare un italiano in un lord inglese.
Grazie all'acqua della doccia, che scorrendo su di lui lavò via le ultime foschie della sonnolenza e degli alcolici, Marco poté riaquisire il pieno possesso delle sue facoltà mentali. La prima decisione che prese fu di smetterla di condividere lo stile di vita di Matt. Cavoli, era bastata una sola settimana con il suo coinquilino scozzese per ridurlo uno straccio!
Era giunto il momento di darsi una regolata, aveva bisogno di tutte le sue risorse per dimostrare a se stesso e a tutti gli altri che anche lui valeva qualcosa, che non aveva sbagliato a venire a Londra. Tanto più che aveva ormai capito che tutto quel gozzovigliare non faceva per lui. Ed in effetti, mettendo per un attimo da parte il suo orgoglio, gli appariva evidente che non aveva la tempra adatta a simili bagordi. Certo ammetterlo provocava un'acuta fitta di dolore al suo amor proprio di macho latino, ma come cavolo faceva Matt ad andare avanti in quel modo?! Non per niente quel tipo non aveva tutte le rotelle a posto, non poteva averle: qualunque essere umano, anzi qualunque essere vivente, avrebbe riportato seri e permanenti danni a bere e mangiare quella roba per più di una settimana di fila!
Marco si guardò allo specchio e tristemente dovette constatare che i suoi occhi stavano assumendo lo stesso strano luccichio di quelli dello scozzese...
Vagamente si chiese se fosse un effetto dell'elevato tasso di alcool nel suo sangue o di quello, altrettanto elevato, di colesterolo. Scosse la testa con disappunto, non aveva tempo. Stava rischiando di arrivare in ritardo già il primo giorno di scuola.
Dubbioso lanciò un'ultima occhiata allo specchio, avrebbe decisamente potuto fare di meglio. Anche se non fosse stato uno studente di fashion design, un aspirante stilista insomma, avrebbe comunque potuto fare di meglio. Si consolò pensando che in ogni caso sarebbe stato vestito diecimila volte meglio di qualsiasi inglese. Un brivido gli attraversò la schiena al pensiero di come si conciava la gente di quel paese. La morte della moda, ecco cos'era che incontravi per le strade di Londra. Ed in effetti era proprio per questo che lui si trovava lì e non a Parigi o a New York. Essendo arrivato ultimo nella graduatoria non gli era rimasta molta scelta, e se l'Inghilterra era stata scartata da tutti quelli con un punteggio migliore del suo un motivo ci doveva pur essere.
Ma non si sarebbe dato per vinto. In fondo girando per Carnaby Street o semplicemente stazionando a Leicester Square ti passavano intorno i tipi più assurdi e gli abbigliamenti più improbabili, non sarà stata la raffinatezza degli Champs Elysées o lo stile della Fifth Avenue, ma era certo che sarebbe riuscito a trovare stimoli più che sufficienti per la sua creatività, in fondo lui era italiano, la moda, lo stile ce li aveva nel DNA!!! E poi la scuola che si apprestava a frequentare era comunque un istituto rinomato e cosmopolita. Forse, almeno lì, sarebbe riuscito a distinguersi, ad emergere, a dimostrare a tutti che come stilista valeva qualcosa.
Londra era la sua grande occasione.
Aprendo la porta di casa lanciò un'occhiata al cielo. Nuvole, nuvole, nuvole. Non che si fosse aspettato qualcosa di diverso, ma tutto quel grigiore stava cominciando a stancarlo, rischiava di avere un effetto deleterio sul suo umore. E Marco non poteva permetterselo. Non poteva lasciarsi andare ai dubbi, all'ansia e neanche alla nostalgia di casa. Diventare uno stilista era per il giovane la cosa più importante, non si sarebbe lasciato piegare tanto facilmente al destino che altri avevano scritto per lui. Non avrebbe mollato e avrebbe dimostrato che aveva i numeri per farcela, con quello stage all'estero lo avrebbe dimostrato a tutti.
Perciò doveva cacciare indietro i dubbi e la nostalgia che quel cielo plumbeo e la pubblicità dei maccheroni sul cartellone dall'altro lato della strada risvegliavano in lui. Quei dannati maccheroni! Ogni volta che li vedeva, fumanti, sugosi, invitanti, si sentiva un groppo in gola e lo stomaco gli mandava una fitta dolorosa. Allora si domandava che diavolo ci stava a fare lui laggiù in mezzo alla nebbia, avrebbe fatto prima a restare in Italia, tanto lo sapeva benissimo che non sarebbe andato da nessuna parte, era pur sempre arrivato ultimo in quel cavolo di graduatoria ed aveva contro tutti i suoi parenti che lo avevano cresciuto solo per farne l'erede dell'impresa di famiglia. Ma no, non doveva, non poteva buttarsi giù in quel modo, doveva impedirsi di pensare all'Italia, anche a costo di bandire i maccheroni dalla sua dieta e mangiare fish and chips per il resto del suo soggiorno a Londra!! In fondo era anche per liberarsi da quelle influenze nefaste che aveva fatto di tutto per riuscire a partire.
Si stava giocando il tutto per tutto, quell'anno avrebbe deciso del suo futuro.
Arrivò alla scuola piuttosto trafelato e si fermò davanti alla porta chiusa dell'aula per riassettarsi i vestiti e darsi un contegno. Dopo un lungo sospiro si sistemò la borsa sulla spalla e lanciò al cielo la silenziosa preghiera che il prof non fosse ancora entrato.
Aprì la porta con decisione e sorrise nel constatare di essere stato ascoltato.
Lanciò una rapida occhiata ai posti rimasti liberi e alla fine si sistemò vicino alla grande vetrata che dava sulla strada tre piani più in basso. Poggiò la borsa sul tavolo e, mentre sistemava le sue cose sul banco, cominciò ad osservare, cercando di non averne l'aria, quelli che sarebbero stati i suoi compagni di corso.
Quattro ragazze sedute sui banchi in prima fila chiacchieravano rumorosamente tra di loro. Non erano brutte, ma neanche carine, a una prima occhiata sembravano inglesi. Certo, era strano che lo fossero, non si trovavano forse nell'aula di un corso speciale per studenti stranieri? Si concentrò su quello che indossavano e rapidamente distolse lo sguardo. Be', inglesi lo sembravano proprio. Subito i suoi occhi andarono a posarsi su un ragazzo alto e magro, seduto scompostamente all'ultimo posto in fondo all'aula, un tipo che solo un cieco avrebbe potuto ignorare!! In effetti era vero che bastava passare anche solo pochi giorni in quella città per abituarsi e restare indifferenti di fronte a qualsiasi look, ma la cresta verde di quel tipo attirava decisamente l'attenzione. La cresta e i piercing e il tatuaggio e i pantaloni di pelle e la maglietta strappata e il collarino con le borchie al collo. Insomma tutto il classico armamentario dei punk, come in Italia se ne vedevano davvero pochi, nella sua città poi Marco non ne aveva mai visto nessuno.
La sua attenzione fu attirata da una sonora risata che veniva dalla parte opposta della stanza dove due ragazzi e una ragazza di origine indiana stavano ridacchiando. Avevano uno sguardo aperto e solare e sembravano simpatici, ma anche molto affiatati tra loro.
C'era poi un ragazzo nero che aveva un'aria molto hip hop, vestito con pantaloni larghi e un lupetto scuro, la sua espressione era molto seria e concentrata, sul suo banco tutto era allineato in perfetto ordine. Il ragazzo, forse sentendosi osservato, si voltò lentamente verso Marco e, quando i loro sguardi si incrociarono, gli sorrise. Un sorriso semplice e schietto. Aveva occhi scuri brillanti di entusiasmo e aspettative, ma anche pieni di determinazione.
Marco sorrise di rimando e stava per alzarsi e andare a presentarsi, quando l'attenzione generale venne catturata dalla porta che si apriva. I ragazzi indiani smisero di chiacchierare e le ragazze apparentemente inglesi balzarono giù dal banco con insospettata agilità, tutti gli occhi puntarono sulla figura che stava entrando nell'aula. Immediatamente realizzarono che non era entrata la professoressa, ma solo un'altra studentessa. Eppure il chiacchiericcio ci mise qualche secondo di troppo a riprendere indisturbato, coprendo il ticchettio dei tacchi alla francese della nuova venuta. Era una ragazza alta e magra, con i lineamenti del viso un po' troppo marcati, ma ciò nonostante era impossibile per chiunque nei paraggi ignorare la sua presenza, in qualsiasi ambiente si trovasse. C'era qualcosa di magnetico in lei, nel suo modo di camminare, nel suo portamento, nei suoi occhi truccati ad arte per accentuare il loro azzurro profondo, nel suo impeccabile look minimal-chic che la rendeva inequivocabilmente attraente, essenza di un fascino femminile velato di mistero.
Al suo ingresso il Ragazzo-hip-hop si era spostato leggermente per seguirla con lo sguardo, come del resto avevano fatto tutti, così che Marco si era accorto della presenza di un'altra ragazza nella loro classe, una ragazza che non aveva potuto scorgere prima. Era una giovane orientale incredibilmente minuta, talmente esile da essere stata completamente nascosta dal fisico imponente del ragazzo seduto di lato a lei, altrimenti non sarebbe di certo passata inosservata!
E come poteva passare inosservata con quei capelli rosa?!?
Quel colore, così sgargiante e inusuale, aveva un effetto ancora più forte sul taglio a caschetto assolutamente ordinario della ragazza che il verde sulla cresta ingelatinata del Ragazzo-punk in fondo all'aula.
Ma non erano solo i capelli ad attirare l'attenzione su quel visino da bambola. Erano anche le labbra truccate come fragole polpose, i grandi occhi a mandorla, le dita piccine in contrasto con l'enorme anello a forma di fiore che le ornava facendole sembrare ancora più sottili. Ma soprattutto era la sua espressione. Un'espressione sognante, determinata, malinconica, infuocata, continuamente in bilico tra diversi stati d'animo, ognuno dei quali veniva rispecchiato fedelmente sul suo viso. Sembrava che mille luci colorate in continuo movimento illuminassero quei lineamenti delicati di differenti di riflessi, come se, da un momento all'altro, quel viso avesse potuto scoppiare indifferentemente a piangere, o a ridere, o a sbadigliare, ma tutto con la stessa travolgente, disarmante intensità. E pensare che fino poco prima Marco avrebbe giurato che i "cinesi" erano tutti uguali.
Eppure quella ragazzina in miniatura era completamente diversa da ogni altra ragazza che lui aveva visto prima, bianca, nera o gialla che fosse. Era assolutamente unica.
E non era cinese.
Bastava uno sguardo anche fugace ai suoi vestiti appariscenti e colorati per capire che non poteva assolutamente esserlo. L'aveva pensata cinese soltanto perché per lui tutti gli orientali, cinesi, giapponesi, tailandesi, coreani e chi altri, erano semplicemente "cinesi", non aveva mai sentito il bisogno di fare distinzioni. A dire il vero era certo che, se anche ne avesse avvertito la necessità, non sarebbe comunque riuscito a distinguere l'uno dall'altro gli orientali che incontrava per strada. Forse semplicemente perché non aveva mai fatto particolarmente caso a nessuno di loro. Tuttavia era sicuro che anche se avesse incontrato quella ragazza a servire ai tavoli in un ristorante cinese del centro della sua città, l'avrebbe notata immediatamente e poi l'avrebbe riconosciuta tra mille. Non aveva mai avuto tante certezze su una persona appena incontrata, su una persona con cui non aveva mai scambiato neanche una parola.
Si sorprese a domandarsi come sarebbe stato il suono della sua voce...
E si sorprese ancora di più perché non si era neanche mai posto tante domande su una persona che in fondo non conosceva affatto. Poteva benissimo essere odiosa. In effetti ad osservarla bene c'era una luce furbetta nei suoi occhi, doveva proprio essere una piccola peste... Allora perché non riusciva a smettere di fissarla? Perché non riusciva a smettere di pensare a lei?
Naturalmente gli era già capitato di mettersi a fantasticare su qualche ragazza vista in metro o per la strada, ma non si era certo chiesto quale fosse il suono della loro voce!!! Insomma si domandava cose ben diverse, tipo che taglia di reggiseno portassero e se era tutta imbottitura o roba vera quella che aveva attirato la sua attenzione (tra Wonder Bra, imbottiture ad olio e chissà quale altra diavoleria non c'era mica da fidarsi...)
Ma stavolta era diverso. Stavolta si stava chiedendo che tipo di persona fosse quella che adesso lo stava fissando a sua volta, spalancando ancora di più gli occhioni castani. Stava cominciando a sentirsi a disagio...
In fondo quella ragazzina non era tutto 'sto gran che. E non era neanche il suo tipo. A lui piacevano le ragazze alte e prosperose, possibilmente bionde e con gli occhi chiari. Insomma tutto l'opposto di quella nanerottola Chioma-rosa. E poi le giapponesi non avevano tutte il culo basso e le gambe storte?!?
Eh sì perché non c'era proprio alcun dubbio che quella ragazza fosse giapponese. Sembrava uscita para para da un manga. E magari aveva anche una di quelle insopportabili vocette stridule da eroina di anime. Sicuro che la aveva. "Ma allora perché non riesco a smettere di guardarla?"
"Wow!!! Com'è... europea!!!!" Pensò Mikako non appena i suoi occhi si posarono sulla ragazza alta che era entrata in una nube di Chanel e un ticchettio di Prada.
Non riusciva a levarle gli occhi di dosso, quella ragazza emanava "europeità" da tutti i pori! Anche da quel suo nasone che avrebbe fatto rabbrividire in Giappone. Ed era così alta!
"Certo che i vestiti fanno tutto un'altro effetto addosso a chi dispone di un metro di gambe..." Constatò sospirando sonoramente dal basso del suo metro e cinquanta di altezza.
"Ma non i vestiti dell'Happy Berry!! Giuro che staranno benissimo anche alle ragazze più basse, anzi che staranno molto meglio alla ragazze basse che alle stangone!!!" Si disse con risolutezza stringendo forte il pugno destro, mentre nei suoi occhi già cominciavano ad ardere le fiamme da "fanatica dei pomeriggi". Ma quelle fiamme si affievolirono immediatamente, non appena Mika si rese conto che era proprio per questo che era venuta in Europa, per uscire dagli scenari ristretti del suo paese, per poter imparare a confezionare vestiti che, pur mantenendo l'inconfondibile stile Happy Berry, potessero essere adatti ad ogni donna. Doveva cominciare a pensare più in grande una buona volta! Se davvero voleva realizzare il suo sogno di aprire dei negozi con il suo marchio doveva tenere presente che poi avrebbe dovuto venderli i vestiti!! E venderli a più persone possibili. Non doveva continuare a ragionare come se i suoi abiti li dovesse indossare solo lei. In effetti aveva già commesso questo errore al primo mercatino a cui aveva partecipato con l'Akindo e pensava che quell'esperienza le avesse insegnato la lezione, ma evidentemente non aveva imparato a sufficienza.
Forse la ristrettezza di orizzonti non era in Giappone, ma nei suoi stessi pensieri...
"Be' in fondo è proprio per questo che sono venuta in Europa!" Si disse per farsi coraggio con un sorriso un po' forzato, che però diventava sempre più convinto a mano a mano che Mikako ritrovava il suo abituale entusiasmo, quell'entusiasmo inarrestabile che la pervadeva sempre quando si trattava di lottare per inseguire il suo sogno di diventare una stilista famosa.
A poco a poco cominciò ad avvertire uno strano formicolio al braccio sinistro, un formicolio che si andava facendo sempre più intenso, tanto da distoglierla dai suoi pensieri. Quel formicolio le suscitava una fastidiosa sensazione che non riusciva più a ignorare, si sentiva come... spiata.
Lentamente si voltò verso sinistra aspettandosi di vedere qualche losco figuro, invece...
"Un altro marziano scintillante!!!" Fu la prima cosa che passò per la mente di Mikako non appena si accorse del ragazzo che la stava fissando tanto intensamente da provocarle quel formicolio che ora si era esteso fino alla spalla. Non poteva essere altrimenti, doveva per forza essere un marziano anche lui: quel tipo ricordava Seiji in maniera impressionante. Aveva gli stessi capelli un po' lunghi sul collo, a sfiorare le spalle, tutti sfilzati proprio come quelli del suo amico parrucchiere, con la riga da una parte e un ciuffo ribelle che ricadeva sul viso. Erano persino dello stesso biondo scuro! Solo che con molta probabilità quelli del suo nuovo compagno di calsse non erano tinti, ma naturali. E la similitudine non si limitava solo ai capelli, che potevano benissimo essere una moda, i due avevano in comune anche la corporatura e il modo di vestire.
Inoltre erano entrambi bellissimi!!!
Tuttavia quello che veramente faceva impressione erano gli occhi e lo sguardo. I loro occhi erano dell'identica sfumatura di marrone, anche se, ovviamente, avevano un taglio completamente diverso essendo uno occidentale e l'altro orientale. Soprattutto poi avevano lo stesso sguardo. Quello sguardo irresistibile, magnetico e scintillante. Non aveva mai visto nessun altro, oltre Seiji, con tutto quello scintillio negli occhi, quella strana luminosità che diffondendosi dallo sguardo arrivava ad avvolgere tutta la persona, dotandola di un'aura quasi soprannaturale. Eh sì, non c'erano dubbi, dovevano proprio venire dallo stesso pianeta...
"Oddio, devo dire qualcosa, devo fare qualcosa! Non posso solo starmene qui a fissarla!!" Pensò Marco mentre i secondi passavano e lui non riusciva a distogliere lo sguardo da quel viso sconosciuto.
Stava seriamente iniziando a sentirsi leggermente idiota. Cosa ben peggiore, aveva paura che lei potesse cominciare a considerarlo idiota. Doveva assolutamente fare qualcosa, solo non aveva idea di cosa fare. Si sentiva come se il suo cervello si fosse tramutato in un enorme budino e i suoi pensieri scivolavano via come il caramello sul crème caramel senza che lui riuscisse ad avere alcuna presa su di loro. Cosa poteva fare? Cosa sarebbe stato sensato fare? Ormai era sicuro che lei avesse cominciato a farsi un'idea sbagliata di lui, sarebbe stato il minimo. Doveva smetterla di stare lì ad osservarla come un baccalà! Doveva fare qualcosa, porco cane! Una cosa intelligente, o anche solo una cosa normale. Forse a quel punto sarebbe andata bene anche una cosa scema. Purché si decidesse a fare qualcosa, una qualsiasi cosa!
E fu così che Marco sorrise a Mikako.
"Cavoli, anche il suo sorriso è proprio identico a quello di Seiji! Non avrei mai pensato che due persone di razza diversa potessero essere così uguali..." Pensava Mika tutta assorta, mentre, senza neanche accorgersene, restituiva il sorriso a Marco, sorridendo di rimando a quel sorriso che non aveva mai visto ma che lei era così familiare, sorridendo come aveva fatto tante volte di fronte a quello stesso sorriso sulle labbra di Seiji, sorridendo a quel ragazzo sconosciuto come se fosse stata la cosa più naturale del mondo.
Proprio in quel momento la porta si aprì nuovamente e stavolta ne entrò una signora abbastanza anziana con un improbabile taillerino verde pastello che non poteva essere altri che la professoressa. Nell'aula scese immediatamente il silenzio, mentre la donna salutava la classe con marcato accento londinese.
Allontanando velocemente dai loro pensieri quel semplice sorriso che come una brezza calda e leggera era passato tra di loro, Mikako e Marco si concentrarono solo sulla loro insegnante, pregando la stessa preghiera nel silenzio dei loro cuori: "Signore, ti prego, fa che riesca a capirci qualcosa di quello che questa dirà."

CAPITOLO 2: Amicizia

"Oddio, Mika! Certo che sei capitata proprio in una classe... ehm... eterogenea!"
"Già, già."
"E poi scusami, ma non posso credere che ci sia un ragazzo italiano uguale a me..." Fece Seiji dubbioso. "Io sono unico." Concluse poi sottovoce, come rivolto a se stesso.
"Ma ti dico che è così, è proprio identico! Te lo giuro! Ha gli stessi capelli, gli stessi occhi, lo stesso sorriso. E poi è anche lui scintillante." Aggiunse Mikako in tono perentorio, come se quell'ultima affermazione rendesse il tutto perfettamente plausibile.
"Scintillante? Sei sicura? Non è che ti confondi? Certo il tuo inglese è migliorato ma... "
"E non fare tanto il saccente Seiji!!! E' proprio scintillante che volevo dire!! Scintillante: scintillante!"
"Ah!" Fece il ragazzo non appena Mika pronunciò quell'unica parola in giapponese e tese la mano verso di lei con fare significativo.
"Ma uffa!! Non vale! E' stata colpa tua, mi hai fregato!"
"Mi spiace, Mika, ma le regole sono regole, paga pegno senza fare tante storie." Ribattè freddamente il giovane hair stylist, seguendo un copione ormai consolidato che si ripeteva quasi ogni giorno.
"Oh come sei inflessibile, è proprio vero che non sei umano! Sono tutti così inflessibili sul tuo pianeta? Allora devo fare attenzione al mio nuovo compagno di classe..." Rispose lei, tirando fuori dalla tasca il suo borsellino rosa.
"Che cavolo sta dicendo?!" Pensò Seiji tra sé e sé, ma ormai era abituato ai discorsi senza senso di Mikako, ai suoi strani deliri, quasi non ci faceva più caso. Almeno finché delirava in inglese se non altro...
"Uffa, mi stai costando un sacco di soldi! E devo anche fare la spesa e andare a comprare le stoffe e tutto il necessario, che strozzino che sei!!"
"Non prendertela con me, non li prendo io quei soldi, sono tutti lì nel salvadanaio, è un fondo comune alla fine." "Sì, un fondo comune a cui però contribuisco solo io!!"
"E che ci posso fare? Non è colpa mia se tu ti fai sempre sfuggire parole giapponesi. Se vuoi un consiglio, dovresti smetterla di sentire ininterrottamente quel cd dei Mambo, se continui ad ascoltare musica giapponese le parole giapponesi finiscono per ronzarti nel cervello e alla fine vengono fuori. Ascolta musica inglese, invece. E' un ottimo esercizio, anche per imparare la corretta pronuncia delle parole che non conosci."
"Uffa, eccolo lì, con la sua solita inflessibilità da marziano...." Fece lei un po' contrariata mentre rimetteva i soldi nel borsellino dopo averli contati e ricontati almeno tre volte. Ma come poteva smettere di ascoltare i Mambo? Il solo sentire la voce di Ken Nakagawa le rendeva un po' più sopportabile la lontananza di Tsutomu, era come un balsamo per il suo cuore torturato da tante piccole spine, una per ogni giorno in cui erano stati lontani.
D'altrocanto non poteva andare avanti così. Anche se all'inizio quell'assurda regola di pagare una sterlina per ogni parola giapponese che pronunciavano le era sembrata un'ottima idea per impratichirsi con l'inglese ed immergersi rapidamente nella nuova realtà, e sentire così un po' meno la nostalgia di casa, adesso stava cominciando a farsi problematica. Una sterlina oggi sentire, una domani (o meglio quattro sterline oggi, magari anche cinque domani) ed ecco che i soldi non le bastavano più per arrivare alla fin del mese. Forse avrebbe fatto meglio a smetterla con i Mambo, almeno per un po'.... Non poteva certo lesinare sul materiale per confezionare gli abiti!
"Senti Matt, tu che vivi a Londra da un anno ormai, non hai idea di dove possa andare a comprare un po' di stoffa ed altri articoli di sartoria? Che non costino troppo però..." Fece Marco sporgendosi con il busto dentro la stanza del suo coinquilino. Gli venivano i brividi ogni volta che metteva piede lì dentro e preferiva evitarlo, se appena poteva.
C'era sempre una strana atmosfera in quella stanza.
"Sartoria? Mi spiace ma non ne ho proprio idea, non è il mio genere sai." Rispose lo scozzese senza staccare gli occhi dal monitor del computer. Illuminato solo dal riflesso dello schermo, il suo viso scarno appariva quasi irreale. Marco si soffermò un attimo sulla soglia ad osservarlo e come di consueto rabbrividì, non riuscendo a capire se era per l'aspetto inquietante del suo amico o per la brezza gelida che dilagava tra quelle quattro mura. L'aria carica di pioggia di quel grigio pomeriggio londinese pervadeva la piccola stanza, entrando dalla finestra eternamente spalancata. Ciò nonostante si riusciva lo stesso ad avvertire un bizzarro e nauseabondo odore in sottofondo.
Infatti la camera era nel disordine più totale, con il letto disfatto e la biancheria sparsa dappertutto, lattine e bottiglie di birra in tutti gli angoli e pacchetti di patatine e noccioline nei posti più impensati, mentre tra la soffice moquette costellata di ogni genere di macchie si potevano trovare avanzi di cibo vecchi anche di otto mesi. Come al solito l'unica fonte di luce nella stanza era lo schermo perennemente acceso, così che nella penombra era molto difficile accorgersi di quanto realmente sporco fosse lì dentro. Se un giorno ci fosse stata una luminosa giornata di sole a svelare la completa mancanza di igiene, probabilmente Marco non ci avrebbe più messo piede e si sarebbe precipitato al primo ospedale a fare l'anitetanica e il vaccino contro l'epatite. Ma né la scoperta del reale stato della sua camera, né la reazione del suo coinquilino avrebbero potuto spingere Matt a modificare di una virgola il suo comportamento. Semplicemente non gli importava, finché il pc funzionava e suo fratello continuava a spedirgli il whisky dalla Scozia il suo mondo era perfetto.
"Vabbe' non fa niente, in qualche modo mi arrangerò. Tanto c'è tempo, devo ancora finire gli schizzi e poi preparare i cartamodelli." Disse infine Marco, voltandosi per andare via. In effetti ci aveva provato giusto per provarci, non aveva il minimo dubbio che il suo amico non sarebbe mai stato in grado di indicargli simili negozi. Però valeva la pena tentare, in fondo quel ragazzo conosceva tutti i posti più economici di Londra ed un negozio economico era proprio quello di cui aveva bisogno. Madò, era davvero un'impresa sbarcare il lunario con la sterlina a tremila lire!
"Ehi aspetta!" Lo richiamò indietro Matt. "Stasera vado in quel locale di cui ti ho parlato con un mio amico, sai quello dove servono il pasticcio di carne con le patatine fritte a sole 4 sterline e 99, che fai vieni con noi? Poi si va a farci qualche pinta, naturalmente!"
"Ehm... grazie, ma mi sa che stasera salto. Te l'ho detto devo almeno finire i disegni per oggi."
"Ok." Rispose laconicamente il giovane ripuntando lo sguardo sul monitor.
"Meno male che l'ho scampata!" Pensò Marco dirigendosi verso la cucina. "Un'altra delle cene di Matt non l'avrei proprio retta! Per non parlare del dopo cena nel pub... Ma come cavolo farà quello a bere tanto e restare così secco? Fa quasi impressione tanto è magro. Ma mi sa che intorno ai trent'anni gli verrà una panza... Proprio come ai tedeschi. Sì, quei panzoni gonfi da cui spuntano due gambette e due braccine secche secche. No, no, io non voglio proprio ridurmi così, ho un certo stile da mantenere, io."
Arrivato in cucina aprì il mobile della dispensa e guardò dentro con fare investigativo. Poi passò al frigorifero. Aprì lo sportello un po' scalcagnato e si chinò a indagarne meglio il contenuto.
"Cazzo!" Esclamò ad alta voce, ancora piegato e con la mano appoggiato alla maniglia del frigo, mentre la luce difettosa si accendeva in ritardo ad illuminargli il viso contrariato.
"Ma porca puttana! Non c'è mai un cavolo di niente in questo dannato frigorifero!?!?!" Gridò sbattendo lo sportello. Solo allora si ricordò dello stile che doveva mantenere, lui.
Trasse un profondo respiro per darsi una calmata. Era sicuro di aver preso delle scatolette di tonno, del mais e un po' di insalata, ma che fine avevano fatto? Era già pronto a prendersela con il suo coinquilino, quando ricordò: l'insalata era marcita, perché in effetti non è che lui andasse proprio matto per l'insalata, il tonno lo aveva mangiato insieme al mais il sabato precedente alle sei del mattino quando, dopo aver passato tutta la notte a vomitare l'intera cena per tutti gli alcolici ingurgitati, si era ritrovato in preda ad una fame lancinante che non gli permetteva neanche di prendere sonno, e così si era avventato selvaggiamente su tutto quello che di commestibile gli era capitato sotto mano. Ecco come erano finite le sue provviste. Una fine ingloriosa, certo, però poi aveva dormito benissimo fino alle due del pomeriggio.
"Ho capito, più tardi uscirò a fare la spesa." Disse pieno di rassegnazione al frigorifero.
Marco camminava svogliatamente per le vie del suo quartiere, continuando a pensare ai modelli che aveva disegnato, ai tessuti che si sarebbero sposati meglio con ciascun capo, ai bottoni più appropriati. In giro non c'era quasi nessuno ed anche il traffico era scarso. Le strade erano incredibilmente silenziose, di un silenzio che a lui appariva innaturale. Nella sua città, in Italia, mai nessuna strada sarebbe stata così silenziosa alle cinque del pomeriggio, probabilmente neanche alle cinque del mattino. Ma adesso era a Londra e quello era un quartiere tranquillo, pieno di deliziosi angolini verdi con le panchine seminascoste tra i cespugli, niente a che vedere con il rumore e la confusione delle vie del centro.
Ed ecco lì di fronte a lui l'insegna verde del Gateway, era arrivato al supermercato. Però non aveva pensato affatto a cosa comprare, o almeno non al cibo, tutta la sua mente era presa dagli schizzi che aveva lasciato sparsi sulla sua scrivania. Come gli succedeva sempre, nelle prime fasi della creazione di un abito non riusciva assolutamente a distogliere i suoi pensieri dai progetti che stava portando avanti, almeno finché non decideva su quale delle diverse varianti concentrare i suoi sforzi. Solo allora, quando si trattava di mettersi sotto sul piano pratico e di cominciare a "sporcarsi le mani" con il metro, le forbici, l'ago e il filo, il suo cervello tornava capace di occuparsi anche di altre questioni che non fossero i suoi vestiti. Ma per tutta la fase più propriamente ideativa non c'era verso di concentrarsi su una qualsiasi altra cosa. Certo a casa sua se lo poteva pure permettere, c'era la mamma che pensava a ogni cosa, che lo sollevava da ogni incombenza pratica. Ma ora la situazione era ben diversa. Nessuno avrebbe riordinato, fatto la spesa, il bucato, cucinato, sparecchiato e lavato per lui. Doveva pensarci da solo. Ovviamente non c'era alcun bisogno di fare tutte queste cose, Matt non se ne preoccupava affato e riusciva lo stesso a sopravvivere benissimo. Ma Marco era assolutmente deciso a non diventare come il suo coinquilino, avrebbe badato a se stesso da solo, in fondo non era più un bambino, anzi. Anche se da meno di un mese, aveva pur sempre compiuto diciotto anni. Era maggiorenne e poteva votare e decidere del destino del suo paese, se era in grado di sostenere una tale responsabilità, avrebbe anche potuto cuocersi una frittata, dannazione!
In effetti nonostante non avesse le idee molto chiare su quello che intendeva comprare, sapeva che doveva trattarsi di cose semplici da cucinare e soprattuto sane e nutrienti. Aveva bisogno di tutte le sue energie per diventare il numero uno del corso. Perché stavolta non si sarebbe accontentato di nulla di meno, era stufo di essere sempre tra gli ultimi della classe! E aveva ogni intenzione di mettere tutti gli altri classmates in riga già con quel primo abito che Mrs Tanner aveva dato loro da realizzare per farsi un'idea più precisa di che cosa fossero un grado di fare i suoi nuovi studenti.
Riguardo alla lista della spesa poi, avrebbe preso quello che avrebbe trovato in offerta. O meglio quello che di sano, nutriente e semplice da cucinare avrebbe trovato in offerta.
Era un bel po' ormai che Mika si aggirava tra gli scaffali, ma non aveva ancora preso nulla. Le mercanzie scorrevano davanti ai suoi occhi con tutti i loro colori sgargianti, ma lei quasi non le vedeva. Era tutta concentrata sul vestito che doveva confezionare per Mrs Tanner. Siccome le cuciture non erano il suo forte, aveva pensato di preparare uno dei modelli classici della linea Happy Berry, così non avrebbe perso troppo tempo per il design o i cartamodelli e avrebbe potuto concentrarsi proprio sulle cuciture. Ma a fare in questo modo le sembrava un po' di barare. O anche di non crescere come stilista. E poi non sarebbe stato per niente divertente, se tutto quello a cui avrebbe dovuto pensare fossero state le cuciture! In ogni caso però avrebbe dovuto impegnarsi seriamente per realizzarne di perfette, qui non era allo Yaza, doveva ricominciare da capo se voleva raggiungere il suo scopo e diventare la numero uno del corso. La vittoria sarebbe stata sua, un'altra volta. Cioè, non che stavolta ci fosse una competizione in corso, ma la cosa non era davvero rilevante.
Nonostante fosse tutta presa dai suoi pensieri, non poté fare a meno di notare il vistoso allestimento del tofu nell'area promozionale dei banchi frigo. Comprare il tofu le era così familiare che la sua mano si allungò automaticamente verso la confezione più vicina per metterla nel carrello, senza che lei stessa ne fosse del tutto cosciente.
"Oddio!!" Esclamò ritirando di scatto la mano, subito dopo aver urtato inavvertitamente quella di un'altra persona, anch'essa protesa verso il tofu in offerta speciale a sole 2 sterline e 99. Solamente a quel contatto gli occhi di Mikako cominciarono a mettere a fuoco sul serio la realtà esterna per la prima volta da quando era entrata nel supermercato. E subito si spalancarono per la sorpresa.
"Mikako! Tu sei Mikako, giusto?"
"S... sì." Fece lei timidamente, con molta titubanza. Doveva ancora abituarsi a quest'usanza degli occidentali di chiamarsi subito per nome. Le era preso un colpo a sentirsi chiamare "Mikako" con tanta disinvoltura da uno che aveva incontrato quel giorno per la prima volta. Ma poi venne catturata dallo scintillio alieno nello sguardo di Marco e non le parve più così strano che lui la chiamasse per nome, in fondo quel tipo le era così familiare.
"Tu, tu sei Marco, giusto?"
"Marco."
"Appunto, Marco."
"Mmmm tofu...." Pensò Marco vedendo il grande cartellone promozionale che svettava sull'area frigo del supermarket. "Non ho mai mangiato tofu. A dire il vero non so neanche che è esattamente. Dovrebbe essere una cosa di soia, o no? Boh, fa molto new age però. Quindi mi sa che farà schifo. Un momento però, soia= no colesterolo, sì proteine vegetali. In fondo dovrebbe essere una cosa abbastanza salutare... Chissà se è anche semplice da cucinare... magari si mangia addirittura crudo! Ma sì proviamolo, in fondo è in offerta. E poi io direi che una serie di bottoncini in quel modello sarebbero molto meglio della lampo. Certo per chi poi deve indossare l'abito i bottoncini sono molto più scomodi, ma non credo che Valentino si sia mai posto di questi problemi, no? E poi..."
"Oddio!!" Esclamò una vocina acuta nel momento in cui la sua mano ne sfiorò un'altra. Quel contatto riportò bruscamente il ragazzo alla realtà e si voltò di scatto verso colei che aveva parlato. Ancor prima che i suoi occhi mettessero a fuoco la ragazza al suo fianco, le sue orecchie avevano fatto suonare un piccolo campanello d'allarme, come se quella non fosse stata una voce del tutto sconosciuta.
"Mikako!" Esclamò dando un nome a quella accozzaglia di colori in miniatura di fronte a lui. "Tu sei Mikako, giusto?"
"S... sì." La ragazza parve esitare un attimo e Marco cominciò a temere che lei non lo avesse riconosciuto. Stranamente un piccola fitta di dolore si insinuò nel suo cuore a quel pensiero. Certo, in fondo era perfettamente plausibile che lei potesse non riconoscerlo, erano stati insieme solo per poche ore e lui non era un tipo appariscente come lei. E poi chissà, forse per gli orientali tutti i bianchi sono grosso modo uguali, proprio come i "cinesi" lo sono per gli occidentali. E allora che motivo c'era di rimanerci male? Eppure...
Eppure lui aveva avuto l'impressione che qualcosa fosse silenziosamente passato tra di loro. Qualcosa, lievemente. Che un legame impercettibile li avesse in qualche modo uniti. Un legame sottile ed ineffabile come il sorriso che si erano scambiati in classe, ma pur sempre un legame. E non meno reale di quel sorriso.
"Tu, tu sei Marco, giusto?"
"Ma allora mi ha riconosciuto! Si ricorda di me." E il suo cuore ebbe un leggero sussulto.
"Marco." La corresse lui automaticamente.
"Appunto, Marco."
"Vabbe' ci rinuncio." Si disse il giovane, portando lo sguardo al suolo con espressione rammaricata, anche se in realtà gli piaceva da matti il modo un po' storpiato in cui lei pronunciava il suo nome. Però era vero che aveva proprio una vocina da eroina di anime, ma non era né insopportabile, né stridula.
Rialzò lo sguardo verso la sua nuova compagna di corso ma, memore di come il solo guardarla lo aveva inebetito in classe, si affrettò a guardare da un'altra parte. D'altronde non voleva apparire scortese e ci teneva a cancellare dalla mente di lei qualunque idea sbagliata sul suo conto potesse essersi fatta per il modo insistente in cui l'aveva fissata quella mattina. Per fortuna lui era sempre stato un tipo socievole, con una parlantina sciolta, non aveva mai avuto problemi a intavolare una conversazione con chicchessia, quindi anche stavolta se la cavò egregiamente.
"Sai io non ho mai mangiato il tofu, però visto che è in offerta lo volevo provare. Tu lo conosci? Com'è?" Le chiese cercando di sfoggiare la migliore pronuncia inglese di cui era capace e sorridendo tra sé e sé soddisfatto per il modo impeccabile in cui si era cavato d'impaccio. Aveva trovato un ottimo argomento di conversazione, che spiegava perfettamente, senza farlo passare né per pazzo, né per cafone, il fatto che si era appena girato verso il frigo per evitare di perdersi di nuovo in quegli occhi per lui così esotici.
"Certo che lo conosco, noi mangiamo spesso il tofu in Giappone. E' molto buono, specie stufato con la salsa di soia."
"Stufato?!? E io che pensavo che si potesse mangiare crudo..." Disse lui un po' deluso.
"Be' certo si può mangiare pure crudo, ma dipende anche dal tipo di tofu. Non so se questo qui è indicato, alcuni sono troppo morbidi e acquosi..."
"Acquosi? Mmm... la voglia di provarlo mi sta un po' passando..."
"Ma no, dai! Guarda questo è di consistenza media, lo puoi benissimo mangiare anche così. Basta che prima lo tieni un po' avvolto in un panno con un piccolo peso sopra." Fece Mika prendendo una della confezioni di tofu e dando una rapida occhiata all'etichetta prima di avvicinarla al ragazzo per mostrarla anche a lui.
Marco cominciò a provare una strana sensazione. Si sentiva inaspettatamente a suo agio a parlare con quella ragazza. La cosa era davvero inspiegabile, dato che lui raramente si sentiva anche solo vagamente a suo agio a parlare con delle ragazze che non conosceva bene. In effetti era un po' timido con l'altro sesso, ma grazie alla sua parlantina riusciva sempre a nasconderlo bene.
Al contempo però si sentiva anche stranamente a disagio, turbato quasi. Un po' era perché non aveva mai avuto a che fare con una persona tanto bassa che non fosse un bambino, ragion per cui dover inclinare il collo in quel modo per parlarle lo faceva sentire impacciato, come se non stesse davvero parlando a una ragazza come lui. Eppure la giovane aveva quelle labbra carnose e quel vitino sottile, quelle gambe perfette... Non aveva proprio l'impressione di rivolgersi a una bambina nel fare conversazione con lei, nonostante la sua statura e il seno praticamente inesistente. Si sentiva come se stesse parlando a una fatina, ecco come si sentiva. E la cosa lo faceva sentire un po' strano. E poi adesso che si era avvicinata per mostrargli la confezione del tofu, lui poteva avvertire che emanava un buonissimo profumo di fragola, dolce e fresco. E questa cosa contribuiva a farlo sentire ancora più strano.
"Mi sembra un po' complicato, mi sa che anche se lo compro quasi quasi faccio prima a cuocerlo. Ma come si cucina? Si fa bollire?"
"Be' sì, anche. Volendo si fa bollire, ma a me piace di più fatto alla piastra: si fa in un attimo e intorno diventa tutto dorato e un po' croccantino, è delizioso! Ma il mio preferito è il tofu stufato con la salsa di soia."
"Be' io non ho né la piastra, né la salsa di soia a casa, al massimo c'è un po' di ketchup, ma è di Matt per cui è probabilissimo che sia scaduto. Mi sa che mi dovrò accontentare di bollirlo... "
"Matt?"
"Sì, è il mio coinquilino, un ragazzo scozzese... Ma non si arrabbia anche se uso le sue cose in cucina. E comunque stasera non c'è..."
"Abiti anche tu qui vicino?"
"Sì, abito a Keats Street, 15. E' in fondo alla via qui davanti."
"Ma sì, lo so dov'è! Ci passo sempre per andare a scuola, è proprio vicino a dove vivo io. Perché non vieni a cena da me, stasera? Così te lo faccio provare io un tofu come si deve!!"
"E così ti faccio incontrare il tuo consimile alieno!! Seiji sarà costretto a credermi, non potrà più continuare a sostenere di essere l'unico marziano scintillante su questo pianeta!!!" Pensò Mikako mentre prendeva due confezioni di tofu e le metteva nel carrello.
Ovviamente Seiji non aveva mai sostenuto di essere l'unico marziano scintillante su questo pianeta, ma la cosa non era rilevante, almeno non per Mika.
"Waaaarppp!!!!" Gridò senza neanche aver lasciato a Marco il tempo di rispondere e si precipitò alla ricerca degli ingredienti che le mancavano per cucinare il tofu stufato.
Solo uscendo dal supermercato si rese conto di quello che aveva fatto. Aveva appena invitato uno straniero super cool che conosceva appena a cena da lei. Come aveva potuto essere così temeraria?!? In effetti quel soggiorno all'estero la stava facendo davvero maturare molto. O forse era solo che dopo aver preso una decisione grossa come quella di lasciare il suo paese, la sua casa, la sua famiglia, i suoi amici e il suo ragazzo per inseguire il suo sogno in quel paese all'altro capo del mondo, ogni altra impresa era niente al confronto.
Sempre più spesso si ritrovava a chiedersi se avrebbe avuto il coraggio di accettare una simile sfida se le cose tra lei e Tsutomu fossero rimaste al livello di amicizia. E la risposta che si dava era sempre la stessa: no, non ne sarebbe mai stata capace. Sapere che lui l'amava le dava una forza interiore incrollabile, una forza che non avrebbe mai creduto di poter trovare dentro di sé. Una forza che da sola, sicuramente, non avrebbe saputo trovare. Ma con il suo calore e la semplice dolcezza dei suoi sentimenti, lui riusciva a infonderle coraggio e farle vedere i lati migliori di se stessa. O forse riusciva a farle accettare anche i peggiori, perché in fondo, nonostante tutti i difetti del suo brutto carattere, lui l'amava lo stesso. Conosceva tutti i sentieri bui e i percorsi tortuosi del suo animo, ma l'amava lo stesso. Tsutomu la conosceva meglio di chiunque altro e, nonostante le mille cose di sé che lei stessa detestava, anzi forse addirittura grazie a quelle, lui l'amava per quello che era davvero. Sarà pure stato uno scimmione, ma in fondo era il suo scimmione.
Un momento però, fermi tutti. E se Seiji avesse già preso impegni per quella sera?!?!
"Perché non vieni a cena da me, stasera? Così te lo faccio provare io un tofu come si deve!!" Disse Mikako sorridendo a Marco, un sorriso meraviglioso che la illuminava tutta.
"Accidenti, però è proprio bella." Pensò lui di fronte a quel sorriso, quasi senza realizzare il significato delle sue parole.
"Un momento, ma mi ha invitato a cena! Che faccio? Ci vado? Be'... certo, dovrei finire di disegnare i modelli..."
"Waaaarppp!!!!" Gridò Mikako sfrecciando via con il carrello, lasciando Marco impalato di fronte al frigo, assolutamente basito.
"Warp?!?! Oddio, ma questa è tutta matta!!!" Pensò il ragazzo, mentre direzionava il carrello nella direzione in cui gli sembrava che lei fosse sparita correndo a gambe levate. "Però ormai mi pare deciso, andrò a cena da lei." E il suo cuore ebbe un altro leggero sussulto.
Quella sera, al buio nel suo letto, in quella camera che a poco a poco gli stava diventando sempre più familiare, Marco si ritrovò a ripensare alla serata appena trascorsa.
Al supermercato si erano divertiti a scovare insieme tutti i prodotti meno costosi, senza alcuna ragione apparente non avevano fatto che ridere. Mikako era molto accorta nel fare la spesa, non tanto coi prezzi, a cui faceva più attenzione lui, quanto con gli ingredienti e le date di scadenza, tutte cose a cui lui di solito non prestava molta attenzione. Persino alle casse, dove lui non aveva mai trovato nulla di divertente nello sganciare la grana, si erano fatti quattro risate a imitare i professori mentre riempivano le buste della spesa.
Dopo però, appena usciti in strada, la ragazza si era fatta stranamente silenziosa e seria in volta. Poi all'improvviso si era voltata verso di lui con un'espressione assurda e gli occhi fuori dalle orbite. Marco non sapeva assolutamente che cosa pensare, perché lei sembrava in preda al panico senza alcun motivo logico.
Per fortuna, appena erano arrivati a casa sua, lei era tornata di nuovo allegra e sorridente. Tuttavia il ragazzo si era sempre più convinto che a quella mancasse qualche rotella.
Mikako abitava in una casa davvero carina, niente a che vedere con la topaia che spartivano lui e Matt. Era molto più spaziosa e con un arredamento di qualità decisamente superiore. Infine, la più grande differenza secondo Marco era che si percepiva in quelle stanze la presenza di una donna. Anche se poteva sembrare solo uno squallido luogo comune, non c'era niente da fare, era proprio vero: la presenza di una donna donava un'atmosfera completamente diversa ad una casa, un'atmosfera molto più calda e accogliente, molto più... domestica, per quanto giovane o formato-fatina fosse la donna in questione.
E poi c'era anche quel tipo, Seiji, il sempai di Mika che lei ci teneva tanto a fargli conoscere. In effetti era davvero un bel ragazzo, specie per essere un orientale. (Insomma le orientali potevano pure essere carine, ma gli orientali erano tutta un'altra storia. Senza contare che a lui gli uomini non piacevano comunque.) Non per niente doveva riconoscere che un pochino si somigliavano. Saranno stati i capelli, avevano la stessa identica pettinatura ed anche lo stesso colore. Be', oddio, lo stesso colore si faceva per dire, quelli del tipo erano tinti, mentre i suoi erano tutti naturali. E poi erano della stessa altezza e molto simili anche di corporatura. Ma cosa c'entrasse tutto ciò con i marziani, lui ancora non era riuscito a spiegarselo...
Ad ogni modo questo Seiji era un tipo tranquillo e piuttosto alla mano, sembrava molto simpatico, ma Marco non poteva fare a meno di trovarlo un po' equivoco. Forse la sua impressione era sbagliata, specie se si basava solo sul fatto che si era messo lui ai fornelli per lasciare Mikako a fare compagnia a Marco. In fondo pensare che solo donne stessero bene in cucina, e non i veri uomini, era solo uno stereotipo maschilista, tristemente caratteristico della cultura italiana. Ma in fondo lui italiano lo era, per cui non poteva fare a meno di essere condizionato da simili modi di pensare. O forse stava semplicemente rosicando perché gli sarebbe piaciuto davvero tanto assaggiare la cucina di Mika.
Ok, doveva ammettere che non aveva in mano alcun elemento decisivo per giudicare, però stava di fatto che tutti i parrucchieri che aveva incontrato in vita sua erano gay.
Ad ogni modo, qualunque fossero stati i gusti sessuali di quel tipo, bisognava riconoscere che la sua cucina era ottima. Marco non aveva mai provato piatti giapponesi prima ma, a parte il riso appiccicaticcio, gli era piaciuto tutto tantissimo, persino il tofu. E finalmente il suo apparato digerente aveva potuto rifiatare un attimo, il ragazzo aveva persino rifiutato il sakè che i suoi ospiti gli avevano offerto.
Era stata proprio una bellissima serata, lui si era sentito a suo agio come non mai da quando era arrivato in Inghilterra. Sarà stato anche il fatto che fino ad allora era sempre stato in tensione, anche quando era a casa con Matt doveva fare uno sforzo incredibile per capire l'accento terrificante dello scozzese. Ma soprattutto erano l'ostilità di tutti i suoi parenti che si era portato dietro fin dall'Italia e la dura consapevolezza di dover assolutamente emergere alla scuola di fashion design se voleva spuntarla su di loro, ad impedirgli di rilassarsi anche solo un poco durante quel soggiorno, anche solo per poco tempo.
Ma quella sera Marco si era sentito completamente tranquillo. Era veramente sereno per la prima volta da quando si era rifiutato di segnarsi allo scientifico o a ragioneria, perché per la prima volta, lontano dalla sua famiglia, lontano dai suoi professori, lontano dai suoi amici di infanzia che erano tutti figli di colleghi e dipendenti di suo padre, si sentiva veramente libero. Libero di essere se stesso e di costruirsi il suo futuro con le sue mani. Per la prima volta si sentiva accettato pienamente da tutti quelli che lo circondavano, accettato per quello che era veramente, per quello che lui era con tutti i suoi sogni, le sue aspirazioni, i suoi timori.
Anche se lui e Mikako erano profondamente diversi e provenivano da due background culturali e familiari praticamente opposti, Marco sentiva che sotto molti punti di vista erano due anime affini e che lei poteva capirlo come nessun altro prima. Non era altrettanto sicuro che lui sarebbe riuscito a capire lei, alle volte gli sembrava completamente pazza, ma di sicuro aveva moltissima voglia di provarci. Voleva conoscere tutto del suo carattere e del suo passato e soprattutto voleva condividere con lei la strada che entrambi avevano deciso di percorrere. Non aveva mai provato simili sentimenti, forse per questo non era davvero in grado di capirli lui stesso, ma sentiva che gli davano una grande carica e un'euforia che non aveva mai immaginato di poter provare, almeno non senza abbondanti dosi di birra. Era stata davvero una serata fantastica.
Ma doveva smetterla di pensarci o non sarebbe più riuscito a prendere sonno. Non voleva fare tardi a scuola anche il secondo giorno, tanto più che era rimasto d'accordo con Mika che avrebbero fatto la strada insieme.
Il giorno successivo Marco si svegliò in ritardo, come suo solito. Saltò la colazione e si fece la doccia in tempo record, in fondo quella mattina non aveva da lavar via i postumi di una sbronza, e riuscì ad arrivare in tempo all'appuntamento con Mikako.
Lei era lì ad attenderlo con quel suo buffo zainetto rosa con la ali e un sorriso sul viso.
Fecero insieme la strada fino alla scuola, chiacchierando e ridendo come vecchi amici, e mai l'aria settembrina di Londra era parsa loro così mite alle sette e quaranta del mattino. Era nata una nuova amicizia.

CAPITOLO 3: Voti

"Sì Nardi, il tuo lavoro è buono, ma... Non posso darti otto, mi dispiace. La tua tecnica è perfetta, le cuciture sono precise e i materiali si adattano al modello, però... ti manca quel quid, quello che fa davvero la differenza tra un buon sarto e un vero stilista. Mi spiace, davvero, so quanto ti sei impegnato, ma finché non troverai quel quid che ti manca non potrò metterti allo stesso livello di Martini o Iannicelli. Purtroppo non dipende da me, noi professori il nostro lavoro lo abbiamo fatto, tu padroneggi tutti i procedimenti necessari per confezionare abiti alla perfezione, quello che ancora ti manca devi mettercelo tu, deve venire dal tuo cuore."
Sdraiato sul suo letto, a luce spenta, mentre fuori la pioggia scrosciava attutendo i rumori del traffico dell'ora di punta, Marco ricordava la sua ultima verifica a scuola, in Italia. Era un ricordo doloroso, del quale però non riusciva a liberarsi. Nella luce grigia che dal cielo coperto di nuvole si riversava nella stanza, con gli occhi della mente il ragazzo era in grado di rivedere perfettamente la sua aula all'ultimo piano dell'edificio scolastico. Nel ticchettio della pioggia contro i vetri risentiva la voce della sua professoressa: "Forse ti potrà sembrare ingiusto Nardi, perché i tuoi capi apparentemente sono senza difetti, ma non vibrano. Non so come spiegartelo chiaramente, quello che voglio dire è che da questi vestiti non traspare nulla di te, non traspare nessuna essenza, nessun quid che li renda unici. Devi trovare questo quid in più, che sia solo tuo. Solo allora potrai davvero diventare un bravo fashion designer. Ti darò sette. Non voglio punirti, sia chiaro, voglio spronarti. Sono sicura che ce la puoi fare, devi solo trovare quel quid che ancora ti manca, trovalo dentro te stesso Marco."
Piegò il braccio destro e lo appoggiò sugli occhi, ma il buio in cui sprofondò non servì a cancellare lo sguardo che aveva la sua insegnante in quel momento, uno sguardo in cui lui aveva letto chiaramente il proprio fallimento. Anche se probabilmente non era quella l'intenzione della donna, lui non aveva potuto fare a meno di interpretarlo in questi termini. Aveva dato il massimo per quella verifica, lui era convinto di aver fatto un buon lavoro. Un lavoro che poteva benissimo reggere il confronto con quelli dei suoi compagni che avevano preso otto, invece no. Gli mancava quel quid. Ma che cazzo era 'sto quid!!??!!!
Sospirò rumorosamente e lasciò ricadere il braccio fuori dal letto. Le sue dita sfiorarono la soffice moquette del pavimento. I suoi occhi fissarono il soffitto bianco.
"E' inutile torturarmi in questo modo. Non credo sia la strada giusta per trovare-il-mio-quid." Pensò, caricando di disprezzo le ultime quattro parole. Richiuse gli occhi e trasse un respiro profondo.
Finalmente libera dalle catene di quel ricordo bruciante, la sua mente cominciò a vagare senza una direzione precisa, finché una singola immagine, nitida e luminosa, non prese forma all'interno dei suoi pensieri. Era l'immagine di una ragazza sorridente con i capelli rosa che cominciavano a scolorirsi in biondo. Si ritrovò a domandarsi come sarebbe stato il vestito che Mikako avrebbe presentato a Mrs Tanner.
"Sicuramente Mika ha da tempo trovato il suo quid." Questo pensiero si formò improvvisamente nella testa di Marco e la attraversò rapidamente e violentemente come il primo fulmine squarcia il cielo all'inizio di una tempesta. Per un attimo fu come se una grande verità gli fosse stata rivelata, come se avesse potuto sfiorare una nuova consapevolezza, ma proprio quando stava per afferrarla...
"Marco! Ehi Marco! Vieni qui, corri!" Gli giunse la voce di Matt che strillava dalla sua stanza per chiamarlo.
"Arrivo." Rispose il ragazzo alzandosi pigramente dal letto. Per un attimo, per un solo brevissimo attimo, era quasi arrivato a intravedere la natura di quel quid che tanto cercava.
"Guarda." Gli fece Matt indicando lo schermo del computer non appena Marco ebbe varcato la soglia della sua camera.
"Accidenti! Ma hanno veramente di tutto! Proprio tutto quello che mi serve! E costa la metà che al negozio qui vicino, non ci posso credere..."
"Eh eh eh, tu sottovaluti la grande rete, amico. E poi hai visto, effettuano consegne in giornata in tutta l'Inghilterra centro-meridionale se ordini entro le tre del pomeriggio."
"Matt, sei un genio! Ma come hai fatto a scovare un simile negozio di forniture per sarti su internet!?! A me non sarebbe mai venuto in mente di cercare queste cose sul web... Devo correre a dirlo a Mikako, se ordiniamo i materiali insieme potremo dividerci le spese di consegna!"
"Se, se... mo' si chiama dividere le spese di consegna..."
"Che hai detto? Lo sai che quando parli così veloce non ti capisco!"
"Lascia perdere..."
Seduti in una tea room poco distante da scuola, Mikako e Marco sorseggiavano il loro té di fronte a un piatto di deliziosi scones all'uvetta, con le immancabili ciotoline di burro, marmellata di fragole e di arance.
"Dobbiamo proprio perderla quest'abitudine di venire qui dopo la scuola! A furia di mangiare tutti questi dolcetti burrosi mi sono ingrassata!"
"Ma che dici Mika, a me sembri sempre uguale. E poi con questo freddo c'è bisogno di energie, no? Senza contare che abbiamo lavorato duro in questi giorni... Di' un po', hai tutto pronto per domani?" Chiese lui con fare indagatore. In effetti, nonostante tutte le sue domande, l'amica non aveva voluto dirgli niente circa l'abito che stava preparando per la verifica del giorno dopo. Si era circondata di un alone di mistero e aveva risposto sempre in modo evasivo. Marco era piuttosto curioso, ma non più di tanto, visto che tutta la sua attenzione era concentrata sul vestito che stava preparando lui stesso e sul quale, un po' per scherzo e un po' per ripicca, aveva mantenuto lo stesso cocciuto riserbo. Tuttavia, durante la settimana di tempo che avevano avuto a disposizione per completare il progetto, quello di indovinare cosa avrebbe presentato l'altro era diventato una specie di gioco tra di loro. Infilavano domande dirette a trabocchetto nel bel mezzo di conversazioni su tutt'altro argomento, nella speranza che l'altro, colto di sorpresa, rispondesse. Oppure si torturavano a vicenda fino allo sfinimento, con l'intenzione di ottenere informazioni per esasperazione, sul modello di quella vecchia pubblicità delle caramelle: "Dammi una Mentos, e dai, dammi una Mentos..."
Ma tutto quello che ognuno di loro aveva ottenuto erano solo espressioni enigmatiche e tante risate. Quel pomeriggio però, davanti al loro earl grey fumante, il gioco aveva perso completamente il suo mordente. Il lavoro avrebbe dovuto essere consegnato l'indomani ed entrambi erano molto nervosi per quella prima verifica, anche se cercavano di scherzarci sopra per non darlo a vedere. I loro abiti erano ormai praticamente completati, ma non per questo i due smettevano di pensarci, anche mentre spalmavano la marmellata sopra il burro, la loro mente era tutta presa dalle modifiche dell'ultimo minuto che avrebbero potuto apportare al loro modello per renderlo ancora più soddisfacente.
"Mmm... bel tessuto Mr Nardi e... ottime cuciture. Anche il modello è convincente, sì. Originale, armonioso. Ma... non sapevo che lei intendesse occuparsi di moda per bambini, e poi mi scusi, ma questo modello non le sembra un po' troppo azzardato per una bambina?" Fece Mrs Tanner dopo aver esaminato minuziosamente il lavoro di Marco.
"Bambina?!?" Le fece eco il ragazzo, confuso. "Ma no, non è per una bambina!! E' per una ragazza!! Io l'ho pensato per una teen-ager..." Aggiunse, mentre la gioia che aveva provato mentre la professoressa lodava il suo operato si andava lentamente trasformando in sconforto.
"Ma è così piccolo!" Fece la donna tirando sù il vestito e tenendolo in alto con le braccia allargate, in modo che il capo si dispiegasse completamente.
"Be'... ecco..." Marco non sapeva cosa dire, non si era mai trovato in una situazione simile, non sapeva neanche lui come fosse potuto capitargli. Era molto confuso, non aveva mai sbagliato le misure di un vestito! Di solito era estremamente preciso in queste cose e modellava tutte le sue creazioni su Laetitia Casta, la sua modella preferita, nonché sua musa ispiratrice. Mai niente di ciò che lui aveva cucito era risultato troppo piccolo!
"Certo capisco..." Fece la professoressa dopo aver osservato per un attimo in silenzio la costernazione del suo allievo. Poi, sottovoce, in modo che solo lui potesse sentirla, aggiunse:"So bene che voi italiani siete sempre quelli con la borsa di studio più bassa, e poi il cambio non vi è per niente favorevole in questo periodo, però cerca di risolvere il problema in un altro modo, risparmiare sulla stoffa non è una soluzione. Caso mai la prossima volta scegli un tessuto meno pregiato, ok?"
Mentre la professoressa gli parlava sommessamente, Marco capì quello che era successo. La spiegazione si parò davanti alla sua mente nitidissima.
Fu una specie di rivelazione, come se qualcuno avesse semplicemente acceso la luce all'improvviso. Come quando, dopo aver provato in tutti i modi a risolvere un problema di matematica senza riuscirci, la soluzione ti si para davanti in un istante, chiarissima, semplicissima. E in un attimo quello che era parso solo un grande caos di numeri senza senso, diventa perfettamente intellegibile e ti accorgi che la chiave era stata sempre sotto i tuoi occhi, solo che tu la cercavi nel posto sbagliato o forse eri troppo cieco per vederla.
Aveva modellato il suo vestito su Mikako.
Senza averne l'intenzione, senza neanche accorgersene. Ma come aveva fatto a non rendersene conto? Era allibito.
E la professoressa... ma che cosa stava dicendo così sottovoce? Oddio, quella pensava che lui lo avesse fatto per i soldi!! I soldi!! Sentì l'irrefranabile impulso di ridere. Ridere, ridere, ridere. Chissà che avrebbe detto la prof se avesse saputo che viveva con uno scozzese? Probabilmente sarebbe stata ancora più convinta della sua idea e ne avrebbe attribuito la responsabilità al suo coinquilino. Lo avrebbe sicuramente accusato di aver contagiato Marco con la spilorceria da cui sarebbero tradizionalmente affetti tutti gli scozzesi. L'impulso di ridere divenne ancora più forte. Ma doveva controllarsi, non poteva scoppiare a ridere in faccia a Mrs Tanner!
"... comunque, Mr Nardi, devo dire che lei ha fatto davvero un ottimo lavoro. Il suo abito è forse il migliore di quelli che ho esaminato fino adesso. A-. Il meno è per la misura davvero improbabile. Avanti il prossimo."
Tutto preso dallo sforzo di trattenere il riso, Marco quasi non si era accorto che la professoressa aveva continuato a parlare e che era giunta al momento di emettere il suo giudizio. Poi, lentamente, come attraverso una fitta nebbia, quelle parole che aveva sempre sognato di sentirsi dire, fecero breccia nella sua sfera cosciente.
A.
A- certo, ma pur sempre A. Aveva preso A, il voto più alto.
Un ottimo lavoro... il migliore...
Quelle parole continuarono a ronzare nella mente del ragazzo per tutto il giorno ma, mentre ripercorreva l'aula dalla cattedra al suo banco, stringendo distrattamente al petto quel vestito appena divenuto preziosissimo per lui, quelle stesse parole rimbombarono talmente forte, da un angolo all'altro della sua testa, da fargli fischiare le orecchie.
Ormai mancava poco al break di metà mattina e Mika non vedeva l'ora che quella lezione finisse. La materia in sé, storia della moda, poteva anche essere interessante, ma la professoressa era un vero strazio. Non faceva che leggere dai suoi appunti in tono monocorde, con una voce piatta, lenta e completamente di priva di inflessioni, metteva una sonnolenza inaudita. I suoi pensieri si staccarono a poco a poco dal presente e tornarono alla lezione di Mrs Tanner che si era svolta poche ore prima.
La donna aveva lodato il suo abito, elogiandone lo stile personalissimo, la scelta di materiali eterogenei e l'originalità nell'accostamento dei colori. Purtroppo si era accorta subito del suo punto debole, ammonendola per le cuciture che non erano all'altezza del resto del lavoro. Alla fine le aveva comunque dato A-.
Certo, quel meno le dava un po' fastidio, ma era certa che se si fosse impegnata più a fondo sarebbe riuscita a ottenere delle cuciture perfette. Per il momento poteva considerarsi soddisfatta ed essere fiera di se stessa, nessuno aveva preso un voto più alto del suo. Non vedeva l'ora di telefonare a Tsutomu per raccontargli nei dettagli il suo piccolo trionfo!! La sua mano, a questi pensieri, corse istintivamente al ciondolo a forma di fiore che portava al collo, stringendolo forte forte al petto mentre un sorriso misterioso si dipingeva sul suo volto.
Doveva smetterla di pensare a quello scimmione! Non era proprio il momento di lasciarsi prendere dalla nostalgia, che figura ci avrebbe fatto se avesse cominciato a piangere in classe? Anche se fino a quel momento era stata molto forte ed era riuscita a non piangere, se non nella buia solitudine del suo letto, dimostrando così a Seiji e a se stessa di non essere più una ragazzina, ma una persona adulta e indipendente, quando si trattava di Tsutomu il suo autocontrollo diventava molto meno ferreo e lei sapeva benissimo di non potercisi più affidare. Allora l'unica cosa da fare era riporre il pensiero di lui e tutto l'amore che riscaldava quel pensiero in un angolino nascosto del suo cuore.
Per distrarsi Mikako cominciò a guardarsi intorno nella classe. Subito, quasi inconsapevolemente, il suo sguardo andò a soffermarsi su Marco.
Il vestito che lui aveva realizzato era davvero splendido. Non c'erano altre parole per descrivere quella meravigliosa creazione, Mika non aveva mai visto un abito tanto bello.
Era di un'eleganza indescrivibile, estremamente raffinato, eppure scanzonato alla stesso tempo. Aveva un taglio molto classico, ma con delle sovrapposizioni di colori e stoffe diverse, con dei giochi di ricami e drappeggi, che lo rendevano assolutamente moderno. E quell'armonia di spazi pieni e vuoti, realizzata attraverso un uso ispirato di scollature e trasparenze da un lato, e dall'altro increspature, abbondanza di tessuti ripiegati su se stessi e poi lasciati scorrere per tutta la lunghezza delle gonna, fino a terra, donavano a quel capo una grande dinamicità, un senso del movimento per cui le varie stoffe sembravano fluttuare, quasi stessero danzando insieme più che essere cucite insieme. Tuttavia, nonostante questi elementi contrastanti, il vestito non appariva per nulla eccentrico, bensì manteneva un'estrema sobrietà e la massima delicatezza. Era davvero magnifico.
Forse era stato ingiusto da parte sua pensarlo, ma non avrebbe mai creduto Marco capace di realizzare qualcosa di simile. Era stupefatta. Il ragazzo sarebbe diventato il suo più acerrimo rivale nella corsa alla posizione di migliore del corso!!! La cosa la rendeva felice, in un certo senso. In fondo Marco era suo amico e lei era convinta che quella competizione avrebbe giovato a entrambi, spingendoli a fare sempre meglio.
Eppure c'era una cosa che la stupiva ancora di più dell'insospettata bravura del ragazzo. La sua espressione.
Era tornato a sedere al suo banco senza neanche l'ombra di un sorriso sulle labbra ed anche adesso sedeva con lo sguardo perso nel vuoto. Dal momento in cui la professoressa aveva dispiegato il suo vestito mostrandolo alla classe, il giovane era sembrato tramortito, quasi fosse stato sotto shock. Eppure avrebbe avuto tutte le ragioni di essere felice e soddisfatto di sé, il suo era senza dubbio l'abito migliore presentato quella mattina.
Possibile che se la fosse tanto presa per quella storia della misura? Che ci fosse rimasto male perché Mrs Tanner gli aveva chiesto se si occupasse di moda per bambini? In effetti poteva anche essere, non c'era altra spiegazione per l'espressione indecifrabile, ma sicuramente non di giubilo come avrebbe dovuto essere, sul viso del suo amico italiano. Eppure, se il problema era solo quello... be' non era affatto un problema!
Perché il suo vestito era semplicemente perfetto per... DRIIINNNNN!!!!!
I pensieri di Mikako vennero interrotti dal suono della campanella che finalmente annunciava l'inizio della ricreazione.
A quel suono la ragazza saltò sù dalla sedia, pronta ad entrare in modalità warp.

CAPITOLO 4: Equivoci

Al suono della campanella Marco si voltò istintivamente verso Mikako, trascorreva sempre insieme a lei la ricreazione. Con sua grande sorpresa la ragazza era già scattata in piedi e si stava precipitando verso di lui a tutta velocità. Arrivata al suo banco si fermò di botto, producendo un suono stridulo con le suole delle scarpe. Poi, senza neanche guardarlo, afferrò la busta che conteneva il verstito realizzato per Mrs Tanner, e ripartì di scatto verso il corridoio al grido di: "Waaaaaarrrrrrrpppppp!!!!"
Tutto ciò si era svolto nel giro di pochissimi secondi e il ragazzo era più confuso che mai. Rimase alcuni istanti a fissare la porta della classe oltre la quale Mikako era sparita, con gli occhi spalancati e la bocca aperta, completamente basito. Che la sua amica fosse pazza davvero?
"Ciao Marco, congratulazioni e complimenti, il tuo lavoro è stupendo." Fece la Ragazza-chic appoggiandosi con una mano al suo banco, inclinando così il corpo in modo flessuoso e sensuale.
"Ah, grazie. Anche il tuo era molto bello." Le rispose lui, mentre si sforzava di ricordare il suo nome. Nella sua mente la chiamava sempre Ragazza-chic, ma di certo non poteva rivolgersi a lei in quei termini.
"Le stoffe che hai usato sono semplicemente fantastiche, devi assolutamente dirmi dove le hai comprate!" Aggiunse lei sporgendosi leggermente verso di lui, fissandolo con i suoi profondi occhi blu, sempre truccati con discrezione, ma alla perfezione. Il suo profumo arrivava fino a Marco, che anche non essendo un intenditore, riusciva benissimo ad accorgersi che doveva trattarsi di una delle fragranze più esclusive e più care sul mercato. Una fragranza che tuttavia a lui non piaceva, la trovava quasi opprimente, troppo artificiale. Ne era come nauseato e desiderava solo che la ragazza si allontanasse un poco per poter respirare liberamente.
"Eh eh, mi dispiace, ma è un segreto!!! E' la mia arma segreta per prendere bei voti. Nessun cuoco rivela tutti gli ingredienti delle sue migliori ricette, Fabiane." Fabiane!! Giusto, ecco come si chiamava, Fabiane! Gli era tornato in mente all'improvviso, per fortuna. Stavolta si era davvero salvato in corner! La giovane tedesca veniva tutti i giorni a scambiare due parole con lui, a ricreazione o all'uscita da scuola, che figura ci avrebbe fatto se non si fosse nemmeno ricordato il suo nome?! In fondo era una ragazza molto gentile, ma lo faceva sentire enormemente a disagio. Si fermava spesso a parlare con lei, ma era sempre Fabiane a cercarlo e ad attaccare discorso, allora lui si tratteneva a fare conversazione. Però lo faceva più che altro per buona educazione, dato che in quei momenti provava sempre una sensazione sgradevole, di fastidio, non imputabile esclusivamente a quel profumo nauseante di cui lei faceva ampio uso.
"Cuoco?" Rispose lei, assumendo un'espressione perplessa, da cucciolo smarrito, che esaltava ancora di più la sua innegabile bellezza. "Oddio, ma certo! Il cuoco, la ricetta...! Oh Marco, ma come ti vengono certe idee, eh eh eh!" E gli rivolse un sorriso radioso.
Marco sorrise a sua volta, mentre spostava la sedia per alzarsi. Si era stufato di essere fissato in quel modo dall'alto in basso.
"Si vede proprio che sei italiano! Sia per le cose che dici, che per le cose che fai, per i tuoi vestiti... voglio dire sei così... creativo e originale... Scusa, ma non riesco a spiegarmi molto bene, ho ancora qualche difficoltà con l'inglese." Rispose lei sbattendo le lunghe ciglia, schermendosi con timidezza.
"Ma che dici, se parli benissimo! La tua pronuncia è senza dubbio migliore della mia, o di quella di Mika se è per questo..."
"Oh grazie." Disse lei di scatto, mentre un'ombra passava rapidissima sul suo volto. Subito però la ragazza riprese il controllo e tornò a sorridere, affrettandosi a cambiare argomento. "Potrei rivedere il tuo abito? Sai, la professoressa ce lo ha mostrato, ma mi piacerebbe poterlo osservare da vicino e poter toccare queste stoffe dalla provenienza così misteriosa..."
"Be' mi dispiace, ma il mio vestito è stato rapito. Sono in attesa di una richiesta di riscatto. Tu che mi consigli, dovrei chiamare la polizia?" Fece lui in tono scherzoso.
"La polizia?" Lei parve un attimo confusa, ma poi aggiunse ridacchiando: "Scherzi sempre tu!"
"Be' non era proprio uno scherzo, è vero che il mio vestito è stato rapito."
"Rapito?"
"E dai non guardarmi così!! Un po' scherzo, è ovvio! E' solo che lo ha preso Mikako , se lo è portato via e non so dove sia andata. Non è che non voglio fartelo vedere, è che io stesso non so dove sia! A dire il vero non so neanche se lo rivedrò... Ora che mi ci fai pensare comincio ad essere un po' preoccupato, ci tenevo parecchio..."
La giovane non fece in tempo a rispondere che un coro di "Oooohh!" proveniente dal corridoio proprio di fronte alla loro classe li spinse entrambi a voltarsi verso la porta.
Per la prima volta il volto di Fabiane perse la sua abituale compostezza, mentre Marco fissava dritto davanti a sé con gli occhi fuori dalle orbite e la bocca splancata in un'espressione di assoluto stupore, che però conteneva qualcosa di più dello stupore.
Circondata dalla mostra della porta, come in un quadro, e illuminata dalla luce del sole che, per un caso fortuito, o forse per un segno del destino, proprio in quel momento aveva fatto capolino tra le onnipresenti nuvole grigie, Mikako risplendeva bellissima nel vestito dalle mille tonalità di verde smeraldo, azzurro acquamarina scuro e nero realizzato da Marco. L'abito le calzava a pennello, sembrava cucito su di lei, e si sposava alla perfezione con la sua corporatura e la sua carnagione. Il ragazzo non riusciva a credere che quello che stava vedendo fosse reale, non aveva mai visto niente di più bello.
"Hai visto, Marco, il tuo vestito è perfetto. Non è vero che hai sbagliato le misure, va benissimo per le teen-agers, proprio come lo avevi pensato tu." Gli disse Mika con un sorriso, quando si trovò di fronte a lui.
Il giovane italiano, che non aveva assolutamente realizzato che lei si era mossa dalla porta, sussultò nell'udire la sua voce così vicina. Non aveva mai sentito Mikako parlare in modo tanto dolce. Di solito era sempre allegra e la sua voce aveva un tono squillante, ma in quel momento...
Con uno sguardo abbracciò tutta la sua figura e il suo cuore precipitò nel caos. Si sentì fiero del suo lavoro come non si era mai sentito prima, come non si sarebbe mai sentito se anche la professoressa gli avesse dato A+++++ e mille lodi. Si ritrovò a fissare in quegli occhi a mandorla, scuri e luminosi, e sentì che avrebbe potuto perdercisi per sempre. Peggio, capì che era già perduto.
"E' davvero un vestito bellissimo." Disse Fabiane con voce un po' troppo alta e un po' troppo tesa. "Si vede che è stato realizzato da una persona davvero speciale. Ti faccio ancora tutti i miei complimenti, Marco." Aggiunse, cercando invano di catturare lo sguardo del compagno di classe. Poi batté rumorosamente i tacchi e si allontanò. Il suono sordo prodotto dalle scarpe di Fabiane ruppe l'incantesimo di quell'istante magico fuori dal tempo.
Marco si ritrovò improvvisamente sbattuto nella realtà. Questo però non servì a cancellare quello che aveva scoperto dentro di sé, nè a calmare i battiti del suo cuore. Servì tuttavia a fargli riprendere il controllo della situazione sulla quale aveva perso ogni presa dal momento in cui aveva posato lo sguardo su quella giapponesina ferma sulla soglia dell'aula.
All'uscita di scuola Fabiane si avvicinò nuovamente a Marco che stava chiacchierando con Jimmy, il Ragazzo-hip-hop, con il quale aveva stretto una bella amicizia.
"Ciao Jim, ciao Marco." Fece lei interrompendoli e fermandosi accanto a loro.
"Ciao." Risposero i due.
"Avete già qualche idea per il prossimo progetto libero che Mrs Tanner ci ha assegnato?"
"No, veramente no." Rispose Marco, mentre Jimmy si limitò a scuotere la testa.
"Senti Marco," disse lei con voce dolcissima, avvicinandosi di un passo al ragazzo e guardandolo dritto negli occhi per un momento, poi sbattè le sue lunghe ciglia e distolse lo sguardo con timidezza. "Visto che hai realizzato quel bellissimo abito per Mikako, non è che il prossimo potresti realizzarlo per me? Io adoro il tuo stile e darei non so cosa per avere un vestito fatto da te!" Disse tutto d'un fiato, mettendo via via sempre più impeto nella voce, e tornando a guardare il ragazzo dritto negli occhi. Infine abbassò di nuovo lo sguardo e aggiunse un esitante "ti prego" quasi in un sussurro.
Marco si ritrovò nell' assoluto imbarazzo. Quella ragazza aveva il potere di metterlo più a disagio che mai. Si sentiva sempre impacciato, insicuro e impotente ogni volta che si ritrovava ad avere a che fare con lei, e questo non gli piaceva. Avrebbe voluto dirle di no, dirle semplicemente che non aveva nessuna intenzione di realizzare un vestito per lei. Ma non sapeva come fare. Non voleva apparire maleducato, però, in verità, più di tutta la sua buona educazione, sapeva che non sarebbe mai riuscito a dire di no a quei penetranti occhi di un blu immenso come l'oceano, che a tratti lo guardavano catturandolo con la loro malia, a tratti si schermivano carichi di una tacita, implorante supplica.
"Ti sbagli Fabiane! Quel vestito non la ha affatto preparato per me!!" Intervenne all'improvviso Mikako, negando con veemenza l'affermazione della giovane tedesca. La ragazza si era avvicinata al gruppetto per aspettare Marco, visto che ormai quella di tornare a casa insieme era diventata un'abitudine per loro due, e non aveva potuto fare a meno di sentire la loro conversazione.
Marco sussultò all'improvvisa esclamazione della sua amica, non si era proprio accorto del suo arrivo. D'altra parte però trovò il suo intervento davvero provvidenziale. Per qualche strana ragione, con lei al suo fianco, il ragazzo si sentiva molto più sicuro e tutto il disagio che sempre gli provocava Fabiane spariva come per magia. "Ha ragione lei, ti assicuro che è stato un puro caso se quel vestito mi è uscito così, probabilmente mi ero concentrato troppo sul modello e sulle stoffe..."
"Infatti, non è che io gli ho mai dato le mie misure o cose del genere, è stato solo un caso!"
"Be' ragazzi," fece Jimmy cambiando argomento, "scusate se vi interrompo così, ma io devo proprio scappare, se no perdo il treno e mi tocca aspettare più di un'ora per il prossimo, quindi vi saluto."
"Ma sì, ora veniamo via anche noi, in fondo andiamo nella stessa direzione per in tratto, no? Così facciamo la strada insieme e finisci di dirmi della tua scuola negli USA."
"Perfetto!" Rispose lui con entusiasmo, contento di avere compagnia.
I tre salutarono Fabiane e si avviarono verso la stazione, con grande gioia di Marco che era uscito alla grande da una situazione a dir poco imbarazzante.
Dopo essersi separati da Jimmy, Marco aveva insistito perché andassero a festeggiare i bei voti ottenuti al loro solito pub. Inizialmente Mika aveva opposto resistenza perché avrebbe voluto correre a casa a telefonare a Tsutomu. Se si fosse fermata al pub, si sarebbe di certo fatto troppo tardi ed avrebbe dovuto aspettare l'indomani per chiamarlo. Già in quel momento, quando a Londra erano le tre e un quarto del pomeriggio, avrebbe rischiato di svegliarlo, dato che in Giappone era già passata l'una di notte. Alla fine però aveva ceduto alle insistenze del suo compagno di classe, ritrovandosi nell'atmosfera calda e rilassata di quel bellissimo locale tutto di legno, a studiare il menu con aria intenta.
"Niente scones oggi! Ho cominciato la dieta." Affermò in tono solenne, scorrendo le pagine con i vari tipi di tè disponibili.
"Ma come?! Proprio oggi che dobbiamo festeggiare? Cominciala domani la dieta, no? Oggi è un'occasione speciale!"
"Be' in effetti non hai tutti i torti..." L'indecisione cominciò a rodere il suo ferreo proposito di abolire i dolcetti. "Be' intanto che tu ci pensi io vado un'attimo al bagno, tanto se passa il cameriere puoi ordinare tu per me, prendo sempre la stessa cosa!" Fece il ragazzo alzandosi e dirigendosi verso le toilettes.
Rimasta sola Mikako studiò il menu ancora qualche istante, cercando di sciogliere il doloroso dilemma se prendere gli scones oppure no. Ben presto però la sua mente cominciò a divagare.
I suoi pensieri volarono lontani, oltre il canale della Manica, oltre l'Europa e l'Asia, oltre il mar Giallo, fino al suo paese natale, il Giappone. Lì si soffermarono sul cortile del condominio dove era cresciuta, nel quale, con gli occhi della mente, poteva vedere la sua Sally tranquillamente parcheggiata. Ma fu con gli occhi del cuore che rivide davanti a sé quella stanza che conosceva tanto bene, quella stanza che un tempo era stata così piena di cianfrusaglie, ma che ora era così spoglia. La stanza di Tsutomu. Immersa nel buio della notte, risplendeva delle decine di stelle luminescenti attaccate al soffitto. Dolci ricordi si fecero strada tra i pensieri della giovane. Ricordi tanto dolci da fare male.
Senza neanche accorgersene aveva messo da parte il menu e adesso i suoi occhi fissavano il volto sorridente di Tsutomu nella foto dentro al ciondolo che lui stesso le aveva regalato. Il suo cuore era colmo di nostalgia.
"Ehi, come siamo pensierose!" Fece Marco sedendosi di nuovo al suo posto. Lei sussultò, completamente persa nei ricordi non si era neanche accorta che lui fosse tornato.
"Non ti voglio vedere con quell'espressione malinconica oggi. Siamo qui per festeggiare! Siamo i primi della classe, dobbiamo celebrare il nostro trionfo!" Aggiunse lui in tono allegro, facendole un grande sorriso di incoraggiamento.
"Hai ragione." Rispose lei chiudendo il ciondolo e lasciandolo scivolare di nuovo giù lungo la sua catenella. Solo allora alzò gli occhi verso quelli di lui e gli sorrise. "Sai che ti dico, vai con gli scones! Per stavolta mi limiterò ad evitare il burro, in fondo questo è un festeggiamento!"
"Esatto! Così ti voglio!"
In quel momento la cameriera si avvicinò al loro tavolo e i due ordinarono.
"Ma perché devono essere tutte così alte le ragazze europee!! Qui mi sento ancora più bassa che a casa!" Fece Mikako con voce insofferente dopo che la cameriera si era allontanata.
"Ma dai, che dici! Guarda che quella ha i tacchi alti."
"Sarà... però a scuola sono la più bassa, come al solito. E poi ogni volta che si avvicina Fabiane i miei complessi riescono fuori."
"Ma lei non è certo la norma, te lo assicuro!! E' veramente alta per essere una ragazza, sarà quasi uno e ottanta! E' lei che è fuori misura!"
"Fuori misura, ma che dici!! Ha un fisico perfetto. In effetti le converrebbe provare come indossatrice, più che come stilista, è una professione molto più adatta a lei! Credo che avrebbe tantissime chances di entrare nel mondo della moda se diventasse una modella."
"Sì, forse sì. Beh può darsi... Certo, il suo abito era bello e ben fatto, ma non era nulla di speciale, no? Forse hai ragione tu, avrebbe più chances come modella, essendo così alta... Mah, non saprei. Sinceramente non ci ho mai pensato e poi, se proprio devo dirla tutta, io non la trovo poi così attraente. Cioè è carina, per carità, ma..."
"Ma certo, è naturale che lui non la trovi attraente!" Pensò Mikako tra sè e sè. "Sarà anche questa una caratteristica di tutti i marziani scintillanti?" Si domandò nei suoi pensieri. In effetti non le passava proprio per la testa che potesse esserci un diverso motivo per il quale un ragazzo potesse non considerare attraente una come Fabiane. "Però dovrebbe riconoscere che come indossatrice sarebbe perfetta! Ha perfino il portamento da top model!"
"Ehi! Mi stai ascoltando?" Le fece Marco, distogliendola dalle sue elucubrazioni. "Insomma Mika, sei troppo pensierosa oggi! Si può sapere che ti prende? Un attacco di nostalgia di casa, per caso? Dovresti essere al settimo cielo, non miravi a diventare la prima del nostro corso?"
"Io, eh? Se non mi sbaglio era anche il tuo obiettivo! Eppure oggi, in classe, avevi una faccia lunga e scura dopo che Mrs Tanner aveva visionato il tuo lavoro. Finché non siamo usciti da scuola, anche tu eri tutto pensieroso! Eppure avresti dovuto essere contento, no? Io pensavo che tu fossi un po' giù per quella storia del vestito da bambina, perché la prof ti ha ripreso per via delle misure... Per questo sono andata a mettermelo a ricreazione, pensavo che vedendo che invece andava benissimo per una ragazza ti saresti tirato sù e saresti finalmente stato pienamente soddisfatto di te e del risultato che avevi ragiunto. Invece anche dopo sei rimasto con quell'espressione cupa e meditabonda..."
"Ah, allora era per questo che sei corsa a indossarlo! Grazie Mika, sei davvero un tesoro!! Come sei dolce..."
"Ma... non lo avevi capito che era per questo motivo?!?" Lo interruppe bruscamente lei.
"Beh, veramente no." Ammise Marco.
"Oddio ma allora cosa avevi creduto?!?!? Avrai sicuramente pensato che mi era preso un attacco di follia!" Fece lei in tono allarmato.
"In effetti... Ma adesso che me lo hai spiegato sono commosso, sei stata davvero gentile a fare una cosa simile per me, solo perché mi avevi visto un po' impensierito. Grazie davvero."
"Prego..." Rispose lei, improvvisamente in imbarazzo. Marco aveva un modo così diretto di esprimere i suoi sentimenti che la spiazzava completamente. Non aveva mai conosciuto un ragazzo come lui, il suo modo di fare le appariva così strano alle volte. Però si rendeva conto che per altri poteva trattarsi di un atteggiamento del tutto normale, quindi il suo disagio poteva anche essere dovuto alle loro differenti culture. Comunque doveva ammettere che, anche se alle volte la metteva un po' in difficoltà, la sua franchezza era uno degli aspetti del suo carattere che le piacevano maggiormente.
"Non esagerare adesso," riprese la giovane, "non è stato affatto un sacrificio per me indossare un vestito tanto bello! Forse il mio è stato un gesto un po' avventato, ma se sono stata così impulsiva o se ho interpretato male il tuo stato d'animo, è stato solo perché una volta è successa anche a me una cosa simile e ci sono rimasta malissimo. Quello che è successo oggi in classe mi ha riportato alla mente la mia esperienza e così temo di essermi lasciata prendere la mano... Devo essermi immedesimata troppo, che sciocca sono stata, eh? Avrei dovuto pensarci che non tutti reagiscono allo stesso modo, che quello che a me aveva fatto un effetto davvero deprimente poteva averne avuto uno completamente diverso su di te, senza contare che in effetti tutta la situazione era un po' diversa..."
"Ma quale situazione?" Chiese lui interrompendola. Si sporse leggermente verso di lei, lo sguardo improvvisamente acceso d'interesse. "Adesso mi hai davvero incuriosito, perché non mi racconti per bene questa tua esperienza a cui ti riferisci?"
E così Mikako raccontò del suo primo giorno al mercatino domenicale con i ragazzi dell'Akindo. Si era data tanto da fare, ed era così fiera di se stessa per essere riscita a realizzare ben dieci capi in tempo per l'occasione, ma poi non era riuiscita a venderne neanche uno, e non perché non fossero piaciuti. Aveva realizzato tutti i vestiti basandosi sulle sue misure, così che questi erano poi risultati troppo piccoli per le altre ragazze. Lei non si era neanche accorta del suo errore, finché la professoressa Hamada, venuta a visitare il loro stand, non glielo aveva fatto notare. Mika si era giustificata dicendo che la sua era stata una scelta consapevole, dato che secondo lei i vestiti della Happy Berry, per colore e per design, erano più indicati per le persone minute. Allora la professoressa aveva ribattuto che non spettava a lei scegliere lo stile delle sue clienti, ma solo cercare di realizzare abiti adatti un po' a tutti. Pur senza pretendere di soddisfare ognuno, aveva detto la donna, uno stilista deve cercare di realizzare abiti idonei a un pubblico generico, magari dopo qualche piccola modifica. Però spetta sempre al cliente scegliere se e come indossare un abito, le aveva fatto notare la Hamada. D'altro canto, chi cuce i vestiti deve fare in modo che gli acquirenti siano spinti ad acquistare i suoi lavori.
Affascinato, Marco ascoltava il racconto di Mika, mentre il té si freddava nella tazza di fronte a lui, completamente dimenticato.
L'ascoltava con la massima attenzione, ma non sentiva nulla di quello che lei stava dicendo. Non riusciva a concentrarsi sul significato delle sue parole, provava una sensazione stranissima, come non l'aveva mai provata. Il suo cervello riconosceva quei suoni come parole, ma non gli attribuiva alcun senso, come se lei stesse palando arabo. O giapponese. Marco si era perso nell'intensità che lo sguardo di Mikako aveva sempre quando parlava di moda, nell'accento esotico della sua voce, nel movimento delicato di quelle labbra che sembravano così morbide...
Solo quando urtò la teiera bollente, sul tavolo tra loro due, il ragazzo realizzò che la sua mano si era mossa verso quella di lei, poggiata sul piano di legno. Non era stato per niente consapevole di quel suo movimento, la voce e la semplice presenza di lei lo avevano come ipnotizzato. Che sarebbe accaduto se quella teiera non ci fosse stata?
Sarebbe arrivato fino a prenderle la mano? E lei, si sarebbe sottratta al suo tocco?
Quelle domande attraversarono la sua mente in un attimo, prima che il dolore per la bruciatura occupasse tutti i suoi pensieri. Non era stato un dolore intenso ed era durato solo un secondo, come una scarica elettrica. Ed era proprio così che si sentiva, come se uno scossa lo avesse improvvisamente riportato alla realtà da una dimensione di sogno in cui stava per smarrirsi. L'incantesimo era rotto.
Da quel momento riuscì a seguire perfettamente le argomentazioni della sua amica, il suo inglese tornò comprensibile e lui si ritrovò a rivivere i suoi ricordi insieme a lei.
Il suo racconto gli diede parecchio da pensare. All'inizio erano semplici fantasticherie sulla vita che lei doveva aver condotto in Giappone, sulle persone che frequentava, sulle loro attività. Cercava di immaginarsi come erano questi ragazzi orientali, come erano le loro creazioni, come era il mercatino, come erano i loro professori e tutto l'ambiente che li circondava. Aveva sempre pensato che in un posto così lontano le cose sarebbero state completamente diverse, ma nel sentire quelle descrizioni non aveva la minima difficoltà a visualizzare lo scenario. Uno scenario che non aveva niente di così diverso dal mercatino che si teneva ogni domenica mattina nel grande parcheggio del centro Euronics vicino casa sua.
Però, a mano a mano, che il racconto di Mika andava avanti, a mano a mano che lei riportava le parole della sua professoressa, Marco si ritrovò a pensare sul serio a molte cose su cui non aveva mai davvero ragionato prima. Cose che, senza neanche accorgersene, aveva semplicemente dato per scontate. Così le sue immagini di Giappone casareccio, lasciarono il posto a pensieri ben diversi.
Nella sua scuola i professori li spronavano sempre a puntare in alto, a cercare soluzioni innovative, a sperimentare nuovi tessuti e nuovi materiali. Non si preoccupavano minimamente di chi avrebbe poi dovuto acquistare gli abiti. Non era a quello che miravano, né gli studenti, né gli insegnanti. Loro miravano all'opera d'arte. All'alta moda.
Disegnare e cucire vestiti per il pret à porter non era certo una meta da raggiungere, se mai era l'ultima spiaggia per chi aveva fallito. Non XXXX o Benetton, ma Valentino, Armani, Versace, Dolce e Gabbana.
I clienti non erano contemplati, o almeno non quelli con un conto in banca inferiore ai nove zeri. Semmai si tenevano in considerazione i giornalisti di moda e le stelle dello spettacolo, era su di loro che avrebbero dovuto far colpo, non su un branco di liceali che inseguivano l'ultima moda. Non bisognava creare abiti trendy, ma capolavori.
Per questo lui si era sempre ispirato alle top models per cercare l'ispirazione per i suoi capi, per questo aveva sempre modellato le sue creazioni su Laetitia Casta, per questo aveva sempre fallito.
Per questo non aveva mai trovato il suo quid.
Quel quid che adesso sapeva di poter stringere tra le mani, quel tocco segreto che rendeva unici i suoi abiti e che non avrebbe mai potuto trovare continuando a guardare su una passerella di Milano, Parigi o New York. Perché il suo cuore non batteva più forte sfogliando le pagine di Vogue.
Osservando quella modella che gli piaceva tanto alle sfilate di Gaultier o Yves Saint Laurent, poteva forse creare dei vestiti che ne avrebbero esaltato la bellezza, che le sarebbero calzati alla perfezione, ma non avrebbe mai messo in gioco davvero i suoi sentimenti, la sua personalità, non si sarebbe mai svelato, mai messo a nudo, non avrebbe mai veramente rischiato se stesso.
Per quanto fissasse la pubblicità della L'Oréal, non provava uno nodo allo stomaco e la gola secca, non si sentiva trasportato in un'altra dimensione, non aveva la sensazione di perdere il controllo di se stesso, senza tuttavia sentirsi a disagio. Ed erano queste sensazioni che erano sempre mancate alle sue creazioni. Erano queste sensazioni quello che non era mai riuscito a trovare, né a capire.
Erano il suo quid.
Ma come avrebbe potuto capire se non aveva mai provato niente di simile prima?
Solo guardando una buffa ragazza dagli occhi a mandorla, alta poco più di un folletto, con dei tacchi assurdi, dei vestiti troppo sgargianti e degli improponibili capelli, mezzi rosa, mezzi biondi e castani alla radice, aveva finalmente trovato quei sentimenti e quel calore che mancavano ai suoi abiti.
Questa era arte. Che fosse haute couture o pret a porter non importava, importava se era la tua anima nuda che vibrava nel tuo lavoro.
"Trovalo dentro te stesso Marco." Questo gli aveva detto la sua professoressa. Adesso lo aveva capito.
"Insomma adesso capisci perché me la sono presa così a cuore quando Mrs Tanner ti ha detto quelle cose sulla taglia del tuo vestito?!?" Fece Mikako tutta infervorata al termine del suo racconto.
"Sì, certo. Ma ti assicuro che io non ero affatto triste! Al contrario ero felicissimo, al settimo cielo. Ero solo estremamente sorpreso, forse per questo avevo un'espressione perplessa e non gioiosa."
"Perplesso? Ma perché scusa?"
"Perché tutta la mia sicurezza, quando ti dicevo che sarei diventato il primo del corso, in realtà era solo spavalderia." Disse Marco in tono terribilmente serio, guardando il piattino degli scones di fronte a sé. Poi sollevò lo sguardo e fissò in viso Mikako, pronto ad aprirle il suo cuore, a dirle cose che non aveva mai detto a nessuno e che mai si sarebbe sognato di andare a raccontare a qualcuno proprio lì a Londra, dove nessuno lo conosceva, nessuno sapeva nulla del suo passato e dove lui poteva benissimo fare finta che nessuno dei suoi fallimenti fosse mai accaduto.
"Io non sono mai stato il primo di niente. Anzi nella graduatoria per venire qui, per ottenere la borsa di studio all'estero, ero addirittura ultimo."
"Cosa?!?!" Fece lei praticamente urlando, puntando le mani sul tavolo, mentre il suo viso e tutto il suo atteggiamento mostravano la più grande sorpresa. "Non posso crederci! Il tuo lavoro è meraviglioso!! Ho visto i tuoi schizzi, sono bellissimi, e le cuciture perfette, io ero convinta che fossi sempre stato il numero uno!"
"Beh, ti sbagli. Di grosso. In effetti a scuola da noi le cose funzionano in modo un po' diverso, nessun insegnante ci ha mai fatto un discorso tipo quello della tua prof." Cominciò il ragazzo, e finì per raccontarle tutto, dalla sua passione per la moda, osteggiata dai genitori, alle sue lotte per riuscire a iscriversi all'istituto che aveva scelto e non a ragioneria, o al massimo al liceo scientifico, come i suoi avevano stabilito per lui, probabilmente fin dal giorno in cui era nato. E soprattutto le parlò dei suoi insuccessi come stilista. Di come in classe i più bravi lo chiamassero in tono dispregiativo "il Sarto", proprio per la sua tecnica che era sì quasi perfetta, ma aveva solo quella. Per ricordagli continuamente come lui non avesse alcun talento, come fosse solo uno stupido che faceva i capricci, sapendo che tanto, alla fine, avrebbe sempre potuto andare a piangere da mamma e papà e loro sarebbero stati ben felici di metterlo al suo posto nella società di famiglia. Lui non sarebbe mai stato un artista, non ne aveva la stoffa. E alle volte si convinceva anche lui che forse era vero, che era inutile lottare, non era tagliato per diventare uno stilista. Non era abbastanza bravo. Gli mancava qualcosa che invece era necessario per emergere, per raggiungere la meta, la grandezza. Le raccontò della tristezza, della rabbia, del senso di sconfitta, di come si sentisse un fallito. E di come i suoi gli avrebbero rinfacciato il loro "te l'avevamo detto".
E allora non gli rimaneva altro che un gran vuoto dentro, quando tutti i suoi sogni erano ridotti a sciocche illusioni.
Mikako lo ascoltava con le lacrime agli occhi. Certo anche lei aveva avuto i suoi momenti di sconforto, capiva benissimo quello di cui lui le stava parlando. Ma la sua famiglia non l'aveva mai osteggiata, i suoi amici poi l'avevano sempre incoraggiata, avevano sempre avuto fiducia in lei, nel suo talento, nelle sue possibilità, e le avevano sempre fatto credere che ce l'avrebbe fatta, che aveva tutte le carte in regola per farcela. E lei ci credeva. Ci aveva sempre creduto. Anche nei momenti peggiori, anche quando si sentiva veramente giù e aveva l'impressione che in fondo non stava andando da nessuna parte, nel profondo del suo cuore non aveva mai veramente dubitato che un giorno avrebbe realizzato il suo sogno. Era sempre stata questa consapevolezza a darle la forza, anche nei momenti più brutti, come alle medie. Come avrebbe potuto vivere se questo suo sostegno fosse venuto meno? Come si poteva continuare a credere nei propri sogni senza quella consapevolezza? Non riusciva neanche a concepirlo.
Se solo questa certezza si fosse infranta dentro di lei, anche solo volta, era certa che sarebbe precipitata in un baratro oscuro, ed era sicura che il buio e il freddo che avrebbe provato in fondo a quell'abisso avrebbero marchiato la sua anima per sempre, storpiando il suo spirito in un modo che l'avrebbe influenzata per tutta la vita. Marco era sempre allegro, in classe rideva e scherzava con tutti, non era mai sgarbato e aveva sempre una parola gentile per chi vedeva in difficoltà. Mika si era fatta un'immagine completamente diversa di lui. Era convinta che fosse un tipo limpido e solare, che non nascondesse niente sotto la superficie. Ma in quel momento vedeva la notte che per tutti quegli anni aveva oscurato il suo cuore.
"Ma adesso è diverso. Adesso so che posso farcela. Può sembrare stupido farsi prendere dall'entusiasmo per un solo voto, ma non è per quello che ora mi sento diverso. E' perché ora sono diverso. Sono felice di essere venuto a Londra, solo qui ho capito..." La voce del ragazzo che fino ad allora era stata decisa, tremò. Ma poi riprese, solo un po' esitante: "Ho capito delle cose che... ed è stato solo grazie..." In quel momento il locale piombò nel caos. Un frastuono tremendo riempì il piccolo pub di solito così tranquillo, sovrastando la voce del giovane. Lui sospirò e rinunciò a finire la frase, alzando gli occhi oltre la sua amica per vedere quello che stava succedendo. Anche Mikako si girò e i due videro una ventina di uomini in giacca e cravatta. I primi entrati già si affollavano intorno al bancone, mentre altri erano ancora sulla soglia: gli uffici della zona avevano chiuso e l'happy hour era cominciata.
Erano passate tre ore da quando Mikako e Marco erano entrati nella tea room.
"Santo cielo! Non posso crederci! Si è fatto tardissimo!!!"
"Dio mio, il tempo è volato..."
"Adesso devo proprio correre a casa..." Fece Mika interrompendo il suo amico.
"Ma certo, andiamo. Scusa, forse mi sono dilungato un po' troppo, è solo che... Ho tenuto chiuse queste cose per troppo tempo. Non ne avevo mai parlato con nessuno e così, alla fine, sono venute fuori tutte insieme."
"Non devi scusarti. Mi ha fatto piacere ascoltarti. In fondo anche io ti ho ammorbato con i miei racconti, no?"
Pagarono il conto e si infilarono i cappotti.
"Accidenti, ma sta diluviando!" Fece la giovane e subito dopo aggiuse: "L'ombrello!!! Che sbadata, devo averlo dimenticato a scuola!!"
"Non preoccuparti, c'è il mio. Tanto ti avrei accompagnata comunque fino a casa. Se ci stringiamo un po' dovremmo entrarci." Disse lui con il tono più disinvolto del mondo.
Mikako si sentì un po' a disagio quando lui le mise un braccio intorno alle spalle e la strinse a sé sotto l'ombrello mentre il freddo della sera avvolgeva i loro corpi e la pioggia scrosciava intoro a loro. Ma poi si disse che non c'era motivo di sentirsi a disagio, gli occidentali avevano abitudini diverse e forse per loro era normale stare abbracciati sotto l'ombrello quando se ne aveva a disposizione uno solo in due e pioveva forte. Marco glielo aveva proposto e l'aveva stretta con la massima naturalezza, quindi doveva proprio essere così.
Quella notte, nel suo letto, Mikako continuava a pensare a tutto quello che era successo in quella giornata tanto piena. Ripensava alla verifica di Mrs Tanner, ripensava a quando aveva indossato il vestito realizzato dal suo amico. Ripensava a quanto fosse bello e comodo quell'abito, a come le calzasse bene, la slanciava e valorizzava il suo scarso décolté. Con gli occhi della mente rivedeva quelle splendide sfumature di verde che donavano luce alla sua carnagione e miracolosamente non cozzavano con i suoi capelli multicolore. Anche se lo aveva infilato in tutta fretta, non soffermandosi che pochi secondi davanti allo specchio, ricordava tutto nei dettagli.
E ricordava le sensazioni che aveva provato indossandolo.
Le ricordava alla perfezione, come tutto il resto. Ma poi uno strano senso di fastidio la pervadeva se solo si soffermava ad analizzarle.
Così i suoi ricordi correvano avanti e di nuovo si fermavano su un'immagine specifica, nitida nei suoi pensieri come lo sarebbe stata una fotografia davanti ai suoi occhi. Era l'immagine di Marco quando l'aveva vista sulla soglia della loro classe, con quell'espressione negli occhi che di nuovo le suscitava quello strano fastidio. Solo che in questo caso non riusciva a passare oltre con tanta semplicità.
"E' per colpa dei suoi poteri di marziano scintillante!" Si diceva, e solo allora un pochino il disagio si affievoliva e gli avvenimenti di quella giornata riprendevano a scorrere come le scene di un film. Finalmente vedeva Fabiane e ricordava le parole del ragazzo: "Io non la trovo poi così attraente", aveva detto. Allora dalle sua labbra sfuggiva un grande sospiro e lei si sentiva più leggera, lo strano fastidio quasi del tutto sparito e lo stomaco, che non si era neanche accorta di aver contratto, era di nuovo rilassato.
Ripensava a quello che Marco aveva raccontato al pub, a come adesso lei lo vedesse in tutt'altra luce. Improvvisamente aveva l'impressione di conoscerlo da sempre. Di conoscere i suoi dubbi, le sue paure, le sue speranze, i suoi sogni, i suoi pregi e i suoi difetti come se li avessero sempre condivisi, come se i loro piedi avessero sempre calpestato lo stesso sentiero fianco a fianco.
Risentiva lo stridio della porta del locale quando Marco l'aveva aperta per lei, le voci forti e rumorose di tutti quegli uomini, il riscaldamento che ancora le scaldava la schiena mentre il suo viso si tuffava nel freddo della strada bagnata. E lì fuori vedeva solo la notte, e fortissimo sentiva l'odore della pioggia. Ma poco dopo se ne aggiungeva un altro, un profumo nuovo e più delicato. E di nuovo lo strano fastidio. Si faceva sempre più invadente, quasi doloroso, così lei smetteva di ricordare, cercava di pensare ad altro. Ma poi, come attirati da una calamita, i suoi pensieri tornavano a rivivere quella giornata e lei si ritrovava di nuovo in classe, pronta per la revisione dei loro lavori.
All'improvviso si ricordò di quello che aveva tanto voluto fare appena uscita da scuola e di cui si era completamente scordata, semplicemente non ci aveva più pensato per il resto della giornata.
Tsutomu. Avrebbe voluto chiamarlo al più presto, ma poi le era completamente passato di mente.
Quella notte, nel suo letto, Marco continuava a pensare a tutto quello che era successo in quella giornata tanto piena. Ripensava alla verifica di Mrs Tanner, ripensava a come il suo cuore si era riempito di gioia e stupore fino a traboccarne e togliergli il respiro, quando lei gli aveva fatto i complimenti e gli aveva dato A-. Ripensava a come si era sentito stranamente leggero e frastornato, seduto al suo banco per il resto della mattinata senza essere veramente presente. E poi l'aveva vista. Incorniciata dallo stipite della porta come in un dipinto. Bellissima, con indosso il suo vestito.
Era stato come svegliarsi da un bellissimo sogno ed accorgersi di non essere più nel proprio letto, ma in paradiso. Era stato in quel momento che aveva definitivamente preso coscienza dei suoi sentimenti. Si era innamorato. Per la prima volta in vita sua era innamorato sul serio, non una delle, poche in verità, cotte che gli erano capitate in passato. Ma un sentimento così forte da far vibrare ogni fibra del suo corpo e della sua anima.
Amava Mikako. Con tutto il suo cuore.
Era la prima volta che pronunciava simili parole, anche se solo nel silenzio della sua mente. Ed anche se ci sarebbero state molte altre cose a cui pensare, cose importanti avvenute quel giorno su cui soffermarsi, dopo quest'ammissione lui non riusciva a pensare ad altro che a lei.
Si rendeva conto che adesso, per la prima volta in vita sua, aveva davvero delle chances come stilista. Adesso che aveva capito quello che gli era mancato fino a quel momento, adesso che pensava di aver finalmente trovato quel quid così misterioso e sfuggente a cui i suoi professori avevano cercato di indirizzarlo. Ma ci sono cose che non si possono spiegare, si possono solo provare. Sentire sulla propria anima come unghie che graffiano la pelle. Lui aveva capito tutto questo e si rendeva conto che era importate, ma in quel momento nei suoi pensieri c'era solo lei.
Si domandava come aveva potuto la sua voce essere tanto ferma e non tradire il tumulto che aveva dentro dal momento in cui aveva aperto la porta del pub. Risentiva il suo dolce profumo fruttato, che aveva sovrastato quello della pioggia, quando l'aveva stretta a sè sotto l'ombrello, quando aveva avvicinato il suo viso al suo per sentire meglio quella fragranza inebriante e le carezze sulla pelle dei suoi capelli mossi dal vento. Il suo cuore accelerava i battiti e lui si sentiva immensamente felice, anche se inappagato, quando ripensava alla sensazione del suo corpo così minuto, così apparentemente fragile, stretto contro il suo.
Ma poi ricordava la foto e una fitta di dolore lo attraversava.
Chi era il ragazzo nella foto che Mika teneva in quel medaglione a forma di fiore? Lei lo aveva sempre con sé, pensava con rabbia. Non si era mai accorto che ci fosse una foto all'interno, ma quel pomeriggio al locale l'aveva vista distintamente. E soprattuto aveva visto lo sguardo di Mikako mentre la osservava.
Non avrebbe mai immaginato che uno sguardo tanto dolce avrebbe potuto fargli tanto male.
Il giorno seguente, a ricreazione, Marco si era fermato di nuovo a parlare con Jimmy e, come sempre, dopo un po' Fabiane si era unita a loro.
Il ragazzo però ascoltava a malapena la loro conversazione. Non aveva potuto fare a meno di notare che quella mattina Mikako si era comportata in modo un po' diverso dal solito. E poi c'era sempre l'immagine di quel ragazzo giapponese con una visiera in testa che sorrideva beato! Stava cominciando ad odiarlo! E più lo odiava, più la sua immagine imperversava nella sua mente, perseguitandolo senza tregua.
Anche in quel momento, durante la pausa, la sua amica era rimasta seduta al suo posto buona buona, un comportamento davvero insolito per lei. Osservandola attentamente Marco riuscì a scorgere, sotto i capelli a caschetto, gli auricolari di un walkman. Continuando a guardare, poco dopo individuò anche il filo che scompariva sotto il banco, dove giaceva un lettore cd portatile. Si accorse anche che, appoggiato sulle pagine aperte di "La moda europea dal diciottesimo secolo ai giorni nostri" c'era un libretto più piccolo, e che era quest'ultimo che lei stava leggendo, e non il libro di testo.
Si affrettò a liberarsi dei suoi due compagni di classe e si avvicinò a Mika, fermandosi proprio accanto al suo banco. Distratta dalla musica, lei non si accorse subito di lui, che ebbe così il tempo di sbirciare spudoratamente il libretto misterioso. Dal formato si accorse subito che era il libretto di un cd, ma le scritte erano tutte in giapponese.
"Oh, ciao!" Lo salutò la ragazza, accortasi della sua presenza dall'ombra che Marco aveva proiettato sul testo che lei stava leggendo quando si era sporto per capire di cosa si trattasse.
"Che ascolti di bello?" Le domandò, lui col tono più casuale che riuscì a imbastire.
"E' il nuovo cd dei Mambo!!!" Esclamò Mikako con entusiasmo. " Mi è arrivato ieri per posta!! Certo tu non li conoscerai, ma sono molto popolari in Giappone. Sono il mio gruppo preferito!" Aggiunse prendendo in mano il libretto e chiudendolo per mostrare all'amico la foto del gruppo sulla copertina del cd.
"Fa vedere!" Disse Marco a voce un po' troppo alta e in tono un po' troppo perentorio, ma gli era sembrato di scorgere una faccia familiare. Erano proprio lontani i tempi in cui gli orientali gli sembravano tutti uguali!
Dopo averle praticamente strappato di mano la fotografia, si era messo ad esaminarla attentamente e sì, non c'erano dubbi, quello al centro era proprio lo stesso ragazzo che Mikako si portava appeso al collo!
"Chi è questo al centro?"
"E' Ken Nakagawa, il cantante." Rispose lei un po' perplessa dallo strano atteggiamento del suo amico. "E scommetto che è il tuo preferito!" Disse cercando di fare il vago. "In fondo i cantanti lo sono sempre." Aggiunse tanto per far apparire la sua affermazione un po' più sensata e, soprattutto, disinteressata.
"Beh sì, è lui che scrive i testi..."
"Ah davvero? Beh temo che io potrò apprezzare solo la musica!!" Esclamò Marco, sedendosi di traverso sulla sedia del banco davanti a quello di Mika, per ritrovarsi di fronte a lei. Per la prima volta da quando aveva visto quella dannata fotografia all'interno del ciondolo respirava di nuovo liberamente. Il senso di oppressione che lo aveva vessato era sparito.
Aveva creduto che Mikako avesse già un ragazzo in Giappone e che quella fosse la sua fotografia, ma per fortuna era solo il suo cantante preferito!!
Forse era una cosa un po' infantile, portarsi appesa sul cuore la foto di un cantante, ma d'altra parte gli sembrava anche un comportamento molto "giapponese". E poi che male c'era? In fondo lei era una ragzza sola, dall'altra parte del mondo rispetto a dove era nata e vissuta, in un paese dove tutto era diverso, dove molte cose dovevano apparirle strane e magari anche minacciose, probabilmente quella foto, quel cantante, erano il suo modo per sentirsi a suo agio così lontano da casa, il suo scudo contro la nostalgia, il suo modo per avere un pezzetto di Giappone sempre con sé. Era perfettamente comprensibile. Ed era meraviglioso, perché non era la foto del suo ragazzo.

CAPITOLO 5: Quando i nodi vengono al pettine

Seduto alla sua scrivania, con il blocco dei fogli aperto davanti a sé e la matita in mano, Marco pensava al prossimo vestito che avrebbe realizzato. Niente vestiti da sera stavolta. Per il momento era l'unica decisione che aveva preso. Aveva mille idee che gli frullavano in testa, ma non riusciva a decidersi. Per cercare di superare l'impasse si mise a pensare a come sarebbero calzati i diversi modelli che aveva in mente indosso a Mikako, ma ben presto si accorse che l'operazione non facilitava per niente i suoi processi decisionali.
Riprese a disegnare schizzi, in fondo aveva ancora tempo per prendere la decisione definitiva. A mano a mano che disegnava però, altri pensieri si intrufolarono tra gli accostamenti modello-tessuto. Si ricordò del discorso che gli aveva fatto la stessa Mika, quando aveva riportato le parole della sua professoressa in Giappone. Allora un sottile senso di amarezza ed uno esaltante di sfida si scontrarono dentro di lui. Si rese conto che adesso che aveva imparato come rendere davvero speciali le sue creazioni, come renderle davvero sue, doveva fare un altro passo avanti. Il fatto che avesse scoperto il suo quid grazie ai suoi sentimenti per Mikako, non significava che da quel momento in poi avrebbe dovuto confezionare abiti solo per lei. Se voleva davvero diventare uno stilista professionista, doveva imparare a vestire con la stessa intensità e passione anche altre persone.
Certo era dura rinunciare all'idea di creare un altro vestito per la sua amica, moriva dalla voglia di vederla indossare di nuovo uno dei suoi capi.
Per l'ennesima volta riandò con la mente all'istante in cui l'aveva scorta con indosso il vestito da sera verde smeraldo e acquamarina. Istintivamente i suoi occhi si posarono sull'armadio, dove l'abito in questione era religiosamente custodito.
"E' la cosa più preziosa che ho." Si ripetè il ragazzo con convinzione. Quel piccolo modello rappresentava moltissimo per lui. Rappresentava i suoi sogni, le sue speranze, la sua prima vera vittoria, il suo primo vero amore. Non se ne sarebbe separato per niente al mondo, era davvero la cosa più preziosa che aveva.
Eppure gli sarebbe piaciuto realizzare qualcosa da regalare a Mikako, qualcosa disegnato apposta per lei, consapevolmente stavolta, che lei potesse indossare nella vita di tutti i giorni. Ma ormai il seme della sfida era stato gettato, ed anche se non sempre ne usciva vittorioso, Marco non era proprio il tipo da tirarsi indietro di fronte a una sfida, anche solo con se stesso. Ormai si era messo in testa che doveva riuscire a realizzare un abito che fosse allo stesso livello del precedente per un'altra persona che non fosse Mika. Osservò con sguardo critico tutti i bozzetti che aveva realizzato fino a quel momento ed alla fine scelse un completo giacca e pantaloni. Prese un nuovo foglio e cominciò ad elaborare meglio l'idea, a definire nei dettagli il taglio dei pantaloni, la lunghezza della giacca. Aggiunse anche una camicia piuttosto semplice, in contrasto con la giacca molto elaborata, poi osservò di nuovo il suo operato. Rimase alcuni secondi a fissare quei fogli con attenzione, lo sguardo intenso e la fronte corrugata.
"E' deciso." Si disse alla fine. "Cucirò un tailleur per Fabiane." E tra sé e sé aggiunse: "Così la sfido io la prof a dire che è troppo piccolo!"
Nel laboratorio di cucito i ragazzi lavoravano ai loro progetti. Marco si alzò ed andò accanto al tavolo dove Fabiane stava misurando i suoi cartamodelli con un metro da sarto.
"Ehi Fabiane, allora lo vuoi 'sto vestito?"
"Cosa?" Fece lei perplessa, interrompendo il suo lavoro per alzare gli occhi a fissare il compagno di classe. Lui le sorrise e indicò con lo sguardo i bozzetti sparsi sul banco dove aveva disegnato fino a poco prima. Allora la ragazza capì e i suoi splendidi occhi blu si spalancarono per la sorpresa e la gioia.
"Non posso crederci, lo farai veramente? Per me?" Gli chiese fissandolo di sottecchi attraverso le lunghe ciglia, come un gatto che fa le fusa.
"No, per mia nonna, che però ha le tue stesse misure." Rispose lui, arretrando di un passo per evitare il suo profumo pungente, cosa quasi impossibile adesso che Fabiane si era alzata e stava in piedi proprio di fronte a lui. "Sai, a volte non sei poi così spiritoso." Rispose lei, assumendo per un attimo un'espressione dura. Ma subito dopo sorrise di nuovo, sorniona, e sussurrando così che solo lui la potesse udire, aggiunse: "Ma anche questo contribuisce al tuo fascino, in fondo" E gli scoccò un'interminabile occhiata penetrante che gli fece torcere lo stomaco.
"Non sono venuto per farti ridere, solo per sapere le tue misure." Rispose lui un po' brusco. In fondo era lei che gli aveva chiesto di cucirle un abito, lo aveva addirittura pregato! Allora perché la tirava tanto per le lunghe? Lui voleva solo allontanarsi al più presto da quell'odore intenso che gli dava la nausea e da quei modi suadenti che lo mettevano decisamente a disagio. Cominciava a pentirsi della decisione di prendere proprio lei come modello.
"Prego, fai pure." Disse lei con voce calma e invitante, porgendogli il metro con cui stava lavorando quando Marco l'aveva interrotta e mettendosi in posa.
"Non mi pare il caso." Rispose lui, resistendo alla tentazione di arretrare ancora di un passo. A quel punto si era quasi completamente pentito.
Tuttavia la giovane tedesca non era tipo da scoraggiarsi facilmente, per cui continuava a stargli ferma di fronte con il braccio steso e il metro in mano, tendendolo verso di lui con fare allettante e senza dire una parola, semplicemente continuando a sorridere.
"Non c'è probelma, ci penso io!" Fece Jimmy, che dal tavolo accanto a quello di Fabiane aveva seguito tutta la scena, afferrando il metro e si avvicinandosi alla ragazza con scritto chiaramente in faccia da dove aveva intenzione di cominciare a misurare.
"Lascia perdere." Fece lei in tono risoluto ma anche deluso, riprendendosi il metro senza tante cerimonie, strappandolo con malagrazia dalle mani dell'americano. "Allora che misure ti servono?" Aggiunse poi in tono pratico e un po' brusco rivolta a Marco.
"Ma come, non bisognava prendere le misure?" Chiese Jimmy con voce delusa, al che anche l'altro ragazzo guardò la ragazza con aria interrogativa.
"No, naturalmente no. E' una vita che cucio abiti per me stessa, le saprò a memoria le mie misure, che dite? Era così ovvio."
In quel momento suonò la campanella che annunciava la fine dell'orario scolastico.
"Vabbe' gente, io vi saluto, tanto a quanto pare la mia buona volontà ad aiutare non è apprezzata!" Fece Jim cominciando a riporre la sua roba.
"Adesso si chiama buona volontà?" Disse Marco in risposta, mentre Fabiane faceva la vaga.
I due ragazzi ridacchiarono, poi Jimmy aggiunse: "Scappo che devo andare al lavoro! Oggi è giorno di paga!! Così domani mattina per prima cosa ti ridarò i soldi che mi hai prestato l'altro giorno."
"Guarda che non c'è nessuna fretta!" Rispose il giovane italiano, ma l'altro non continuò a insistere che avrebbe restituito la cifra al più presto. Gli dava moltissimo fastidio essere in debito con qualcuno ed aveva accettato di esserlo con Marco solo perché lo considerava un vero amico.
"Aspettami, vengo anch'io! Mi ero del tutto dimenticata che oggi ho lezione di spinning!!" Intervenne Fabiane facendo su la sua borsa in tutta fretta.
Erano ormai le sei di sera e solo pochissimi studenti ancora si trattenevano nel laboratorio di cucito. Ovviamente la "fanatica dei pomeriggi" era tra questi, anche se cominciava ad accusare i primi segni di stanchezza.
Posò sul tavolo le forbici con cui stava lavorando e si stiracchiò tirando in alto le braccia per allungare la schiena indolenzita. Si sentì uno strano rumore di ossa che scriocchiolavano e Mika pensò che forse era meglio darci un taglio per quel giorno, o almeno fare una pausa. Così si alzò e andò a sedersi su una sedia vuota al tavolo dove stava lavorando Marco.
"Ma è bellissimo!" Esclamò dopo aver preso in mano uno degli schizzi dell'amico, che era così concentrato in quello che stava facendo da non essersi accorto che la ragazza si era avvicinata a lui.
"Ehi!!" Esclamò alzando gli occhi verso di lei con aria di rimprovero. "Non vale! Non avresti dovuto vederli!! Doveva restare un mistero fino a quando il vestito non fosse stato completamente finito!"
"Eh eh eh, hai fatto male a distrarti e lasciare in giro questi disegni incontrollati."
Lui finse di metterle il muso e riabbassò lo sguardo sul suo lavoro continuando da dove aveva interrotto.
"Guarda che scherzo, non me la sono presa." Le disse dopo un po', temendo che lei avesse frainteso il suo comportamento, visto che era rimasta lì seduta ferma e in silenzio, cosa che non era proprio da lei.
"Fabiane ne sarà davvero contenta." Fece allora Mikako in tono meditabondo.
"Mmm, io veramente spero di più che lo sia Mrs Tanner."
"Non essere insensibile." Lo rimproverò lei.
"Insensibile?"
"Questo vestito sarà sicuramente speciale per Fabiane." Rispose la ragazza. E dopo un attimo di esitazione continuò: "E' proprio cotta di te."
"Già." Fece semplicemente lui. Poi sottovoce, quasi rivolto a se stesso aggiunse: "Purtroppo..."
"Purtroppo?" Mika non poté trattenersi dal chiedere, dato il tono triste e intenso con cui l'amico aveva pronunciato quell'unica parola.
"Sai, Fabiane mi fa sempre sentire a disagio. A dire il vero la maggior parte delle ragazze mi fanno sentire a disagio, a volte mi sembra quasi che vengano da un altro pianeta... e lei accentua questa sensazione in modo particolare. Però è una brava ragazza, è simpatica, a suo modo. A conoscerla, a passarci tanto tempo insieme, mi ci sono anche un po' affezionato. La considero un'amica." Disse lui senza alzare lo sguardo dal tavolo per guardare la sua interlocutrice, continuando anzi a lavorare al suo progetto. "Proprio per questo ho detto purtroppo. Perché mi dispiace che lei provi qualcosa di diverso dall'amicizia per me. In un certo modo anche io le voglio bene e mi dispiace da morire che debba soffrire per causa mia. Ma non posso farci niente, io non ricambio i suoi sentimenti."
Mikako si sorprese ancora una volta di quanto Marco fosse dolce e aperto, aveva detto quelle cose con voce semplice e soffusa, priva di qualsiasi enfasi e forse, proprio per questo, ancora più toccante. Le faceva una tenerezza infinita. Ma in fondo c'era da aspettarselo che lui fosse così sensibile, no?
"Ma certo, lo so." Rispose allora lei, ancora un po' soprappensiero ma con un tono assolutamente sicuro e deciso. A quelle parole la matita cadde improvvisamente di mano al ragazzo che alzò di scatto il viso dal suo lavoro per fissarla dritto negli occhi.
"Lo sai?!?!" Esclamò lui, con un'espressione tra lo stupito e lo sconvolto e una strana urgenza nella voce.
Dapprima a Mika quella reazione parve del tutto normale, in fondo non ne avevano mai parlato e forse lui, anche a ragione volendo, lo considerava un segreto da tenere celato a tutti, era ovvio che fosse tanto sorpreso nello scoprire che invece lei lo aveva capito. Così quella malaugurata frase le sfuggì dalle labbra, proprio nel momento in cui il suo cervello si stava lentamente rendendo conto che era stato tutto un terribile equivoco.
Per questo la sua voce risultò stranamente tremula mentre pronunciava quelle parole, perché la sua consapevolezza aveva cominciato ad intuire che non era quella la verità, che lei non aveva capito proprio un bel niente.
"Beh sì... non puoi ricambiare i suoi sentimenti perché tu sei gay..." Disse Mikako con tono inspiegabilmente incerto.
A quelle parole gli occhi di Marco si dilatarono e la sua bocca si aprì per un secondo prima di serrarsi completamente, prima che un'espressione indescrivibile di pura ferocia gli distorcesse i lineamenti.
"Ma porca puttana!!!" Esclamò pieno di rabbia nella sua lingua, alzandosi in piedi di scatto. La sedia franò a terra rumorosamente. Tutti gli altri studenti rimasti nell'aula puntarono gli occhi su di lui.
Mikako non aveva bisogno di capire l'italiano per intuire il senso della sua esclamazione. Non aveva mai visto una simile espressione sul viso dell'amico. Non l'avrebbe neanche creduto capace di assumere una simile espressione! Le faceva quasi paura. Quando la sedia si rovesciò al suolo con un gran frastuono la ragazza sobbalzò per lo spavento. Si sentiva gelare. Era rimasta seduta immobile senza riuscire a muovere un solo muscolo. Senza riuscire a dire una sola parola. Ma anche se ci fosse riuscita, che cosa avrebbe potuto dire? Che si era sbagliata? Che era stato tutto un grande, terribile errore? Che era stato solo perchè lui era così uguale a Seiji, e Tsutumu le aveva detto che il suo sempai era gay, e perciò lei... lei aveva creduto che tutti i marziani scintillanti... e poi lui aveva detto che Fabiane non era attraente... Ma come poteva un ragazzo etero dire una cosa simile?!?!?! Fabiane era bellissima, anche più bella di Mariko!
Furioso Marco fece il giro del tavolo a grandi passi, arrivò davanti alla sedia ancora a terra e le sferrò un calcio violento. La sedia rotolò sul pavimento con un rumore che Mikako trovò assordante. Senza neanche accorgersene aveva cominciato a tremare. Il ragazzo afferrò le sue cose rudemente e si avviò verso l'uscita del laboratorio a passi cadenzati, che esprimevano tutta la sua rabbia trattenuta. Mika non riusciva a staccare gli occhi da lui, dal suo sguardo tormentato, dai suoi movimenti bruschi, dalle sue labbra serrate per trattenere le imprecazioni e il dolore. Quasi non sembrava lo stesso ragazzo che era sempre scherzoso, calmo e gentile con tutti, lo stesso ragazzo che trattava il suo materiale con la massima cura, con un rispetto quasi religioso, e che adesso aveva brutalmente appallottolato i bozzetti per ficcarli nella borsa alla rinfusa.
Lui se ne andò sbattendo la porta dell'aula. Se ne andò senza dire una parola, senza averla più guardata. Neanche di sfuggita.
Al tonfo della porta che sbatteva Mikako scoppiò a piangere.
Matt sussultò quando la porta di casa sbattè così forte che persino i muri della sua camera da letto tremarono, non per questo però staccò gli occhi dal monitor del computer.
Subito dopo udì un grido inarticolato che gli fece venire la pelle d'oca perché sembrava quasi umano, ma solo quasi. Si voltò a guardare verso la porta chiusa della sua stanza, distogliendo lo sguardo dallo schermo.
Poco dopo Marco aprì la porta senza bussare, cosa che non aveva mai fatto. Aveva una faccia sconvolta, come Matt non l'aveva mai visto. Ma quando parlò la sua voce era calma e regolare, la stessa di sempre.
"Ehi amico, ti è rimasto un po' del whisky di tuo fratello?"
"S... sì." Rispose il giovane scozzese dopo una breve esitazione. Era da quando era cominciata la scuola che il suo coinquilino aveva sempre rifiutato il whisky. Ed anche prima era sempre stato stato lui ad offrirglielo, Marco non glielo aveva mai chiesto. E non erano ancora le sette di sera. La situazione sembrava grave.
Matt si voltò di nuovo ad osservare il suo amico italiano. Ciò che vide non gli piacque. La situazione era grave. Guardò nei suoi occhi scuri e quello che vi lesse lo spinse a spegnere il computer. La situazione era davvero gravissima.
Ancora seduta sulla sedia nel laboratorio di cucito Mikako piangeva singhiozzando tanto violentemente che tutto il suo corpo ne era scosso. Quasi non riusciva a respirare e sentiva un fischio sordo nelle orecchie che si faceva sempre più forte. Seiji non sarebbe stato per niente fiero di lei, aveva di nuovo pianto in pubblico. Ma in quel momento non le importava proprio niente di quello che Seiji avrebbe pensato. Si sentiva miserabile. Miserabile e stupida.
E le importava solo di Marco.
Pensava che non avrebbe mai più avuto il coraggio di guardarlo in faccia. Pensava che l'aveva perso per sempre, che lui non l'avrebbe perdonata. Qui non era a casa sua dove tutti erano sempre disposti scusarla per le sue uscite infelici, quando arrabbiata diceva ai suoi cari cose che non pensava veramente, cose cattive, neanche lo facesse apposta per ferirli. Se Marco non fosse riuscito a passare sopra a quella sua frase tanto inopportuna, lei non avrebbe potuto in alcun modo biasimarlo. Probabilmente anche chiedere scusa, a quel punto, sarebbe stato del tutto fuori luogo. Ma cosa poteva fare allora? Non voleva perderlo! Ma sapeva che lo aveva ferito gravemente. Ripensare al suo sguardo, quando si era alzando gridando dalla sedia, le faceva stringere il cuore in una fitta dolorosissima. Come aveva potuto fraintendere tutto in quel modo?! Come aveva potuto essere tanto stupida?!
E cieca.
Perché adesso sapeva la verità. Sapeva quello che era stata tanto brava a nascondere a se stessa fino a quel momento. E sapeva anche che, nel profondo della sua coscienza, ne era stata consapevole già da tempo. Sapeva che Marco era innamorato di lei.
Ma proprio quella stessa coscienza le aveva impedito di rendersene veramente conto fino a quella sera, quando lui, senza dirle una parola, ma soltanto non riuscendo a nascondere l'intensità del suo dolore, le aveva involontariamente sbattuto in faccia tutta la forza dei suoi sentimenti.
Ed erano stati così evidenti!! Come aveva potuto ingannare se stessa in quel modo?
Indossando il vestito che lui aveva cucito su misura per lei senza neanche conoscere la sua taglia, Mika aveva percepito qualcosa di speciale. Qualcosa nascosto nel modo in cui l'abito le cingeva i fianchi e le solcava le spalle, nel modo in cui si restringeva abbracciandole la vita e nella leggerezza con cui la stoffa le sfiorava le gambe. Qualcosa di delicato, segreto, dolcissimo e sensuale. Una carezza inespressa era passata dalla morbidezza del tessuto a tutta la sua pelle, facendole provare un brivido che lei si era affrettata ad ignorare. Ma non aveva potuto dimenticarlo del tutto, per quanto si fosse sforzata.
Dal momento in cui aveva visto quello sguardo rapito negli occhi di Marco mentre la fissava con indosso il suo vestito, lei aveva scorto la conferma di quella verità che prima aveva solo intuito. Ma di nuovo si era sbrigata a cancellare quella visione.
Era solo perché sapeva la verità che si era sentita così a disagio quando lui l'aveva stretta a sé sotto l'ombrello, solo per quello che la sera, nel suo letto, ripensando alla giornata trascorsa, aveva provato quello strano fastidio. Solo perché nel profondo di se stessa conosceva già la verità.
No, si stava ingannando di nuovo. Ammise in fine dolorosamente, con un sospiro strozzato tra i singhiozzi. Non era solo per quello. Era perché anche lei si sentiva attratta da lui.
Strinse forte tra le mani il ciondolo a forma di fiore, i suoi singhiozzi si fecero ancora più disperati mentre il senso di colpa le rodeva silenziosamente lo stomaco.
"Mikako, ma che ti succede?" Fece Abhilasha, la sua compagna di classe indiana, avvicinandosi a lei con gentilezza, incapace di ignorare ancora il manifesto stato di sofferenza della ragazza giapponese. Se non si era fatta avanti prima era stato solo per non apparire invadente, in fondo loro due non avevano ancora avuto modo di legare da quando era cominciata la scuola.
Dopo aver preso la bottiglia di whisky, Matt era andato in cucina dove Marco lo aspettava seduto al tavolo con un bicchiere vuoto di fronte a sé. Un bicchiere da una pinta, non uno da whisky. Guardando l'amico con preoccupazione sempre crescente, lo scozzese gli posò la bottiglia davanti e poi si sedette di fronte a lui.
"Che ti è successo?" Chiese col suo solito approccio diretto.
Ma Marco non rispose. Si limitò a stappare la bottiglia e a svuotarne l'intero contenuto nel bicchiere, riempiendolo quasi fino all'orlo.
Non avendo avuto risposta, Matt ritentò:
"Professori, donne o soldi?"
"Donne." Rispose il ragazzo con il bicchiere già sollevato in aria, prima di mandare giù metà del whisky in un solo sorso. Allora ripoggiò rumorosamente il bicchiere sul tavolo e si pulì la bocca con il dorso della mano. Con espressione assente strizzò un pochino gli occhi, probabilmente per il bruciore di tutto quell'alcol giù nello stomaco. Ma un attimo dopo aveva di nuovo assunto quell'aria sconvolta che aveva quando era entrato in casa, e stringeva il bicchiere nella mano destra talmente forte che le nocche erano completamente sbiancate. Per un solo attimo guardò Matt negli occhi, e di nuovo a quest'ultimo vennero i brividi a sostenere quello sguardo. Poi Marco tornò a fissare il liquido ambrato nel bicchiere, ma prima di portarlo di nuovo alle labbra disse:
"L'unica ragazza che io abbia mai veramente amato mi ha appena detto che è sempre stata convinta che io fossi gay." Lo disse in tono piatto, totalmente inespressivo. Una semplice constatazione. Poi alzò il bicchiere e lo svuotò in un lungo sorso.
"Ho capito. Qui ci vuole un'altra bottiglia." Fece lo scozzese alzandosi per andare a prendere il whisky di scorta.
La dolcezza e la simpatia di Abhilasha erano riuscite a calmare Mikako quanto bastava perché riprendesse un poco il controllo di sé. La sua compagna era stata molto premurosa e affettuosa, ma lei non si era sentita di confidarsi, così le aveva semplicemente detto di aver litigato con Marco, cosa che era parsa evidente a tutti quelli presenti nel laboratorio di cucito quella sera.
Dopo essersi ricomposta ed aver ringraziato la giovane indiana, Mika era tornata a casa con gli occhi gonfi e il cuore pesante.
Adesso giaceva sdraiata al buio sul suo letto. Era ora di cena, ma non aveva nessuna voglia di mangiare.
Doveva fare chiarezza dentro se stessa.
La verità, per quanto dolorosa o scomoda potesse essere, era che le era stato così facile credere che Marco fosse gay perché lei voleva disperatamente crederlo. Rendeva tutto più semplice. Credendolo gay si era sentita libera di accettare la sua amicizia senza riserve, di avvicinarsi a lui più del dovuto e di ridere dell'attrazione che non riusciva a nascondersi di provare nei suoi confronti. Credendolo gay aveva potuto affezionarsi a lui senza provare sensi di colpa, senza sentirsi scorretta nei confronti di Tsutomu.
Già,Tsutomu. Il suo Tsutomu. Tsutomu che lei amava e che le mancava terribilmente.
Eppure provava qualcosa anche per Marco, non poteva più mentire a se stessa. Ma cos'era esattamente questo qualcosa? Era solo un'amicizia speciale o qualcosa di più? Come poteva provare un affetto particolare per due persone contemporaneamente? Era terribile. Era ingiusto, sbagliato! Eppure era proprio così che si sentiva, come spaccata in due.
Forse i suoi sentimenti per il nuovo compagno di classe si erano fatti tanto profondi proprio per compensare il vuoto che provava per la mancanza di Tsutomu. In fondo loro due avevano sempre vissuto insieme, praticamente dalla nascita. Prima di venire a Londra Mikako non aveva mosso un solo passo senza l'appoggio di Tsutomu. Eppure lei pensava di essere cresciuta, di essere diventata più matura e indipendente. Aveva forse ragione Seiji, quando la rimproverava di essere una bambina che non sapeva andare avanti reggendosi solo sulle proprie gambe? Era per questo che si era affezionata così tanto a Marco, perché aveva ritrovato in lui quell'appoggio che Tsutomu era troppo lontano per darle? Quell'appoggio sicuro di cui non aveva mai fatto a meno per tutta la vita... Era per questo, perché non riusciva a farne a meno?
Beh... poteva essere per questo. Ma lei non riusciva a crederlo, non completamente. Poteva essere anche per questo motivo, ma non solo per questo. Sarebbe stato davvero triste se fosse stato così. Non poteva credere di essere davvero così infantile, così immatura.
Ma non voleva neanche credere che il suo amore per Tsutomu non fosse così incrollabile come lei pensava!
I suoi occhi si riempirono di lacrime e le sue spalle vennero scosse da un debole singhiozzo. Aveva esaurito in classe tutte le energie per piangere. E poi non voleva piangere! Voleva capire! Capire e trovare una soluzione.
La mattina seguente Mikako si avviò verso scuola da sola. Aveva aspettato Marco per quasi dieci minuti, ma lui non si era fatto vivo. Un po' se lo era aspettato, ma un po' c'era rimasta male. Pensare a quanto doveva averlo ferito le faceva venire voglia di piangere di nuovo. Pensare che la loro amicizia potesse essere finita in quel modo la faceva sentire vuota e arida. Pensare che quella eventualità avrebbe risolto buona parte dei suoi problemi non serviva affatto a farla sentire meglio.
D'altro canto però era felice di aver ritardato il momento in cui lo avrebbe incontrato di nuovo. Aveva pensato e ripensato a quello che avrebbe detto rivedendolo, a come si sarebbe comportata, ma nulla di quello che aveva immaginato di dire o fare le pareva appropriato. Si sentiva male solo all'idea di rincontrare il suo sguardo. Anche adesso, mentre camminava tranquillamente per le strade del suo quartiere, aveva lo stomaco stretto in una morsa e i battiti accelerati, sapendo che a breve, a scuola, lo avrebbe rivisto.
Cosa doveva fare? Chiedergli scusa non avrebbe avuto alcun senso. Avrebbe forse dovuto far finta di niente? Non credeva che ne sarebbe stata capace. E se lui fosse stato ancora arrabbiato con lei? La cosa era molto probabile dato che non era venuto all'appuntamento per andare a scuola insieme come facevano ogni mattina.
Dio, si sentiva così confusa!! Proprio come quando doveva decidere se partire per Londra oppure no. Odiava quella sensazione. L'unica cose che sapeva con certezza era che le cose tra loro non sarebbero più potute tornare come prima. E questo le faceva molto male.
Persa nei suoi pensieri arrivò a scuola senza neanche accorgersene. Subito Jimmy la scorse e le si avvicinò sorridendo.
"Ciao Mikako! Marco, che fine ha fatto?"
"Non lo so." Rispose semplicemente lei.
"Peccato, proprio oggi che avevo i soldi da ridargli! Non vedo l'ora di saldare il mio debito, mi dà un sacco fastidio il pensiero di dovere qualcosa a qualcuno."
"Non credo proprio che Marco si faccia dei problemi o che abbia bisogno urgente di riavere il denaro."
"Lo so, lo so. Lo so benissimo anch'io e poi lui stesso me lo ha detto e ripetuto, ma è una cosa mia, capisci?"
In quel momento suonò la campanella e gli studenti che si erano radunati in piccoli gruppi a chiacchierare sciamarono disordinatamente verso l'ingresso dell'edificio.
Marco non era arrivato. E non arrivò neanche in seguito, quel giorno non si presentò a scuola.
Deciso a saldare il suo debito il più presto possibile, nonché un po' preoccupato per l'amico, Jimmy, al termine delle lezioni, si diresse a casa di Marco.
Arrivato, suonò il campanello, ma nessuno venne ad aprirgli. Stava per andarsene, quando la porta si schiuse lentamente.
Il giovane americano si trovò di fronte un ragazzo magrissimo, dal viso emaciato, con indosso un paio di jeans sdruciti e una maglietta scolorita, entrambi piuttosto spiegazzati e non proprio puliti. Il giovane alla porta aveva la faccia assonnata, i capelli tutti spettinati e gli occhi iniettati di sangue.
"Sì?" Fece il tipo in piedi sulla soglia, scalzo.
"Ehm, c'è Marco?" Chiese Jim un po' titubante. L'amico gli aveva parlato di Matt, il suo coinquilino, ma lui non si era immaginato che avesse un aspetto così poco raccomandabile.
"Beh per esserci c'è, ma..."
"Ma...?" Riprese il ragazzo in tono scettico, per nulla convinto da quella risposta ambigua.
"Ma sta dormendo."
"Non sarà malato per caso?"
"No, no. Non è malato." Rispose Matt in tono rassicurante. "E' solo ubriaco come una zucchina." Conluse.
Ma poi, vedendo l'espressione stupita sul viso di Jimmy, aggiunse, a mò di spiegazione: "Eh, le donne!" E fece un bel sospiro a sottolineare il concetto. Subito dopo però, cominciando già a richiudere la porta, disse in tutta fretta: "Adesso scusami, amico, ma ieri sera anche io gli ho dato giù parecchio e adesso temo proprio di dover correre di nuovo a vomitare. Ci si vede." E gli sbattè la porta in faccia.
"Vomitare?" Si chiese Jim confuso. Quel tipo aveva davvero detto che doveva correre a vomitare? Parlava con un accento terribile, peggio di quello di tutti gli inglesi che aveva incontrato fino a quel momento! Aveva fatto una fatica bestiale a capire le sue parole. E non era nemmeno riuscito a ridare i soldi a Marco! Almeno non era malato, aveva solo fatto bisboccia fino a tarda notte. "Probabilmente si sarà fatto trascinare da quella specie di degenerato del suo coinquilino..." Pensò Jim che era al corrente di tutte le pessime abitudini dello scozzese.
Eppure il ragionamento non filava. Aveva l'impressione che le cose non fossero andate per niente in quel modo. Anche se aveva saputo che il suo amico non era malato, si sentiva ancora più preoccupato di prima per lui. Sarà stato per colpa di quel criptico "eh le, donne", così apparentemente fuori luogo, detto da Matt?
In effetti Mikako era stata parecchio strana quel giorno in classe.
CAPITOLO 6: Scelte

L'indomani mattina, Mikako percorse la solita strada da casa a scuola a velocità warp, non aveva sentito la sveglia ed era in ultra ritardo!
La notte precedente non era riuscita a prendere sonno. Aveva continuato a girarsi e rigirarsi nel letto, stringendo i pugni per non piangere e soffocando i singhiozzi nel cuscino quando non era più riuscita a trattenersi. Quella situazione la stava logorando.
Per tutto il giorno era stata preoccupatissima per Marco. Continuava a domandarsi perché non era venuto a scuola, se davvero stava soffrendo come lei immaginava, se era ancora arrabbiato, se l'aveva perso per sempre. Aveva avuto mille volte la tentazione di telefonargli e per mille volte aveva riabbassato la cornetta senza neanche essere riuscita a comporre il numero. Finché, verso sera, non aveva telefonato Tsutomu.
Non si era mai sentita tanto a disagio a parlare con lui. Per tutti quegli anni lo aveva sempre considerato quasi una parte di sé e non c'erano mai stati grandi segreti tra loro, avevano condiviso le loro vite in tutto e per tutto. Ma quella sera il senso di disagio che Mika aveva provato sempre più spesso negli ultimi tempi, si fece talmente intenso da essere quasi insopportabile.
Dopo quella telefonata andò a infilarsi nel letto, nascondendo la testa sotto le coperte. Per tutta la notte fu tormentata da un terribile mal di pancia, ma non era quello che le impediva di dormire. Il senso di colpa che provava nei confronti di Tsutomu era molto più doloroso. Tuttavia non attenuava la preoccupazione per Marco, e la cosa la faceva sentire ancora peggio. Di nuovo riprovò ad analizzare con calma i suoi sentimenti, a cercare una soluzione a quel problema tanto opprimente, non poteva andare avanti così e la soluzione era solo una. Doveva bandire Marco dal suo cuore. Ma come? Non poteva certo smettere di vederlo per dimenticarsi di lui, frequentavano la stessa classe! E poi, lo aveva già ferito abbastanza, come poteva, adesso che conosceva i suoi sentimenti, cambiare radicalmente atteggiamento verso di lui? Sarebbe stato crudele! E lei si sentiva già abbastanza in colpa anche nei suoi confronti!! Aveva la netta impressione di continuare a correre affanosamente in cerchio in un labirinto che non aveva via d'uscita. Ben presto non riuscì più a trattenere le lacrime e si ritrovò di nuovo a piangere violentemente, annulando così ogni suo pensiero logico e lasciandosi precipitare in quell'abisso di disperazione. Solo verso l'alba, esaurite ormai tutte le sue energie, si addormentò, esausta.
L'indomani mattina, anche se era già in ritardo, non poté fare a meno di passare un bel quarto d'ora davanti allo specchio con tutti i trucchi a sua disposizione. Aveva gli occhi gonfi e rossi, circondati da due occhiaie scure. La pelle del viso era tutta tirata ed aveva un colorito grigiastro, proprio non poteva uscire in quelle condizioni.
Così arrivò a scuola che la campanella d'inizio delle lezioni era già suonata da una decina di minuti. Si avvicinò lentamente alla porta della sua classe, sapendo che alla prima ora ci sarebbe dovuta essere Mrs Smith che era sempre in ritardo. Restando in silenzio con l'orecchio quasi accostato alla porta, potè udire un cicaleggio di voci giovanili provenire dall'interno dell'aula, allora aprì la porta tranquillamente, sollevata perché la professoressa non era ancora arrivata.
Appena entrata nell'aula, Mika si fermò impietrita. Il suo cuore aveva accelerò i battiti e un inconsapevole sorriso si dipinse sul suo volto, mentre una calda sensazione di gioia la avvolgeva. Per la prima volta in due giorni si sentì di nuovo l'animo leggero. Poteva respirare liberamente senza quel laccio che le serrava la gola.
Si sentì di nuovo leggera e pulita vedendo Marco seduto al suo banco che chiacchierava allegramente con Jimmy, in piedi accanto a lui. Il ragazzo aveva i lineamenti distesi e la solita espressione gentile sul viso. Lo scintillio da marziano scintillante brillava intorno a lui più intensamente che mai. Non le era mai parso tanto bello.
"Ciao, Mika! Alla buon'ora!" La salutò lui in tono allegro e disinvolto, proprio come l'aveva sempre salutata da quando erano diventati amici. Gli occhi della ragazza si andarono riempiendo di lacrime, mentre lei si avvicinava lentamente ai due compani di classe. Aprì la bocca per rispondere al saluto, ma non riuscì a pronunciare una sola sillaba. Però il sorriso che continuava ad illuminarle il volto parlava chiaramente del suo stato d'animo più di mille parole.
"Ti ho aspettato per ben venti minuti stamattina, ma alla fine mi sono avviato. Avevo paura che a Jimmy gli prendesse un colpo se non mi vedeva anche oggi, sarebbe venuto a cercarmi in capo al mondo per infilarmi quei benedetti soldi in tasca!!"
"E smettila di prendermi in giro, sono un tipo preciso io!" Si schermì il giovane americano.
"Spero di non dover mai essere in debito con te, se sei altrettanto solerte nel riprenderli i soldi, oltre che nel restituirli!" Ribatté Mikako, fermandosi accanto a Jim, presso il banco di Marco.
Mikako cominciò a pensare che forse era tutto risolto, che tutto sarebbe potuto semplicemente ritornare come prima tra di loro. Che sarebbero stati di nuovo amici e rivali, due compagni di classe affiatati, come erano stati fino a pochi giorni prima. Senza problemi, senza malintesi, senza complicazioni. Senza altri sentimenti che una sana amicizia e un'altrettanto sana rivalità per l'ambìto scettro di numero uno del corso.
Così cercò di osservarlo meglio, di sottecchi, per cercare di capire dai suoi occhi se era ancora arrabbiato oppure no. Ma in quell'istante anche lui si voltò verso di lei e i loro sguardi si incrociarono. Il loro amico si ritrovò a parlare da solo, completamente inascoltato.
Certo, si era accorta fin da subito che Marco era un bel ragazzo, ma mai come in quel momento le era parso affascinante. Non aveva mai provato una simile attrazione per nessuno. Anche con Tsutomu le cose erano andate in modo completamente diverso. Loro due si conoscevano da una vita e lei lo aveva sempre considerato suo amico, o anche di più, quasi un fratello. Solo con l'andar del tempo, crescendo, i suoi sentimenti si erano fatti più adulti. L'attrazione fisica era entrata a poco a poco nella loro relazione. Con Marco invece era stata presente fin dall'inizio, era sempre stata una componente imprescindibile, anche se tacita e repressa, del loro rapporto. Era stata proprio quell'attrazione la fonte di tutto il disagio che lei provava quando per caso le loro mani si sfioravano o quando ripensava a lui di notte, nel buio della sua stanza. Era stata la linfa di cui si era alimentato nella sua mente quel maledetto equivoco. E adesso era troppo tardi per metterla a tacere.
No, le cose non sarebbero potute tornare come prima tanto semplicemente. Non avrebbe più potuto cullarsi nelle illusioni adesso che aveva preso coscienza della verità.
Proprio in quel momento la porta si aprì di nuovo e Mrs. Smith entrò nell'aula in un altro dei suoi orrendi tailleurini color pastello, con tanto di collant coordinati.
La professoressa si mise subito a spiegare, ma Mikako non riuscì a seguire una sola parola della lezione. Era contenta che Marco l'avesse perdonata e, soprattutto, era immensamente felice di vederlo così in forma. Si era tanto preoccupata il giorno prima non vedendolo a scuola, ma a quanto pareva era tutto a posto.
Beh... a posto per modo di dire. Sembrava proprio che lui avesse intenzione di fare finta di niente, come se quello spiacevole incidente nel laboratorio di cucito non si fosse mai verificato. Ma Mika sapeva che lei non ci sarebbe riuscita. Ed era certa che neanche lui avrebbe potuto continuare a tenere in vita quella facciata ormai andata in frantumi ancora a per molto. Prima o poi avrebbero dovuto entrambi fare i conti con l'amore che il ragazzo provava per lei, con quello che lei provava per Tsutomu e con i sentimenti contrastanti che provava per Marco.
Questa consapevolezza la faceva sentire terribilmente a disagio, le provacava un malessere sotterraneo che non riusciva a nascondere e che le impediva di comportarsi normalmente con i suoi amici, tanto che, quando si ritrovarono tutti assieme a ricreazione come era loro abitudine, la piccola giapponese rimase come distante e distaccata, nonostante tutti gli altri, compreso Marco, stessero chiacchierando e scherzando come al solito. Così, quando Abhilasha la salutò passando accanto al loro gruppetto per recarsi al bar della scuola, Mikako ne approfittò per allontanarsi insieme a lei.
Tre giorni dopo Mikako era rimasta l'ultima ad andare via laboratorio di cucito, come suo solito. Erano quasi le sei e la scuola era pressoché deserta. Il giorno della consegna del nuovo lavoro a Mrs Tanner si avvicinava e lei era decisa a prendere una bella A, senza meno stavolta. Certo non era questo l'unico motivo per il quale si stava concentrando con tutta se stessa su quel progetto e restava inchiodata alla macchina da cucire tutte le sere, finché non crollava per la stanchezza. Quali che fossero le sue più vere motivazioni, Mika era tutta presa dall'abito che stava realizzando, nella sua mente c'era spazio solo per l'ultimo modello Happy Berry, così che uscì dalla stanza completamente sovrappensiero.
Sussultò violentemente quando una mano la afferrò per un braccio. Si voltò di scatto, con il cuore che le era saltato in gola.
"Insomma Mikako! Fermati!"
Riconoscendo Marco una parte di lei si tranquillizzò immediatamente, era un amico. Ma un'altra parte si preoccupò ancora di più, non era davvero un amico. Quando poi vide quello sguardo duro e risoluto nei suoi occhi cominciò a sentirsi veramente a disagio, mentre il cuore le martellava nel petto, battendo così forte da farle temere che anche lui potesse sentirlo.
"Scusami, ero talmente presa dal mio nuovo vestito che non ti ho neanche sentito!" Fece lei, cercando di dare alla sua voce un tono leggero, spensierato. Finto.
"Non fa niente, l'importante è che tu mi ascolti adesso. Devo parlarti, con calma." Disse lui, senza lasciarle andare il braccio.
"Scusami, ma adesso non ho proprio tempo! Sono quasi le sei e lo sai che il Gateway sta per chiudere, se non mi sbrigo resterò senza cena!" Rispose lei, sempre cercando di apparire tranquilla e rilassata, come non si sentiva affatto. Voleva solo andarsene. Voleva non avere più quegli occhi scuri puntati addosso, così penetranti, dolcissimi. Voleva non sentire la sua voce parlarle in quel tono serio, terribilmente serio. Voleva che lui le lasciasse il braccio, il calore della sua mano le bruciava la pelle attraverso la camicetta di velluto.
La ragazza distolse in fretta lo sguardo e si sottrasse alla sua presa. Stringendo più forte al petto il blocco con gli schizzi si avviò verso le scale, tenendo gli occhi fissi sul pavimento davanti ai suoi piedi.
"Adesso basta, Mikako!" Gridò Marco portandosi di fronte a lei, sbarrandole le strada. All'improvviso l'afferrò per le spalle con forza e la spinse indietro, di nuovo dentro il laboratorio.
"Lasciami, mi fai male!" Ed era vero. La stringeva così forte. Quasi avesse paura che lei potesse volare via.
A quelle parole il ragazzo mollò immediatamente la presa ed un'espressione preoccupata comparve nei suoi occhi, non avrebbe mai voluto farle del male. Non si rendeva conto che era la sua semplice presenza a farle male.
Appena libera dalla sua stretta, Mika ne approfittò per girarsi e correre via, ma lui fu più veloce. La trattenne di nuovo e stavolta chiuse la porta. Poi la spinse contro il muro e poggiò le mani sulla parete, bloccandola fra le sue braccia. Per un attimo rimasero a fissarsi in silenzio, vicini come non erano mai stati, mentre l'eco del blocco caduto per terra poco prima si spegneva intorno a loro, in quella stanza così grande e così vuota da amplificare ogni rumore. Di nuovo la ragazza si affrettò a distogliere lo sguardo e cominciò a fissare un punto preciso del pavimento tra le punte arrotondate delle sue scarpe.
Il silenzio pesava intorno a loro come fosse stato acqua salata dell'oceano. Quel laboratorio aveva un che di iquietante senza il vociare degli studenti o il ronzio meccanico delle macchine da cucire in sottofondo.
"Perché mi stai evitando?" Chiese lui con voce pacata, che però esprimeva tutto lo sforzo necessario a trattenere sotto la superficie qualcosa di travolgente che si intravedeva appena.
"Io... io non ti sto evitando..." Provò a negare Mikako, ma con scarsa convinzione. Tutto in lei lasciava chiaramente intuire che era la prima a non credere a quelle parole.
"Non prendermi in giro, per favore. Non me lo merito."
Sentendo quell'ultima frase, quel tono ferito che lui cercava di dissimulare, gli occhi della ragazza si riempirono di lacrime che silenziosamente cominciarono a rigarle le guance.
"Perché?" Chiese lui. Ma lei non riusciva a rispondergli. Aveva la gola completamente secca e tutti i suoi sforzi erano per trattenere i singhiozzi che minacciavano di sopraffarla.
"Insomma Mikako, perché in questi ultimi giorni non hai fatto che evitarmi?!?" Le chiese ancora, in tono molto più duro e pressante. Il suo autocontrollo si stava infrangendo a poco a poco. Di nuovo, lei non rispose. Continuava a fissare ostinatamente quel punto del pavimento, le guance ormai solcate da molte lacrime.
"E guardami quando ti parlo!!" Gridò lui, lasciandosi finalmente andare. "Guardami, ti ho detto!" Gridò più forte battendo il pugno sul muro proprio accanto al suo orecchio.
Mikako sussultò, spaventata, ma alzò lo sguardo a cercare gli occhi di lui.
"Perché piangi?" Le chiese ancora, riprendendo il controllo. "Perché piangi, non sei tu che devi piangere." Le disse con voce dolce, come a volerla consolare.
"Io... io..."
"No, io." La interruppe lui con decisione. "Sono io che dovrei sentirmi ferito per il modo in cui mi hai trattato negli ultimi tre giorni. Non ce n'era motivo. Io credevo fossimo amici, ma forse mi sbagliavo. Mi saluti a malapena, se cerco di parlarti trovi sempre qualcosa di urgente da fare da un'altra parte. Mi passi accanto come se non esistessi, probabilmente non mi vedi neppure perché ogni volta che i tuoi occhi si posano su di me, distogli lo sguardo. Che ti ho fatto, si può sapere? Se hai un problema con me dimmelo! Avanti, dimmelo!!"
"Io... non... io..." Di nuovo cercò di rispondergli, ma le parole proprio non riuscivano ad uscire dalle sue labbra tremanti.
"Insomma Mika, si può sapere qual è il problema?!?" Domandò Marco alzando di nuovo la voce, la sua pazienza era davvero giunta al limite. "Cosa ho fatto di male? Ti ho forse ferita o offesa in qualche modo? Parla dannazione!! Dì qualcosa!!!" Le urlò in faccia, afferrandola di nuovo per le spalle e avvicinandola ancora di più a sé.
"Sono io che dovrei esserci rimasto male per quello che è successo l'altro giorno!! Sono io che avrei dovuto sentirmi insultato!! Io avrei dovuto sentirmi umiliato, ferito, incompreso! Ne avevo tutte le ragioni. Ma adesso sei tu che piangi, sei tu che mi eviti, sei tu che fai l'offesa, perché?!?! E' perché non sono davvero gay?!? Ti dispiace così tanto?!?" Gridò scuotendola per spalle, mentre anche i suoi occhi si andavano riempiendo di lacrime. Lacrime di rabbia e di dolore.
Mika annuì lievemente con la testa, ma forse quel movimento era solo dovuto alla forza con cui lui la strattonava. "Ma io sono sempre lo stesso!!" Continuò a gridare Marco, mentre una sottile nota di disperazione si andava insinuando nella sua voce. "Sono sempre la stessa persona con cui hai fatto amicizia, la stessa con cui ridevi e scherzavi, sono sempre io!! Possibile che tutto il tempo che abbiamo passato insieme non significhi niente per te?!?! Eppure ci divertivamo!! Ridevamo un sacco e scherzavamo e parlavamo per ore, non posso credere che tu voglia davvero buttare via tutto questo!! Tu ti divertivi, tu stavi bene con me, così come io stavo bene con te. Non puoi negarlo, io lo so! Credevo che tu ci tenessi alla nostra amicizia, credevo che tra noi ci fosse un'amicizia!!!"
A quelle parole Mikako non riuscì a fare altro che scuotere la testa in segno di diniego. A quel gesto gli occhi di lui si spalancarono per la sorpresa. Ma dopo poco comprese.
"Hai ragione..." Disse in un sussurro. Poi la strinse a sé e si chinò su di lei, continuando a stringerle la spalla con una mano e prendendole il viso nell'altra.
Le sue labbra sapevano di fragola, proprio come lui aveva sempre immaginato. Nonostante si avvertisse il sapore leggermente salato delle lacrime, erano dolcissime e morbide.
A mano a mano che lui si perdeva in quel bacio che aveva desiderato con tutto se stesso, fin da quel primo giorno in classe, quando ancora non sapeva il suo nome e non conosceva nulla del suo carattere, ma non era riuscito a staccare gli occhi da lei, la stretta violenta di Marco intorno alla spalla di Mikako si andava trasformando in una carezza sempre più appassionata.
Ma quando la sua mano sfiorò la pelle liscia della ragazza, passando leggera sotto la sua clavicola, Mika ritornò in sè.
"Nooo..." Sussurrò, mentre già si divincolava dal suo abbraccio e, approfittandone che lui aveva lasciato la presa sulla sua spalla, scappò via dal laboratorio, correndo a perdifiato giù per le scale.
Rimasto solo a fissare la porta spalancata, sentendo ancora la dolcezza calda e umida delle labbra di lei sulle sue, Marco sferrò un pugno allo stipide di legno. Finalmente lasciò andare le lacrime che aveva faticosamente trattenuto per tutti quei giorni mentre, poggiando la fronte sul pugno ancora chiuso, sussurrava alla grande stanza vuota: "Hai ragione Mikako, io non sono né gay, né tuo amico. Io ti amo."
L'indomani, sabato, Marco si svegliò di buon'ora anche se non c'era scuola. Si mise subito a cucire la giacca del tailleur che, essendo molto elaborata, aveva bisogno di più lavoro e di più tempo per essere ultimata rispetto agli altri pezzi del completo.
Verso le undici si sentì suonare alla porta. Il ragazzo sobbalzò sulla sedia al trillo del campanello. Erano diversi giorni che era molto nervoso e, da quando era tornato da scuola la sera precedente, sembrava che il suo nervosismo avesse raggiunto il culmine. Era stato talmente agitato che non era nemmeno riuscito a cenare. Aveva passato la serata a camminare avanti e indietro per la sua stanza a grandi passi, sospirando rumorosamente a intervalli regolari. Alla fine si era seduto alla macchina da cucire e finalmente sembrava aver trovato un po' di tranquillità. Quando si immergeva sul serio nel suo lavoro tutto il resto scompariva.
Così quella mattina, subito dopo colazione, aveva deciso di saltare per intero la fase in cui ciondolava in giro divorato dall'ansia mettendosi direttamente a confezionare uno dei capi più elaborati che avesse mai disegnato, la giacca per Fabiane appunto. Era così preso dalla sua crezione che, quando il campanello suonò, ebbe la netta impressione di ritrovarsi catapultato in questo mondo da un'altra dimensione. Ad ogni modo, già che la sua concentrazione era saltata, si alzò per andare ad aprire, consapevole che se avesse aspettato che lo facesse Matt lo sconosciuto visitatore avrebbe fatto in tempo ad andarsene e tornare il giorno dopo.
"Chi è?" Chiese.
"Mikako." Rispose una voce che lui conosceva benissimo. A quel nome il suo cuore accelerò i battiti e tutto il nervosismo che aveva cercato di tenere lontano concentrandosi sul cucito gli ripiombò addosso in un attimo, più intenso che mai. Ad ogni modo era deciso ad affrontare quella situazione da uomo, qualunque cosa lei avesse da dirgli a quel punto lui desiderava soltando ascoltarla il più presto possibile, così da mettere le cose in chiaro una volta per tutte. Stava per aprire la porta quando vide la sua immagine riflessa sul vetro dell'antiporta e si fermò all'istante.
"Un attimo, ti apro subito!" Le gridò mentre correva in bagno alla disperata ricerca di un pettine.
Quando finalmente se la trovò davanti, lei gli apparve serena e tranquilla, tutto il contrario di lui. Aveva un'espressione completamente diversa da quella finta e inquieta che aveva avuto negli ultimi giorni. Sembrava aver rinunciato a quella maschera di falsa allegria, che comunque non riusciva a nascondere il suo reale tormento, che aveva indossato a scuola fino alla sera prima, fino a quando lui non gliel'aveva strappata di dosso.
"Ciao." Disse semplicemente lei quando la porta si aprì.
Nell'udire la sua voce Marco si rese conto che lei non si era rimessa quella maschera perché non ne aveva più bisogno. C'era una risolutezza nuova nella sua voce e nel suo sguardo. Certo , ad osservarla attentamente, si vedeva che era agitata, ma aveva ormai preso la sua decisione. Qualunque cosa Mika gli avesse detto sarebbe stata una lucida verità duramente emersa da un tormentato conflitto interiore, e qualunque cosa lui avesse detto o fatto non avrebbe potuto cambiarla. Con questa consapevolezza Marco restituì il saluto, fissandola intensamente negli occhi in cerca di un indizio, di una sfumatura che potesse fargli capire cosa aveva la ragazza nel cuore. Ma non vi trovò niente, solo quella risolutezza granitica e una limpida serenità.
"Vieni a fare una passeggiata?" Propose lei. "Vorre parlarti." Aggiunse sommessamente, con voce dolce.
Camminarono in silenzio, fianco a fianco, fino al parchetto lì vicino. Si inoltrarono per il vialetto coperto di foglie cadute. Le foglie e i rametti scricchiolavano sotto i loro piedi. Dopo un po' Mikako lasciò il sentiero, i suoi passi non facevano più alcun rumore sull'erba lucente e soffice. Si fermò in una radura tra gli alberi spogli, alzò lo sguardo al cielo dove grandi nuvole bianche si rincorrevano. Poi fissò i suoi occhi in quelli di lui e, stringendo forte i pugni nelle tasche del cappotto, cominciò a parlare, solo un leggero tremito nella sua voce pacata:
"Marco, " disse con delicatezza, "io ho un ragazzo in Giappone. Si chiama Tsutomu e ne sono davvero innamorata. L'ho sempre amato, da che mi ricordo, anche se ci ho messo molto tempo per rendermene conto. Mi dispiace. Mi dispiace tantissimo." Il tremito nella sua voce si fece più intenso, mentre i suoi occhi minacciavano di riempirsi di lacrime. Distolse lo sguardo, guardando in terra le foglie secche che mulinavano mosse dal vento. Lui diede un calcio a un sassetto accanto alla sua scarpa, ma non disse niente. Non aveva niente da dire. Sapeva fin dall'inizio che quando era venuta da lui aveva già preso la sua decisione. Ed era una decisione definitiva, qualunque cosa lui avesse detto, qualunque cosa lui avesse fatto, non le avrebbe fatto cambiare idea. E comunque non aveva niente da dire, niente da fare. Si sentiva completamente svuotato. Non era neanche triste, aveva solo freddo. Tantissimo freddo. E aveva l'impressione che nel suo petto il cuore si fosse mutato in una pietra dura e gelida.
"Io... avrei dovuto dirtelo prima, perdonami. E' stato tutto un malinteso, ma non è stata colpa tua!" Riprese Mika, perdendo in parte la sua compostezza, non si era aspettata una simile reazione da parte sua. Aveva immaginato che avrebbe cercato di convincerla a dimenticare Tsutomu, che l'avrebbe accusata di averlo illuso, che sarebbe stato impetuoso come quelle volte in cui aveva perso il controllo nel laboratorio di cucito, invece adesso lui sembrava così distante.
"La verità è che tu mi sei piaciuto fin dal primo momento, mi trovo benissimo con te... perdonami, non avrei mai voluto che tu soffrissi a causa mia... Io... spero che resteremo amici! Non vorrei perderti, ti voglio bene, ma è solo Tsutomu che amo... Se tu non volessi più essermi amico io lo capirei, perciò... perciò..." Le parole della ragazza furono interrotte dai singhiozzi, non riuscendo più a trattenere le lacrime era scoppiata a piangere. Si rendeva conto di aver detto un sacco di cose che non era stata sua intenzione dire, ma la calma e la freddezza di lui l'avevano davvero spiazzata ed in qualche modo avevano acuito il senso di colpa che adesso provava nei suoi confronti per non essere stata chiara fin dall'inizio, per non avergli parlato subito di Tsutomu. Se lo avesse fatto forse tutto quel casino non sarebbe mai successo e tra di loro sarebbe nata fin da subito un'amicizia pura, senza complicazioni. Ma lei aveva sbagliato ogni cosa e così aveva tradito Tsutomu come ragazzo e Marco come amico, li aveva feriti entrambi con il suo comportamento sconsiderato... Perché, perché riusciva a fare sempre la cosa sbagliata?!?! Perché finiva sempre per dare dispiacere a tutti quelli che le stavano intorno, a tutti quelli che le erano più cari?!? Quante volte aveva fatto soffrire sua madre, i suoi amici, lo stesso Tsutomu senza volerlo?!?! Lei non voleva.. eppure... eppure...
In preda allo sconforto, Mikako scappò via in lacrime.
"Ferma!" La trattenne Marco afferrandola per un polso. L'attirò a sé e l'abbracciò forte, senza dire una parola, finché lei non si calmò. Poi allentò un po' la stretta e le accarezzò i capelli con una mano, con tenerezza infinita. "Va meglio?" Le chiese, lasciandola definitivamente andare. Lei annuì in silenzio senza riuscire a parlare.
"Marco è davvero un ragazzo straordinario," pensava, " sono io che mi sono comportata male con lui, sono io che gli ho spezzato il cuore e l'ho fatto soffrire con l'ambiguità delle mie azioni e dei miei sentimenti, oggi io avrei dovuto consolare lui!! Eppure è lui che adesso consola me..."
"Andiamo." Disse il giovane, prendendola per mano e avviandosi di nuovo verso il sentiero. "Ti accompagno a casa." Quando uscirono dal parco, Marco le lasciò la mano e non le disse più niente finché non arrivarono al suo portone. Lì la salutò con un semplice "ciao" e poi se ne andò con le mani in tasca e il capo chino, senza mai voltarsi indietro.
Mikako continuò a fissare per alcuni secondi il punto in cui lui era scomparso alla sua vista, pensando che la sua freddezza e la sua calma erano solo apparenti. Osservandolo andare via, di spalle, si era accorta come tutto il suo portamento fosse completamente diverso dal solito, di come tutto il suo corpo esprimesse solo dolore.
Tornato a casa Marco posò il cappotto e si levò le scarpe, poi si risedette alla macchina da cucire. Continuò a lavorare al tailleur per tutto il giorno, ininterrottamente, alzandosi solo per andare in bagno. Alle quattro e mezza di notte attaccò l'ultimo bottone alla giacca e si addormentò esausto seduto alla scrivania.
"Marco non è venuto neanche oggi, chissà che gli è preso ultimamente..." Pensava Jimmy quella sera a casa sua mentre, alzando gli occhi dal quaderno degli appunti, osservava la pioggia scrosciare con violenza oltre il vetro della sua finestra.
"Non è mai mancato due giorni di fila, non è che stavolta si è ammalato veramente?" Pensò il giorno dopo. Si alzò dal divano per prendere il telefono e compose il numero di Marco, sperando in cuor suo che non rispondesse quel tipo inquietante dall'accento incomprensibile con cui condivideva l'appartamento. In un certo senso il suo desiderio fu esaudito perché non rispose nessuno.
Quando riprovò a chiamare il giorno seguente il telefono squillò nuovamente a vuoto. Dove diavolo era andato a finire quel disgraziato?! Perché non li aveva avvisati se lasciava la città? Non ci pensava che loro avrebbero potuto stare in pensiero? Doveva essere successo qualcosa, forse un suo parente si era sentito male all'improvviso e lui era dovuto partire per l'Italia in tutta fretta... Poteva anche essere così in fondo, però era proprio strano che se ne fosse andato senza dire niente nemmeno a Mikako. Quando le aveva chiesto notizie di Marco, quella mattina a scuola, lei aveva detto di non sapere nulla e sembrava sincera, tuttavia c'era una strana espressione nei suoi occhietti a mandorla... Era visibilmente preoccupata, ed anche se non sapeva sul serio che fine avesse fatto il loro amico italiano, era evidente che sapeva qualcosa, qualcosa che lui ignorava e che probabilmente c'entrava con quella sparizione inspiegabile.
Davvero il parente malato e/o morto era l'unica giustificazione che a Jimmy veniva in mente... Ma questo non spiegava perché neanche Matt rispondesse al telfono. Non che lui morisse dalla voglia di parlare con lo scozzese, però...
Un po' in apprensione per il suo amico Jimmy aveva anche pensato di passare a casa sua di persona, ma il nubifragio che aveva investito Londra in quegli ultimi giorni lo aveva spinto a rimandare.
L'indomani mattina, quando si svegliò si accorse che non solo aveva finalmente smesso di piovere, ma era anche uscito il sole, lo prese come un segno del destino e decise che se neanche quel giorno Marco si fosse fatto vivo a scuola sarebbe andato a cercarlo a casa.
"Marco è assente anche oggi." Constatò Fabiane con voce scocciata non appena si riunirono a ricreazione. Voleva far credere che la sua unica preoccupazione fosse il bellissimo tailleur che lui le aveva promesso, ma era una pessima attrice e si vedeva benissimo che era in pena per lui e sentiva la sua mancanza.
Anche Mikako diventava sempre più visibilmente inquieta e Jimmy provava di giorno in giorno più forte l'impressione che la giovane giapponese si stesse preoccupando per un motivo particolare che loro ignoravano. Il sospetto che l'assenza di Marco fosse dovuta a qualcosa che era successo tra loro due stava a poco a poco diventando una certezza nella mente del ragazzo americano.
"Ho provato a chiamarlo tutti i giorni, ma a casa sua non risponde mai nessuno. Mi sa che posso dire addio al mio vestito nuovo." Si stava lamentando Fabiane. "Forse è davvero tornato in Italia come dici tu, Jim..."
"Dio, speriamo di no!" Esclamò Mika, ma immediatamente il suo viso assumese un'espressione pentita e lei si portò una mano alla bocca, come per rimangiarsi quello che aveva appena detto. Jimmy stava per chiederle direttamente, una volta per tutte, che cosa nascondeva, ma lei riprese a parlare in tono accorato e sommesso.
"Oggi passo a casa sua, sono davvero preoccupata... Non può essere tornato in Italia..." Sembrava che il solo pensiero la facesse sentire malissimo, si torceva le mani e i suoi occhi erano lucidi mentre fissava il pavimento con aria contrita, come se avesse un grave peso sul cuore.
"Ma che ci passi a fare, se non risponde nessuno vuol dire che è partito anche il suo coinquilino, no?" Fece la giovane tedesca con logica ferrea.
"Ma non è vero, Matt è in città! Ieri sera tornando da scuola l'ho visto, ho provato a chiamarlo, ma lui stava correndo per prendere l'autobus e non mi ha sentito. Ho provato a raggiungerlo, ma quando sono arrivata alla fermata l'autobus era già partito..."
"A dire il vero anche io oggi pensavo di passare da lui... L'avrei fatto anche prima, ma con quel tempaccio!" "Perfetto!!" Esclamò Fabiane in tono entusiasta. "Allora è deciso, dopo scuola andiamo tutti insieme a casa sua!!" "Non lo so..."Intervenne Jimmy dubbioso, mentre un'espressione di panico si era dipinta sul volto di Mikako alle parole dell'altra ragazza. "Se sta male non sarà contento che noi ci presentiamo tutti da lui... senza preavviso poi... Lo conosco Marco, gli darebbe fastidio, specialmente se foste voi a vederlo in simili condizioni, lui non esce di casa se non si è controllato allo specchio almeno dieci volte!"
"Jimmy ha perfettamente ragione." Si affrettò a dire Mika. "E' molto meglio se ci passa solo lui."
E così decisero di fare, con grande delusione di Fabiane.
La porta si aprì dopo diversi minuti che lui aveva suonato, ma Jimmy non se ne sorprese affatto. Sull'uscio comparve Matt con indosso la solita maglietta sgualcita e i soliti jeans macchiati. Se possibile sembrava ancora più magro dell'ultima volta. Quel suo volto sempre più incavato, con le occhiaie scure e il colorito malsano metteva quasi paura.
"Ciao, c'è Marco?"
"Sì, ma è di nuovo knock out. Dio, stavolta ha battuto anche me!"
"Ma di che stai parlando?"
"Della sbronza colossale che ci siamo presi domenica notte. Domenica e lunedì. Lunedì abbiamo davvero esagerato... Ieri ero uno straccio, non sono mai stato così male, ho vomitato pure l'anima."
"E Marco, sta bene adesso?"
"Non lo so. A dire il vero sono un po' preoccupato. Ieri siamo stati malissimo tutti e due, pensavo che anche lui ne avesse avuto abbastanza. Ma stamattina quando sono entrato in cucina per farmi un té, l'ho visto che tirava fuori un'altra cassa di birra dalla dispensa. Lì per lì penso che voglia solo metterne un po' in fresco, sai per sostiuire quelle che ci siamo scolati, ma quando gli chiedo se vuole anche lui un po' di te, quello neanche mi risponde, si siede e si apre una lattina. Io ci ho provato a dirgli che stava esagerando, ma non mi ha dato retta."
"Come non ti ha dato retta?!" Fece Jimmy adesso davvero allarmato. "Che cosa ha fatto?"
"Ha alzato le spalle e mi ha detto che io ero l'ultimo che poteva dare simili consigli. Che gli potevo dire a quel punto? Aveva proprio ragione! Gli ho ridetto di darci un taglio, ma alla fine ognuno è libero di fare quello che vuole, no? Però adesso che mi ci fai pensare comincio quasi a preoccuparmi sul serio. Che ore sono?"
"Sono le quattro, perchè?"
"Cavoli di già?!?! Davanti al computer io perdo proprio la cognizione del tempo... E' così tardi... Mmm, ora sì che sono preoccupato! E' un sacco che non lo vedo e non lo sento, da quando ha fatto quel casino per trascinare la cassa di birra in camera sua... Non è che mi è caduto in coma etilico?!"
"In coma-cosa?! Scusa, ma io proprio non ti capisco, puoi parlare più lentamente?"
"Lentamente un corno!" Fece Matt afferrandolo per una manica del giubbotto e tirandolo dentro casa. "Qui dobbiamo fare in fretta invece! Seguimi!" E così dicendo sparì nel corridoio.
Un po' interdetto, ma sempre più in pensiero, Jim lo seguì fin dentro una delle camere.
Lì trovò Matt che cercava invano di svegliare Marco, scuotendolo e gridandogli nelle orecchie. Tuttavia il giovane non reagiva in nessun modo. La voce dello scozzese si andava facendo sempre più stridula, ma Marco continuava a giacere sul letto privo di sensi.
Jimmy gettò a terra le sue cose e si precipitò dall'amico. Assicuratosi che respirava ancora, la preoccupazione lasciò il posto alla rabbia. Ma che gli era saltato in testa?!!? Che cosa credeva di ottenere comportandosi in quel modo irresponsabile? Senza tante cerimonie gli appioppò due schiaffoni, gridando:
"Razza di cretino?!?! Ma che cavolo credevi di fare, eh?!?! Vuoi svegliarti, razza di idiota?!?!" Poi, vedendo che non c'era alcuna reazione da parte sua, lo prese di peso e lo trascinò in bagno, dove gli ficcò la faccia sotto la doccia per poi aprire al massimo il rubinetto dell'acqua fredda.
Dopo due secondi Marco cominciò a tossire e sputacchiare, mentre con la mano cercava invano di riparsi il viso dall'acqua gelata. Cercò di muovere le gambe per togliersi da sotto quel getto impietoso, ma nessun muscolo rispose al suo comando. Solo allora si accorse che, anche se fosse riuscito a muoversi, una mano lo stringeva ben saldo per colletto della camicia, tenendolo inchiodato sotto l'acqua che lo stava inzuppando fino ai piedi. Quel braccio lo tratteneva con una forza impressionante..., con troppa forza! Avrebbe giurato di aver sentito la voce di Matt chiamare il suo nome, ma quello non poteva essere il suo coinquilino!!
Solo allora si Marco si accorse di Jimmy e l'umiliazione che provò per essersi fatto trovare dal compagno di classe in quello stato pietoso lo riportò in sé molto più velocemente dell'acqua gelida.
Mezz'ora dopo, dopo una doccia vera e propria e abiti puliti, Marco passeggiava con Jimmy per il parchetto dietro casa sua. Si sentiva malissimo, con tutte le viscere sotto sopra, gli occhi infiammati, un cerchio alla testa e un lancinante bruciore di stomaco. Ma a fargli più male era la consapevolezza di essersi comportato veramente da idiota, di essere caduto veramente in basso. E il fatto che Jimmy fosse stato testimone della sua abiezione. Allo stesso tempo però era felice che ci fosse lui al suo fianco in quel momento.
Si sedettero su una panchina, l'uno accanto all'altro. Marco poggiò i gomiti sulle ginocchia, fissando il suolo, mentre il suo amico aveva appoggiato le braccia leggermente piegate sullo schienale della panchina e fissava dritto davanti a se due cani che si rincorrevano sul prato, sotto lo sguardo vigile dei loro padroni.
"Che idiota!!" Esclamò Marco all'improvviso. "Mi sono comportato proprio da demente! Non lo so neanch'io come ho potuto ridurmi in quel modo... immagino di aver semplicemente perso il controllo. Non deve essere stato un bello spettacolo, eh? Comunque grazie. Mi dispiace di avervi fatto preoccupare, io... non ci ho proprio pensato. Semplicemente non ero in me. La situazione mi è davvero sfuggita di mano, scusami ancora."
"Adesso smettila di scusarti, perché piuttosto non mi racconti per bene che cosa è successo? Cioè, una mezza idea io me la sono fatta, ma preferirei che tu mi spiegassi tutto come si deve, le mie congetture ultimamente lasciano un po' a desiderare..." Aggiunse pensando al presunto parente morto e/o malato di Marco.
"Hai ragione, mi sembra il minimo spiegarti tutto. Ma non è una bella storia, anzi. E non è per niente originale." E così cominciò a raccontare, non solo della sua attrazione per Mikako fin dal primo momento che l'aveva vista, ma anche tutto ciò che questi sentimenti avevano significato per lui, fino ad arrivare alla sua situazione scolastica e familiare in Italia, costellata di lotte e fallimenti. Ed in fine descrisse nei dettagli quello che era accaduto il sabato precedente proprio in quel parco.
"Tornato a casa non sentivo niente," stava concludendo il giovane italiano, "solo vuoto e freddo. Quando sono entrato in camera mia, ho visto la giacca a cui stavo lavorando ancora incompiuta. Non so perché ma in quel momento finirla mi è sembrata la cosa più importante del mondo. Devo aver lavorato come un automa, ho uno stranissimo ricordo della giornata di sabato, come se l'avessi passata in trance. Mi ricordo solo che era notte fonda quando stavo cucendo gli ultimi bottoni, ma non ci riuscivo perché avevo la vista annebbiata e le mani che mi tremavano per la stanchezza, e forse anche perché non avevo mangiato niente per tutto il giorno. Continuavo a pungermi con l'ago, ma non mi facevo veramente male. Mi sentivo come se una forza sconosciuta, ma incredibilmente pressante, mi impedisse di smettere prima della fine, anche solo per andare a prendere un ditale. La mattina dopo mi sono svegliato seduto alla scrivania, con la faccia sulla giacca perfettamente ultimata. Lì per lì non riuscivo neanche a muovermi, mi faceva male tutto, le gambe, le braccia, il collo e soprattutto la schiena. E poi provavo un sensazione dolorosa in fondo al cuore, ma non mi ricordavo perché. Tutto quello che vedevo era la giacca mezza sgualcita perché ci avevo dormito sopra. E di nuovo mi sono sentito spinto da quella forza irresistibile a sistemarla come si deve, così ho tirato fuori il ferro. A mano a mano che stiravo però, mi è tornato in mente tutto. Tutto quello che era successo con Mikako intendo. Ed ho cominciato a provare un dolore straziante, che mi lacerava dall'interno, come non avevo mai provato prima."
"Ed è allora che hai pensato bene di affogare le tue pene nella birra, eh?"
"No, veramente no. E poi ho cominciato con il whiski, la birra è venuta dopo."
"Ma bravo! Ci credo che eri ridotto un cadavere!!! Lo sanno tutti che si deve sempre salire con la gradazione! Eppure quel tuo coinquilino mi pare abbastanza esperto... Comunque che hai fatto a quel punto, allora?"
"Be' mi sono messo a cucire i pantaloni, tanto li avevo già imbastiti. E dopo i pantaloni sono passato alla camicia." "E ovviamente non hai fatto una pausa pranzo, vero?"
"No. Mi sentivo come se stessi per andare in pezzi, per frantumarmi come un vasetto di vetro, ed avevo l'impressione che lavorare fosse l'unica cosa che mi impediva di esplodere. Però a un certo punto proprio non ci vedevo più dalla fame e così mi sono mangiato un pacchetto di patatine che mi era avanzato da scuola."
"Oh certo, davvero un pranzo nutriente. Immagino che tu sia passato al whiski quando hai finito anche la camicia, a stomaco vuoto , ovviamente. Ah scusa, dimenticavo le patatine!"
"Be' non proprio. La camicia è ancora senza bottoni. Solo che ad un certo punto non riuscivo più vedere quello che facevo. Vedevo solo Mika davanti a me. E sentivo la sua voce nelle orecchie, ripetermi in continuazione che mi voleva bene, ma amava quel deficente con quel nome orrendo! Bah, manco me lo ricordo...! Allora sono passato al whiski. Quando il dolore si è fatto insopportabile. Non mi ero mai innamorato prima d'ora, non avevo mai provato sentimenti tanto intensi. E mai avevo sofferto così. La situazione mi è completamente sfuggita di mano!"
"E certo in questi casi avere accanto uno come quello scozzese non è proprio d'aiuto, eh?"
"Beh... in un certo senso no, ma povero Matt, non è certo colpa sua! Anzi penso proprio che quando torno a casa mi dovrò scusare anche con lui. Primo per aver dato fondo a tutte le sue scorte, secondo perché credo di averlo anche trattato male. Guarda che, anche se a vederlo non si direbbe proprio, è un bravo ragazzo. Lui ha cercato di consolarmi a modo suo, e quando si è accorto che stavo esagerando ha cercato di fermarmi, o almeno di mettermi in guardia. Ma io non me lo sono proprio filato!! Almeno credo, visto lo stato in cui mi hai ritrovato. Sinceramente i miei ricordi di questi ultimi giorni sono estremamente confusi..."
"E ci credo!" Fece Jimmy alzandosi dalla panchina. "Adesso forza, muoviti che ti porto a cena fuori. Hai bisogno di nutriti un po' come si deve!"
Quella sera, alle nove e mezza, Marco rientrò in casa sentendosi di nuovo vagamente in sesto per la prima volta in cinque giorni. Appena entrato in camera il suo sguardo si posò sul tailleur finito e perfettamente stirato. Lo osservò un momento con aria critica, ma alla fine si disse che aveva fatto proprio un buon lavoro, anche se lo aveva confezionato in uno stato quasi allucinato. In quel momento, quella misteriosa forza pressante che lo aveva spinto a cucire incessantemente, si fece di nuovo avanti all'improvviso. Incapace come al solito di resisterle, il ragazzo riuscì di casa dopo pochi secondi. Ma adesso sapeva che stava facendo la cosa giusta. Si sentiva perfettamente padrone di se stesso, non più invasato come nei giorni precedenti. Anche se dentro di sé sanguinava ancora.
Il volto di Mikako si illuminò dalla gioia quando vide Marco sorriderle davanti alla sua porta. Era stata davvero in pensiero per lui in quegli ultimi giorni e poter finalmente constatare che stava bene la fece sentire immediatamente più leggera. Forse era un po' meno scintillante del solito, ma tutto sommato sembrava in forma.
"Ciao." Lo salutò, mentre a poco a poco un leggero imbarazzo prendeva il posto del sollievo che aveva provato vedendolo.
"Ciao!" La salutò lui, poi le porse una busta voluminosa che stringeva in mano. "Sono venuto per darti questo." Sopresa la ragazza prese il pacco, ma quando lo aprì i suoi occhi si spalancarono per lo stupore e subito si affrettò a richiuderlo e a restituirlo all'amico, mentre esclamava con la sua vocetta acuta:
"Oddio! Ma è il tuo vestito!!"
Marco però non riprese la busta che la giovane gli porgeva, allora lei aggiunse:
"Non posso accettarlo!! E' il tuo vestito! Io lo so cosa significa per te, è la cosa più preziosa che hai!! Me lo hai detto tu stesso, non puoi rinunciarci! Non posso, non posso proprio accettarlo!"
"E perché no?" Chiese lui con voce calma, ma decisa. "Mi hai già chiesto di rinunciare alla cosa più preziosa che ho." Rispose lui. Poi, notando l'espressione confusa sul viso di lei, aggiunse: "Mi hai già chiesto di rinunciare a te."
A quelle parole la giapponesina abbassò lo sguardo al suolo per l'imbarazzo.
"Anche se non posso assicurarti che mi rassegnerò così facilmente," continuò lui, "so per certo che non voglio perderti. Anche se non posso averti come vorrei, non voglio rinunciare alla tua compagnia. Accetta il vestito. Io voglio che lo tenga tu. In fondo è stato fatto apposta per te, lo hai visto anche tu come ti calza d'incanto!"
Lei alzò nuovamente gli occhi a guardarlo, ma continuava a tendere la busta verso di lui.
"L'ho fatto per te, Mika. Voglio che sia tu a tenerlo, che tu possa indossarlo. Mi faresti felice se lo accettassi." E le sorrise così dolcemente che lei non potè più rifiutare.
Strinse forte la busta al petto e disse: "Sarò onorata di indossarlo, Marco."
Allora lui fece un passo verso di lei e l'abbracciò teneramente. La ragazza dapprima rimase rigida, ma poi appoggiò la testa sul suo petto, felice di aver ritrovato uno dei migliori amici che avesse mai avuto.

EPILOGO: Milano, sette anni dopo

"Insomma Mika, muoviti! Se non ti alzi subito non faremo mai in tempo!"
"Sì, sì, lo so. Ma questo fuso orario mi ha davvero stroncata!"
"E' colpa tua, io te lo avevo detto di non passare tutto il giorno ad entrare e uscire come una forsennata da un negozio all'altro! Se tu ti fossi riposata come ti avevo consigliato... Ahio!"
"E dai! Era solo un cuscino!" Fece Mikako mettendosi finalmente a sedere sul letto.
"Beh, in fondo è amico tuo, a me che mi importa anche se facciamo tardi..."
"Uffa, Tsutomu, ma perché diventi sempre così acido quando si tratta di Marco?" Sbuffò la ragazza cominciando a vestirsi.
"E me lo chiedi pure?" Rispose Tsutomu contrariato. "Non mi piace il modo in cui ti guarda, non mi piace il suo perenne sbrilluccichio, non mi piace che più passano gli anni e più quello diventa figo, e poi basta guardare quel dannato vestito!!"
"Ma se la prima volta che me lo hai visto indosso un altro po' ti uscivano gli occhi dalle orbite!"
"Perché non sapevo che lo aveva fatto lui!!!"
"Beh, non puoi negare che mi stia davvero bene..." Fece lei compiaciuta rigirandosi davanti allo specchio, orgogliosa che quel meraviglioso vestito da sera le calzasse ancora alla perfezione dopo tanti anni.
"Io vado a chiamre il taxi." Disse suo marito uscendo dalla loro suite d'albergo.
In qualche modo riuscirono ad arrivare alla sfilata addirittura in anticipo. Davanti all'entrata riservata allo staff un omone dall'aria minacciosa faceva la guardia.
"Buona sera." Salutò Tsutomu con il suo inglese traballante.
"Mi spiace signori ma di qui non si passa." Rispose l'uomo incorciando le grosse braccia sul petto altrettanto imponente con fare significativo.
"Senta," disse Mikako facendosi avanti, con il suo perfetto accento britannico, "sono Mikako Koda, un'amica di Marco, sono anch'io una stilista. A dire il vero dovrei essere l'ospite d'onore della sfilata! Marco, il signor Nardi insomma, mi ha detto che se avessi dato il mio nome all'ingresso non avrei avuto problemi ad entrare... Ehi, ma mi sta ascoltando?!?" In effetti il nerboruto guardiano si era girato verso l'interno della porta aperta alla sue spalle, da cui si poteva chiaramente sentire la voce amplificata dello speaker che stava facendo le prove. La voce parlava in italiano, ma Mika riuscì lo stesso a capire alcune parole, più che sufficienti a spiegare perché il tizio della security avesse cominciato a trovare tanto interessante quello che stava succedendo all'interno dell'edifico. Queste parole erano: "top model" e poi "Fabiane Herder".
Poco dopo le arrivò alle narici quell'inconfondibile profumo, che ancora ricordava così bene dai tempi del suo soggiorno a Londra.
"A mali estremi, estremi rimedi!" Si disse e subito dopo gridò:
"Fabianeeee!!!! Fabianeeeee!!!! Sono io, Mika!!!!"
L'uomo della security la fissò allibita, e si fece ancor più minaccioso in viso mentre le diceva contro frasi in italiano per lei incomprensibili.
"Mikako!!!" Esclamò Fabiane comparendo sulla porta con le braccia spalancate, tese verso la sua vecchia amica. Tsutomu, che non l'aveva mai vista dal vivo, ma solo nei cartelloni pubblicitari o in televisione, rimase allibito, era ancora più bella che in fotografia!! Ora capiva perché in breve tempo fosse diventata la modella più ricercata e più pagata al mondo.
Nel camerino di Fabiane le due amiche chiacchieravano tra loro.
"Dio, Fab, ma come è possibile che tu sia ancora più bella dell'ultima volta che ci siamo viste?!?! E mi sembri anche più alta!! Ma non invecchi almeno un po'?!?!"
"Non sia mai!!" Esclamò la ragazza ridacchiando.
"Davvero, sei uno schianto! Non ti sarai mica fatta dare una ritoccatina?!? "Aggiunse Mikako in tono da cospiratore.
"Ma non dire scemenze!" La riprese la modella tedesca. "E' solo la prospettiva di indossare tutti quegli abiti bellissimi che mi fa brillare. Lo sai che ho sempre adorato le creazioni di Marco..."
"Già Marco... Non sono ancora riuscita a vederlo! Immagino che sarò molto preso, in fondo è la sua sfilata... Dì un po' ma come diavolo ha fatto a permettersi la tua parcella?!?! E' appena la sua sfilata di debutto nell'alta moda!"
Fabiane ridacchiò ancora di più e, con voce maliziosa, aggiunse: "Lo sai che farei qualsiasi cosa per lui... Senza contare che i suoi abiti sono diventati una specie di droga per me, quasi quasi pagherei io per indossarli!"
Le due amiche scoppiarono a ridere, ma poi Mika aggiunse:
"Tu forse, ma come hai fatto con quel pescecane del tuo agente?!?"
"Oh beh, ormai è rassegnato. Lo sa anche lui che quando si tratta di Marco non ci sono storie, si fa modo mio e basta. In fondo gli faccio guadagnare così tanti soldi, qualche piccolo capriccio posso anche permettermelo ogni tanto, no?"
Il volto di Fabiane continuava ad essere allegro e scherzoso, ma Mika la conosceva bene ormai.
"E così sei ancora innamorata di lui fino a questo punto?" Le chiese in tono serio.
L'amica si fece improvvisamente triste e quella luce mesta che era stata fin da prima in fondo ai suoi occhi la permeò completamente. Non disse niente, si limitò ad annuire.
Parlò solo dopo qualche secondo:
"Io ci ho provato a dimenticarlo! Ci ho provato in tutti i modi, lo sai anche tu. Finché eravamo a Londra continuavo a sperare che prima o poi lui si accorgesse di me, che cominciasse a guardarmi in modo speciale... Ma sappiamo entrambe che non aveva occhi che per te." Sospirò, poi riprese, la voce sempre venata dalla stessa, profonda tristezza. Una tristezza che si era portata nel cuore per tutti quegli anni e che il successo nel lavoro non era riuscito a cancellare.
"Tornata in Germania, mi resi ben presto conto che non sarei mai riuscita a lavorare a livello internazionale come stilista. Non che io avessi mai avuto simili mire prima. Il mio progetto, quando mi sono segnata alla scuola di fashion design, era lontano mille miglia dalla haute couture. Nel mio futuro vedevo una piccolo boutique nella mia città, da mandare avanti con le mie forze. Già mi vedevo, all'inizio con poche ma affezionatissime clienti, e successivamente, grazie al passaparola, con un giro di affari che si allargava di anno in anno. Allora io avrei preso un'assistente ed avrei avuto di che vivere dignitosamente fiera dellla mia attività e della mia indipendenza. Ma l'amore a volte ci porta in direzioni che non avremmo mai immaginato. Il mio quadretto era perfetto, ma non c'era Marco. Sono sempre stata sicura che un giorno lui ce l'avrebbe fatta, che avrebbe sfondato in questo mondo. Solo per questo ho accettato il tuo consiglio di provare a diventare una modella. Perché sapevo che, se ci fossi riuscita, avrei avuto occasione di rincontrarlo. Certo non mi è andata male!! Voglio dire, non mi posso proprio lamentare! Guadagno molti più soldi di quanti io riesca a spenderne, posso permettermi tutto quello che voglio e nessun lusso mi è precluso. Di questo sarò sempre grata a te e a lui, se non fosse stato per voi non avrei mai intrapreso questa strada."
Parlando della sua carriera Fabiane era tornata a sorridere ed anche la sua voce era di nuovo allegra, ma ben presto si adombrò di nuovo.
"Ma vuoi sapere una cosa? Dei soldi, del lusso... non me ne frega niente. Ho provato ad uscire con altri ragazzi, ma non era la stessa cosa. Per carità, alcuni erano molto simpatici, mi ci ero affezionata e ci stavo bene insieme, ma non li amavo. Ogni volta che andavo in Italia per un servizio speravo sempre di incontrare lui. Anche quando anni fa il mio ragazzo di allora mi regalò un viaggio in Italia per il mio compleanno, io sono stata per tutto il tempo a cercare Marco in ogni strada e in ogni piazza.
All'inizio lo chiamavo ogni volta che arrivavo nel suo paese, sperando che avrebbe trovato un po' di tempo per incontrarmi. E sempre lui faceva in modo di trovarlo il tempo per me. Lo sai come è, è proprio il suo modo di fare. Con me era sempre gentile e si comportava da amico. Io ero felcissima di rivederlo, ma quando ci salutavamo mi sentivo peggio di prima. Stavo malissimo e puntualmente lasciavo il mio partner appena rientrata in Germania. Così alla fine ho smesso. Ho smesso di chiamarlo e ho smesso di mettermi con ragazzi che non amavo veramente tanto per stare con qualcuno. Ormai avevo capito che lui non avrebbe cambiato idea su di me, né io non lo avrei dimenticato in quel modo e che nessuno avrebbe colmato il vuoto nel mio cuore. Solo lui è in grado di colmare perfettamente quello spazio.
Così sono passati due anni. Due anni senza vederlo nè sentirlo, rispondendo appena alle sue lettere. Mi sono gettata a capofitto nel lavoro e sono arrivata dove sono oggi. Ma quando ho saputo che lui lavorava per Versace, ho fatto in modo di essere scelta proprio da quella casa, ormai ero lanciatissima come modealla, non mi è stato difficile. Rincontrandolo per lavoro, lavorando insieme a lui, mi sembrava di essere tornata ai tempi di Londra. E' stato il periodo più felice della mia vita, anche se lui era tutto preso dal lavoro perché stava già progettando di mettersi in proprio. Quando l'ho saputo ho fatto tutto quello che ho potuto per aiutarlo."
"Lo so." La interruppe Mikako. "Marco mi ha detto tutto nelle sue lettere."
"Sai, ci siamo avvicinati un sacco lavorando fianco fianco in questa impresa. A momenti avevo quasi l'impressione che lui mi guardasse con occhi diversi... Ma ovviamente il suo debutto veniva prima di tutto. E più questa fatidica data si avvicinava, più la sfilata ci assorbiva completamente. Io credo che sia per questo che tutti ultimamente mi dicono che sono diventata ancora più bella, che sono più radiosa. E' perché mi sento bene accanto a Marco. E' lui che mi fa risplendere. E stavolta ci spero, ci spero davvero che quando questa sfilata sarà finita..." Ma non riuscì a terminare la frase, scoppiò a piangere nascondendosi il volto tra le mani.
Mika l'abbracciò per consolarla, mentre lei ripeteva tra i singhiozzi:
"Non posso piangere! Non posso piangere!! Devo sfilare, non posso piangere!"
Mikako non aveva mai visto Fabiane piangere. Se la ricordava come una ragazza decisa, con un carattere forte e determinato, un tipo pratico che non si faceva troppi castelli in aria, pur essendo anche un po' capricciosa, come tutte le persone abituata ad ottenere sempre tutto quello che volevano. Davvero l'amore per Marco l'aveva cambiata ed in tutti quegli anni era cresciuta. Era naturale che fosse diversa dalla ragazzina dei tempi di Londra.
"Marco!! Da quanto tempo che non ci si vede!!"
"Jimmy! E così ce l'hai fatta a venire! Sono così felice di rivederti!" Esclamò Marco abbracciando l'amico.
"Come potevo perdermi la tua sfilata di debutto nell'alta moda!"
"Dai, andiamo un attimo di là che è più tranquillo..." Fece Marco indicando la porta.
"No, non preoccuparti, se sei impegnato..."
"Ehi, due minuti di pausa potrò pur prendermeli no!"
"Mi dispiace un sacco che Tasha non sia potuta venire, non vedo l'ora di conoscerla!" Fece Marco aprendo la porta e facendo passare avanti il suo amico che, attraversando la soglia, rispose:
"Sì anche lei era molto curiosa di conoscerti, sapessi quanto le ho parlato di te! E poi lo sai che adora tutti i tuoi vestiti, quasi quasi le piacciono più dei miei... Ma che ci vuoi fare è entrata nel nono mese di gravidanza, non se la sentiva di affrontare un viaggio tanto lungo."
"Ma certo, è perfettamente comprensibile! Vorrà dire che la vedrò quando verrò a trovare Jim junior!" Fece Marco ridacchiando, ma subito si interruppe per chiamare a gran voce una persona che conosceva e che aveva scorto in fondo al corridoio.
"Ehi, Tsutomu!" Chiamò Marco con entusiasmo.
"Ah, ciao Marco." Fece il giapponese, con un po' meno entusiasmo.
"Conosci Jimmy, vero?"
"Sì, certo che ci conosciamo." Fece l'americano tendendo la mano al giovane fotografo.
"E Mika?" Chiese subito l'italiano con grande interesse. Al che Tsutomu si voltò e gli lanciò un'occhiata non proprio amichevole, ma subito rispose:
"E' con Fabiane."
"Oddio, staranno chiuse in camerino a spettegolare!!" Fece Marco in tono esasperato. "Bene, allora andiamo a fare due chiacchiere anche noi uomini! Vi offro da bere, che ne dite?" Propose mettendosi in mezzo tra i suoi due ospiti e guidandoli verso il bar mettendo un braccio sulla spalla a ognuno di loro. Tsutomu si voltò a guardare l'amico della moglie con una certa perplessità, ma osservando la sua espressione e quella luce in fondo ai suoi occhi, non potè fare a meno di sorridere e finì per mettere da parte ogni sentimento ostile nei suoi confronti.
Il lungo applauso scrosciante si protrasse per un tempo che parve infinito. Marco non aveva mai provato una simile felicità in tutta la sua vita. Quel momento sarebbe rimasto per sempre scolpito nella sua memoria come un attimo di assoluta perfezione, uno di quei momenti puri e levigati che sembrano staccarsi dal tempo, emergere come in rilievo dalla superficie della realtà, liberi dalle piccole e grandi imperfezioni del vissuto quotidiano. Uno di quei momenti come una grande perla rara, bianchissima, luminescente e perfettamente tonda.
A poco a poco dal frastuono di quella vera e propria ovazione, cominciarono ad emergere alcune grida isolate che inneggiavano il suo nome. Sempre più voci si unirono ed in breve si ebbe quasi un coro che continuava a crescere in intensità, come se volesse far cadere il sipario con la forza di tutte quelle voci.
"Insomma si può sapere che aspetti?!" Fece Jimy dando una spintarella a Marco verso le tende che dividevano il backstage, dove loro si trovavano, dalla passerella.
Il ragazzo si voltò a guardare l'amico con aria interrogativa, allora anche Mikako intervenne:
"Dai, non senti come ti chiamano? Devi uscire di nuovo, è il tuo momento!"
"Hanno ragione loro." Aggiunse Tsutomu che aveva cercato di rimanere il più possibile accanto alla moglie. "Che ci stai a fare qui nascosto? Vai lì fuori a goderti il tuo trionfo!"
"Trionfo..." Ripeté Marco con aria sognante, mentre il suo solito sbrilluccichio da marziano scintillante si trasformava in un vero e proprio sfavillio sfolgorante che rischiava addirittura di abbagliare. Poi, lentamente, Marco sorrise, un sorriso carico di appagamento, contentezza e profonda soddisfazione. Posò i fiori che aveva ricevuto quando era uscito sulla passerella al braccio di Fabiane dopo che lei aveva sfilato indossando l'ultimo abito, il pezzo forte della sfilata, e che ancora stringeva tra le braccia, e prese le sue due amiche sottobraccio, mentre faceva cenno a Jimmy di seguirli.
I quattro uscirono sul palco accolti da acclamazioni e grida esultanti.
Marco sorrideva come non aveva mai sorriso in vita sua, sorrideva con la bocca, con gli occhi, con tutto il viso e tutto il corpo, sorrideva con ogni sua cellula.
Jimmy era rimasto un po' indietro, impacciato, ma sorrideva anche lui e ogni tanto applaudiva, unendosi al battimani di tutta la sala che faceva tremare il pavimento con il suo fragore.
Mikako era emozionatissima e felicissima per il suo amico, lacrime di gioia le solcavano le guace, mentre si stringeva al braccio del giovane stilista italiano.
Fabiane, nonostante fosse ormai una veterana delle passerelle e dell'alta moda, si sentiva il cuore in gola e le gambe tremanti. Aveva le lacrime agli occhi e sorrideva felice come non mai. Si sentiva bellissima con indosso quell'abito magnifico. Si sentiva come se quello fosse stato anche il suo trionfo, perché amava Marco con tutta se stessa e, guardandolo in quel momento, nel momento in cui tutti i suoi sogni erano diventati realtà, ebbe l'impressione che lui non fosse mai stato tanto bello.
Arrivato alla fine della passerella, Marco lasciò andare le sue ex compagne di corso e si inchinò al suo pubblico, gridando ringraziamenti che andavano persi nel frastuono generale. Poi si voltò verso Mikako e l'abbracciò forte sollevandola da terra. Senza di lei tutto quello non sarebbe mai stato possibile, senza di lei il suo sogno non avrebbe neanche potuto cominciare, perché era stata lei a fargli scoprire come tirare fuori quel talento che si dibatteva imprigionato dentro di lui.
Dopo quasi un minuto, il giovane lasciò andare la stilista giapponese, facendole riposare i piedi a terra, mentre lei ormai piangeva senza più riuscire a controllare l'emozione.
Allora Marco si voltò verso Fabiane e la strinse tra le braccia. La strinse forte affondando il viso nei suoi morbidissimi capelli biondi, ormai il suo profumo non gli dava più fastidio. Perché anche senza di lei tutto quello non sarebbe mai stato possibile, senza di lei non sarebbe mai riuscito a seguire il suo sogno fino in fondo, a portare a termine quell'impresa titanica. Senza il suo dolce e tacito supporto, senza il suo appoggio continuo e incodizionato tutto quello non sarebbe mai stato possibile. Senza la sua semplice, preziosissima presenza ad incoraggiarlo, aiutarlo, spronarlo, ispirarlo.
Lei gli era rimasta accanto per tutti quegli anni, dandogli tantissimo, restandogli vicino sempre. Anche in quel periodo in cui, per lunghi mesi, non si erano neanche sentiti, fin quasi a perdere le tracce l'uno dell'altra, lui aveva sempre saputo, sempre sentito, che lei era comunque al suo fianco. Ma in particolare in quell'ultimo periodo, quel periodo che era stato paradisiaco e infernale insieme, in cui aveva messo in gioco tutto se stesso e il suo futuro per tentare il grande salto, lei era stata al costantemente suo fianco, impagabile, insostituile, unica. Era un po' di tempo ormai che Marco si era reso conto di quanto Fabiane fosse diventata importante per lui, inestimabile. Ma preso com'era dalla preparazione della sfilata aveva sempre messo da parte quei nuovi sentimenti, cercando di prestar loro la minore attenzione possibile. Anche se alle volte gli riusciva quasi impossibile ignorarli, si era sforzato di accantonarli, almeno fino al momento opportuno. E certamente il momento opportuno non era ancora arrivato. Ma quante volte si può chiudere la porta in faccia all'amore che bussa al nostro cuore, prima che questo, se abbastanza forte e tenace, si decida a sfondarla?
Dopo un lunghissimo abbraccio, Marco lasciò andare anche la bellissima modella tedesca. La lasciò andare lentamente e, quando i loro volti si trovarono quasi alla stessa altezza, i loro sguardi si incrociarono. Marco si perse in quel blu limpido e profondo come le acque cristalline di un lago di montagna, e la porta fu sfondata irrimediabilmente. Improvvisamente la strinse di nuovo a sé e le loro labbra si unirono in un lungo bacio appassionato.

Fine

Grazie a tutti quelli che sono giunti fino a qui per aver letto la mia fan fic!!!
Un grazie speciale a Fabri, il mio tesoruccio!! Grazie anche a Vero-chan per i preziosi consigli in corso d'opera, per l'incoraggiamento e i complimenti. Grazie alle mie amiche Arianna, Elisa, Simona, Silvia per l'aiuto che mi hanno dato e grazie a misato e a tutte le altre net-friends dei vari yahoo-groups per aver risposto ai miei quesiti!! Grazie, grazie grazie mille a tutti!!! (E perdonatemi se non ricordo tutti i vostri nomi, ora come ora, ma io sono una vera frana coi nomi!!)
Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate della ff, o anche solo fare <> (in fondo sono pur sempre grafomane, no?) per cui sentitevi liberi di scrivermi a questo indirizzo:

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Ciao a tutti
Lelechan

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