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MODENA

 

TEATRO

COMUNALE di MODENA

 

 

 

 

COMUNE
Modena
PROVINCIA
Modena
DENOMINAZIONE
Teatro Comunale di Modena

 


STORIA

 

LA CITTA'

Modena, la romana Mutina, venne fondata nel 183 a.C. lungo il percorso della via Emilia.
La scelta del luogo tenne certamente conto della posizione strategica, essendo Modena posta alla confluenza dei valichi appenninici e situata tra due fiumi, il Secchia e il Panaro, per cui era facilmente difendibile.
In epoca romana fu, insieme a Bologna, città fiorente: la sua ricchezza derivava da commerci facilitati dalla rete viaria.
Con la decadenza dell'impero romano anche Modena fu invasa dai barbari e, nel 452 d.C., durante un'invasione degli Unni guidati da Attila, il Vescovo Geminiano, eletto poi Santo e patrono della città, ne ritardò la conquista facendo scendere una fitta coltre di nebbia che nascose la città agli invasori.
Durante il dominio dei Longobardi, nel 728, la città fu colpita da un'alluvione violenta e si andò spopolando.
Gli abitanti si rifugiarono su un'isola fra la Via Emilia e il fiume Secchia, l'attuale Cittanova.
Il ritorno alla città avvenne solo verso la fine del IX sec. e la ricostruzione fu incominciata su iniziativa del Vescovo Leodoino che fece erigere le mura della città.
Sotto la signoria dei Canossa, la città ebbe anni di ricchezza e fervore artistico, religioso e nel 1099 fu iniziata la costruzione de duomo.
Alla morte della contessa Matilde di Canossa, nel 1115, l'imperatore Enrico V, suo acerrimo nemico, instaurò il Libero Comune, governato da un console. Dopo circa due secoli di governo libero e autonomo (nel 1183 fu fondato il primo nucleo dell'università), segnate però dalle lotte per il potere tra le grandi famiglie, Modena si sottomette volontariamente alla signoria di Obizzio d'Este (1289).
Simbolo concreto del nuovo potere è il castello estense costruito lungo la cinta muraria settentrionale e sul quale sorgerà nel Seicento il Palazzo Ducale voluto da Francesco I d'Este.
Nel 1589, in seguito alla devoluzione di Ferrara allo Stato della Chiesa, Modena diviene sede del potere della corte estense con il rango di capitale del Ducato.
All'evento segue una serie di trasformazioni che coinvolgono l'urbanistica, l'edilizia di palazzi e di chiese, l'economia e la cultura. Modena rimase capitale per quasi due secoli fino a quando, nel 1796, i Francesi invasero la città, costringendo alla fuga Ercole III, ultimo rappresentante degli Este.
Il dominio francese durò per quasi dieci anni, fino alla morte di Napoleone I, avvenuta nel 1805.
Dopo il congresso di Vienna, Modena venne riaffidata agli Este, che si erano imparentati con l'imperatore.
I duchi Francesco IV e Francesco V dovettero però fronteggiare più tentativi insurrezionali, tra cui quello di Ciro Menotti (1831) e la sommossa delle "giunchiglie" (1848) fino all'abbandono definitivo di Modena in seguito agli avvenimenti della seconda guerra d'Indipendenza (1859).
L'anno successivo in seguito ad un plebiscito popolare, anche Modena entrò a far parte del Regno d'Italia.
Le mura della città furono abbattute nei decenni tra il 1882 e il 1920 e la città andò espandendosi oltre.


IL TEATRO

Nel 1838 il marchese Ippolito Livizzani nella sua veste di podestà di Modena convocò i conservatori dell'Illustrissima Comunità per decidere la costruzione di un nuovo teatro che avrebbe sostituito l'antica sala di via Emilia (1643-1859) ricca di glorie artistiche, ma decrepita nelle sue strutture.
La progettazione affidata a Francesco Vandelli, architetto di corte al servizio di Francesco IV d'Austria-Este, sotto il cui ducato si trovava a quel tempo la città.
Il nuovo teatro, il Teatro Comunale di oggi, si inaugurò tre anni più tardi: la sera del 2 ottobre 1841.
Un teatro, come allora si scrisse, eretto per il decoro della città per la trasmissione delle arti sceniche.
Costruito sopra un'area di 2300mq, il Teatro dell'Illustrissima Comunità, come allora si chiamava, ebbe un costo complessivo che ammontò a 722.000 lire.
Un onere che risultò poi meno gravoso grazie alla cessione dei palchi a privati acquirenti, alla vendita dei materiali ricavati dalla demolizione delle case preesistenti e, infine, beneficiando di un sostanzioso "regalo del principe" che allora reggeva le sorti del piccolo ducato.
Il teatro nuovo e l'opera nuova, per tornare alla cerimonia inaugurale, riservarono numerosi applausi al progettista Francesco Vandelli e al pittore Adeodato Malatesta, autore del pregevole sipario che tuttora decora il boccascena.
Per l'inaugurazione del nuovo Teatro dell'Illustrissima Comunità si mise in scena Adelaide di Borgogna al castello di Canossa, un nuovo melodramma in tre atti composto per l'occasione da Alessandro Gandini, a quel tempo direttore della musica di corte, su libretto di Carlo Malmusi, poeta ducale.
Secondo il costume dell'epoca, il ballo di Rebecca, del coreografo Emanuele Viotti, completò la serata.
La vita e la storia del Teatro Comunale cominciò e proseguì con alterne fortune fino al primo decennio del nuovo secolo.
Più precisamente fino al 1915, quando, a causa della Grande Guerra, il Comunale fu costretto a sospendere la propria attività per poi riprenderla, per sopraggiunte difficoltà, soltanto nel 1923.
Dopo un inizio che fece sperare in un recupero del migliore passato, il Teatro conobbe nuove vicissitudini fino al termine del secondo conflitto mondiale.
La rinascita del Teatro Comunale si ebbe negli anni Sessanta, con l'assunzione della gestione diretta dell'istituzione da parte del Comune di Modena il quale, oltre che a riconfermare e a potenziare la tradizionale attività operistica, introdusse e valorizzò sempre più le Stagioni teatrali dedicate ai concerti, ai balletti e alla prosa.
Nel 1986, con la riapertura del restaurato Teatro Storchi, acquisito dall'Amministrazione Comunale, il teatro di prosa (oggi sede di Emilia Romagna Teatro) può disporre di una più idonea sede espressamente destinata a tale scopo, mentre il Comunale riserva a sè le discipline musicali comprendenti le attività concertistiche, operistiche e di balletto. Attività queste, che occupano l'intero periodo delle annate teatrali, tradizionalmente collocate tra l'autunno e la primavera.
Nel 2002 è nata la Fondazione Teatro Comunale di Modena col compito di gestire il teatro.
La Fondazione vede come fondatori originari, il Comune di Modena e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, ed è aperta a nuovi soci fondatori e sostenitori.

 

ARCHITETTURA E INTERNI

 

L'edificio la cui facciata principale si innalza su un portico a nove arcate è opera dell'architetto Francesco Vandelli.
Sul fastigio è collocata una statua che rappresenta "il genio di Modena" dello scultore modenese Luigi Righi.
Dello stesso autore sono i bassorilievi che adornano all'esterno le finestre del piano superiore e sui quali sono raffigurate alcune tragedie di scrittori modenesi.
Ai lati dell'edificio vi sono altri bassorilievi di Luigi Righi e ornati e pitture di Camillo Crespolani e Luigi Manzini.
Sempre opera del Righi si trovano, ai lati della porta che conduce alla platea, due busti che rappresentano il musicista Orazio Vecchi e il commediografo Luigi Riccoboni, entrambi modenesi.
La sala, di forma ellittica è in stile neoclassico e contiene 116 palchi distribuiti su quattro file; al centro è situato il palco ex-ducale. Nella quinta fila è situato il loggione. La platea è in grado di ospitare circa 350 persone.
Dietro il velario tradizionale si può ammirare il sipario del pittore modenese Adeodato Malatesta, sul quale è raffigurato Ercole I d'Este in visita al teatro da lui fatto erigere a Ferrara nel 1486. Gli intagli in legno dorato che ornano la porta d'ingresso e il palco centrale sono di Giovanni Vandelli, mentre i bassorilievi dorati sottostanti il secondo ordine di palchi sono opera di Luigi Manzini e raffigurano in tredici gruppi la storia del Genio; quelli dipinti sui parapetti dei palchi di proscenio rappresentano soggetti mitologici.
I palchi del proscenio sono fiancheggiati da due mezze colonne di ordine corinzio le quali sostengono un ampio architrave ornato da pregevoli intagli in legno dorato.
La volta, leggermente ricurva, è ornata da Camillo Crespolani e arricchita da quattro figure - opera di Luigi Manzini - che rappresentano la Musica, la Poesia, la Commedia, la Tragedia, alternate da altre quattro in cui si riconoscono Giuseppe Verdi, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Gioachino Rossini. Verso il centro si notano quattro medaglioni con le immagini di Dante Alighieri, Torquato Tasso, Ludovico Ariosto e Francesco Petrarca.
Il sipario storico del Teatro Comunale di Modena, opera importante nella produzione del pittore Adeodato Malatesta, è costituito dall'assemblaggio di 24 teli di canapa, posti in verticale fino a formare un telero di 16 metri di larghezza per 10 di altezza. La giunzione delle parti è garantita da una forte cucitura che non solo corre a unire i singoli bordi ma rifila e orla tutto il manufatto.
La zona superiore è rafforzata mediante il ripiegamento, su retro, della tela lasciata volutamente in eccesso e fissata mediante cucitura: questo doppio strato di stoffa costituiva una resistente presa per l'aggancio all' asse di movimentazione del sipario stesso.
Il laborioso intervento di confezionamento del telero fu affidato a una équipe di capaci artigiani attivi in teatro, i sarti che approntavano costumi e arredi.
Prima di cucire le tante, lunghe strisce di tela, tutto il tessuto veniva "disapprettato" lavandolo più volte: questo costituiva un passaggio molto importante nella preparazione del manufatto in quanto solo attraverso questa operazione, ripetuta a lungo, acquistava maggior flessibilità e elasticità, necessaria alla sua funzione e, sbiadendo leggermente nei toni, si preparava a costituire una base più luminosa alla pittura.
Alle maestranze di teatro erano affidate anche le operazioni successive, come la preparazione della tela alla pittura che consisteva nella leggera impermeabilizzazione della stessa mediante un sottile film di stucco dato a pennello.
Lavoro interno al teatro risulta l'esecuzione della bordatura dipinta in funzione d'inquadramento della scena: bordatura che si ripeteva per tipologie d'uso (a finta cornice lignea, a finti pilastri con rilievi o, come in questo caso, a finti ricami e nappine in tessuto).
Il tema sembra essere stato scelto dallo stesso Malatesta che snobbò i consigli del letterato Giovanni Galvini per un soggetto patriottico e si orientò verso un tema caro al duca Francesco IV, conciliando le esigenze politiche dell'ambiente con la tradizionale munificenza degli Estensi.
Il pittore prende spunto dal tema prescelto per allestire una "scena nella scena", un evento storico, cioè, restituito in forme e spazi teatrali.
Non vi è ricerca di verosimiglianza ma, piuttosto, c'è la ferma intenzione di organizzare una grande rappresentazione teatrale con attori che, per l'occasione, indossano costumi dell'epoca analiticamente ricostruiti secondo il minuzioso studio di un pittore di storia.
Il gioco è scoperto e i movimenti dei personaggi come raggelati nell'attesa che si alzi il sipario: Ercole I, che Malatesta rappresenta giovane e non uomo di già cinquantacinque anni, facendo uno strappo alla verosimiglianza storica, incede a cavallo.
Il soldato che scaccia i mercanti dalla strada è una citazione della scena raffaellesca della "Cacciata di Elidoro dal tempio".
Il recente restauro, promosso dall'Associazione Amici dei Musei e finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Vignola, ha dato l'opportunità di conoscere meglio quest'opera: dopo il fissaggio del colore, che tendeva a "spolverare" per la decoesione del legnante, durante la fase della pulitura si è scoperto che gran parte del cielo è stato ridipinto mentre intatta si presenta tutta la parete inferiore: il confronto con antiche fotografie e, in seguito, saggi di pulitura più approfonditi hanno confermato che esiste un film pittorico sottostante, ma questo non significa avere la possibilità di liberarlo da giustapposizioni.
Il colore del primo livello si è mostrato così abraso e inconsistente da non concedere alcuna tentazione al recupero: molto probabilmente fu ridipinto più volte in quanto, come ingranaggio della macchina scenica, anche il sipario subiva spesso un "maquillage".